Legge nella tua mano
non ha bisogno di guardarti in volto:
lei vede nella tua mano
quello che tu non vorresti sapere.
Lei ti può dire d'amore,
dirti del denaro e d'altro.
Leggi la mia mano, signora
leggimi la mano.

 

Madame

Angelo Branduardi

“Il Ladro”, 1990

 

11. Verrà il futuro, e avrà gli occhi viola

 

 

 

I vantaggi di vivere a quelle latitudini: a metà pomeriggio era obbligo morale una pausa ristoratrice, un bel caffè forte o una mano di carte coi colleghi. L’orario d’ufficio di De Marina iniziava alle otto e terminava all’una, per riprendere alle due e mezza e terminare alle sei: tutte le mattine alle dieci e venti talvolta nel pomeriggio ed alle sedici e venti Fraulein Kastanien veniva a bussare alla porta del suo ufficio per avvisarlo che la macchinetta bolliva.

Avevano esattamente venti minuti per chiacchierare, commentare magari i notiziari trasmessi dalla radio e fare qualche innocuo pettegolezzo sugli impiegati degli altri uffici della MeilenHaus, seduti comodamente sugli orridi ma confortevoli divani di una stanza che avevano attrezzato (d’accordo il Tedesco, ovvio) espressamente per quell’uso.

De Marina era seduto compitamente e, come suo solito, faceva una discreta corte da adolescente timido a Fraulein Kastanien, dicendole quanto stesse bene coi capelli lunghi, che la donna voleva accorciarsi un poco. Nel bel mezzo di un complimento all’uomo venne in mente di non aver ordinare la cena all’india dai larghi fianchi che gestiva eccellentemente l’appartamento da scapolo grigio in cui viveva.

Con uno dei suoi garbati sorrisi senza smalto (come invidiava Douglas Fairbanks· !) chiese congedo per un minuto: si conosceva abbastanza bene da sapere che queste erano quel genere di piccolezze che se non sbrigate subito poi gli sarebbero passate di capo. Ed avrebbe mangiato l’arrosto avanzato a pranzo!

Meditando su cosa chiedere, neppure si accorse di entrare nell’ufficio di Fraulein Kastanien, contiguo al suo, senza dover aprire la porta, che non era chiusa come voleva la prassi quando il titolare era assente. Solo quando fece per appoggiare la mano sulla maniglia della porta del proprio ufficio e trovò il vuoto, si accorse che qualcosa non andava.

A De Marina si gelò il sangue: due occhi viola lo scrutavano fin dentro l’anima. L’uomo rimase fermo sull’uscio, senza avere il coraggio di fare alcunché, tranne biasciare immediatamente un Ave Maria e sperare dal profondo che qualcuno venisse a salvarlo.

La vampira smise di accarezzare il portafoto che aveva trovato sulla scrivania e gli sorrise, come una bambina all’uomo oscuro che le regala una caramella. “La rivedrai: sei contento?” chiese, poggiando la cornice argentea sul tavolo, e il povero contabile non riuscì neppure per un attimo a rallegrarsi del futuro incontro con l’adorata sorella (che nel 1941 avrebbe abbandonato il Reich con marito, tre figlie, due generi e otto nipoti per rifugiarsi sulle rive del Canale): cosa ci faceva Frau Nagel ?

Con una mano, quella che tremava meno, arrivò a stringere il rosario che portava sempre in tasca. La vampira gli rivolse un altro dolcissimo sorriso.

“Sai che io dovevo diventare una suora ? Pensa, oggi sarei una vecchia magra suorina che prega tutto il giorno. Ammesso che fossi sopravvissuta … ma sono arrivati prima paparino e la nonnina. Mi ricordo ancora quanto ci insegnavano … ‘et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt’.” disse come ispirata, ritrovando antiche frasi latine nel dedalo della sua mente.

Era seduta ed ondeggiava a destra e sinistra sulla sedia girevole, come cullata da tanti ricordi. “Sì, mi piaceva tanto pregare … e cantare i canti … e com’era bella la Messa di mattina presto … ‘Inimicitias ponam inter te et mulierem· !” esclamò di colpo e poi si mise a piangere.

De Marina non aveva detto o fatto nulla, per lui il tempo era come se si fosse fermato: teneva stretto nella mano destra il rosario, la sinistra ancora a mezz’aria, recitava mentalmente il Credo ed aveva il viso immobile come una maschera mortuaria. “Oh … chissà cosa ne è stato della mia anima … non ce l’ho più, lo sai ?”

L’uomo annuì appena.

“Ma tu sì, tu ce l’hai, e le vuoi anche bene, non è vero ? E pensi che se ti preoccuperai della croce e dell’aquila forse quello che fai ogni giorno sarà … emendato, si dice così, no ? … almeno in parte.”

Miserere mei, Deus, secundum misericordiam tuam.” iniziò a pregare De Marina, oramai già pronto all’inevitabile fine mentre si faceva il segno della croce. Ma la Provvidenza, che era stata così generosa con la fiera calvinista il giorno prima, lo fu altrettanto con lo spaurito cattolico: Drusilla rise di gusto.

“Ma io sono tua amica, e tu lo sei di me. E a tutti e due non piace il Sole. Tu non sei come quello sciocco a cui ho appena fatto le carte.” De Marina smise di pregare ed aprì appena la bocca, ma non seppe cosa dire. “Oh, sì, il Sole è cattivo, se ci prende ci riduce in polvere. E farà tanto male anche all’aquila, ma quello non ti importa, vero ? Ma farà anche tanto male alla croce, all’altra croce, e tu quello lo vuoi impedire. Allora devi aiutarci, lascia perdere quello che vuoi fare … se farai più confusione il Sole vincerà ed io lo dovrò aiutare ed il mio Re di Coppe non ci sarà più …”

Si prese la testa tra le mani e tornò a piagnucolare. “Lui … lui se ne andrà. Ma sarà quando saremo sotto un altro sole, non sarà con questo. Ed io sarò tanto sola … ma ci sarà la nonnina con me…che strano…niente è davvero perduto… !” De Marina continuava ad essere immobile e a scrutare quel demone folle seduto alla sua scrivania.

“Oh, sì, il Sole … ce ne saranno due che faranno tanto male alla croce, ma il giorno illuminato dal primo sarà tanto breve: dillo al tuo padrone! Digli che i vampiri amano l’ombra!”

De Marina annuì, quasi stupendosi di avere ancora forza e lucidità per fare qualcosa.

“Ma lui sarà bravo, Miss Edith si fida di lui. E non le piace il Sole. Capisci perché non devi dire quello che hai visto?” Scosse la testa in senso negativo, ipnotizzato dal ritmico girare di quella figura femminile sulla sedia.

“Tu non fai parte di nulla, se facessi qualcosa … il gioco non finirebbe, sarebbe tutto così complicato! Chissà cosa succederebbe! Non ti devi preoccupare per la croce, è così presto … Tu guardi, guardi, ma non devi parlare ... non ancora, almeno.”

Drusilla si alzò finalmente dalla sedia ed iniziò ad avvicinarsi verso di lui: De Marina istintivamente pensò di mettere tra se stesso e quella vampira qualcosa e si rifugiò dietro la scrivania dell’ufficio contiguo.

Lei adesso gli era davanti, a meno di un metro, e continuava a parlargli con voce suadente, fissandolo coi suoi profondi occhi viola, muovendo con leggerezza le mani nell’aria, come se stesse accompagnando una qualche dolce musica.

“Tu guardi, guardi … ma non vedi, non capisci … io lo sapevo già, sai? Io sentivo la tua matita accarezzare la carta come le mani dell’Innamorato accarezzano la pelle delle Stelle …” C’è un limite anche a quello che un povero contabile malato può ascoltare da una vampira pazza: l’espressione di De Marina raggiunse un livello di stupore e confusione tale da far perdere la pazienza a Drusilla.

L’oppio! Dov’è quello che hai scritto quando ci spiavi ?” gli sibilò, battendo una mano sulla scrivania che li divideva e aggrottando le sopracciglia. L’uomo fece un salto come un gatto cui hanno pestato la coda, perdendo l’equilibrio e cadendo a peso morto sulla poltroncina di Fraulein Kastanien. E anche qui la Provvidenza intervenne, impedendo alle sue coronarie di cedere.

Mentre crollava a sedere istintivamente poggiò ambedue le mani sul petto, e non ci volle nulla per capire che si stava tastando le tasche interne della giacca, dove per precauzione (i cassetti si aprono così facilmente, anche chiusi a chiave …) teneva quei fogli così importanti.

Drusilla, in piedi, appoggiò ambedue le mani sulla scrivania sporgendosi verso di lui con un sorriso che avrebbe fatto paura a qualsiasi uomo coraggioso; e non era certo il caso di De Marina che, con rara velocità, degna del più provetto borsaiolo, si sfilò il piccolo taccuino tanto ricercato dalla tasca e lo posò sul tavolo, tra sé e la vampira.

Drusilla gli sorrise, contenta e felice e di nuovo apparentemente indifesa; lo prese ed iniziò a canticchiare sfogliando le pagine, senza degnare di uno sguardo il pover’uomo tremante. Trillò allegra quando trovò i fogli incriminati, li strappò e con la mano destra li accartocciò, giusto per far rifletter a De Marina - che mormorava mentalmente preghiere - che il suo cuore avrebbe potuto fare quella fine; ma per lui – questo era evidente ad entrambi…-  non era ancora finita.

“Fai ahhhh …” gli disse Dru e parlando portò il suo magro, bianco, freddo indice sinistro al centro della fronte dell’uomo; poi, lo lasciò scivolare piano lungo la linea del naso, il labbro superiore e quello inferiore, fermandolo poco prima di giungere al mento.

Qui, con l’aiuto del pollice, spinse la mascella dell’uomo (che aveva la stessa vitalità di Miss Edith, e forse anche meno….) verso il basso, aprendogli la bocca. “Fai ahhhhh …” ripeté, mettendogli due i fogli strappati ed appallottolati in bocca.

Con gesto uguale ed opposto iniziò a muovergli la mascella nell’azione del masticare, finche De Marina non capì e fece da solo. Aspettò che lui ingoiasse e poi, con gesto lieve e delicato, gli posò un leggero bacio sulla bocca poggiandogli le sue fredde mani sul viso. “A presto.” gli disse, soffiandogli un bacio sulla punta delle dita, ed uscendo leggera come una silfide.

Così lo trovò al ritorno Fraulein Kastanien: immobile, stravolto, pallido, inchiodato alla sedia e con la bocca contratta in una smorfia grottesca. Accorse verso il proprio capo, temendo che fosse morto proprio sulla sedia della sua scrivania: lo prese per le spalle, scuotendolo. Egli rivolse gli occhi verso la donna, alzò a malapena un braccio, indicandosi la gola e, con voce strozzata, disse “… acqua …”

 

 

“Quando noi avevamo già eretto la Grande Muraglia, in Siam avevano appena conosciuto il fuoco.” sentenziò con umile degnazione Chen Segundo, troncando la discussione. Il Tedesco pensò cose orribili del nazionalismo e dello sciovinismo: passi per quello germanico ed europeo, ma non è sopportabile quello proveniente dai musi gialli.

A quanto pareva tra un mesetto sarebbe transitato da Panama un principe della Casa Reale siamese e ovviamente nessuno nella MeilenHaus aveva la minima idea di come accoglierlo al meglio: qual è l’etichetta, cosa gradiscono, cosa mangiano gli abitanti di quel lembo d’Asia, come fottono? Avrebbe potuto benissimo mandare Stroessner a cercare qualche ambasciatore o uomo d’affari che era vissuto o aveva lavorato da quelle parti, ma la prima idea del Tedesco era stata di chiedere a Chen Segundo: era cinese, e la Cina è così vicina al Siam. Quest’osservazione aveva prodotto la sdegnata risposta. In quegli stessi momenti, Renée stava scoprendo come Herr Hitler non sapesse minimamente organizzare un colpo di stato.

“Ma almeno mangerete le stesse cose! Riso, cani, polli, verdure strane …”

“Esattamente come un cittadino elvetico mangia le stesse cose di un suddito britannico.” fu la concisa risposta.

Il Tedesco ebbe un fremito di disgusto, dovuto ad antichi, rivoltanti ricordi di tremolanti pudding, e comprese che Stroessner doveva trovare qualcuno che avesse abitato per almeno un anno nel Regno del Siam.

Stupidi nanerottoli gialli! Non bastava la sgradita visita di Collman (dove aveva messo quel libro di Voltaire ? iniziava ad essere curioso di leggerne qualche passo …), ora ci volevano anche questi fastidiosi impicci. Era decisamente una brutta giornata ! Con gesto secco il Tedesco, congedato Chen Segundo, si alzò, si lisciò la giacca e suonò il campanello, ordinando da bere.

Servizio celere ed eccellente, come non poteva non essere: il Señor sorrise compiaciuto e si dispose ad andare a rilassarsi nel suo salottino privato, comunicante con lo studio da dove reggeva e governava i destini della MeilenHaus, e quindi di Panama.

Quelli del mondo, non ancora, ma lui aveva tempo. In abbondanza.

Si tolse la giacca e l’appoggiò con cura sulla poltrona, alzò i pantaloni quel tanto che bastava perché sedendosi non si spiegazzasse la riga e si lasciò mollemente andare sul morbido divano in cuoio rosso. Guardò verso il tavolinetto lì vicino, accarezzò la caraffa d’argento Luigi XV - gradito dono di un ex ambasciatore belga -, si godette la freschezza del cristallo dei bicchieri … Bicchieri ? Perché avevano portato tre flûtes  e non una ?

Che Renée si stesse per unire a lui … ma con chi ? Suonò, ed arrivò compito Viktor. “Señor, ho fatto preparare per tre … per lei e per Madame e la sua … accompagnatrice.” spiegò, titubante e sorpreso.

“La Señora e … chi ?”

Il maggiordomo intuì che forse quella era una visita inaspettata.

“Señor, nell’ingresso c’è madame Nagel, che ci ha detto che lei l’aspettava … aspettava lei, intendo e … una certa Miss Edith. Dicendolo, tra l’altro, mi ha mostrato una … bambola.”

Passarono alcuni secondi, in cui il vampiro che dominava la MeilenHaus e Panama sprofondò nella più profonda paura: quella vedeva, quella sapeva, e non era un caso se adesso si trovava nell’ingresso dei suoi appartamenti. Si alzò in piedi ed aprì le braccia: Viktor celermente gli infilò la giacca e fu pronto ad incontrare Miss Nagel.

Lei entrò, bellissima in un abito londinese, della lunghezza assolutamente giusta (non se ne portavano di più eleganti e à la page in Trafalgar Square …) in pizzo color crema, che dava rilievo al pallore innaturale della sua pelle. Portava i capelli lisci sulle spalle, e un nastro di raso dello stesso colore dell’abito sulla fronte. Miss Drusilla teneva Miss Edith per mano: restò un istante ferma sulla soglia, guardò lo spaventato vampiro davanti a lei … e gli sorrise.

Il Señor capì ad istinto - quell’istinto che, unito mirabilmente alla ragione, aveva fatto di lui l’uomo, anzi, il vampiro che era - chi era il più forte, anzi, il più pericoloso, tra loro due e si preparò ad affrontare al meglio delle proprie possibilità i prossimi minuti.

Impettito, con uno stranito sorriso sul volto, le si avvicinò e le baciò la mano; le porse il braccio e si diressero fino al divano, dove si accomodarono, compitamente, come nel più formale degli incontri: finora nessuno dei due aveva ancora parlato. Dru non aveva smesso di guardarlo un secondo, ma il Tedesco aspettava che fosse lei la prima a parlare: dopo un silenzio fastidiosamente lungo, non avendo lo spirito di continuare a farsi studiare da quei due terribili occhi viola, il Señor chiese a cosa doveva l’onore ed il piacere di quella visita.

Lei rise, coprendosi la mano con la bocca, con quella sua risata squillante di bambina birichina e per un attimo sembrò una ragazza normalissima: il suo interlocutore ebbe, per contrasto, ancora più paura. “Miss Edith sa che voleva parlarle.”

Gran brutta troia, pensò, in un momento impetuoso e plebeo d’ira il Tedesco della…. bambola; e poi comprese che era la prima volta in vita sua che provava tale odio per … uno stupido oggetto in porcellana e pezza !

“Io volevo parlare … a Miss Edith ?” domandò, incerto, poiché non sapeva assolutamente come comportarsi, cosa dire, come rapportarsi a quella strana creatura che vedeva, che sapeva, prima ancora lui dicesse, facesse e forse pensasse qualcosa.

“Chissà.” rifletté Dru. “Miss Edith non sa se ha il permesso di parlare. Ci vuole cautela. Ogni cosa ha un nome. Solo Dio ne ha di segreti.

“Eh ?” Il Tedesco la fissò. Dio ? Una vampira che citava Dio ? Il nome di Dio ? Segreto? Che diavolo c’entrava ?

Dru prese Miss Edith e la coccolò. Si portò la piccola testa della bambola sull’orecchio.

“Shh … Miss Edith dice qualcosa. Sa che volete farmi una domanda. Ed è scortese tacere, se interrogati, non ve l’ha insegnato la vostra cara mamma ?”

Il grosso vampiro rimase immobile, rigido.

Si era oltre l’assurdo.

Si era oltre la convenzione di ciò che era lecito e socialmente accettabile per … Cristo ! … due vampiri ! I vampiri hanno sire, childe, clan, vite eterne … mica mammine adorate ! E chi meglio di lui sapeva quanto, in qualunque ambiente, persino il loro, contassero le convenzioni !

Oh, il Tedesco ricordava benissimo la sua, una determinata svizzera dai capelli scuri del Cantone dei Grigioni, ma questo non contava assolutamente niente! Ora lui camminava un altro cammino, no ? Altri cieli, altre notti. Un’altra … non vita. Dru, educatamente, lo fissava con i suoi occhioni viola, spalancati, e … attendeva.

“Chiedi a quella là cosa farai nel prossimo futuro e fallo. E inizia a pensare a quale tra i nemici di Collman darai la colpa.”

Il Tedesco non era uomo da trascurare buoni suggerimenti. Ana Francisca, l’india che l’aveva così ben consigliato, non era una sciocca. Mai stata, nossignore.

“Io … cosa … ehm ... Miss Drusilla … cosa farò … nel prossimo futuro ?”

Lei rise. Una cascata di diamanti, gli parve. Con una nota sinistra.

“Cena, per quanto sgradevole ? Una festa, per quanto pacchiana ?” sorrise lei. “Una … fuga ?”

“Vi prego. Se … sapete qualcosa …”

Stava implorando. Lui, il roccioso vampiro padrone assoluto della MeilenHaus stava umilmente implorando. Si, ok, la cena. Ok, la festa. Queste cose capitavano. Erano consuete. Spesso doveva organizzare simili eventi per i propri clienti e … sostenitori. Ma … fughe?

“La … vostra fuga a …Venezia ?”

Dru annuì. “E’ importante, sapete ? Che noi si … fugga. Davvero.”

“D’accordo.” il Tedesco si strofinò le palme – sudate ? – sui pantaloni. “Ma ...”

“Non occorre che facciate niente.” sorrise Dru. “Ci penseranno loro. Sono ben organizzati, sapete ?”

Il Tedesco la fissò. Collman ?

Doveva lasciarli nelle mani di Collman ? Era questo ciò che lei desiderava ?!

Voleva finire come una … cavia da laboratorio ? Nelle loro mani ?

Lei lo irrise con lo sguardo viola.

Gli si avvicinò e gli si strusciò contro.

Suo malgrado … dannatamente suo malgrado … il Tedesco ebbe un’erezione. Dolorosissima.

Lei lasciò scivolare la mano in basso, sulla patta dei pantaloni e lo aiutò a risistemarsi. Lui arrossì come uno scolaretto, se era possibile, sentendosi al contempo … grato.

“Tranquillo. Loro sanno tutto. Loro sanno sempre tutto. Non è forse così ?”

“Chi sono … loro ?”

Dru sorrise.

“Quelli cui darete la colpa.” Agitò la mano, come un retropensiero: la conversazione, per quel che la riguardava, era finita. “La stirpe di Sion non dorme mai.

 

 

Renèe lo trovò seduto, anzi, sprofondato nel divano, lei, invece quasi saltellava per la gioia. Quasi, poiché se era vero quello che aveva trovato, entro breve avrebbe avuto pessime notizie per il suo Karl. “Hai di nuovo mal di testa ?” gli domandò, andando a sederglisi vicina ed abbracciandolo piano. Lui neppure aprì gli occhi o girò la testa, ma si limitò a dirle che aveva avuto una giornataccia pesante: non era questo il momento per lui di comunicarle che grosso errore era stato favorire i piani (quelli veri, quelli che credeva di essere riuscito a tenere nascosti….) di Collman.

“Io avrei voglia di cenare.” gli disse e a questa frase il Señor si degnò di girarsi e guardarla. Stupito. “A quest’ora del pomeriggio ?”

“No, questa sera, caro. Volevo avere qualcuno che cenasse con noi … ho voglia di mettermi quel vestito che mi hai regalato per Natale con la spilla che mi hai donato per il mio compleanno.”

“Se siamo noi due non te li puoi mettere ?”

Lei gli diede un bacio sulla guancia e gli spiegò un concetto base per una donna.

“Voglio farmi vedere, voglio far vedere che bei regali mi fai.”

Il suo Karl la strinse a sé e si fece coraggio.

“Chi vorresti invitare ? Spero non quel noioso del console francese e quella befana della moglie !”

“Ma no! Con così poco preavviso … pensavo a Collman, già che è qui, magari i Nagel … se vuoi lo diciamo anche agli Stroessner.”

Non solo il Señor le tirò via il braccio da dietro il collo, ma con l’altro si puntellò al bracciolo del divano per poterla fissare meglio. “Scherzi ? Nagel mi dà ai nervi, quella vampira è totalmente pazza, Collman non lo sopporto e la sua puttana farebbe meglio a tornare a darla via !  Nei bordelli veri….

Si fermò sui suoi passi, colto da un’improvvisa consapevolezza.

Cos’aveva detto, quella troia di vampira sciroccata ?
Una cena, per quanto sgradevole…

Inghiottì amaro. Stava detestando ogni singolo istante di quella maledetta, dannata storia.

Cielo, lui era solo un tenutario, d’altronde ! D’accordo, d’accordo, aveva ucciso ma cos’altro doveva espiare ?

Fissò la sua dolce metà vampirica. Cercò di abbozzare un sorriso. Sembrò di più un rictus.

“…meriti questo e altro, mia cara Renée. Chi altri volevi invitare ?”

 

 

Ovviamente, prima di presenziare ad una cena così importante, Collman e Danka erano passati da casa a cambiarsi. O meglio, lui era passato da casa a dettare un telegramma per Herr Hess a Monaco e a studiare alcuni particolari sulle cartografie delle isole di San Blas per la ThuleOperation; lei pensava solo a cosa indossare. Disturbandolo. Molto.

“Che cosa vuoi che mi metta ?” trillò lei, da qualche altra stanza; qualcosa che non ti faccia sembrare la puttana che eri, fu la prima, cordiale, risposta che venne in mente a Collman, ma preferì dirle di vestirsi in modo possibilmente sobrio. E di parlare solo se qualcuno le avesse rivolto la parola.

“E soprattutto non discutere di lavoro!” aggiunse, urlando. Danka, scalza, spettinata ed in sottoveste, tenendo nella mano destra un paio di scarpe e in quella sinistra una lunga collana di perle, comparve sulla soglia del suo ufficio, tutta fremente d’ira: Collman la ricordò la prima volta che l’aveva incontrata, quando si era girata furibonda perché lui le aveva dato una sonora pacca sul culo, ed ebbe imperiosa la voglia di mandare a quel paese Herr Hess e  di sbattere la propria donna sul letto.

“Perché tu puoi parlare dei tuoi affari ed io no ? Tu parli sempre di cose così noiose ! La Señora si annoia da matti, lo so io !”

Le urlò di riamando che lui almeno parlava di cose normali; l’ultima volta lei e Madame R. erano finite a discutere sul modo migliore per insegnare alle puttane a soddisfare tre uomini per volta. Danka strinse gli occhi, offesa, e senza replicare andò in camera da letto. Collman riprese a scrivere.

“Incontrata Lei Stop Vaticina nostra vittoria Stop Presi accordi …”

Vuoi che ti faccia stirare la divisa?” intervenne la solita voce femminile. Sì, che bella idea: presentarsi al Tedesco con la camicia bruna del Partito NazionalSocialista, la cosa migliore per diventare il principale piatto di portata!

“No ! Metto lo smoking!” le urlò, cercando di concentrarsi sul telegramma.

“Ma ti sta male! Da quando hai la pancia ti tira! Te lo dico sempre di mangiare meno.”

Conquistare il potere … com’era difficile certi giorni! C’era una sola cosa da fare, a questo punto: una manovra diversiva. Chiese a Danka cosa si sarebbe messa: avrebbero discusso un po’ e poi lei, tutta soddisfatta, senza più un pensiero al mondo, sarebbe andata a prepararsi, smettendo di rompergli le palle.

Ci sono due scuole di pensiero, al riguardo.

C’è la donna che infila il primo pezzo più o meno gradevole che giace più o meno negletto per il proprio guardaroba, e quella che invece si prepara con attenzione seguendo il ben noto sogno romantico per il quale, comunque, lei sarà la più bella, e conquisterà tutti i cuori, lasciandosi dietro una scia di cocci. Non ci voleva un Sigmund Freud per capire a quale scuola di pensiero appartenesse la burrosa Danka.

Malgrado l’esistenza degli specchi.

Gli specchi sono quelle cose … metafisiche, per cui l’immagine che rimandano non è mai esattamente quella che colui al quale essa immagine appartiene si aspetta. La donna dotata di buona sicurezza di sé ritiene che – comunque – quali che siano le rotondità o le asprezze della visione il suo supremo fascino le approssimi allo splendore totale.

E poi ci sono quelle che, pur splendide di loro, si trovano comunque miserabili.

La dolce Danka aveva appreso intorno ai quattordici anni che tutto faceva brodo: la più sbiadita delle sciacquette poteva far sorgere pensieri peccaminosi in un uomo solo camminando con un’ancheggiatura un minimo pronunciata. Per cui il suo credo in fatto di moda era sottolineare e scoprire. Nulla come un po’ di carne nuda e tremolante per conquistare il favore maschile (e il livore femminile, ancora più esaltante).

E al diavolo la finesse.

Collman sospirò: la limatura della perfezione comportava almeno una buona mezz’ora di pace assoluta. Brindò mentalmente alla sua dolce Danka ed alle sue connaturate sicurezze. Alla buonora.

Stese una carta topografica dell’arcipelago di San Blas, prese i cablogrammi che gli erano stati invitati, recuperò il piano di lavoro e controllò a che punto fossero le costruzioni della banchina del nuovo porto e dei bunker sotterranei.

Subito dopo l’inglorioso risultato del putsch di Monaco, era stato chiaro a tutti i papaveri del Partito che serviva una base sicura dove potersi rifugiare in caso di altri insuccessi, dove potersi muovere e progettare liberamente; e la Svizzera non andava bene, checché ne dicesse Herr Goering che ci si era subito rifugiato.

Avevano dapprima pensato a ricavarsi un loro spazio in Spagna (ottimo clima, buon cibo…), ma da oltreoceano era giunta provvidenziale l’idea di Herr Ford. In una cena di gala, amici degli amici gli avevano anticipato alcune idee della Segreteria di Stato: gli Stati Uniti avevano delle divergenze politiche con la Colombia e stavano meditando di favorire la creazione di un nuovo stato presso il canale di Panama, che sarebbe stato molto utile come eventuale base per la Marina Militare degli Stati Uniti in caso la situazione si fosse fatta ulteriormente tesa.

Una piccola repubblica in Centro America, vicina al Paraguay, Argentina, Brasile, paradiso per tanti ricchi tedeschi emigrati che, lontani dalla patria, dall’heimat, sentivano ancora di più il dolore per la miserevole condizione della Germania: a Detroit Henry Ford aveva fatto due più due, trovando così dove poter permettere ai quegli interessanti tedeschi di rifugiarsi.

C’era stato un pranzo con alcuni amici nella villa di Kennedy che si affacciava sull’Atlantico, erano stati valutati i pro ed i contro ed alla fine, dopo il caffè ed i sigari cubani, avevano fatto un numero di telefono di Washington·. Il Presidente era stato molto comprensivo (come non esserlo, quando al telefono c’era almeno un quarto dell’economia dello stato?) ed aveva dato loro ragione: una forza che tentasse di arginare la deriva bolscevica della Germania e che si ponesse fieramente contro l’URSS poteva essere anche aiutata.

Il Presidente era stato così discreto da non chiedere e non chiedersi se la lobby di finanzieri wasp, che voleva favorire un partito chiaramente antisemita, avesse un tornaconto personale, che magari per vie traverse si legasse a lotte di potere contro altri ricchi e potenti concorrenti di stirpe ebraica quali Guggenheim oppure Hammer …

Così, da Detroit, Ford aveva telefonato a Monaco e quindi Herr Rosemberg·, che gestiva il partito fintantoché Hitler ed Hess erano in prigione, aveva contattato il camerata Collman. Dal carcere di Landsberg, dopo lungi conciliaboli, era fortunatamente giunto il via libera, per poco ovvi motivi: le isole di San Blas erano popolate soprattutto da indigeni Kunas, etnia che poteva discendere dai mitici Atlantidei, che forse appartenevano alla nobile schiatta dei Superiori Sconosciuti (in queste mitiche ed esoteriche genealogie c’è sempre un po’ d’incertezza … ), per somma gioia di tutti i membri della Loggia Thule. Cioè chi contava veramente dentro il Partito NazionalSocialista dei Lavoratori Tedeschi.

Inoltre, come asseriva Hess, l’America Latina poteva essere una terra promessa per l’ariano: com’era ben noto, il popolo incaico attendeva giungesse un ‘dio bianco’ dalla terra di Tullan·, che secondo le loro credenze era una terra del sole poi trasformatasi in un regno del ghiaccio. Ed era ovvio che questo fosse un riferimento al popolo ariano, discendenti degli Iperborei, abitatori della Thule.

A questo vantaggio spirituale se ne univa un altro, ben più tangibile: gli indios a quelle latitudini conoscevano e facevano uso di forti droghe ottenute macerando esotiche erbe e questo era giudicato molto interessante da parte di Herr Himmler· per le sue SS. Fine conoscitore del mondo islamico, sapeva benissimo che, per ottenere e cementare la fedeltà dei propri uomini spesso certe misture fossero di grande aiuto: la storia del Veglio della Montagna insegnava.

Così, mentre Collman pagava e sensibilizzava gli indios, genieri dell’Esercito USA in incognito scavavano fondamenta di edifici, dragavano il fondale marino per ampliare porticcioli naturali, preparavano il terreno per piste d’atterraggio, e facevano finta di non vedere altri uomini. Uomini tedeschi che scavavano bunker, costruivano case, montavano prefabbricati per laboratori scientifici e farmaceutici, postazioni di contraerea, tunnel, ed quant’altro necessario. C’era un gran lavoro da qualche tempo, sulle isole di San Blas.

E questo lo sapevano, ahimé per loro, un pastore calvinista che da anni cercava di convertire i Kunas, un giornalista americano che aveva avuto delle soffiate da un deputato ed un ambasciatore olandese, che stava per dare una sontuosa festa a casa propria. Peccato che il carnet degli invitati fosse stato ritoccato dal maggiordomo, ex attendente di un generale del Brandeburgo.

Sospirando, Collman richiuse le sue carte ed andò a prepararsi.

La cena alla Meilenhaus li attendeva.

 

 

“Per di qua” lo invitò Viktor, con gelida precisione, non appena mise piede assieme a Danka nel piano nobile della magione.

I due inglesi erano già nella sala da pranzo.

Dru, seduta, lisciava pieghe immaginarie della gonna, mentre – immemore degli sguardi intimamente spaventati di Collman – fissava con aria di desiderio delle focaccine appena sfornate. Accorgendosi dello stupore dell’uomo, gli sorrise, chinando il capo di lato, di scatto.

Sembrava una banshee. Un’elegante banshee profumata in pizzi bianchi, ma sempre una banshee. Continuava ad inquietarlo. Ed iniziava a pensare che quel piano fosse una pessima idea.

“Alla mia Edith piacciono tanto le focaccine. Ma siccome oggi non si è comportata bene, mi ha fatto inutilmente ripetere la lezione, ho deciso di strapparle gli occhi … e di non darle niente da mangiare.”

“Dru, tesoro, Edith non ha più gli occhi, da molto, molto tempo.” sorrise Spike, tutto cortesia, mentre scostava la sedia per Danka, fuori di sé dall’orgoglio per quell’invito.

“A cosa si riferisce ?” chiese la giovane e prospera mademoiselle, sollevando gli innocenti (insomma, abbastanza innocenti…) occhioni su quello che non capiva assolutamente essere un vampiro - nonostante avesse lavorato per anni presso la MeilenHaus ancora non li riconosceva -, ma solo un gentiluomo inglese, con un accento elegante e maniere d’antan.

“Abbiamo una bambina. Una sorta.” rispose Spike.

“Ah.” replicò Danka, senza capire.

“In verità è una bambola.” spiegò Spike. “Ma a Dru piace trattarla come se fosse una figlia.

Cavandole gli occhi ? pensò Danka. Ma si tenne per sé la sua perplessità.

“Signori.” Madame R. si presentò sulla soglia, ora vestita in un abito color granata fermato da una pietra preziosa antica sulla scollatura. Spike si inchinò come se si trovasse di fronte alla Regina Vittoria, e la onorò dell’inchino più profondo del suo repertorio.

“Siete magnifica, madame.”

Lei sorrise, trattenendo – com’era solita fare – il suo più intimo pensiero. Che lui era un gran pasticcione, affascinante, sì, ma sbadato, che le aveva rovinato per sempre quella che avrebbe potuto essere un ottimo acquisto per la MeilenHaus.

“Oggi non è stata una buona giornata.” disse lei, lo sdegno che vibrava suo malgrado nella voce “Un affare cui tenevo molto non è andato come speravo.”

“A volte capita, signora.” intervenne Collman giovialmente. “Ma non si fanno le omelette senza rompere le uova.”

Madame R. rifletté su quel detto antipatico, che contrastava nel profondo con il suo intimo convincimento. Lei aveva passato una vita intera a far magnifiche frittate senza rompere uova, alleanze, intrighi e amicizie dei potenti.

Ci era quasi sempre riuscita, insomma. Lo considerava il suo più umile e prezioso talento.

Ma stavolta no. Quella stupida ragazzetta protestante aveva mostrato più testardaggine che buon senso, ed aveva respinto quella magnifica occasione, la migliore della sua vita.

Che marcisse pure, quell’idiota!

Non poté impedire che il suo sguardo, diretto sulla coppia di vampiri, che adesso tubavano come nauseabonde colombe  con le zanne, tradisse il suo risentimento.

Gliel’avevano rotta! Le avevano guastato il giocattolo! L’avevano illusa che ciò che le era capitato tra le loro braccia fosse un evento epocale e non una mera, ben riuscita, iniziazione sessuale !

Ed ora quell’idiota pensava di valere troppo per la MeilenHaus!

Ma anche Madame R., pur fiera, dovette arrendersi all’arrivo dei padroni di casa, e chinare piano il capo. Madame Renée ostentava la sua statuaria bellezza in un abito di giaietto nero, ed il Tedesco - che porgeva il braccio alla sua compagna - era impeccabile nel suo frac.

Dietro di loro seguivano, con toilette molto più spartane, Herr e Frau Stroessner.

Victor batté le mani.

Si disposero a tavola, donna con uomo: solo Madame R. era priva di marito (o compagno), ma il Tedesco non poteva accettare una simile infrazione all’etichetta nella sua tavola. Magnus per una sera non avrebbe dovuto tenere rigidamente sotto controllo l’ala vampirica della MeilenHaus: un po’ impacciato in un frac d’ottima fattura si sedette tra lei e la signora Stroessner.

Collman era seduto alla destra del Tedesco, al posto d’onore, ed aveva Dru alla sua destra.  Spike stava in centro, tra Dru e Danka, e nel lato di fronte erano seduti i due Stroessner, il Tedesco, e Madame R. I due padroni di casa erano naturalmente a capo tavola.

“La vostra posizione vi aggrada, Herr Collman?” chiese maliziosa Donna Renée.

Per niente.” avrebbe voluto risponderle Collman. La vampira dai capelli neri continuava ad inquietarlo. Le sue parole di prima gli si aggiravano nel cervello, insieme al candore minaccioso del suo sorriso.

Temeva il peggio.

Temeva che lo stesse prendendo in giro.

Ma … com’era possibile? Come poteva sapere che … ?

Se sapeva, non era forse perché davvero vedeva? E allora, se vedeva, sciroccata o meno non era proprio opportuno che il piano seguisse il suo corso e lui si riempisse di gloria a Monaco ?

Continuava però suo malgrado ad esserne sempre meno convinto.

“Naturalmente. Sono vicino a due magnifiche signore, e ne ho di fronte altre due. Chi più felice di me?”
Stroessner lo fissò, senza sorridere. Si chiese cosa significasse quell’invito, e se l’idea fosse partita dal Tedesco o dalla sua compagna. Lei aveva l’aria del gatto che si sta per mangiare dei succulenti topolini.

Letteralmente.

“Trovo la signora Dru davvero … interessante” insistette Renée, per nulla decisa a mollare l’osso. L’intuito, dopo quelle moleste ore di studio, l’aveva spinta a spostare la sua attenzione da Herr Nagel … alla signora Nagel, o chi diavolo fosse la bella vampira bruna. Certo, lui era un affascinante, incompetente, irritante, anarchico childe¸ che nulla al mondo poteva avere in comune con quei due rigidi crucchi di Stroessner e Collman, ma lei? Lei, con i suoi occhi violetti pieni di mistero … chi era, lei? Cosa volevano da lei?

Era lei che volevano?

Renée sapeva che i due tedeschi non se ne farebbero fatti niente di quel vampiro inglese, geneticamente incapace di obbedire (e per gente come loro obbedire era tutto)  ma lei … lei era un’incognita.

Un’incognita che non si sentiva di scartare.

“Lei trova?” rispose Collman, soprappensiero. Spike sollevò gli occhi al cielo. Quell’idiota di tedesco dall’alito pesante e le scarpe grosse non sapeva proprio come andasse trattata una signora. Siccome non poteva spezzargli il collo, come desiderava fortemente di poter fare, si limitò a flirtare con Danka. Quella ragazza aveva più sangue addosso di una mucca da latte. Sapeva sicuramente di burro e zucchero puro. Ci avrebbe scommesso.

Lei, irretita dal suo seducente sguardo blu, così in contrasto con il nero artificiale dei capelli, lasciò cadere il tovagliolo a terra.

Come dicevano gli inglesi? Smoking hot.

Spike ne approfittò subito.

Si chinò e fissò per un istante la sue burrose caviglie, trattenute a stento col laccetto di cuoio dei sandali dal tacco alto importati da Parigi.

Ci affondò dentro i denti, gentilmente.

Danka gemette per il dolore.

“Non è niente.” assicurò i commensali, mentre Spike si tirava su, le labbra rosse.

Il pranzo continuò come se niente fosse.

E Spike riprese a flirtare con Danka, che si convinse (abilmente) di essersi sognata quel dolore, e quel rosso sulle sue labbra piene, e che non era stato altro che un bacio … lievemente sfasato quanto ad angolazione.

Capita, no?

Gli Stroessner si scambiarono uno sguardo dietro la schiena di Magnus e di Madame R.

Ecco quello che succedeva a portarsi dietro in società le puttanelle. Non sapevano mai come comportarsi.

La famiglia era il fondamento della loro cultura. Guai prescinderne. Quel Collman non aveva futuro, se non si metteva in riga e non si sposava una brava ragazza.

“Caro” intervenne Renée, che sentì l’odore di sangue forte e chiaro. “Fai portare delle bistecche al sangue per i nostri ospiti. Subito. Non vorrai che Madame Dru diventi … anemica? E’ così pallida …”

“Non meno di voi.” osservò ingenuamente Danka. “Signora” si  corresse, subito, sotto lo sguardo severo del suo amante.

“Non amo il sole.” replicò Renée. “E voi, signor Collman?”

“Lui ama il Sole.” intervenne Dru, osservando il colore rubino del vino come fosse un caleidoscopio. Pareva affascinata. “Al punto che vi sacrificherà quasi tutto. Beh, la vita … no. Non è così stolto.”

Il Tedesco ed i due uomini si fissarono, inquieti.

Madame R. era ancora di cattivo umore.

Magnus pensava a godersi la cena.

La signora Stroessner fissava quella sgualdrina di Danka flirtare senza pudore con l’inglese dai capelli neri. Lui continuava a raccoglierle le cose che lei faceva cadere, e lei continuava a gemere di piacere (dolore?).

Renée compiaciuta, si sfregò le mani.

Ora finalmente sapeva.

 

 

 

Note e curiosità

 



· Douglas Fairbanks (Denver, Colorado 1883 - Santa Monica, California 1939) è legato all'epoca creativa del cinema muto, incarnando l’eroe agile e allegro. Apparso in teatro per la prima volta all'età di dodici anni, continuò a coltivare la sua passione per lo spettacolo per tutto il tempo in cui frequentò la Colorado School of Mines. Nei primi anni Novanta dell'Ottocento si trasferì a New York e studiò ad Harvard. Il suo esordio a Broadway risale al 1902, ma abbandonò presto il palcoscenico per sposare, cinque anni dopo, Anna Beth Sully e dedicarsi a un lavoro d'ufficio. Ritornato al teatro, nel 1915 approdò a Hollywood dove recitò nel suo primo film, The Lamb, per la Triangle-Fine Arts. Fin dai suoi ruoli d'esordio si presentò come il prototipo dell'All-American Boy: atletico, esuberante, fiducioso nelle proprie capacità e dotato di abilità atletiche largamente sfruttate in ogni film.

Con Charlie Chaplin, il regista David W. Griffith e l'attrice Mary Pickford, sua futura moglie, fondò poi nel 1919 la United Artist Corporation. Il personaggio costruito intorno a Faibanks si cristallizzò grazie alle sua interpretazione in Il segno di Zorro (Fred Niblo, 1920), film che riscosse un enorme consenso, e fu riconfermato da opere in costume comeI tre moschettieri (Fred Niblo, 1921) e Robin Hood (Allan Dwan, 1922). Il suo più grande successo fu però Il ladro di Bagdad (Ludwig Berger, 1924), vero e proprio culmine del cinema muto in stile Hollywood. L'introduzione del Tecnicolor contribuì invece a lanciare Il pirata nero (Albert Parker, 1936), pellicola in cui le doti da stuntman di Fairbanks vennero particolarmente esaltate. Con l'avvento degli anni Trenta iniziò il declino della star, ritiratasi dopo Le ultime avventure di Don Giovanni (Alexander Korda, 1934). Pochi anni dopo il divorzio da Mary Pickford, l'attore e produttore più importante dei primi anni del cinema hollywoodiano morì nel 1939.

· La prima citazione latina è un brano del Vangelo di S. Giovanni, 1,5: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.” dove le tenebre sono la potenza del male, che si oppongono a Dio. La seconda è dalla Genesi, 3,15 ed è la prima profezia con cui si annuncia la sconfitta del Demonio, operata da una Donna e dal frutto del Suo ventre: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. De Marina prega recitando il Salmo 50, uno dei salmi penitenziali: “Pietà di me, o Signore, secondo la tua misericordia.” I due soli che perseguiteranno la croce saranno ovviamente il nazismo (il cui emblema, la svastica, raffigura il sole) ed il comunismo (il “sol dell’avvenire”.) … e Spike abbandonerà Drusilla a Sunnydaile.

· Circa la verità storica della telefonata tra Ford e il Presidente USA … si rimanda alle note dell’ultimo capitolo ;) L’interessamento di Himmler nella ricerca di droghe esotiche da dare alle SS (su ispirazione della storia del Veglio della Montagna) è documentato da video e filmati fatti durante spedizioni naziste in SudAmerica fin dal 1934.

· Alfred Rosemberg (1893 – 1946) nacque a Revel (l’attuale Tallinn) da famiglia germano-baltica. Nel 1917 frequentò la facoltà di Ingegneria e di Architettura a Tallinn e a Mosca. Nel 1918 - a causa della Rivoluzione Sovietica - fuggì con la famiglia prima a Parigi e poi a Monaco di Baviera dove entrò in contatto con i circoli controrivoluzionari fuggiti dalla Russia. Si affiliò in modo particolare alla Società di Thule e attirò l’attenzione di Dietrich Eckart per la sua cultura che sorpassava la mediocrità dell’ambiente: questi lo presentò a Hitler, che stava cominciando la sua carriera politica. Rosemberg fu uno dei primi iscritti al partito nazista e la sua influenza fu decisiva nella formazione spirituale del futuro Fuhrer, nel quale egli rafforzò ancor di più l’anti-semitismo e il gusto per il mistero. Infatti all’epoca Rosenberg aveva raggiunto in questi circoli una certa notorietà per aver pubblicato due libelli antisemiti: “Il cammino degli ebrei attraverso i secoli(Die Spur der Juden im Wandel der Zeiten) e “L’immoralità nel Talmud” (Unmoral im Talmud) pubblicati nel 1919.

Rosenberg concepì la teoria della congiura mondiale giudeo-bolscevico-massonica: nel 1921 divenne caporedattore della rivista del partito nazista Volkischer Beobachter, e introdusse nei circoli nazisti il ‘documento’ chiamato “I Protocolli degli Anziani di Sion”. Nel 1923 partecipò al tentato colpo di stato nazista di Monaco, ma la sua crescita all’interno del partito fu dovuta alla fondazione nel 1929 della Lega di Combattimento per la cultura tedesca (Kampfbund fur Deutsche Kultur) e per il suo monumentale libro pubblicato nel 1930, “Il mito del Ventesimo secolo” (Der Mythus des 20 Jahrhunderts).

L’opera ebbe un enorme influsso sul movimento nazista: miscelava le teorie razziste di Joseph-Arthur de Gobineau e di Houston Stewart Chamberlain. In esso si proclamava che l’elemento razziale determinava lo sviluppo della cultura, delle arti e della scienza e il corso stesso della storia. I tedeschi, in quanto discendenti dei Teutoni, la più pura delle razze ariane, avevano il compito di dominare le altre razze. Ricollegandosi in modo sconnesso e confuso alle teorie di Nietzsche, attaccava sia il Cristianesimo che l’Ebraismo criticando lo spirito di carità e compassione incompatibili con il senso dell’onore teutonico. Infatti Rosemberg rifiutava l’Antico Testamento e del Nuovo ripudiava principalmente le opere di San Paolo: egli non considerava il cristianesimo delle origini come un avversario, dato che esaltava la personalità di Gesù Cristo da vivo, ma rigettava quello che definisce come una mistificazione orientale: il sapere, la Resurrezione, la Crocifissione del Salvatore.

L’odio della Chiesa come corpo sociale si affermava nel corso del libro: l’idea di una Chiesa universale, unica, che deve determinare e coordinare tutta la vita dello Stato, la scienza, l’arte e la morale in virtù dei dogmi, per Rosemberg non era se non “un residuo di quelle idee di caos proprie dei popoli che avvelenarono la nostra essenza”, cioè gli ebrei. Contro quella concezione si erse Martin Lutero che “oppose alla monarchia politica e universale del Papa l’idea di una politica nazionale”. Per Rosemberg la storia dimostra la lotta eterna che oppone in questo mondo le forze della luce alle forze delle tenebre: tutti gli eretici, in primo luogo i catari (elogiati in quanto creatori dei miti del Graal e della discendenza di Cristo con Maria Maddalena), sono considerati come eroi di una tragedia di dimensioni cosmiche. In questa lotta gli elementi germano - nordici d’Europa si scontrarono contro l’universalismo romano, contro il cattolicesimo dominatore: nella storia degli albigesi, dei valdesi, dei catari, degli ugonotti, dei protestanti, dei luterani, per Rosemberg si doveva vedere il quadro entusiasmante di una lotta epica. L’opera ebbe enorme diffusione arrivando a stampare un milione di copie.

Nel 1930 venne eletto deputato al Parlamento, nel 1933 venne nominato “Delegato del Führer per l’educazione e la formazione intellettuale e filosofica del Partito Nazionalsocialista” e nello stesso anno -  fino al 1945 - fu Responsabile Esteri per il Partito intessendo contatti con tutti i movimenti fascisti del mondo. Nel 1939 fondò a Francoforte l’Istituto di Studi sulla questione ebraica (Institut zur Erforschung der Judenfrage): di fatto il compito dell’Istituto consisteva nel saccheggiare e trafugare biblioteche, archivi e gallerie d’arte dell’Europa ebraica per promuoverne le “ricerche”. Nel novembre 1941 venne nominato Ministro del Reich per i Territori Occupati. In quest’ambito assecondò la politica di concentramento e sterminio degli ebrei, e suggerì che il Reich dovesse fare leva sui sentimenti anticomunisti dei popoli slavi.

Al processo di Norimberga fu imputato di  progettazione, provocazione e svolgimento di una guerra d’aggressione; congiura contro la pace mondiale; crimini e violazioni contro il diritto bellico; crimini contro l’umanità, e fu condannato alla pena capitale per tutti i capi d’accusa.

· La storia della presunta terra di Tullan, da cui doveva giungere un ‘dio bianco’ atteso dagli Inca si trova in “La corte di Lucifero” scritta negli anni Trenta dal tenente delle SS Otto Rahn, un mitografo di impostazione letteraria convinto del nesso tra cultura trovadorica, catarismo e paganità pre-cristiana. Rahn collaborò con Himmler, che ne apprezzava la ricerca di un'atavica religione della luce, e nel 1936 entrò nelle SS e nella Ahnenerbe, il centro nazionalsocialista di ricerca culturale più ideologizzato. La concezione di Rahn di ravvisare nella figura di Parsifal e nel simbolo del Graal i referenti di un paganesimo di cui i Catari sarebbero stati gli ultimi eredi, va collocata nel quadro di uno sforzo culturale a più vasto raggio, inteso a sostituire le proclamazioni del cristianesimo ideologico, all'opera da oltre un millennio, con le fonti primordiali della cultura europea autoctona.

· Heinrich Himmler (1900 – 1945) era figlio di un insegnante di scuola superiore bavarese e, per educazione e condizione economico-sociale, faceva parte a pieno titolo della buona borghesia. Allo scoppio della prima guerra mondiale spinse i genitori a servirsi dei loro agganci per aiutarlo a trovare un posto di ufficiale cadetto ma la guerra finì prima che gli fosse data l’opportunità di andare al fronte. Come molti altri conservatori tedeschi, Heinrich Himmler rimase mortificato dall’improvvisa sconfitta tedesca del 1918, dalle rivoluzioni socialiste che agitavano il paese e dalle umilianti condizioni di pace che la nuova repubblica fu costretta ad accettare nel 1919.

Prese contatto con la loggia Thule e poi con il Partito Nazista negli anni Venti: nel 1922 conseguì il diploma in chimica agraria e trovò un modesto impiego in una ditta di fertilizzanti, mentre l’anno dopo prese parte al disastroso tentativo di colpo di stato. Si iscrisse alle SS nel 1925 e le sue qualità organizzative e burocratiche furono immediatamente apprezzate: le unità che negli anni Venti erano poche decine di uomini crebbero insieme all’avanzare della carriera di Himmler, il quale nel 1929 ne divenne il capo:  sotto la sua direzione le SS divennero velocemente un corpo sempre più numeroso, un corpo di élite di stirpe ariana che, alla vittoria del nazionalsocialismo, avrebbe dovuto assumere la guida del Terzo Reich, come una nuova casta feudale.

Nel 1931, avvalendosi della collaborazione del suo luogotenente Reinhard Heydrich, fondò l’SD, il servizio segreto delle SS e nel 1933 creò il primo campo di concentramento a Dachau ponendo le basi di quell’universo concentrazionario che sarebbe stato poi il suo regno. Dopo la presa del potere da parte dei nazisti fu nominato capo della polizia di Monaco e capo della polizia politica della Baviera: lentamente Himmler pose sotto il suo comando la polizia politica bavarese, e una dopo l’ altra le forze di polizia degli altri stati tedeschi.

Nel 1936 divenne formalmente capo della polizia tedesca e potè trasformare liberamente le SS: fautore di una politica razziale radicale, intrisa di elementi mitologici, tesi a sostituire infine il cristianesimo con l’antico paganesimo germanico, fanatico cultore dell’esoterismo ariano, il disegno di Himmler era di svincolare le sue SS dal controllo dello Stato e dello stesso Partito Nazista.

Himmler diede alle sue SS una struttura complessa creando le unità “generali” (Allgemeine-SS) e le unità da combattimento (Waffen-SS): le Waffen-SS erano vere e proprie unità armate che crebbero gradatamente sino a raggiungere le 35 divisioni. Prima delle Waffen-SS nel 1938 Himmler creò le unità “Teste di morto”, il cui compito consisteva nella gestione dei campi di concentramento e sterminio.

La guerra diede a Himmler l’opportunità di far diventare realtà il suo programma di “pulizia della razza” attraverso l’eliminazione degli ebrei, degli slavi, delle minoranze etniche e di tutti i “subumani”. Poco dopo l’invasione della Polonia venne nominato “Commissario del Reich per il rafforzamento della germanicità” e gli fu concessa una sostanziale autorità su tutti i territori annessi: messosi immediatamente all’opera iniziò l’espulsione di polacchi ed ebrei dalle zone baltiche per sostituirli con coloni tedeschi. Nel 1941, alla vigilia dell’invasione dell’Unione Sovietica, il suo potere era incontrastato. Nel 1943 assommò ai suoi poteri anche quello di Ministro degli Interni, ottenendo così il controllo totale della macchina repressiva tedesca, e creò gli Einsatzgruppen, le squadre mobili di massacro che sterminarono gli ebrei nei territori russi occupati tra il 1941 ed il 1943; a partire dal 1942 creò i campi di sterminio in Polonia e Germania nei quali gran parte dell’ebraismo europeo sarebbe stato distrutto.

Quando le speranze di vincere la guerra divennero nulle per la Germania, Himmler tentò di intavolare una pace separata con gli anglo-americani nella convinzione che il conflitto sarebbe continuato tra sovietici ed occidentali: per favorire questi negoziati ordinò di interrompere la strage nei campi di concentramento. Venuto a conoscenza delle trattative Hitler lo destituì e l’ammiraglio Doenitz, succeduto a Hitler come capo di stato, lo congedò da ogni incarico. Dopo la resa della Germania Himmler assunse una falsa identità e tentò la fuga ma venne arrestato dagli inglesi e pochi giorni dopo il suo arresto - il 23 maggio 1945 - si suicidò.