Di andare ai cocktails
con la pistola non ne posso più; piña colada o coca
cola non ne posso più. Di trafficanti e
rifugiati ne ho già piena la
vita, oh maledetta
traversata, non sarà mai finita,
mah. Ivano
Fossati “Panama” “Panama
e dintorni”, 1981 13. Le anime della festa. Finito
il lieto convivio, congedati gli ospiti, dopo aver ordinato a Stroessner di
tenere sotto controllo il telefono di Collman, il Tedesco borbottò a Renée
che l’avrebbe raggiunta in stanza subito dopo aver controllato una certa
faccenda. Aspettò
che si dirigesse nella stanza da bagno, mise la giacca velocemente, prese il
bastone e con una certa celerità sgattaiolò via: non voleva assolutamente lei
capisse che stava uscendo, altrimenti le avrebbe dovuto mentire sulla persona
che doveva incontrare. Di
primo acchito aveva pensato di svegliare De Marina e chiedere a lui, ma poi
aveva immaginato che destare quell’uomo a quell’ora sarebbe stato come
metterlo sulla sedia elettrica, e lui non aveva né forza né pazienza di
aspettare gli passassero le convulsioni. Arrivò velocemente al piano terra,
mentre ogni Guardia Civil che incontrava gli presentava le armi: rinunziò a
prendere la macchina, avrebbe dato ancora più nell’occhio. Certo,
era ovvio che lui, l’uomo, anzi, il vampiro più famoso di tutto lo stato
venisse notato, figurarsi quando camminava di passo svelto ad un’ora insolita
verso l’ingresso della MeilenHaus ed usciva. Da solo. Senza scorta. Senza un
codazzo di sottoposti. Questi non erano segni dell’Apocalisse, ma poco ci
mancava. Fortunatamente la sua autorità ed il terrore che sprigionava era
tale per cui nessuno, di coloro che l’avevano notato, si sarebbe permesso
nemmeno di ricordarsi di averlo visto. Dopo
pochi minuti giunse a destinazione, nella piazza del paese. Costeggiò la
chiesa e, immaginandosi che a quell’ora le persone avessero il sonno pesante,
si attaccò senza particolari requie al campanello. Dopo pochi secondi percepì
delle imprecazioni, nella casa, del tramestio e da una finestra al
pianoterra, le cui imposte vennero aperte di slancio, si sporse in camicia da
notte, con un diavolo per capello, il reverendo parroco Padre Nicanor. “Buonasera
Padre, mi scuso per l’ora inconsueta” lo salutò quasi amabilmente il vampiro,
mentre l’uomo di chiesa per poco non aveva un infarto dalla sorpresa, e si
appoggiava al davanzale per non cadere. Non riuscendo a spiccicare una sola
parola, se non, nel profondo della propria mente, una preghiera. Perché era
ovvio: se il Señor si scomodava di persona e a
quell’ora per svegliarlo, allora era proprio un brutto segno. Probabilmente
aveva già fatto uccidere De Marina per aver parlato troppo, e adesso toccava
a lui. “Ho
urgentemente bisogno di vederla per risolvermi alcuni dubbi teologici,
Padre.” “Señor, la notte la porta ad
essere un umorista.” fu la risposta che uscì dalla bocca del prete, quasi
pronto al prossimo martirio. “Non crederà che venga a svegliare un uomo di
Dio, interrompendo il sonno del giusto, per fare delle battute ? C’è un posto
dove posso esporle i miei dubbi ?” Ottima
osservazione, non c’era che dire, ma lui non aveva l’abitudine di aiutare il
demonio, in alcuna sua forma. “Mi permetta la diffidenza, Señor: il mio aiuto
servirà a troncare o rovinare quante vite ?” “Che
diffidenza, Padre: è così con tutti i suoi parrocchiani che le si rivolgono
per dell’aiuto ?” “No,
solo con quelli che sono già morti. E da un pezzo.” Il
Tedesco ebbe un ghigno e, per quanto paradossale fosse, diede ragione
all’uomo. “Le farò una rivelazione, così grande che se anche andasse a dirla
in giro non ci crederebbe nessuno: ho fatto un errore, grosso, ed ora voglio
rimediare. E in questo modo penso che allontanerò molti mali dall’Europa. Un
filantropo, se mi passa il termine. E sì, ci saranno dei morti, a breve
termine, ma questi sono indipendenti dalle domande che le voglio porre.” La
canonica aveva davanti la chiesa e, dietro, il cimitero locale: Padre Nicanor
tirò sulla veranda un paio di sedie e poi, con in mano una candela ed
attraversando tombe misere segnate da croci di ferro battuto, andò ad aprire
il cancelletto per fare entrare il Señor. “Devo avere un bricco di caffè in
cucina. Ne vuole un po’?” gli domandò, accomodandosi. E poi si chiese se la
cortesia con il demonio fosse un peccato. “No, grazie, non voglio incomodarla
troppo.” rispose magnanimo l’altro. La
scena era spettrale: due uomini, di cui uno morto da decenni, seduti nel
cuore della notte davanti ad un macilento cimitero, dove le erbacce si
insinuavano tra le lapidi. Il vampiro cercò di mettersi comodo sulla sedia
dallo schienale in paglia, che gli avrebbe certo un po’ sporcato la giacca. “Padre,
se io le parlassi dei “figli di Sion”, a lei cosa verrebbe in mente ?” Il
prete, nella penombra, per poco impallidì: aveva veramente dei dubbi
teologici! Non era uomo, anzi sacerdote, da poter resistere ad un simile
interrogativo. “Sul monte Sion è costruita Gerusalemme, e nella Bibbia questo
nome viene spesso usato al posto di quello della Città Santa. Così,
l’espressione che lei ha citato torna più volte in tutta la Bibbia, ed indica
il popolo ebraico.” Il
vampiro annuì. “Mi sembrava di ricordare qualcosa di simile, ma volevo
esserne sicuro. Sa che esiste la città di Sion anche in Svizzera?·” “So
che ne sono state edificate più d’una, con questo nome, nel mondo.” rispose
pacifico il prete. “E se
invece le dicessi che tutti hanno un nome, ma solo Dio ne ha di segreti, lei
a cosa penserebbe?” “Che lei si sta dedicando alla lettura della Bibbia,
Señor. Oppure che si sta facendo una certa cultura di ebraico, da quanto
ricordo. Lei non sa che noi non conosciamo il nome proprio di Dio?” La
cultura di Padre Nicanor non era sfavillante, ma queste cose erano di base:
si sforzò appena, per ricordarsele. Il
nome di Dio per gli ebrei· era considerato il nome più
sacro e santo, tant’è che lo conosceva solo il Gran Sacerdote del Tempio di
Gerusalemme ed il suo successore, così da non indurre gli uomini nella
bestemmia. Tutti gli altri ebrei, per nominarlo (più o meno invano) usavano
altre espressioni: Adonai, Elohim, Hashem, che volevano dire il Signore,
l’Onnipotente, il Nome. Nella Bibbia compariva il vero nome, ma composto da
solo quattro suoni consonantici, e quindi impronunciabile: il Gran Sacerdote
sapeva quali suoni vocali inserirci. “Oramai
noi cattolici ci siamo scordati di ignorare il vero nome di Dio, ma gli Ebrei
lo hanno ben presente, considerando che la forma impronunciabile nella loro
Bibbie è frequentissima. Sta meditando di convertirsi, Señor?” “Così
anche questa espressione porta ai figli di Sion, giusto ?” Il prete aggrottò
le sopracciglia. “Non si dia pena, non ho intenzione di ucciderne nemmeno
uno, se è questo che pensa. Lei mi è stato di grande aiuto, la ringrazio.” Congedatosi,
tornò nella MeilenHaus, a passi svelti ma intimamente soddisfatto: ora sapeva
più o meno cosa doveva fare ed aveva già un’idea: l’indomani mattina, tra
qualche ora, avrebbe messo al lavoro tutti e avrebbe risolto in fretta la
questione. Ora ci voleva solo una sigaretta, un po’ di sangue e un momento di
relax prima di dormire. Ma il Tedesco ignorava che la sua dolce metà doveva
urgentemente parlargli dell’abissale inganno in cui erano incappati. Circa
dodici ore dopo la visita al curato (dodici tra le più intense ed impegnative
ore che molti tra i papaveri della MeilenHaus avessero vissuto dai tempi
della chiusura del Canale per l’entrata nella Grande Guerra degli Stati
Uniti) Spike sbadigliò. Nel
frattempo Stroessner si era sentito prima un idiota, poi un morto che
respirava ed infine un uomo utile; De Marina aveva avuto un numero di crisi
respiratorie superiori al normale (e questo voleva dire qualcosa …); Frau
Blucher si era meritata un caldissimo sorriso da parte del Tedesco per
un’intuizione geniale; Thugut aveva stilato un piano d’attacco degno di von
Clausewitz·; Renée si era trattenuta dall’uccidere la sua dolce
metà. Dopo
il lungo e soddisfacente sbadiglio, Spike aprì appena gli occhi e si rese
conto di essere nel bel mezzo della fine del mondo. Probabilmente nella loro
camera da letto era esplosa una bomba e lui non se ne era accorto: non c’era
altra spiegazione per tutto quel mostruoso casino di bambole, vestiti,
accessori e il diavolo sapeva cos’altro che era sparso in ogni dove. Poi,
dopo il primo momento di stordimento, ricordò: sarebbero partiti a breve, e
Dru stava facendo le valigie. Era
mirabile il grado di assurdità e confusione con cui certe donne riuscissero a
complicare un’operazione tanto facile per gli uomini, i quali,
sull’argomento, si dividevano in due grandi partiti. Alcuni
semplicemente prendono quello che trovano per caso e ficcano dentro la
valigia, in modo scomposto, dell’idea che, se mai gli servirà dell’altro, lo
potranno sempre trovare sul posto: Spike era ovviamente di questa scuola di
pensiero. Altri invece memorizzano mentalmente cosa avranno la necessità di
indossare, preparano il tutto sopra un letto e poi si dannano affinché ogni
singolo capo di vestiario stia dentro la valigia occupando al millimetro cubo
ogni minimo spazio libero. Più che a fare una valigia sembravano a fare un
gioco di costruzioni, ed il Tedesco (che comunque aveva smesso di viaggiare
da decenni) era tra questi. Drusilla
(come Harmony poi, decenni dopo) trasformava un insieme di gesti abbastanza semplici
in un affare di stato, in un evento senza precedenti, in un’Apocalisse.
Iniziava tirando fuori la sua roba da armadi, stipi, cassettoni, cassapanche,
cassetti e da ogni altro luogo l’avesse sparsa, e tirandola fuori contemporaneamente. Il che significava
spargerla in ogni angolo della stanza, formando cumuli di vestiari ordinati
secondo la personale logica della vampira. A
questo si aggiungeva che il viaggio la metteva di solito di buonumore, e
quindi cantava. O meglio, mugolava a mezza voce vecchie canzoni con
un’intonazione tale che al confronto le più struggenti nenie funebri dei
popoli più infelici sarebbero sembrate delle sfrenate danze orgiastiche. Non
che cantasse sempre, s’intende: ogni tanto domandava ad una delle sue bambole
dove fosse un vestitino, o un paio di scarpe. E di solito si arrabbiava
perché quelle –le bambole- erano distratte e non sapevano essere d’aiuto. Cosa
può fare un povero vampiro in questi casi ? Nulla, se non aspettare che
termini la passeggera sventura. Spike
infatti aprì un solo occhio, emise uno strano ringhio gutturale, percepì
qualcosa di fresco sulla sua spalla che non erano le lenzuola, tastò fino a
capire che probabilmente era una sottoveste di Dru, la gettò all’indietro in
qualche punto del letto, si girò su un fianco, si trovò faccia a faccia con
Miss Edith, ringhiò, ficcò la testa sotto il cuscino ed attese che la
calamità avesse fine. Purtroppo
in questa vita tutti dobbiamo espiare. E quando si dice tutti… Dopo
qualche tempo una voce ridestò Spike: una delle cameriere assegnate loro
annunciò la visita di Herr Collman, il quale si vide apparire di lì a poco un
vampiro pressoché nudo, del tutto spettinato e furiosamente incazzato che lo
apostrofò dicendogli: “Negli ultimi giorni ho visto più lei di Dru. E le assicuro
che questo non mi piace !” “Ed
io che avevo un regalo per lei e Frau Nagel …” protestò visibilmente
spaventato l’uomo, in piedi nel salone. “Il
suo cuore?” chiese Spike, distrattamente, gettandosi sull’ottomana. “Mi
scusi?” L’uomo assunse un colorito madreperlaceo, a quella che gli parve una
chiara profferta omosessuale. “Da
mangiare.” specificò il vampiro con un sorriso divertito. Per
la prima volta da che si conoscevano, Collman non riuscì a trattenere uno
sguardo di superiorità, e di commiserazione:
sarebbero a breve finiti i giorni in cui quello stupido buffonesco non-morto inglese
si permetteva di fare il gradasso. Avanzò, posò un pacco a terra, si sedette
su una poltrona ed aprì la borsa che portava con sé. “Come
presumo lei sia in grado di ricordare, parteciperete questa sera alla festa
per il compleanno dell’Ambasciatore olandese. Lei è invitato come William
Nagel Sobosky, cittadino britannico figlio di un’esule polacca, insignito
dell’Ordine dell’Aquila Bianca, nobile onorificenza della Polonia·: ha fornito armi ed aiuti nella difesa di questo stato
dall’invasione sovietica· e, per questo, ne è stato insignito due anni fa. Non ci
sono diplomatici polacchi alla festa, si limiti ad essere vago e discreto
sull’argomento.” Spike,
alzando un sopracciglio, domandò l’utilità di questa menzogna. Collman gli
spiegò che, per imbucarlo ad una festa ufficiale in casa di un diplomatico,
bisognava trovargli un adeguato passato da vantare. “Lei
è nato nel 1895, nel 1914 viene ferito sul fronte belga e per questo ha una
cicatrice sul sopracciglio. Non partecipa alla guerra, così se le chiederanno
qualcosa non dovrà dire nulla. Una volta guarito, il suo spirito libertario
ed avventuroso la spinge in Polonia, che ha lasciato due anni fa. Un inglese
che va a combattere per la libertà degli altri stati piace sempre.” Detto
questo tirò fuori una scatola in pelle rossa, che aprì: dentro, rilucente, la
decorazione. Collman si raccomandò se la appuntasse sulla frac, sulla
sinistra. “Ha
pensato anche al frac? Sa, non è uno dei capi più usati dai vampiri.”
motteggiò Spike. L’occhiata dell’uomo fu eloquente. “È
nel pacco che ho portato. Le consiglio di fargli prendere un po’ d’aria,
prima di indossarlo. Ora ci sono solo due cose da specificare, poi la
lascio.” Collman
raccontò che le feste dall’Ambasciatore erano peculiari: inizio alle otto,
buffet, chiacchiere e noia fino a mezzanotte circa, poi gli invitati si
ritiravano perché Sua Eccellenza va a dormire presto. Durante tutto questo
tempo la padrona di casa girava per le stanze, la veranda ed il giardino
cercando di tenere viva la conversazione, mentre suo marito fumava sigari
seduto su qualche poltrona, sbuffando. L’uomo aveva però una passione:
collezionare armi bianche. “Porti
la conversazione sull’argomento e stia sicuro la condurrà al piano di sopra a
vedere pugnali, spade, lance, picche … Che dramma, se una delle due armature
intere che possiede gli crollasse addosso, squartandolo come un maiale. Qual
è, tra l’altro. Dentro il pacco troverà un foglio: è la pianta della loro
villa. Lo studio privato è sullo stesso piano del salone delle armi. Vada,
prenda i documenti, scenda con discrezione e assieme a Frau Nagel segua
l’itinerario che vi ho segnato: al piano terra c’è una porticina secondaria,
usata dalla servitù. Uscite da lì, così non darete nell’occhio. La macchina
con i vostri bagagli pronti, ed io, vi attenderemo.” Adoro
la perfezione germanica, sospirò Spike, annoiato a morte: fortunatamente
entro dodici ora sarebbe partito lasciandosela alle spalle per sempre.
“Vi imbarcherete a Colòn per Venezia alle due del mattino, quindi vi
consiglio di uscire dall’ambasciata entro le undici e mezza. Così non ci sarà
fretta e la macchina non dovrà correre. Sa, la strada ha qualche buca, e Frau
Nagel diceva che vuole viaggiare comoda
…” E
così era arrivato il momento tanto atteso (da tutti) della loro
partenza. Di lì
a breve Spike e Dru si sarebbero preparati per la festa dall’Ambasciatore, e
dopo… chi s’era visto, s’era visto. Arrivederci… possibilmente a mai più. Oh, quelle souffrance…la sensazione
reciproca era più o meno quella degli incontri stereotipati che si fanno un
villaggio vacanze alle Maldive : si è costretti a sopportarsi
reciprocamente per troppo, troppo tempo, repentinamente passati da estranei a
intimi in spazi troppo esigui al punto che, come prigionieri in un gulag
(paragone nel paragone ! Avrebbe riflettuto Spike, in un ozioso momento nel
seminterrato di Buffy, decenni dopo, ripensando a quell’episodio…), quasi ci
si affeziona. Quasi.
Renée e Karl li accompagnarono fino alla porta dei loro
appartamenti. I saluti furono formali, quasi cerimoniosi: gli uomini
baciarono la mano alle signore, e si strinsero la propria, mentre fra loro,
le dame, si diedero due baci accennati sulle guance pallide. L’ultima immagine che Spike e Dru ebbero dei loro ospiti fu
questa. Lei affascinante ed un poco esotica drappeggiata in un abito lungo,
lui rigido e compito tutto vestito di chiaro. Sarebbero passate tre
generazioni prima che si rincontrassero. Lasciato
che Buffy uccidesse Angel, Spike sarebbe partito da Sunnydale a tutto gas
sulla De Soto per portare se stesso e Dru il più lontano possibile da lì.
Nei lunghi giri per le Americhe che avrebbero compiuto, necessariamente
avrebbero attraversato il ponte delle Americhe, la struttura imponente che
sovrasta il Canale di Panama. Ad agosto, con il caldo … perché non andare a
bere qualcosa di gelato da un vecchio amico che sarebbe stato sicuramente felice di rivederli ? Il
Canale non era più statunitense, la città era diventata un’orrida piccola
metropoli sudamericana, ma a parte qualche cambio politico ed architettonico,
quello che vide gli fece schifo esattamente come allora. Altre cose non erano
cambiate: avvistato un poliziotto, accostò in modo brusco e chiese la strada più veloce per la MeilenHaus. Quegli si
segnò e fornì le indicazioni. La
strada era cambiata: c’erano i lampioni ed i marciapiedi, il traffico era
infernale … ma l’edificio bianco con tante finestrelle era identico. E così
la vigilanza, con le stesse divise di allora e i fucili spianati verso la
macchina che non osava fermarsi al loro alt. Nonostante fosse da poco passato
il tramonto e quindi i buchi nel parabrezza non avrebbero costituito nulla se
non un episodio appena spiacevole,
Spike si fermò. “Come
sta il grande boss? Sempre noioso?” Gli ci volle relativamente poco per
riuscire a convincerli di essere un vecchio amico del Tedesco. L’ingresso
nel grande cortile porticato terminò con una sgommata memorabile, che segnò
malamente il delicato ghiaino che –col tempo- era stato posto. Scesero dalla
macchina, incuranti degli sguardi allibiti di svariati avventori ed
inservienti: il tempo di dare uno sguardo in giro e sul terrazzo al piano
degli appartamenti di rappresentanza, comparvero due figure note. Lei,
sempre bella, abito stampato a fiori in seta autentico Versace (di solito
associato all’immagine eterea di Chisty Turlington o di una qualunque delle
compagne stagionali di Briatore), lui, sempre vestito di bianco, con panama,
giacca ed un paio di occhiali da sole rayban a specchio che avrebbero messo i
brividi a Pinochet. “Ah, Señor ! In settantacinque anni non ha
ancora rimodernato il guardaroba ?” gli urlò Spike, e una piccola smorfia
contrasse le labbra dell’altro vampiro. “Nagel … chi non muore del tutto si rivede.” “Sono qui per quella birra !” Un momento di silenzio, acuito dal fatto che
nessuno, in tutta la Meilenhaus, si azzardava a parlare, scioccati che quella
copia di Billy Idol affettasse tanta confidenza con il Señor. “Non glielo hanno detto i suoi uomini, allora ?
Per ringraziarla dei vostri servigi, quella notte, avevo promesso le avrei
offerto un giro di birra.” “Sono passate tre generazioni … con gli interessi
adesso mi dovrà offrire un barile.” Era costato impiego e dedizione, ma alla fine
Renée ci era più o meno riuscita: anche il suo Karl aveva una parvenza
di sense of humor. Nessuna
impresa è davvero impossibile. Spike
pensava a qualcosa del genere, avvicinandosi alla grande villa
dell’Ambasciatore. Impossibile
resistere alla noia, ma doveva quantomeno provarci. La
decorazione polacca gli pungeva lo sparato del frac e Dru portava scarpe
troppo alte, che lo facevano sembrare basso. E Spike odiava sentirsi basso.
La prossima ragazza me la prendo petite¸ rifletté. Sì…considerato
chi era Dru per lui, se ne riparlava tra un’ottantina d’anni. Forse. Le
otto erano ridicolmente presto per un vampiro. E la notte, in quel posto del
piffero, non scendeva mai, tranne
poi – come all’equatore – sorprenderti di botto, a tradimento, dando prova di
cattiva educazione e pessimo tempismo. L’autista
della Meilenhaus ebbe cura di parcheggiare all’ombra, e Spike e Dru uscirono
di corsa. Grazie a Dio il buffet era servito all’interno per via
dell’umidità, che altrimenti avrebbe fatto arricciare i capelli delle
signore. Più che un parco, del resto, quella era una foresta. Spike avrebbe
giurato che la vegetazione – con quell’infernale clima caldo e umido
–crescesse a vista d’occhio. Probabilmente, tracciando un segno con il gesso
bianco sul terreno argilloso lo si sarebbe potuto riscontrare de visu. “Mio
Dio, che noia” sbadigliò Dru. “Appunto”
puntualizzò Spike. “Il
comandante Sobolsky?” la moglie dell’ambasciatore era un’americana rotondetta
con un pessimo accento East Cost e capelli cotonati. “E … signora! Che
incantevole signora!” “Già,
incantevole” si sprecò l’Ambasciatore, prendendo la mano di Dru e non
sfiorandola neppure. Lei lo fissò di sotto in su con i suoi incantevoli occhi
violetti e gli sorrise, scoprendo appena appena i denti. Nemmeno
gli tira,
pensò Spike, annoiato a morte. La prostata incombeva, e l’avrebbe ucciso ben
prima di quel che avrebbe potuto fare lui, se baciare la mano a Dru lo
lasciava indifferente. Spike era molto protettivo con la sua Regina: per
lui, nessun scherzo!, era la donna
più bella del mondo e proprio non riusciva a trovarla meno che adorabilmente
perfetta. Seppur
vampira, s’intendeva. Si
chiese cosa gli avrebbe portato di buono quest’assassinio. In fondo quello
del giornalista era stato puro divertissement, molto angelusiano, se
vogliamo, e quello del Reverendo… mmm… gli aveva portato Marthe. Ma
questo qua? Capì
alla quarta, stantia tartina che non gli avrebbe portato assolutamente nulla,
se non una grandissima rottura di coglioni. Quando un buffet riesce male, non
c’è nessuna possibile redenzione per una festa. Nessunissima. Diciamolo,
una buona volta! Perché si va alle feste? Per rimorchiare e/o per mangiare. Beh,
scoprì i denti in un sorriso, la seconda che ho pensato è ancora realizzabile.
Basta un minimo di discrezione. Lui e
Dru seguirono la padrona di casa all’interno, mentre quell’atmosfera di morte
opprimeva persino loro, il che era tutto dire. Dru
cominciò a discettare di quadri dell’epoca vittoriana (e non ne sapeva una mazza !,
rifletté Spike) mentre lui vagava nel suo buffo frac per i corridoi. Era
bicromatico come un pinguino, e la cosa gli pesava non poco. Se si fosse
visto negli specchi che adornavano il salone principale, dove veniva servito
l’aperitivo, avrebbe capito che nero e bianco gli donavano invece, parecchio. “Pensare
che mi avevano parlato della miglior collezione privata centroamericana di
armi bianche.” sbottò, pensando di non aver mai sentito uscire dalle sue
stesse labbra una simile cavolata prima. “E…
avevano parlato di me?” Finalmente.
Pesce abboccato all’amo. L’ambasciatore sembrava risorto dal suo letargo
invernale. Aveva la stessa aria di felice e gioiosa aspettativa di una
zitella quarantacinquenne a cui venga riscontrata, da un esemplare di sesso
maschile, l’esistenza di tette. “Ambasciatore
… olandese … si … mmmm … penso si trattasse proprio di lei.” Spike soffocò la risata
nella mano, fingendo un opportuno colpo di tosse. L’ambasciatore era proprio
in estasi. “Ma sa
che lei, comandante Sobolsky, parla un inglese proprio perfetto?”
intervenne la signora yankee. Lei
no, avrebbe
voluto risponderle Spike, in perfetta onestà, ma si trattenne. In fondo era ancora
un gentiluomo inglese. Dio,
che palle…non vedeva l’ora di farla finita. Letteralmente. “Allora,
queste armi?” L’impazienza
del suo tono gli valse uno sguardo divertito di Dru. Ma Spike fece spallucce
e seguì l’ambasciatore, pesante e … entusiasta. Salirono lo scalone insieme,
e Spike ne approfittò per lanciare ombre di artigli sui muri, come ogni
vampiro che si rispetti. Non
appena l’Ambasciatore si voltava, ansioso di vedere che l’ospite lo stesse
seguendo, si fermava, di scatto, e tornava normale. E più o meno
sorridente. “Belle
… belle armature …” esclamò. Ce n’erano tre, una a ciascuna estremità del
corridoio, ed una in mezzo. Nella sala c’erano poi cotte di maglia, alabarde,
lance, pugnali, spade di ogni genere e tipo, complicate panoplie, armi
provenienti da ogni parte del mondo, compreso un kriss. Ed una
lunga, lunga spada giapponese. Ne resterà solo uno … avrebbe pensato
anni dopo, divertito, Spike, nel seminterrato, dopo aver visto decisamente troppa
tv. Per decenni. Ma
allora pensò che era proprio … lunga. Fallica. Ad Angelus sarebbe piaciuta. La
tirò fuori dal suo sostegno, e la fece oscillare, saggiandone il peso. Meditò
se spiccare la testa dell’ambasciatore dal corpo. No …
troppo rapido e indolore. Troppo
aristocratico, modello Je suis Marie Antoinette. “Dice
che è affilata?” chiese all’uomo, soprappensiero. “Affilatissima.
Sono lamine su lamine di puro acciaio” “Ah”
Spike la impugnò con forza. E la fece cadere, di lama, sui piedi
dell’Ambasciatore. Gli
tranciò di netto le dita. L’Ambasciatore
urlò. Servì
a poco, c’era troppo trambusto ed erano troppo lontani dalla sala. Nessuno lo
sentì. “Cosa….Cosa…
Mio Dio…” Cadde,
come quel grasso maiale che era. Spike
si gettò la katana alle spalle. Robetta
da poco. Specie
quando c’era proprio lì vicino una bella mannaia, modello Anna Bolena. Ah,
la vecchia cara perfida Albione… insuperabile nell’arte di amministrare il terrore. Prendendolo
per i gomiti, gli tagliò entrambe le mani. L’ambasciatore
stava per svenire. Per lo
shock. Per la sorpresa. Per il terrore. “Quanti
pezzettini…” osservò Spike, leccandosi le dita. Il sangue arterioso stava
sgorgando a fiumi. “Che dici, ti lascio morire nel tuo lago di sangue? O ti
finisco modello goulash?” “Lei…non
è …un soldato…” “Certo
che no.” “Lei…
non ha onore…” “Onore?”
Spike lo fissò. E si mise una mano sul cuore. “Mi ha mortalmente offeso,
sa?” poi, fece spallucce. “Peccato che sono immortale.” Acchiappò
il kriss con la punta delle dita. Perfetto
per sventrarlo. Glielo
ficcò nella pancia, e poi lavorò di polso. Ormai l’Ambasciatore era una massa
tremolante di carne e sangue e gemiti, che si teneva gli intestini con le
braccia monche. Nei
suoi occhi azzurri, slavati, dilatati dal terrore, Spike lesse solo un unico
sentimento. L’ultimo della sua esistenza. Probabilmente il più importante,
definitivo. Il
desiderio che tutto ciò finisse presto. Lasciate
alle spalle le luci della festa (e quel poco che era rimasto degli invitati e
del personale di servizio: Dru era insuperabile nell’arte della strage, come
avrebbero imparato, decenni dopo, gli impiegati della Wolfram & Hart), ci
fu lo scambio dei documenti. All’angolo
della strada due macchine dal motore acceso ed i fari spenti stavano
nell’ombra, lievemente iettatorie come i visi degli uomini che vi erano
dentro. Spike vide subito sul tetto di una delle due la massa di bagagli di
Dru e, subito dopo, purtroppo, Collman che apriva la portiera ed usciva,
salutandolo con un cenno della mano. Quell’uomo era losco in ogni cosa che
faceva, fu il pensiero del vampiro. “Tutto
bene ? Ci sono stati problemi ?” Per noi no, sorrise dolcemente Dru, e
alla ‘lunga mano’ di Hess a Panama vennero i brividi, ma oramai c’era
abituato con quella lì. Ancora
poco e sarebbe stata lei a tremare
davanti a lui, come il mondo avrebbe fatto davanti al nazionalsocialismo.
Tutto era oramai giunto alla fine: la giostra stava per compiere l’ultimo
giro, gli ingranaggi erano ben oliati e la ‘ThuleOperation’ si stava per
concludere gloriosamente. Quei tre cani erano morti, non restava che lasciare
tutto andasse come era stato organizzato. Tra dodici ore, pensò Collman, sarò già in viaggio verso il Reich, e
verso gli allori della gloria. “Bene,
Herr Nagel, nella borsa in macchina c’è il saldo di quanto le dovevo. Mentre
immagino che quelle cartelle siano per me, giusto ?” Spike annuì
e gli porse il plico con fare spiccio: che almeno gli venisse risparmiata la
scena del commiato. Ne aveva già avuto abbastanza di quella con il Tedesco e
Renée. “Che
dire, Herr Nagel ? abbiamo avuto qualche incomprensione, ma le assicuro che
conoscerla è stata un’esperienza notevole, e lavorare con lei … un piacere.” “Mai
quanto lo è stato per noi.” disse Drusilla accompagnando la suadente frase
con una carezza languida sulla guancia ispida dell’uomo. Che ebbe di nuovo
paura. E non sarebbe stata l’ultima volta, quella notte. La
macchina, ovviamente una Ford, partì: Drusilla appoggiò il capo sulla spalla
di Spike, chiuse gli occhi ed in sussurro gli disse di guardare il panorama
se voleva, ma solo finché sarebbero stati in città. Perché,
chiese lui, che si sentiva addosso la certezza che qualcosa non sarebbe
andato come immaginava. “Perché
usciti dalla città, amore, ci stendiamo bene bene su questi comodi sedili,
chiudiamo gli occhi e cerchiamo di dormire.” “Ma,
Dru, tesoro, tanto poi ci dobbiamo svegliare per prendere la nave.” Protestò
lui, un po’ sorpreso da questa inaspettata botta di sonno della compagna. “Oh,
non ti preoccupare, che avremo chi ci sveglierà. Su, ora fai il bravo.” Forse
non era molto chiara, ma era decisamente lucida. Quando Dru era così,
non c’era da discutere. Mentre
alle villette iniziavano a sostituirsi più rade case di contadini, e poi a
queste solo campi e piantagioni, ombre scure e minacciose nella notte
dell’istmo, Spike fece come gli aveva detto la compagna, e si sdraiò. L’autista,
davanti, sentendo del rumore (nello specchietto retrovisore non li poteva
vedere) si girò e trovò quantomeno strano che due creature della notte
dormissero tra i sobbalzi della macchina su quella strada sconnessa. Ma era
pagato per guidare, e rimosse all’istante questo strano e inopportuno
pensiero. Brutto
veramente guidare di notte per quelle strade: non solo non erano asfaltate,
ma non avevano neppure l’illuminazione, che si interrompeva pochi chilometri
dopo la fine delle due città, Panama e Colon. Per il resto si viaggiava al
buio, unica luce i fari della macchina, con il pericolo che qualche armento,
fuggito nottetempo dalla stalla, si facesse trovare nel mezzo della strada,
addormentato. Ad un suo collega era capitato di aver tamponato una scrofa ! L’uomo,
con l’occhio attento, si perse in riflessioni sul rapporto tra campagna e
città, su come questa si stesse sempre più slargando e sugli svantaggi di
vivere in mezzo ai campi (come era capitato a lui da giovane) rispetto alla
grande città. Ma, pensò, se nell’una c’erano maggiori comodità, era anche
vero che abbondavano i seccatori, la confusione e gli affanni quotidiani. Insomma,
quell’autista si perdeva in riflessioni che già qualche poeta greco, nel VI
secolo a. C., aveva fatto, e che erano state leit-motiv di tutte le epoche
storiche. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, dice la Bibbia. Queste
banalità non lo distolsero dalla strada quel tanto che bastava per rendersi
conto con il giusto anticipo che i fari illuminavano, davanti a lui, una
massa indistinta che, con il passare dei secondi, e l’avvicinarsi ad essa
della vettura, diventava sempre più definibile. Era …
era … era decisamente un peone che a cassetta guidava un carretto trainato da
un ronzino. A quell’ora di notte? E per di più teneva il centro della strada,
e, benché avesse sicuramente visto e sentito la macchina che si avvicinava,
non sembrava volersi minimamente spostare a destra o a sinistra ! L’autista
rallentò e si fermò, con il motore acceso, quando giunse ad una decina di
metri dal carretto, che continuava ad avanzare: abbassò il vetro, si sporse
ed urlò in spagnolo che il Diavolo poteva prendersi lui, il suo cavallo ed il
carro. Per tutta risposta si sentirono i gemiti dell’uomo, che farneticava ad
alta voce ed in modo straziante a proposito della povera moglie e di un
bambino. “Che
cosa stai dicendo?” chiese l’autista, sceso dalla macchina ed avvicinatosi
all’uomo seduto a cassetta. Quattro colpi di mauser dalla distanza di tre
metri circa lo centrarono in pieno petto, facendolo cadere riverso lungo la
strada, con il sapore del proprio sangue nella bocca. Finite
le riflessioni notturne. Per sempre. Al
suono degli spari il cavallo ebbe un piccolo scarto, ma si calmò subito. Spike
s’alzò di colpo dal sedile dove s’era sdraiato con Dru: già quando la
macchina aveva rallentato lui s’era destato, tendendo l’orecchio, cercando di
capire a cosa fosse dovuta quella sosta in mezzo al buio della campagna.
Seduto, adesso, con tutti i sensi allertati, cercava di capire cosa stesse succedendo,
ma la mano fredda di Dru gli fece cambiare di nuovo oggetto di attenzione.
Girò la testa e la vide, bellissima, sorridente, ancora stesa sui sedili. “È il
Carro. Te lo avevo detto no ? Ci manda a prendere. Ora tu e Miss Edith fate i
bravi, mi raccomando.” Si alzò piano, aprì la portiera ed uscì. In
questo breve lasso di tempo, da dietro l’uomo del carro erano sbucate altre
due persone, con fucili ben saldi nelle mani, mentre qualche decina di metri
più in là si accendeva un motore e dai campi sbucava, muovendosi in
retromarcia verso di loro, un furgone. Negli
stessi momenti tutto intorno a loro, tra le foglie di banano delle
piantagioni, si accesero delle luci che si diressero rapidamente verso quella
Ford con il motore acceso ed il carro, che il conducente stava facendo
accostare al bordo della strada. Spike
abbassò il finestrino e l’aria fredda ed umida della notte tropicale lo colpì
di nuovo sul viso, come pochi istanti prima, quando Drusilla era scesa dalla macchina.
In brevissimo tempo lungo il limitare della via apparvero molti uomini, con
un cappello da minatore acceso (ecco cos’erano le luci !) e fucili puntati.
Cosa stava succedendo? E perché Dru si mostrava così calma e rilassata ?
Sapeva chi erano quegli uomini ? E il
loro viaggio ? Pensò, petulante. La
vampira, infatti, era arrivata davanti alla macchina e si era appoggiata
languidamente al cofano, illuminata solo parzialmente ed indirettamente dai
due coni di luce dei fari. Nessuno, intorno a loro, aveva detto una parola:
erano fermi, fissi, immobili e con i fucili spianati. Il camion affiancò il
carro e si fermò: il portellone posteriore si spalancò ed altri uomini armati
saltarono fuori, mentre una persona scendeva dal posto affianco al guidatore,
schermandosi appena gli occhi per la luce dei fari. “Questa
non è la luce del sole.” convenne Drusilla, con un tono decisamente
accomodante. “Ma non penso avreste potuto fare di meglio.” “Ci stava aspettando, madame ?” “Fate in fretta. Abbiate cura di Miss
Edith, sennò potrei … innervosirmi.” Ci fu un mormorio attorno a loro e con
tono titubante, dopo un’ulteriore esitazione, l’uomo che aveva parlato chiese
se si stesse riferendo a William il Sanguinario. “È una
bambola, povero stupido. Non chiamerei mai così il mio Re di Coppe. Miss
Edith è in una di quelle valigie. Dobbiamo salire lì dentro, non è vero?”
disse, riferendosi al camion. “Lui dov’è ?” chiese l’uomo, che non si
sarebbe sentito del tutto sicuro finché non avesse avuto sotto controllo
anche l’altro vampiro. Sono qui, brutto coglione ! urlò Spike sporgendosi dal
finestrino aperto, ma senza scendere dalla macchina per via delle bocche dei
fucili, e decisamente stufo che la conversazione si svolgesse come se lui
fosse un oggetto inanimato. Come Miss Edith, appunto. Prego, venga qua mister William, lo invitò l’uomo misterioso,
che evidentemente aveva organizzato tutto. Aveva uno strano accento. Slavo, a
prima vista. Spike
scese dalla macchina spalancando la portiera ed in due passi fu affianco alla
sua colombella, con il volto della caccia, feroce e infuriato, più che con
tutti quegli sconosciuti con Dru, che evidentemente sapeva cosa
sarebbe successo e lo aveva tenuto all’oscuro. Lei
non gli diede molta retta, lo prese per una mano e sicura di sé camminò fino
al camion, salendoci dentro. “Ehi !
e questo cosa significa ? Perché dobbiamo entrare qua?” protestò lui, mentre
gli uomini armati avevano fatto un passo, stringendo il cerchio di fucili che
lo circondava. Spike
aveva capito fin da subito che in quella situazione era inutile, per ora,
opporsi: anche se ne avesse uccisi subito un paio, in pochissimo tempo
sarebbe stato tanto pieno di piombo da finire dolorante a terra. Doveva
aspettare, magari riflettere, e sicuramente chiedere a Dru cosa significasse
tutto quel casino. “Bravi,
ci sono delle coperte e un divano. Mi piace viaggiare comoda. Su, Spike,
sali.” La
voce della vampira rimbombò un po’ da dentro il camion, ma sia il vampiro che
Herr Rohm, l’uomo che aveva organizzato tutto questo, fecero più che altro
caso al tono giulivo da bimba che partecipa ad un picnic tanto atteso. Beh,
da Monaco Hess era stato chiaro, la vampira era veggente quanto pazza, e non
stava a lui ficcare il naso nelle faccende esoteriche del Partito. Se proprio
serviva la succhiasangue matta che vedeva il futuro … decisamente meglio
fosse così accomodante ! “Dru,
vuoi dirmi che diavolo sta succedendo?” Lei si
succhiò il pollice, accoccolandosi contro di lui. “Una tal noia, invero.
Dormi, piccolo mio. Non ti perdi proprio niente” “Tutto
ciò non ha senso !” esclamò Spike, corrucciato, nel suo momento annuale di
ragionevolezza tutta britannica. Una ragionevolezza antica, di stampo
vittoriano, che una volta l’anno circa lo coglieva di soppiatto, che poteva
spacciare quasi per anima e che avrebbe a suo tempo assai facilitato
il suo entrare nelle mutande di Buffy Summers. Ma
poi, sfinito, si abbandonò sul divano, accanto a Dru, e scoppiò a ridere.
Beh, chi se ne fregava? Bastava che non gli mancassero mai liquore, sangue e
sigarette. E la sua donna. E la sua non vita non poteva
diventare meglio di così! Uno
degli uomini, che si era già collegato ai fili del telefono che univano
Panama City a Colon, fece un numero ed chiamò Herr Rohm: all’altro capo della
cornetta subito rispose l’insonne e trepidante Collman. “Li abbiamo presi
adesso. Tutto tranquillo.” “Hanno
fatto resistenza ?” “Assolutamente
no. La vampira è stata la più calma. Ci ha anche ringraziato perché abbiamo arredato il camion.” “E lei che non mi credeva: ieri sera era
stata molto chiara, le piacciono i comfort quando viaggia.” “Appena li
abbiamo imbarcati, telefono. Sieg Heil !” “Heil Hitler.” Il
camion partì, seguito dalla macchina, su cui salirono sei uomini, mentre
altri montarono su un’altra, nascosta tra i campi. Gli ultimi si accomodarono
sul carretto e con pazienza si avviarono anch’essi verso il porto di Colòn.
Quando il motore fu acceso, Drusilla, senza dire nulla, si stese, poggiando
la testa sulle gambe di Spike, chiuse gli occhi e si riaddormentò subito. “Dru…”
sussurrò lui, mentre il camion caracollava nella campagna. Ma
lei non gli rispose. Spike si grattò, soprappensiero. E poi chiuse gli occhi a sua volta. Se il suo naso diceva
il giusto, e se conosceva un minimo Dru…e la conosceva…le sorprese non
erano ancora finite. Note
e curiosità |
· Il termine Sion si applica in diversi contesti,
prevalentemente per nomi di luoghi. Sion (monte): il monte su cui è costruita
la città di Gerusalemme. Sion (Gerusalemme): forzatura geografica con cui
nella Bibbia si usa il nome del monte per indicare la città di Gerusalemme.
Sion (Repubblica Ceca): un castello vicino a Kutná Hora. Sion (Francia): un
comune nel dipartimento del Gers. Sion (India): un sobborgo di Mumbai. Sion
(Paesi Bassi): una città nel comune di Rijswijk, vicino La Haye. Sion
(Svizzera): città capitale del Canton Vallese. |
· Per maggiori nozioni sul nome di Dio nella cultura ebraica e in quella cristiana: http://it.wikipedia.org/wiki/Dio, http://it.wikipedia.org/wiki/Nomi_di_Dio_nell%27ebraismo e http://it.wikipedia.org/wiki/Tetragramma_biblico |
· Carl Phillip Gottlieb von Clausewitz (1780 - 1831) fu un
teorico militare prussiano. Maggiore Generale nell'esercito prussiano, è
famoso per avere scritto il trattato di strategia militare “Della guerra”
(Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832. Di umili origini, fece carriera
nell'esercito prussiano formando tutta la sua esperienza nelle guerre
napoleoniche, iniziando come soldato semplice. Sposò la contessa Marie von
Brühl, che diede alle stampe, postumo e incompleto, il suo celeberrimo trattato;
purtroppo Clausewitz morì prima di finire la stesura definitiva. La sua opera
parte dall’analisi delle campagne sia di Federico II che di Napoleone, dove
partecipò attivamente durante la guerra di liberazione Prussiana del 1813.
Con il suo trattato intese porre le basi teoriche e metodologiche per
affrontare i problemi complessi e profondi derivanti dal concetto di
strategia e di guerra. Nel testo sono considerati anche gli aspetti politici della guerra come strettamente correlati con essa. Celebre la sua frase: “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”. |
· L'ordine
dell'Aquila Bianca è la più alta decorazione polacca assegnata sia ai civili
che ai militari per i loro meriti. È stata istituita ufficialmente il 1
novembre 1705 da Augusto II, benché
probabilmente fosse creata da Ladislao I nel 1325, per le nozze del
figlio, il futuro Casimiro il Grande. Dopo la divisione della Polonia nel
1795, l'ordine fu abolito; fu rinnovato nel 1807 e divenne una delle più alte
decorazioni del Granducato di Varsavia e del regno della Polonia durante le
loro esistenze. Nel 1830, dopo una rivolta contro la Russia, l'ordine venne
modificato in modo da assomigliare di più alle decorazioni russe. Rimase così
fino alla rivoluzione russa nel 1917, quando la Polonia divenne
l'indipendente. L'ordine dell'Aquila Bianca si trasformò ufficialmente nella più alta decorazione della Polonia con atto del Parlamento il 4 febbraio 1921; l'insegna fu ridisegnata. Ne furono insigniti ventiquattro cittadini polacchi e ottantasette stranieri. Dopo il 1948, con la nascita della Repubblica Popolare della Polonia, l'ordine non è stato più assegnato, ma non venne mai abolito ufficialmente. A seguito del crollo di comunismo l'ordine ancora una volta è stato reintegrato il 26 ottobre 1992. Il presidente della Polonia è de jure il Gran Maestro dell'ordine. |
· Dopo
le guerre napoleoniche, una ricostituzione dello stato polacco, il Ducato di
Varsavia, governato dallo zar russo come Regno del Congresso, possedeva una
costituzione liberale. Tuttavia gli Zar ridussero presto le libertà della
Polonia, finché la Russia annesse di fatto il paese. Durante la Prima guerra
mondiale tutti gli alleati concordarono nella ricostituzione della Polonia. Poco dopo la capitolazione della Germania nel novembre
1918, la Polonia riguadagnò l'indipendenza come Seconda repubblica polacca.
Ad oriente però, la tensione crebbe nei confronti della Russia ora alle prese
con una guerra civile. Dopo qualche tentativo diplomatico, i polacchi ruppero
gli indugi, attaccando le truppe russe a Zitomir sulla strada per Kiev che
sarà presa il 6 Maggio. Lo scenario cambiò nel giro di un altro mese con la
controffensiva sovietica; a metà di questa gli inglesi si offrirono di
mediare le trattative, ma a questo punto fu la Russia Bolscevica a rifiutare
e voler continuare l'offensiva che la porterà fino alle porte di Varsavia.
Con l'aiuto francese, la Polonia cambiò le sorti della guerra ancora una
volta con una delle battaglie più decisive della storia, definita dai giornali
dell'epoca, "il miracolo della Vistola". Nel contrattacco che ne
seguì, la Polonia occupò buona parte della Bielorussia, il territorio di
Vilna, e la parte più occidentale dell'Ucraina. La Russia bolscevica, ancora alle prese con la propria guerra civile e con disordini interni, desistette dalla lotta, e col Trattato di Riga del 1921 riconobbe le conquiste polacche in Bielorussia e in Ucraina, fissando il confine russo-polacco circa 250 km. più a est della linea proposta da Lord Curzon. Il territorio di Vilna, rivendicato dalla Lituania con l'assenso dei russi, fu poi annesso alla Polonia nel 1922, tramite plebiscito. Tali confini restarono sostanzialmente invariati fino al settembre del 1939, tranne l'acquisizione di Cieszyn/Teschen a spese della Cecoslovacchia. |