La morte verrà all'improvviso,
avrà le tue labbra e i tuoi occhi,
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco.
Nell'ozio, nel sonno, in battaglia
verrà senza darti avvisaglia,
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno né il tamburo.

 

Fabrizio De Andrè

“La morte”

“Volume I”, 1967

 

12. La notte porta consiglio ?

 

 

 

Finita la cena, condita da lunghi silenzi, occhiate di sottecchi, domande a doppio senso e risposte stentate, i lieti convitati si trasferirono nel giardino per prendere il caffè coi liquori appropriati. Ai bordi del quadrato di erba tagliata perfettamente, rischiarato da discrete luminarie, quattro fontane zampillavano, i fiori animavano la vista coi loro colori e, dietro una doppia siepe di bosso inframmezzata da rose purpuree, il Canopo rifletteva sullo specchio d’acqua le sue lugubri statue.

Spike e Dru si adagiarono su un divano (in vimini, come tutto il mobilio lì) reso comodo da morbidi cuscini color panna, avendo cura di far sedere tra loro Danka. Ai lati, in due poltrone dall’ampio schienale, si sedettero Stroessner e Collman; davanti a loro su un altro divano avevano preso posto Madame R., Magnus e Frau Stroessner; i padroni di casa troneggiavano su altre due poltrone, quasi accostate.

“Nulla è eterno. Neppure le sue statue.” disse all’improvviso Drusilla, rivolta al Tedesco, mentre questi faceva cenno al cameriere perché mettesse ancora un po’ di zucchero nel caffè. “Ne farò delle altre.” le rispose lui secco, oramai francamente stufo di avere quella matta pericolosa tra i piedi.

“Tutto finirà, anche noi. Non c’è nulla di millenario. Neppure le stelle. O forse sì. Bisogna contare quante punte hanno.” ribatté la vampira continuando a fissare un punto lontano che si perdeva nell’orizzonte e nella notte.

Chi sapeva - o credeva di sapere - cosa ci fosse dietro quella conversazione stava attento a non perdersi una sola sillaba. “Di eterno c’è solo la burocrazia. Di questo passo anche Dio dovrà fare carte bollate per dare il via all’Apocalisse.” brontolò Magnus, attirandosi gli sguardi di tutti.

Il vampiro scandinavo posò la tazzina e si scusò: per via di una fastidiosa quarantena, c’era una nave svedese alla ferma nel porto e lui non poteva ricevere un pacco che gli era stato spedito. E questo lo innervosiva parecchio.

Grazie all’uscita estemporanea, il discorso ruotò verso meno impegnativi temi, quali i sempiterni problemi con i bagagli di chi viaggia, le dogane ed i mezzi di spostamento. Renée stava per magnificare i dirigibili quando, di nuovo, Drusilla parlò.

“Noi viaggeremo domani. Non sarà comodo.” disse, rivolta chiaramente al Tedesco. Gli occhi di tutti si puntarono su Collman, che assicurò aver prenotato un’ottima cabina in un magnifico piroscafo, in prima classe e con tutti i comfort più moderni.

“Lo sapete … la nave sarà bella … ma le strade sono così scomode … ci sono le buche e le pecore … le pecore muoiono, neppure loro sono eterne … come le aquile … bisogna sempre scegliersi dei buoni compagni di viaggio.”

Si girò verso Spike, gli prese la mano e sorridendo aggiunse che loro, l’indomani, ne avrebbero avuto di ottimi e che per questo dovevano ringraziare i loro gentili ospiti e mister Collman.

Quest’ultimo e il Tedesco si sorrisero, garbatamente, non vedendo l’ora di portare a termine l’inganno l’uno nei confronti dell’altro e pensando la stessa identica cosa: che quella cagna sapeva cosa sarebbe successo, e si stava divertendo un mondo.

Renée comprese che era il momento di sviare la conversazione verso lidi meno tempestosi: oramai sapeva perfettamente perché Collman, per conto dei nazisti e di Ford, aveva organizzato tutto questo. Finita la cena ne avrebbe parlato al suo Karl.

“Ha perfettamente ragione. Ecco perché vi vorrei invitare ad un piccolo viaggio all’interno della MeilenHaus, prima che voi partiate. Non avete ancora visitato le Catacombe, come vengono comunemente chiamate.”

“Avete una riproduzione di un cimitero sotterraneo, magari completo di cadaveri di santi?”, chiese divertito Spike.

Prima che chiunque potesse rispondere, Drusilla intervenne, del tutto a sproposito (almeno così parve a tutti gli astanti) bofonchiando di quella vecchia città - Roma ? -  dove nei sotterranei tengono i morti, e dove lei e suo marito avevano antiche … mmmm … deliziose conoscenze. Ah … piacevoli conoscenze.  Conoscenze che … procuravano piacere, aveva sottolineato. Spike aveva a sua volta aggiunto che “la smettesse di dire sciocchezze” e che  - lui - di certa gentaglia … l’Immortale, cough cough, … non conservava per niente un bel ricordo.

Il Tedesco ebbe l’impressione che quest’altro delirio non riguardasse né lui, né le isole di San Blas, né la Germania o la Loggia Thule, quindi non vi diede minimamente peso. Non conosceva nessun Immortale e, francamente, non ci teneva affatto. Specie se quel tipo aveva l’attitudine a provocare piacere a vampire pazze. Metti mai che Renée …

“Con tale termine - Catacombe - viene intesa solitamente tutta la zona della MeilenHaus che Herr Magnus dirige in modo pressoché perfetto.” disse, accennando al vampiro in questione con un misurato gesto della mano.

“Vampiri e vampire che si prostituiscono per la gloria … mah …” fu la sintetica ma efficace risposta di Spike, che accompagnata da quel tono di voce valeva più di un trattato in dodici volumi.

Quell’inglese voleva diventare polvere molto in fretta, pensò Madame R. sconcertata per la sufficienza che Herr Nagel manifestava così a sproposito. Danka si limitò a riflettere, con molto rimpianto, di non averlo conosciuto prima: per uno così avrebbe pagato lei.

“Sono sicuro che rimarrà pienamente soddisfatto.” Renée troncò subito un’ipotetica e spiacevole discussione. Dru si alzò e con gesto leggiadro porse la mano a Spike, che si alzò, all’unisono con Magnus e gli altri convitati. Eccetto il Señor e la Señora, che espressero la loro compiacenza per quell’allontanamento con un sorriso tirato e un cenno del capo.

Ambedue, all’insaputa l’uno dell’altro, meditarono che dovevano il prima possibile allontanare quei due da un futuro peggiore della morte. Il che, parlando di un vampiro, era dire qualcosa. Di diverse c’erano solo le motivazioni: Renée provava genuina simpatia per quella coppia di svitati, anarchici, e pittoreschi innamorati. Karl doveva correggere un proprio errore che gli sarebbe potuto costare troppo.

 

 

Wilkinson, tutto nudo, sorridente e di buon umore, cercò il morbido pigiama di lino con cui dormiva abitualmente. Lo indossò e si mise a letto, accesa la luce del comodino, prendendo “Democrazia in America”: se voleva fare carriera doveva continuare a rileggere i classici.

Ma quella sera la sua mente vagava verso altri lidi: Mister Stroessner era stato un vero gentiluomo e, per lui, era stata un’epifania conoscere un così garbato personaggio. Era proprio vero, chi aveva classe la sapeva impiegare anche nelle occasioni più impensabili.

Avevano preso un caffè assieme, poi  il tedesco lo aveva condotto in giro per la MeilenHaus, facendogli ammirare i giardini con statue e fontane, lo sfarzo di alcuni ambienti comuni dai pavimenti marmorei, il rigore che ispiravano i soldati schierati negli angoli e presso le porte.

Camminando camminando erano sbucati in una sala rettangolare, voltata ad arco. Uno dei lati lunghi era adornato di specchi e lucidi stucchi, in cui si riflettevano la verdeggiante corte interna visibile oltre le colonne che scandivano quello prospiciente.

Questa stanza era popolata da divanetti e poltroncine, felci verdeggianti in grossi vasi e ragazzine in leggere vestaglie, tavolinetti coperti da bianche tovaglie a punto croce e intricate lampade liberty che pendevano dai muri, morbidi tappeti ed efebici fanciulli che riposavano discinti nella calura del tramonto.

Wilkinson sentiva in lontananza la voce di Stroessner che parlava e parlava, e intanto lo seguiva passeggiando in quel paradiso, raccogliendo le occhiate annoiate della fauna languida che giocava a carte, chiacchierava oppure semplicemente riposava.

Seguì il suo Virgilio oltre le colonne che scandivano un lato della sala e si ritrovò dentro una verdeggiante serra; solo al secondo sguardo capì di cosa si trattava. Su quattro lati girava, per due piani, un portico che dava ombra a tante e tante porte (e Wilkinson immaginò subito quali prelibatezze vi fossero dietro…) : per renderlo più riparato, quel chiostro era stato chiuso da una struttura in ghisa e vetro, che lo faceva così assomigliare ad una serra, o alle coperture di certe monumentali stazioni.

Alla fontana centrale una ragazza stava lavando qualcosa, in ginocchio, ed oramai le chiacchiere di Stroessner erano finite: questi portò l’ospite ancora un po’ in giro, come avrebbe fatto con un bambino in un negozio di dolciumi, ed impercettibilmente lo fece arrivare davanti al lungo bancone che occupava il fondo della sala da cui erano entrati.

Wilkinson fece un impeccabile baciamano alla donna dalle profonde occhiaie e tutta vestita nero che si trovò davanti, la quale gli rivolse un sorriso contegnoso e allo stesso tempo laido: sapeva benissimo chi si trovava davanti, quel tipo d’uomo era sempre lo stesso.

Da dietro le spalle dell’americano Stroessner fece un paio di smorfie e veloci gesti con la mano: bene, pensò la donna, è arrivato il pollo. Le ragazzine, dentro, cinguettavano dispettose.

Wilkinson la sfiorò appena con lo sguardo: lei era il tipo di donna che riusciva profondamente sgradevole, ed a molto contribuiva la sua apparenza molle, non realmente obesa ma nemmeno tonica, e quel luccichio fanatico delle pupille scialbe, profondamente infossate, nonché il colorito malsano della pelle.

Non sorrideva affatto ma Wilkinson, per dirne, una non ci teneva affatto a vederla sorridere. Risultava perfetta come guardiana di quel mondo decadente e olezzante di disfacimento della virtù e piaceri di poco prezzo.

No, decisamente quella sera non avrebbe avuto abbastanza concentrazione per il libro: aveva ben altre cose, ben più gradite, su cui meditare. Si addormentò col sorriso sulle labbra, stringendo il cuscino. Dormendo un sonno pieno di sogni, probabilmente, senza percepire nelle narici l’odore di morte e putrefazione con cui la MeilenHaus lo aveva avviluppato.

 

 

De Marina finì di recitare le sue preghiere, si segnò e si accinse ad andare a dormire, vagamente meno preoccupato (se le persone con quel temperamento lo possono mai essere, nella vita, ovvero, se esista un meno o un più per la loro preoccupazione…). In piena emergenza morale, era andato alla Messa vespertina per poter confessarsi da padre Nicanor, levarsi quel peso dalla coscienza e chiedere lumi su come comportarsi.

Il prete conosceva tutti i suoi parrocchiani e, teoricamente, non aveva di che lamentarsi: quello era un borgo piccolo, popolato da contadini, alcuni operai, gente povera ed umile, ed i loro peccati erano commisurati alla loro vita. Robetta, insomma.

Cercava di indurli a moderarsi nel bere, cosa che avrebbe rovinato la  loro salute e li avrebbe  magari spinti ad essere violenti con la famiglia, chiudeva un occhio su qualche scappatella, ben sapendo come per Santa Romana Chiesa i peccati dettati dagli istinti fossero i meno gravi, e faceva gratuitamente scuola ai ragazzi, compatibilmente con il lavoro che prestavano nei campi od altrove.

Ma alla Messa domenicale, oltre ai tanti peones, c’erano anche personaggi di ben altra levatura. Altera, compunta e cocciuta c’era Madame R., ad esempio: era da anni che Padre Nicanor si rifiutava di darle l’assoluzione, poiché continuava a non mostrarsi assolutamente pentita di quello che faceva per vivere.

Santa Romana Chiesa non nega a nessuno il perdono, ma bisogna dimostrarsi pentiti e desiderosi di non ripetere più gli stessi errori: invece quella donna persisteva nel pretendere di avere ragione.

“Io insegno a queste donne come essere ricche, libere e potenti. Certo, forse non è un metodo approvabile da lei, ma tenga bene a mente qual è il risultato. Non ci sarà mai una donna sufficientemente libera per il suo tempo. E che abbia ben chiaro che la libertà, come ogni bene e più di ogni altro, comporta un prezzo ben preciso. Un prezzo che bisogna essere pronte a pagare”.

“Madame, si ricordi bene che da un peccato non può mai nascere un bene. Mediti, e poi ne riparleremo.” Erano passati anni da questa conversazione e la donna, evidentemente, pretendeva ancora di avere ragione.

Di tutt’altra pasta era, invece, un altro suo parrocchiano, Don Francisco J. De Marina, il quale, per quanto paresse incredibile, secondo Padre Nicanor poteva anche aspirare, se non proprio al Paradiso, ad una non troppo lunga permanenza in Purgatorio.

So bene che gestire la contabilità di un bordello è peccato, come lavorare per un vampiro, e che l’unire queste due cose crea un’orrida offesa a Dio, gli disse alla sua prima confessione, anni prima. Ma, Padre, peggio di fare per vent’anni la vita c’è solo una cosa: svegliarsi un giorno e scoprire di essere un’ex prostituta senza il becco di un quattrino, socialmente ai margini e con una famiglia da mantenere. Se io non lavorassi per il Tedesco, lo farebbe qualcun altro, lo so: ma io lì mi impegno con tutta l’onestà possibile ad amministrare perfettamente i risparmi di queste donne, il frutto di anni ed anni di amplessi.

Se un giorno non dovranno vendere o affittare le figlie, come a loro capitò, ma avranno un minuscolo gruzzolo per tirare avanti degnamente e vivere cristianamente, un poco sarà anche merito mio. Al momento del Giudizio, se mi si chiederà conto delle mie buone azioni, dirò che mi sono impegnato perché almeno una madre non dovesse più mandare la propria figlia alla MeilenHaus.

Lavorare nell’antro del demonio, nella pancia della Bestia, lottando silenziosamente contro di essa: Padre Nicanor sapeva bene che non basta la Fede per salvarsi, non basta pregare tutto il giorno o pensare di essere degni della Grazia solo perché si crede.

Bisogna anche agire, impegnarsi, soffrire, andare là dove il peccato si annida e rimboccarsi le maniche: non sta forse scritto ‘Ecce ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae.· ?

Madame R. si impegnava perché quelle donne vincessero, in questa vita, anche se ciò le faceva morire dentro, giorno dopo giorno, pur con l’intima convinzione che, se ci fosse stata vera vocazione, nessun esito professionale avrebbe dato loro migliore soddisfazione. De Marina, perché ne potessero iniziare, un giorno, una migliore.

Dopo la Messa, l’uomo aveva messo a conoscenza Padre Nicanor di quello che sapeva, che era poco e confuso: lui, debole pentola di coccio, si trovava stretto fra grossi e demoniaci vasi di bronzo.

“Vediamo di capirci, Francisco: una vampira pazza che prevede il futuro ti ha detto che un sole farà del male alla croce, ma è ancora presto e se vuoi impedirlo non devi parlare e fare quello che avevi in mente. La stessa che ha spaventato il Tedesco, dicendogli che i vampiri si bruciano le mani se maneggiano le croci e che un’aquila farà una brutta fine. Esatto?”

De Marina annuì. “E tu volevi avvisare il Monsignor il Vescovo, perché il compagno di questa vampira ha già fatto fuori quel Pastore giù in città, giusto ?”

Il penitente annuì ancora.

“Io non ci ho capito nulla della tua storia, e credo neppure tu, ma ti posso assicurare che Monsignore il Vescovo è decisamente fuori pericolo: è partito domenica per un giro nelle parrocchie del nord, e non tornerà se non tra una settimana. Per il resto … io credo tu non possa fare niente, poiché non sai cosa hai in mano e cosa significa tutto quello che hai sentito; e poiché sei evidentemente finito in una storia molto più grande di te.

Quella vampira spaventa il Tedesco e il suo compagno ha voglia di andarsene di qui: fai come dice lei, che se ne vadano il prima possibile. Se fa quell’effetto al quel demonio del tuo capo … è veramente pericolosa, e sarà meglio per tutti che si imbarchino il prima possibile per altri lidi. Io andrò in vescovado, chè facciano sapere alla Curia veneziana che si stanno dirigendo lì. Di più non possiamo fare.”

De Marina lo fissò, aspettando che dicesse qualcosa. Qualcosa che … no, cielo, non pretendeva che spegnesse i suoi timori¸ ma almeno che … non sapeva … che facesse … qualcosa.  La Chiesa ha sempre la risposta giusta, no, nei confronti della lotta al male?

Evidentemente Padre Nicanor era assorto nei medesimi pensieri.

“Figliolo, lo so che non ti sto dando un granché di conforto. Ma vorrei saperne qualcosa di più, prima di decidere. Sono tempi inquieti, questi, strani segni solcano il cielo … non pensi che ci sia comunque un disegno divino? Qualcuno, ne sono certo, tiene d’occhio questi eventi, non è mai successo e mai succederà che la pura ingordigia e smania di potere dell’uomo prevalga sulle sorti divine. Io e te non siamo che piccole pedine. Osserveremo … vigileremo … e riferiremo.

San Benedetto sintetizzava la sua regola monastica nell’ora et labora, ricordandoci che all’attività materiale si deve affiancare quella spirituale. Tu hai agito, Francisco, ora devi dimostrare di avere Fede. Non sta forse scritto nel salmo: ‘Qui habitat in protectione Altissimi, sub umbra Omnipotentis commorabitur dicet Domino: Refugium meum et fortitudo mea, Deus meus, sperabo in eum.’ e poi ‘Non timebis a timore nocturno, a sagitta volante in die, a peste perambulante in tenebris, ab exterminio vastante in meridie. Cadent a latere tuo mille et decem milia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.’· Ora non possiamo fare altro.”

Mentre De Marina stava uscendo, Padre Nicanor lo richiamò. “E questa notte prega Nostra Signora delle Americhe perché il male e la morte che essi incarnano faccia meno danni possibili.”

“Amen.” aggiunse scrupoloso l’uomo, segnandosi.

 

 

Madame R. era andata a dormire non certo di buon umore, ancora intimamente infastidita per lo smacco professionale subito. Ne aveva già messo al corrente il Señor, che aveva grugnito all’apprendere la notizia. “Che cosa orribile e maleducata pretendere di essere diversi, migliori degli altri. Soprattutto quando non è vero.” commentò con blanda filosofia. “Comunque quella puttanella ha carattere: dirò a Stroessner di tenerla lo stesso d’occhio.” Lei lo guardò ammirata: le piacevano gli uomini che non mollavano la presa. Ed il Tedesco rientrava a pieno titolo tra questi.

Nonostante il nervoso che quella stupida le aveva fatto venire, provò per lei qualcosa simile ad un moto di simpatia: sperò solo che capisse presto come girava questo mondo. Un po’ le sarebbe spiaciuto vedere morire (cosa che sarebbe successa molto presto, lo sapeva, se Marthe non avesse messo giudizio) un così promettente talento.

 

 

Stroessner aveva mal di testa; ed era inquieto, non solo per l’orrido spettacolo cui aveva dovuto assistere. Già Collman gli dava sui nervi normalmente, figurarsi cenare addirittura con lui ! E con la sua puttanella che flirtava in modo osceno con Nagel ! Che orrore, la civiltà era alla fine se non si riusciva neppure a rispettare la minima convenzione sociale.

E poi quel coglione razzista si scagliava contro le donne ariane che la davano agli ebrei, senza neppure accorgersi di cosa gli passava sotto il naso ! Sua moglie, intanto, finendo la toeletta serale, continuava a ciarlare alternativamente dell’oscenità di Danka, dello sguardo di Herr Nagel e delle storie strampalate di Frau Nagel.

“Ma non mi avevi detto che era così pazza.” finì di appendersi la camicia e le rispose.

“Ti ho detto che è completamente matta … cosa ti aspettavi ?”

“Ma non c’entra, a sentire te anche De Marina è matto !” replicò lei, mettendosi una crema da notte in volto.

“Dimmi che è normale ! Tu non lo hai mai visto quando trema e balbetta.”

“Almeno non dice cosa senza senso con gli occhi fissi al vuoto ! Non stento a credere che il suo uomo si dedichi in modo sfacciato alle altre.”

Frau Stroessner scosse la testa, dicendolo, ed avviandosi a letto.

“Ma sono due vampiri ! Lo sai che non hanno morale. E in ogni caso lei non diceva cose senza senso.” rispose lui, caricando la sveglia.

“Ah no ? Cava gli occhi ad una bambola perché è quasi la sua bambina, straparla di sole ed aquile, del viaggio di domani e delle stelle con tante punte … e ad ogni parola che diceva, tu, il Señor e quel buzzurro di Collman vi guardavate sempre più stravolti. Almeno avete capito cosa volesse dire ?”

Stroessner era tutto fuorché un sognatore, un utopista, un uomo da romanzo: con la stirpe che aveva dato al mondo i fratelli Grimm· e le loro favole, Murnau e ‘Nosferatu’·, Lang e la città futura di ‘Metropolis’·, lui non aveva nulla a che fare. Nella sua genealogia si sarebbero potuto trovare le formule industriali dei Krupp·, la caparbietà di Bismarck·, i conti al centesimo dei Fugger·.

Ecco perché non si fidava di Collman, ma ancora meno di quella vampira pazza, che solo qualche ora prima aveva avuto la disgrazia di incontrare. Frau Nagel portava guai, e li annunciava in una lingua dannata che lui non riusciva minimamente a comprendere, e queste erano pecche che non si poteva minimamente permettere. Il Tedesco non avrebbe apprezzato affatto.

Era sicuro che durante la cena fosse accaduto qualcosa, ma non riusciva minimamente a capire cosa: la vampira matta straparlava ma sembrava fin troppo conscia di quello che stava dicendo, la Señora si era gustata con troppa gioia quegli sproloqui e Collman aveva avuto l’aria di essere nervoso e per nulla a suo agio.

Era tutto decisamente troppo e il Señor … beh, lui era come al solito imperscrutabile.

L’indomani gli avrebbe parlato per esternargli i suoi dubbi. Sarebbe stato francamente indecente se il prezzo per non avere colto qualcosa nella conversazione di poco prima fosse stata una morte orrida e dolorosa. Già temeva che la Nera Signora, peraltro abituale ospite della MeilenHaus, si sarebbe affilata la falce con il suo collo.

 

 

Magnus aprì una porta e  Spike e Dru lo seguirono oltre la soglia. Si trovarono in un lungo corridoio: il pavimento era lucido marmo, diviso in rombi e quadrati alternativamente bianchi e neri, anticipando di quarant’anni l’Optycal Style della swinging London dei Beatles.

I muri erano scanditi ritmicamente da sottili pilastrini lievemente sporgenti, modellati come colonne ioniche, con tanto di base, fusto scanalato ed aggraziato capitello con volute: l’architetto le aveva chiamate paraste. Tra ognuna di queste c’era un grande specchio che raggiungeva l’imposta della volta; lampadari pendevano, a distanza regolare l’uno dall’altro, dalla sommità.

In quest’orgia di bianco, l’unico altro colore - escluso il nero di una parte del pavimento - era l’oro: una sottile cornice dorata correva lungo i bordi degli specchi, nei capitelli delle paraste e formava una rete di quadrati ed ottagoni nella volta che li sovrastava, e che, per così dire, si rispecchiavano nel disegno del pavimento.

A Spike quel posto non piaceva: troppo asettico, troppo suntuoso, e poi, in quel lungo corridoio fitto di specchi, gli sembrava di non esistere. Loro camminavano e nessuna immagine si rifletteva, come se fossero fantasmi. Invece a Dru, evidentemente, piaceva.

Si fermò davanti ad uno di loro e, come se realmente vi si vedesse, inizio a sistemarsi i capelli, a controllarsi il vestito, a lasciare stupito Magnus, che non si aspettava tanta stranezza dall’ospite pazza del Señor. Ma poi comprese: aveva sentito dire che aveva la vista … evidentemente riusciva a vedersi negli specchi, unica della sua razza, oppure…

“Dru, amore … tutto bene ?” domandò Spike.

“Non vedi ?” gli chiese lei appena attenta alle sue parole, ben più concentrata a guardare il proprio volto, che non si rifletteva nello specchio.

“Cosa ?”

Lei si girò, e quello sguardo mise i brividi a Magnus, che pure si era fatto i suoi anni sulle navi di Sua Maestà Svedese, vedendone di cotte e di crude, e successivamente, da prima che il secolo XIX finisse, aveva lavorato per il Tedesco, con sempre maggiori responsabilità. E nella MeilenHaus più erano gli onori, più gli oneri ed i rischi

“Ci ricorderemo a lungo di questi giorni … ce ne ricorderemo quando pioverà fuoco e bruceranno gli uomini e le donne, quando anche noi avremo paura e la morte intorno a noi sarà viscida e spessa e densa come melassa. Scivoleremo via … davanti al sangue tra le case che crollano e sotto al mare dentro l’acciaio. Anche quando tutto sarà finito … tutta quella morte marchierà i giorni che verranno, nessuno se la staccherà di dosso … per anni ed anni … sarà come un mantello vischioso e pesante. I fantasmi non dimenticheranno … neppure gli uomini. E anche noi non scorderemo che questo sta nascendo, adesso … anche qui.”

Si allontanò dallo specchio e fece una carezza al suo Re di Coppe. “E tu non sai nulla … non vedi nulla … sei un vampiro fortunato, Spike. Adesso andiamo, non facciamo attendere.” Senza aspettare nessuno dei due, riprese a camminare lungo il corridoio.

Alla fine di essoo, passata una porta, si trovarono in un ampio vestibolo di forma ellittica, coperto da una cupola, dalla cui sommità, tramite un oculo, filtrava un’esile luce lunare. Anche i muri di questo ambiente erano scanditi da paraste, ma tra esse non c’erano specchi, bensì nicchie sovrastate da contorte lampade bronzee.

Il pavimento, in pietre dure e marmi, semplicemente, rappresentava il mondo: lucidi superfici nere erano i continenti, blu profondo erano gli oceani, ed il tutto stava racchiuso e circondato da una sottile linea dorata, ellittica, limite di quella raffigurazione del globo.

Magnus si fermò sulla soglia, dietro Spike e Dru: davanti a loro una porta, dal profilo classico, sormontata da un timpano triangolare, a destra e a sinistra tre nicchie, ognuna occupata da una statua. Se altri ambienti della MeilenHaus erano stati realizzati ispirandosi all’eclettismo di fine secolo, al decadente neo-romano oppure all’algido neoclassicismo, quell’ingresso era stato pensato, disegnato e costruito sotto l’egida del concettismo barocco.

Da un lato, nelle nicchie, c’erano due veneri d’impronta classica, pudiche e virginali; tra loro un bronzeo scheletro, impaludato in un lungo manto, che con l’ossea mano reggeva una clessidra, sporta verso il visitatore, mentre con l’altra sembrava impedire alle vesti di svolazzare. Dirimpetto, una dolce venere lievemente chinata su sé stessa si trovava tra due scheletri, similari al primo nel materiale e nella realizzazione. Uno recava nella propria mano un cuore ed aveva ai piedi qualcosa che si poteva immaginare essere la propria pelle; l’altro reggeva una chiave, e teneva il piede sinistro su un mucchio di monete.

La luce delle lampadine, filtrata dai vetri giallastri delle appliques, rendevano questo memento mori solenne ed inquietante: oltre la porta, oltre quell’anonima porta classicheggiante, si sviluppava la zona più segreta, sotterranea e privata della MeilenHaus: che il visitatore che vi voleva accedere fosse ben conscio di dove si stava recando.

Eros e Tanatos si davano lì appuntamento.

In mezzo a questa sorta di danza macabra, compiaciuto, Magnus s’attese almeno un commento dei visitatori.

“Tremendamente noioso” disse Spike, sbadigliando. “Il genere di decor da bordello di terz’ultima categoria che piacerebbe ad Angelus.”

“Non scherzare” replicò Dru, avanzando “Sarebbe troppo retrò anche per lui”

“Dici? Al grosso buffone con le zanne piacciono queste messe in scena ... la fine del mondo, la morte, la decadenza…quando alla fine è così bello scopare e ammazzare, senza troppi giri di fantasia. E andare poi alle corse dei cani…”

“Tu manchi di finezza, Spike, nonnina te lo diceva sempre”

“Nonnina bestemmiava come dieci carrettieri, quando era dell’umore per farlo, e…”

“Ehm, signori…”Magnus indicò loro la grande stanza.

C’era un silenzio spettrale.

E non perché la stanza fosse deserta.

Lungo i bordi delle pareti c’erano delle agrippine stile Bonaparte piuttosto scomode, all’apparenza, su cui alcune esangui vampire eseguivano posizioni artisticamente apprezzabili ma eroticamente improbabili con alcuni umani corpulenti, che avevano l’aria di poter servire loro da riserva di cibo per i prossimi dieci anni.

Non c’è niente di più grottesco del sesso privo di un pizzico di ironia, pensò Dru. Questo non è scopare, ma solo prendere freddo alle parti basse, rifletté Spike.

Sarebbe stato anche esteticamente apprezzabile, se non così…privo di vita, sorrise il vampiro tra sé e sé. Due fazenderos in abiti bianchi e panama spinsero innanzi un ragazzo con una giacca alla coreana e bottoni tipica dei latifondisti messicani, e capelli corti e lucidi e neri. Non poteva avere più di un sedici, diciassette anni al massimo. Ed aveva lucenti occhi azzurri, che smentivano gli zigomi indi. Un bel miscuglio, pensò Spike, sicuramente qualche suo ricco avo si era rotolato nell’erba con qualche servetta dal sangue atzeco nelle vene.

“Eccoci, Manuelito” disse uno dei suoi compari, suo zio da parte di madre. “E’ tempo che tu sia introdotto ai piaceri della carne”

Spike aggrottò un sopracciglio. Quali piaceri? Il suo, quando se lo sarebbe bevuto, dopo averlo deflorato a secco? “No no” sussurrò Dru, leggendogli nel cervello. “Non credo proprio che pensino a questo, sai? Forse si aspettano che siamo noi a rendergli il servizio di …educarlo”

Intanto intorno a loro vampire e vampiri continuavo le loro estetizzanti acrobazie.

“Vabbé” intervenne Spike, già annoiato a morte. Allungò una mano e prese nella sua quella fredda di Manuelito. Il ragazzo lo guardò con occhi grandi e rotondi come monete, sbattendo le lunghe ciglia da donna.

Oooh, dettaglio interessante, pensò il vampiro. Se lo portò dietro alla ricerca di un … letto? Un posticino comodo? Possibile che in quel diavolo di posto non ci fossero altro che scomode agrippine ed improbabili divanetti a due posti?

Cazzo, era troppo chiedere un umile materasso?!

Un qualche meccanismo segreto si attivò e, dal centro del pavimento della grande, lugubre sala, simile ad una cripta sovrarredata, comparve una specie di catafalco. Si, poteva sembrare un letto. Pretenzioso, se vogliamo, ma funzionale.

Dru vi si buttò sopra entusiasta, con un plop.

Spike sospirò.

Prevedeva una lunga, stancante notte.

“Spogliati, Manuelito” lo invitò. “Che si fa giorno.”

Intorno a loro i lugubri amplessi continuavano. Mettevano i brividi pure a lui, creatura delle tenebre, etc. etc., ed era tutto dire. Una noia mortale.

Dru ubbidì, facendogli vedere come si faceva. Non era difficile, un bottone dietro l’altro, un’asola dietro l’altra. Ma Spike la fermò. Le sue donne le spogliava lui … o piuttosto non le spogliava affatto. C’era molto da dire circa l’efficacia del sesso fatto vestiti.

Le abbassò le spalline dell’abito, e le tirò giù il corsetto. “Vedi” indicò al ragazzo. “Se le succhi i capezzoli, non dimenticare di passare la punta della lingua sulla punta. Puoi sentire la dolcezza della sua essenza, del suo profumo. Prova.”

Manuelito ebbe un lungo brivido … ed eseguì. Dru lo guardò composta e compiaciuta.

“Veramente sa di sangue, señor.” replicò il ragazzo.

“Si … d’accordo” convenne Spike. “Ma le donne vere sanno di latte e miele.”

“Ehy !” si offese Dru. “Io sono una donna vera …”

“Ma certo tesoro.”

“Ma certo, Señora.” replicò Manuel, che già conosceva le strade della galanteria. Ma restò della sua opinione. Lei era fredda, liscia al tatto … e sapeva di sangue. Aveva un lieve sentore metallico che gli ricordava quella volta che era caduto da cavallo e si era riempito la bocca del suo stesso sangue.

Spike andò oltre. Tirò giù il vestito di Dru con uno strattone, e poi tolse con un unico gesto calze e mutandoni. Lei restò seminuda, con i resti del suo corsetto, mentre Manuel le succhiava i seni, e Spike le si insinuava tra le gambe.

“Non perdere tempo.” suggerì al suo giovane amico. “Infilati dentro. Alla fine è tutto ciò che conta. Tutto ciò che loro vogliono.

Manuel lo fissò con i suoi lucenti occhi azzurri, mentre Spike, da dietro, penetrava Dru coprendole a coppa i seni tra le mani. Dru si inarcò lievemente all’indietro e il suo viso si soffuse di calore. Un calore appena appena preso in prestito dal giovane inserviente che si era bevuta dopo cena, in uno dei corridoi della Meilenhaus. Ma poteva andare, pensò Spike, era sufficientemente realistico.

“Adorano questa posizione.” gli disse Spike, muovendosi piano dentro di lei, ancora completamente vestito. “Non ti ispira?”

“Si, señor.” commentò Manuelito, compiacente.

“Beh, allora che diavolo aspetti ?! Baciala !”

Manuelito si protese per ubbidire, ma Dru sbadigliò, coprendosi educatamente la bocca con la mano. Spike sollevò gli occhi al cielo e le si mise sopra. “Montala a pelo, come una cavalla …” suggerì al ragazzo, mentre si muoveva velocemente e con forza su di lei.

Ogni tanto gli piaceva dare una bella accelerata: gli dava l’illusione di poter ritardare l’orgasmo, e a lei  la sgroppata piaceva. A tutte le donne piaceva. Con un’abile manovra, Spike si posò su di lei, anziché tra di lei. Questo gli consentì di affondare più intensamente, e Dru gemette.

“Altra variante.” illustrò, didascalico a Manuel, mentre la penetrava anche così. Tenendola stretta per i fianchi, se la mise sopra. Dru si stirò come una ninfa, tirandosi su di lui in posizione perpendicolare…e poi sdraiandosi nuovamente sopra di lui. “Per me è più comodo” suggerì a Manuelito, con un luccichio negli occhi.

“Ma per me è meglio quando stai su.” la rimproverò Spike. “Facciamo un po’ a turno. Così siamo contenti tutti e due.”

Manuelito rimase immobile, le mani in grembo. Quei due erano divertenti da guardare, ma il tutto gli sembrava così scomodo … la sua pigra indole latina aspirava ad amplessi meno energetici ma più concreti.

Il suo sguardo vagò per il resto della sala, mentre Spike tirò su Dru dal letto con la sola forza delle braccia e la ributtò di schiena sul letto.

Il vampiro le prese le gambe, le stese e se le posò sul petto, i piedi sotto il collo.

E quindi, aderendo a lei, in ginocchio, la penetrò così. Lei spalancò gli occhioni viola.

“Fa un po’ male ma è divertente.” sussurrò a Manuel. “Vuoi provare ?”

“Magari, señora.” auspicò l’educato giovane latifondista.

Ma i due avevano già cambiato posizione. Le gambe di lei avevano trovato appoggio, con gli incavi delle ginocchia, sulle spalle di lui, e Spike si chinò su di lei, penetrandola così.

“Ma … non si fermano mai?” chiese Manuelito ai suoi compari.

“Figliolo, temo che questa non sia stata una buona idea.” commentò il più anziano dei suoi zii. “Se poi fai così sul serio, le niñe si mettono idee strane in testa. E ti toccherà lavorare come un matto per soddisfarle, inventandoti chissà che ogni volta. Figliolo, torniamo su. Sono cose da vampiri.

Manuelito fece un piccolo inchino e si congedò.

Dru scoppiò a ridere, di pancia, mentre, carponi, le gambe piegate sotto di sé, si faceva penetrare da Spike.

“Umani.” sussurrò. “Tremendamente pigri.

Spike non poté che assentire, mentre la penetrava, tanto per cambiare, analmente.

Non c’era che dire.

A tutta ‘sta gente mancava solo una cosa. Un briciolo di immaginazione.

 

 

Renée finì la sua toilette serale: un lungo bagno, dopo quella sera, era la cosa che più le serviva per riposarsi, rilassarsi e mettere a fuoco la situazione. Doveva parlare con Karl, e farlo il prima possibile ! Finita la cena le aveva detto che doveva controllare qualcosa, e non era ancora rientrato in camera.

Uscita dalla stanza da bagno indossò solo un leggero kimono di seta e iniziò a girare tutto il loro appartamento, ben sapendo come il compagno smaltiva le proprie inquietudini: camminando incessantemente come un’anima in pena. O come l’Ebreo Errante, pensò, e le venne quasi da ridere per questo riferimento giudeo che Collman certo non avrebbe gradito.

In quel pomeriggio, rinchiusa nell’Archivio Segreto, era finalmente giunta a studiare l’incartamento sulla Loggia Thule, che iniziava così:

 

“Il nome di Thule designa fin dall’antichità classica le terre dell’ “Oceano settentrionale” ritenendo che la più lontana - detta appunto “Ultima Thule” da Virgilio nelle “Georgiche” - fosse identificabile con l’Islanda.

Il primo a riferirne fu Pitea di Massalia, un navigatore del IV secolo a.C. nella sua opera ‘Dell’Oceano’: subito il nome andò a simboleggiare il ‘limes nordico’ per eccellenza e comunque una ‘finis terrae’. L’etimologia potrebbe provenire o dal mitico re del Paese Thulus oppure –secondo i greci- potrebbe provenire da Tholos (foschia, nebbia) o Tele (lontano). Un’interpretazione del termine celtico Thual richiamerebbe il ‘nord’.

Plinio il Vecchio dice che Thule è “la terra più lontana e che essa non ha notti durante il solstizio d’estate, mentre le tenebre vi perdurano durante tutto l’inverno”. L’esoterismo individua invece nella ‘Thule Iperborea’ il ‘Polo della Luce’ e la mitica sede del ‘Re del Mondo’ difesa da una ‘cavalleria mistica’.

Il mito nordico ha tra i popoli Indoeuropei una valenza particolare, poiché indica l’antica sede originaria, la ‘patria perduta’. Troviamo presso gli Iranici, nell’Avesta (il più importante e antico testo religioso persiano) il riferimento alla nordica terra nativa, nella quale l’anno si componeva di dieci mesi di sole e due di oscurità; allo stesso modo gli antichissimi Veda, testi sacri dell'India, conservano un medesimo ricordo.

I miti greci relativi a Thule hanno precise corrispondenze presso i Celti; sono assai diffuse le allusioni al nord come sede di pure divinità, tra le quali Apollo, il cui emblematico bianco cigno figura in numerose rappresentazioni, sia di tipo iconografico (per esempio in incisioni su pietre, elmi, gioielli) sia in racconti mitologici.”

 

Renèe scosse la testa … Aveva già capito in quale bagno di assurdità si stava andando a cacciare: i deliri folli di Collman che disturbavano profondamente il suo Karl, Stroessner e – probabilmente - tutte le persone coi piedi per terra di questo mondo.

Quindi il mistero s’infittiva sempre di più: perché Ford, emblema dell’uomo concreto, finanziava questi mezzi matti e la loro Loggia segreta? E, solita domanda sempre insoluta, qual era il nesso coi Nagel ?

La vampira aveva continuato a leggere e solo dopo alcune pagine, lampante come il sole dei tropici, aveva trovato la risposta ai suoi dubbi. Quasi banale, semplice, scontata.

Non era occorso che una cosa. Un briciolo di immaginazione.

 

 

 

Note e curiosità

 



· Il passo è tratto dal Vangelo di  Matteo 10, 16 e vuol dire: ‘Ecco, io vi mando come pecore tra i lupo: siate perciò prudenti come serpenti ma semplici come colombe.’

· I passi sono tratti dal Salmo 91, e vogliono dire: ‘Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente, dì al Signore: Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido.’ e ‘non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire.’

· Jakob Ludwig Karl Grimm nacque a Hanau nel 1785 (morì a Berlino nel 1863): professore di lettere antiche e bibliotecario di Gottinga, fu destituito nel 1837 a causa delle sue idee liberali. Con il fratello Wilhelm Karl (1786-1859), pubblicò una raccolta di Saghe tedesche (“Deutsche Sagen” 1816-1818) e una di Fiabe (“Kinder und Hausmärchen” 1812-1822), riprese dalla viva voce del popolo. Sono testi orali, che spesso riprendono motivi di altri paesi: in essi gli autori vedevano le tracce di antichissime credenze. Le due raccolte ebbero vasta risonanza: in esse figurano Cenerentola, Biancaneve e i sette nani, Cappuccetto rosso, I tre porcellini, Hansel e Gretel, Il gatto con gli stivali, Pollicino.

· Friedrich Wilhelm Murnau (1889 - 1931) ha diretto in Germania film fondamentali come “Der Januskopf” (1920), “Die Brennende Acker” (1922), “Il dottor Faust” (1923), “Der letzte Mann” (1924), e “Tartuffe” (1925) con Emil Jannings e Werner Krauss, rilettura dissacrante di Molière che diventa pretesto per parlare anche di quel momento storico, rimodellando personaggi e situazioni attualizzati. Soprattutto fondamentale è il suo espressionistico “Nosferatu, der brennende Acker” (1922), storia di un mostro assetato di sangue che per il suo amore per la giovane Ellen, moglie di un giovane agente immobiliare, è costretto ad abbandonare (dissolvendosi) la città in cui imperversava. Il film deriva dal romanzo “Dracula” (1897) di Bram Stoker: i nomi dei personaggi sono cambiati per aggirare i diritti d’autore. È uno dei film fondamentali della storia del cinema e del genere horror. Protagonista è il conte Orlock, il “non spirato”, sagoma scheletrita di un cadavere, unghie acuminate, occhiaie profonde. Cinquant’anni dopo ne sarà fatto un remake, “Nosferatu” di Herzog, con Klaus Kinski nella parte del vampiro.

· Fritz Lang, regista tedesco naturalizzato americano (1890 - 1976) dopo aver sposato Thea Von Harbou, che gli fu assidua collaboratrice, abbracciò la corrente dell’espressionismo e diresse nel 1921 “Destino”, opera drammatica che ne rivelò le qualità, così come il successivo “Il dottor Mabuse” (1922). Un grande successo fu “I Nibelunghi”, nel quale il regista espresse il suo senso del colossale in una cornice stilizzata e severa, fuori dal tempo, con un ardito gioco di luci e ombre. La figura dell’eroe che spicca sulla massa ritorna nell’avveniristico “Metropolis” (1926), anch’esso geometricamente composto, ma più pesante nel ritmo. Lang realizzò nel 1931 il suo capolavoro con “M”, agghiacciante rievocazione del “Mostro di Dusseldorf”, mentre nel 1932 ne girò un’edizione sonora, “Il testamento del dottor Mabuse”.

Lasciata la Germania per l’avvento del Nazismo, separatosi dalla moglie, Lang dapprima andò in Francia, poi si stabilì a Hollywood dove 1936 diresse la forte e tragica vicenda di “Furia, affrontando il problema del linciaggio, e nel 1937 un film esasperato e patetico di genere gangster: “Sono innocente”. Nel 1943 colse nuovamente una grande affermazione con “Anche i boia muoiono”, sul tema della resistenza cecoslovacca contro i nazisti; nei successivi film non seppe più ritrovare la  vena primitiva, anche se realizzò qualche buon “giallo”, tra cui “Il grande caldo” (1953).

Metropolis” è una vera e propria sinfonia visiva. La fantasia architettonica e pittorica di Lang si esprime ai massimi livelli. Il regista ci porta in una città del ventunesimo secolo la cui esistenza si basa sull'estremo sfruttamento della classe operaia da parte di pochi ricchi che vivono nel lusso più sfrenato. Il film che è uno dei capolavori assoluti della storia del cinema ha un ritmo ben studiato, è carico di simbolismi e riesce ancora oggi ad affascinare. È diventato il primo film della storia tutelato dall'Unesco: il classico del ‘26 è stato inserito nel registro “Memory of the world” creato nel ‘92 dall'organizzazione dell’Onu per preservare la memoria documentale dell'umanità.

· A villa Hügel, vicino a Gelsenkirchen, nella Ruhr, si trova il Museo Krupp sulla storia della famiglia Krupp: famiglia di industriali, diresse l'omonimo consorzio metallurgico-militare della Germania, uno egli arsenali principali dell'imperialismo tedesco. Uno dei suoi membri salirà al banco degli imputati nel processo di Norimberga per i rapporti della famiglia con il nazismo. La vicenda, romanzata, della famiglia nella Germania degli anni Trenta è raccontata da Luchino Visconti nel film ‘La caduta degli dei’.

· Otto Eduard Leopold von Bismarck, soprannominato il “Cancelliere di ferro”, (1 aprile 1815 – 30 luglio 1898) è il fondatore e primo cancelliere dell'Impero Germanico. Nato in una famiglia prussiana aristocratica, di latifondisti autoritari e potentissimi, iniziò a dedicarsi alla vita politica quasi alla vigilia della rivoluzione di Berlino del 1848: il giovane deputato si schierò decisamente dalla parte del Re, ribadendo che la sovranità veniva dal “diritto divino”. L’atteggiamento fu premiato dal Sovrano, affidandogli sempre più importanti incarichi. Promosso ambasciatore, inizia a dar prova del suo autentico genio politico e diplomatico. È lui a inventarsi la “Realpolitik”, una "politica realista" che lo avrebbe reso famoso; seguendo un solo dogma: raggiungere l'obiettivo proposto con il mezzo più rapido, sicuro, efficace, qualunque esso fosse.

Nel 1862 viene nominato Cancelliere (Primo Ministro) e sotto la sua guida, inizia il programma politico per fare della Prussia lo Stato dominatore nel mondo tedesco, con il sogno di riunificare sotto di essa la Germania divisa, con gli Stati subordinati all'Austria. Nel 1866 sfrutta i dissidi interni dell'Austria e l'ostilità dell'Italia per l'imperatore asburgico, dichiara guerra e vince gli austriaci in una paurosa disfatta in Boemia a Sadova. La Confederazione, fino allora dominata dall'Austria viene sciolta. Gli Stati si riuniscono in una Confederazione (del Nord) sottoposta alla guida della Prussia.

Dopo l'Austria rimanevano nel continente solo i Francesi di Napoleone III, tradizionale avversario, a contrastare l'egemonia tedesca. E quando scoppiò la guerra, nel 1870, i piani per l'invasione della Francia erano pronti già da tre anni: i piani di Bismarck e la genialità strategica di von Moltke travolsero ogni resistenza a Sedan, lo stesso imperatore francese venne catturato, Parigi fu posta in assedio. Nella reggia di Versailles, Bismarck ebbe la soddisfazione di udire i principi tedeschi che si sottomettevano a Guglielmo I di Prussia e lo nominavano imperatore di Germania. Così "in mezzo al ferro e al fuoco" (come si espresse lo stesso Cancelliere) poteva rinascere il Reich tedesco dopo tanti secoli di divisione nazionale. Tra i primi provvedimenti la "Lotta per la cultura", cioè leggi contro la Chiesa cattolica.

Nel 1888, alla morte dell'imperatore Guglielmo I, salì al trono Guglielmo II e subito si aprì un contrasto tra Bismarck e il giovane 29 enne sovrano, che (oltre che geloso della sua popolarità) non tollerava i sistemi autoritari del "Cancelliere di Ferro". Due anni dopo Bismarck si vide costretto a dimettersi dal governo e ritornare a malincuore alla vita privata.

· I Fugger erano una famiglia di banchieri tedeschi. Il capostipite Hans si trasferì nel 1368 dalla Svevia bavarese ad Augusta, dove avviò un'attività di produzione e commercio di tessuti: gli interessi mercantili diventarono predominanti col figlio Jakob il Vecchio e prosperarono con l'importazione di lana, seta e spezie dall'Italia e specialmente da Venezia. I suoi tre figli Ulrich, Peter e Georg ampliarono le attività commerciali, avviando altresì i primi affari di banca. Jakob II il Ricco determinò la rapida espansione degli affari di famiglia e la crescita degli interessi bancari. I prestiti agli Asburgo, in particolare, consentirono ai Fugger di partecipare al commercio dell'argento e del rame, della cui produzione europea si assicurarono il controllo. I crediti nei confronti degli Asburgo legarono la ditta tedesca alle vicende imperiali: nell’impossibilità di ottenere la restituzione dei loro prestiti, i Fugger risentirono fortemente delle bancarotte della corona spagnola tra il 1575 e il 1607. Negli anni trenta del XVII secolo si arrivò alla liquidazione della società.