C’è una donna che semina
il grano volta la carta si vede
il villano, il villano che zappa la
terra, volta la carta viene la
guerra, per la guerra non c’è
più soldati, a piedi scalzi son tutti
scappati “Volta la carta” Fabrizio De Andrè “Rimini”, 1978 10. Sciarada: quando
l’incredibile diventa credibile Dopo
l’orrido, settimanale, trionfo del Tedesco, Spike tornò negli appartamenti che
aveva a disposizione sempre più convinto di essere approdato in un manicomio
pieno di matti: ironico, se si pensa alla non certo costante lucidità della sua
compagna. La
quale, come troppo di frequente nell’ultimo periodo, era di pessimo umore:
alcune serve le stavano facendo un bagno bollente, ma Drusilla, incurante del
piacevole calore, aveva uno sguardo duro negli occhi e la bocca atteggiata ad
una smorfia di profondo fastidio. Beh, per
quel giorno Spike ne aveva avuto a sufficienza di stranezze, e poi tutta quella
musica gli aveva anche messo mal di testa: finse di non notare il suo malumore
e, spogliatosi, si andò a buttare sul letto. “Alzati,
vestiti e datti una sistemata.” disse lei, entrando nella loro stanza e
sedendosi davanti all’elaborata toeletta in ferro battuto, mentre una serva le
spazzolava i capelli ed un’altra cercava un vestito nell’armadio. “Ehi!
cos’è questo tono? Adesso sei diventata l’unica vampira col ciclo? Sono stanco,
voglio riposarmi!” le disse molto infastidito, girandosi per guardarla meglio
ed offrendo alle due domestiche una panoramica degna di un dieci e lode sul suo
corpo nudo e la sua virilità. “Sta
arrivando il Bagatto·, viene a parlare di lavoro con l’Innamorato ed a dargli i soldi
del Diavolo. Viene ad annoiare l’Imperatore, anche. Ma lui vuole solo vedere se
le Stelle amano il Sole: l’Eremita, il Carro e i suoi amici vogliono … oh, loro
non sanno veramente cosa dovrebbero volere.” Rise,
Drusilla, ma senza allegria, quasi con compassione, mentre le due cameriere non
guardavano più Spike ma, atterrite, si gettavano occhiate. Lui era rimasto sul
letto, le gambe distese, quasi seduto, puntellato sul materasso aveva gli
addominali in evidenza, e non capiva nulla. Drusilla
aspettò finissero di stringerle il busto e l’aiutassero ad indossare una di
quelle camicette scollate con gonne a colori vivaci che le donne locali
letteralmente adoravano per uscire con i loro novios, e dopo andò a posare un bacio al
suo Innamorato. “L’uomo che ci ha chiamato qua vuole parlarti.” Detto
questo uscì dalla stanza ma sull’uscio si fermò, si girò verso il vampiro e gli
disse di non dire al Folle che la Temperanza aveva già nostalgia di loro. Spike
annuì, senza capire nulla. Che complicazione, oddio, che
complicazione,
uggiolava De Marina mentre una delle sue migliori contabili, Frau Kastanie·, ascoltava paziente e si
domandava come fosse possibile che il suo capo per ogni piccolo contrattempo
facesse una tragedia di dimensioni bibliche. Prima
che lei cercasse in qualche modo di convincerlo del fatto che la situazione non
era così grave, il contabile s’alzò dalla sedia ed infilò la porta
dell’ufficio, allontanandosi in una sequela di bofonchii e pittoresche
invocazioni della Provvidenza. L’avesse
aperta un secondo dopo probabilmente avrebbe spaccato il naso di Collman e di
Wilkinson, che si stavano dirigendo da Stroessner con un curioso balletto di
cortesie su chi avrebbe dovuto per primo entrare nell’ufficio. Collman
insisteva perché l’americano lo precedesse, così da poter nel frattempo andare
a trovare i Nagel mentre quel gelido tedesco era occupato; Wilkinson voleva che
quel volgare uomo sbrigasse per primo i propri affari, così da aspettare
assieme a Miss Danka. Inoltre,
una volta entrato nell’ufficio di Stroessner, confidava che quegli lo portasse
un po’ in giro per la MeilenHaus, magari proprio dove avrebbe potuto trovare
ristoro alla sua particolare sete,
che s’era ridestata ancora più bruciante dopo l’incontro con quella ragazzina
all’Hotel de Venice. Collman
tirò giù una pittoresca bestemmia nella lingua madre quando la porta lo sfiorò
appena, e De Marina si segnò per abitudine, subito prima di sibilare in tedesco
qualcosa di ben poco gentile all’indirizzo di quell’uomo odioso e malefico. Mentre
si allontanava si domandò cosa volesse di nuovo Collman da loro, chi fosse
quell’ometto che aveva a lato e come avrebbe potuto mettere a frutto tutto
quello che sapeva dei Nagel. In realtà la domanda corretta che si sarebbe
dovuto porre era un’altra: cosa significava quello che sapeva? Perché quelle
parole di Drusilla avevano spaventato tanto il Tedesco? Stroessner
avrebbe preso a testate il muro: la Meilenhaus aveva aperto da meno di due ore
e già si trovava davanti quel matto monomaniaco di Collman con la puttana che
aveva riscattato. E oltre a loro, anche il gringo
dell’Hotel de Venice … ma quello non era un gran problema: al novanta per cento
voleva provare i prodotti della casa e non sapeva a chi chiedere. Che pazienza ci voleva col suo
lavoro ! pensò
l’uomo, andando incontro ai suoi visitatori. Fortunatamente quel matto non lo
avrebbe mortalmente annoiato coi suoi soliti sproloqui: desiderava incontrare
Nagel per saldare e poi parlare col Señor,
mentre la sua puttana voleva solo andare a salutare Madame R. Dopo aver mandato ognuno dei due dove desideravano,
accompagnati da solerti servitori, ed aver avvertito chi di dovere, si dedicò
in pace a far fare scoprire all’americano tranquillo le gioie della MeilenHaus.
Wilkinson ne aveva enormemente bisogno. L’incontro con Danka, con quella pura ed eterea
donna (il che dimostra come l’intelligenza nel capire le donne sia dono raro
tra gli uomini), così volgarmente offesa dal bruto che la portava in giro come
un trofeo, gli aveva fatto montare un irrefrenabile desiderio. Ed era certo che
il buon Stroessner avrebbe saputo consigliargli al meglio chi potesse
appagarglielo. Collman
entrò a passo di marcia nell’ingresso della magione assegnata ai Nagel ma,
giunto sul limitare dell’ingresso neoclassico, si fermò come ipnotizzato. Nella
sala, comodamente sdraiata come la
Paolina Bonaparte del Canova, ed altrettanto marmorea, Drusilla
lo fissava, immobile, quasi lo aspettasse: mai come allora quei due occhi viola
davano l’impressione di essere in comunicazione con tutto l’universo ed i suoi
misteri. Ecco, lei ! il fine ed il mezzo, la vampira
dalla Vista! Collman si era già chiesto cosa avrebbe provato quando sarebbe giunto
al suo cospetto, ma la realtà lo sorprese: quello che provava era dannatamente
simile alla paura. Quegli occhi che lo fissavano non gli piacevano, lo
mettevano a disagio e senza accorgersene si trovò a sudare. Quegli occhi
penetranti che lo scrutavano gli leggevano dentro. Specie
quando lei sorrise. I
piccoli denti bianchi splendettero, madreperlacei. Intuì
come sarebbe stata bella anche con
indosso il volto della caccia. “Non andatevene, signore. Sono
così sola ...” La voce seduttiva era smentita dal
luccichio freddo dei suoi occhi. Collmann si disse che odiava questo tipo di
donne, se di donna poteva parlarsi. A lui piacevano le boeme, belle,
calde, morbide, burrose. Disponibili. Perfida Albione non apparteneva a quella categoria, poco ma sicuro. Se la
immaginò distesa nel suo sudario di medievale pietra, pallida e bianca ed
angolosa, con quel suo viso triangolare dagli occhi febbrili. Andiamo, Collman, non sei un poeta
malato d’assenzio, ma un uomo d’affari. Ripigliati, si disse. “Venite più vicino.” lo invitò
lei. “Non avrete mica paura di me … no? Io non sono … pazza.” Il luccichio divertito dei suoi
occhi smentiva quell’affermazione. O forse no. Collman si avvicinò. Voleva
crederci. Voleva sentire che lei non era solo una vampira mezzo
sciroccata dal cattivo accento, ma una veggente¸ e che il suo contributo
alla causa, e conseguentemente il contributo di Collman medesimo, sarebbe stato
inestimabile. Bisognava crederci, lo
sapeva. A Monaco la mancanza di fede era inaccettabile. Collman - con la
concretezza innata dei suoi avi, contadini pragmatici e terra terra -
istintivamente diffidava di quell’impostazione ma sapeva che, se voleva stare
al gioco, doveva accettarlo. E, da uomo concreto, sapeva che agire equivaleva
ad ottenere. Dru tirò fuori dalla sua borsetta
di pizzo un mazzo di tarocchi. Teatralmente li dispose sul piccolo
tavolino lì vicino. Li prese uno ad uno, le lunghe
unghie laccate di nero che tracciavano graffi sul dorso di cartone lucido. “Le carte ci dicono molto, sapete,
sul futuro? Io a volte mi confondo, futuro, presente e passato si intrecciano e
con difficoltà distinguo l’uno dall’altro … a volte penso il tempo non esista.
Esiste lo spazio, su cui ci muoviamo, ma sono i vostri corpi a
disintegrarvi, non il tempo a passare. Ecco, vedete? Io sono la negazione
del tempo.” Collman la fissò, rigido, preda
del suo sguardo, delle sue parole follemente precise. Lei non lo mollò mai, con
lo sguardo, nascondendo il suo piccolo sorriso. “Dal mio punto di vista vita e
morte non sono poi così diverse, non credete? Esiste un’unica putrescente
umanità che va disfacendosi.” Collman annuì, dondolando piano il
capo al suono suadente della sua voce. E poi si riprese. Che
diavolo gli stava succedendo? Lei usava quei trucchetti giudei? Lo stava
ipnotizzando? “Vorreste
prendere la parola, ma la parola aleggia … e non si fa catturare.”
replicò lei, schioccando le labbra, come se stesse pregustando il suo sangue.
“Io ve la posso prestare…ma che ve ne fate? Il cammino è già tracciato.
E proprio non riesco a radunare l’energia necessaria per preoccuparmene.” Collman
la fissò, cercando di dominarsi. “Signora
… se sapeste qualcosa …” “Ovvio
che so.” replicò lei, con tono pratico. “Vedete voi stesso, no ?” Sembrava
quasi infastidita dall’ovvietà della rivelazione, come incredula che lui
non ci arrivasse da solo. Allievo mediocre, quel Collman. Sei meno. Le sue lunghe dita indicarono la
fila di carte che era andata a posare sul marmo verde del tavolo. Gliele
illustrò con la stessa pazienza spazientita che si riserva ai bimbi tardi di
comprendonio. “Il Sole
… voi amate tanto il Sole, lo volete ovunque, e dovunque lo cercate. Il Carro …
no, a lui basta che non ci sia un Sole del futuro che gli bruci ogni cosa, e
anche l’Eremita vuole così. Invece il Diavolo cercherà di tradirlo e così
brucerà, e voi starete sotto al Sole dorato fino alla morte.” Collman
era rimasto in piedi: fermo come una statua di sale, ascoltava ogni parola, non
si perdeva una virgola e memorizzava ogni sillaba che la sibilla dagli occhi
viola emetteva. Tra poco un telegramma molto importante sarebbe arrivato a
Monaco. La seconda parte della Thule Operation era già pronta a
scattare, mancava solo l’ultimo particolare e poi avrebbe potuto disporre i
suoi uomini migliori nel tratto migliore della strada. Magnifico. Lei sorrise. “Anch’io
devo stare attenta al sole … il sole a me fa male.” Dru rise tra sé e sé
per la propria spiritosaggine. “Ma tu e i tuoi passerete tanti anni a
ringraziarlo.” e detto questo si alzò e se andò, con un fruscio morbido di gonne,
mentre Collman non credeva alle sue orecchie. Avrebbero
vinto ! Era un
chiaro e favorevolissimo auspicio per chi militava sotto la bandiera con la
svastica, notoriamente simbolo solare. Peccato che tanti altri stati avessero
questo astro nelle insegne: l’Argentina, tra l’altro. Ed
infatti, di lì a meno di vent’anni, quell’uomo si sarebbe buttato in ginocchio
davanti al Señor supplicandolo che gli desse rifugio nella MeilenHaus, per
salvarlo dagli americani che avevano deciso di arrestare e deportare nei campi
di lavoro in Texas tutti i tedeschi, giapponesi, italiani e loro discendenti
che capitavano a tiro. Ma
davanti ad una (o ad un’altra) Guerra Mondiale anche i mezzi e il potere del
Tedesco venivano vagamente ridimensionati e così Collman e Danka, corrotti
tutti i corruttibili in ogni ufficio ed in ogni grado gerarchico che si
presentasse, depauperati di buona parte del loro contante, tristemente come
poveri emigranti si imbarcarono su una nave alla volta dell’Argentina. Lì,
grazie al buon Generale Peron·, avrebbero conosciuto tanti altri ex camerati, continuato
i loro affari e dopo una serena vecchiaia, raggiunta l’età usuale di ogni
nazista scampato alla guerra ed ai servizi segreti israeliani, cioè circa
novant’anni, circondati da una devota ed ignara discendenza sarebbero morti
ricchi e felici. Non rimase a lungo solo nel
salone: Herr Nagel sbucò da una porta, e non sembrava del suo umore migliore.
Non chiese nemmeno di Dru, il che la disse lunga sulla sua irritazione. “Non ho
quello che cerca, vada a chiederlo al Señor.” esordì il vampiro appoggiandosi
ad un mobile, tenendo le mani in tasca e non mascherando minimamente la scarsa
socievolezza. “Grazie
per la sua disponibilità Herr Nagel, ma sono io che ho qualcosa per lei.
Qualcosa che le piacerà un sacco.” sorrise viscido Collman, iniziando a
sbottonarsi la giacca. “Ci dia
un taglio, non è il mio tipo. E poi scommetto che non ci sa per niente fare.” “Scusi
? Non ho capito.” disse l’uomo, tirando fuori da una tasca interna una
affascinante, flessibile e morbida fascetta di banconote. Tedeschi,
mai che capiscano alla prima, pensò il vampiro avvicinandosi a quei
biglietti che lo avrebbero in parte ripagato della tremenda noia di stare in
quella gabbia di matti. “Bene,
Herr Nagel: ecco qua i due terzi del compenso pattuito, e gli inviti per la
festa di domani sera all’Ambasciata olandese.” “Domani
sera? Quindi io domani ammazzo chi devo e poi me ne posso andare finalmente
lontano da qui ?” Collman
evitò di ricordargli che nei fascicoli che gli aveva dato qualche giorno prima
c’era chiaramente scritto in quale giorno la festa si sarebbe svolta, ed annuì.
“Dovremmo magari discutere sul modo più efficace per uccidere un ambasciatore
in casa sua, fare una visita nel suo ufficio privato e non far trovare subito
il corpo. Comunque, una volta che uscirete di lì ci incontreremo e vi darò il
saldo del compenso. Se ora mi voleste dire dove pensate di andare, così da
prenotarvi una buona cabina su un qualsiasi piroscafo in partenza da questo
ameno paese …” “Ameno … come no!” esclamò Spike con
un’ironia inglese così spiccata da essere palese anche ad un tedesco.
“Comunque, non sono le acque stagnanti a preoccuparmi, qui. Il loro odore di
cadavere in putrefazione, che tanto dà fastidio ai turisti, è profumo di
morte per le nostre narici sensibili. Se solo tutto non marcisse così rapidamente,
a queste latitudini … gli stessi pensieri si ammorbano. Per farla breve, io e
Dru vogliamo cambiare un po’ aria. L’ideale sarebbe Venezia … abbiamo
dei buoni ricordi, di quella città … è così mitteleuropea … andiamo, dite che
approvate, fatemi contento … non sapete che vigilie delle Ceneri
fenomenali vi ho passato … specie una …” “Vi piacciono i mascheramenti ?”
chiese Collmann, trattenendo a stento il proprio virile disgusto. “A me ? Voi che dite ?” Il tedesco non rispose, esasperato
dal mezzo sorrisino del vampiro, e se ne andò ossequioso e falso
come suo solito. Spike
sarebbe voluto andare su da Dru per chiederle il motivo del suo malumore
all’idea che quell’uomo fosse venuto a cacciare moneta, ma un discreto colpo di
tosse alle sue spalle gli fece capire che le visite non erano finite. Era
l’ometto gentile che lo aveva invitato a giocare a carte prima: cosa ci faceva
nel suo appartamento, con una borsa di cuoio in una mano, uno sguardo sperduto
e due grossi vampiri ai lati? E soprattutto … perché con tutta la servitù che
avevano a disposizione nessuno annunciava gli ospiti ? “Spero di non essere
inopportuno e non disturbarla troppo, Herr Nagel.” belò l’uomo. “Faccia
pure, buon uomo. Oggi è la sua giornata fortunata, mi hanno pagato e so
quando me ne andrò da qua … senza offesa, s’intende.” “Sono
venuto in effetti proprio per questo, Herr Nagel.” “Problemi
con il piroscafo per Venezia? Buffo, non hanno ancora prenotato …” “Non
esattamente … vorrebbe gentilmente accomodarsi così da poterne discutere?” Quell’uomo
aveva paura, molta paura, ma Spike non riusciva a capirne il motivo: comunque,
visto e considerato chi gli mandava il Señor,
non doveva essere nulla di seccante. “Forse Herr Nagel ricorderà di una
donna che è stata ritrovata morta nel suo appartamento la mattina dopo il suo
arrivo.” Vagamente, Spike aveva un qualche
ricordo. “La poveretta era una prostituta
di prima classe a contratto presso il Señor e quindi la sua prematura dipartita
ha generato dei mancati introiti alla MeilenHaus.” Guardò l’uomo spaurito nella
poltrona, i due guardaspalle, la borsa di cuoio aperta sul basso tavolinetto
che li divideva, i fogli che lo coprivano: si sistemò meglio nel divano dove
poco prima Dru aveva ricevuto Collman, sorrise e magnanimamente decise di porre
fine ai timori di quell’ometto. “Ho capito: abbiamo rotto e
dobbiamo pagare. Siamo vampiri per bene, noi: quant’è?” Non lo voleva uccidere! De Marina
riprese a respirare normalmente, a sudare come ogni persona di questo mondo e
ad avere un battito cardiaco regolare. E poi sfoderò il vero uomo che era
brandendo una matita per indicare quello che riportavano i fogli posti sul
tavolino. “Dunque, Herr Nagel, mi sono
personalmente impegnato nel calcolare il saldo negativo dovuto al guadagno
mancato. La signorina aveva ventitrè anni e il contratto le sarebbe scaduto tra
due. Questo è quanto ha guadagnato al
lordo negli ultimi cinque anni e questa è la media per anno. Questa cifra sono
le spese mensili annue che la riguardavano: vitto, stipendio, cure mediche,
gratifiche particolari e simili. Questa somma è l’accantonamento per la gratifica di fine
rapporto, questi i fringe benefits che le spettavano e che, a precisa
volontà della defunta, venivano annualmente monetizzati e inviati alla famiglia
come integrazione per il sostentamento dei medesimi. Questa è
la somma dei periodi di ferie non goduti … sa, la defunta era una straordinaria
lavoratrice … che venivano convertiti in denaro da destinare ad un fondo
pensione integrativo e che saranno versati alla famiglia, come da contratto.
Era un ottimo elemento, non c’è che dire, svolgeva un sacco di straordinari,
non creava alcun problema … sì, un peccato sia morta. Requiescat in pace.” “Un
peccato per me, a quel che pare. Che pietoso ed edificante epitaffio,
quale generoso sfoggio di calore umano, che profondità di sentimenti !” esclamò
Spike, drammatico e teatrale come un consumato attore scespiriano, allargando
le braccia. Ed ovviamente De Marina non capì l’ironia. “Eh …
immagino a lei potrà sembrare strano, ma lavorando così a stretto contatto si
genera una certa familiarità. Certo, non vivo materialmente tra loro, io, ma
bene o male conosco tutto della loro vita: sa, i tabulati con tutte le loro prestazioni
arrivano a me e sono io a calcolare i loro guadagni. So
quanto e quando lavorano, quanto e se amano la loro famiglia, a chi mandano i
propri soldi e cosa hanno intenzione di fare della loro vita, se restare da noi
o lasciare tutto. Pensi, io ho l’alto compito di vegliare sul frutto del loro
lavoro, i loro risparmi, la cosa più sacra che hanno! E sul loro futuro,
anche.” De
Marina sorrise, contento e fiero di sé per l’importante posto che occupava nel
mondo universo: mancava solo che un celestiale ed ultraterreno raggio di sole
ne illuminasse il nobile capo. Spike,
sul divano, aveva gli occhi spalancati e la bocca storta in un ghigno: e poi
era Drusilla quella matta? Ma dove
diavolo era finito? Il contabile lo guardò amabilmente, comprese perfettamente come il suo sfogo avesse
toccato nel profondo l’interlocutore, posò la matita (che fin’ora aveva retto a
mezz’aria) sulla gamba e tornò il più professionale possibile. “Ma torniamo a noi: lei sarà molto
impegnato, non avrà certo tempo da perdere. Ricapitolando, noi sappiamo che
questa cifra era il rendimento annuo netto che la ragazza procurava alla
MeilenHaus. Ora, come lei potrà capire, la questione si pone nello stimare col
minor errore possibile quanto ella avrebbe potuto ancora fruttarci.” De Marina era rientrato nel suo
elemento: adorava i numeri ed i calcoli, erano cose serie, non mentivano e non
grondavano sangue. Spike, invece, era quanto meno sorpreso, per così dire,
davanti all’ometto che di nuovo parlava a raffica ed agitava la matita indicando
cifre su cifre. “La signorina aveva davanti,
credo, circa due anni come prostituta di prima classe: lo deduco dai precedenti
familiari: in certi casi la genetica può anche servire. Ella può vantare due
zie paterne ed una prozia materna che hanno lavorato per noi e tutte, in media,
hanno lasciato alla stessa età, benché due abbiano proseguito venendo però
declassate … ma crediamo non sia il caso della defunta. Da un’accurata indagine interna
abbiamo potuto senza eccessivi dubbi sincerarci che ella avesse intenzione di
ritirarsi a breve, molto probabilmente allo scadere dei dieci anni di lavoro.
Una scelta rara, soprattutto tenendo conto avrebbe benissimo potuto restare a
pieno regime di attività, magari con una tariffa minore, per almeno altri dieci.
Ma sa, capita ancora che qualcuna preferisca la famiglia al lavoro; sono
scelte di vita, immagino. In ogni caso la MeilenHaus, nella
mia persona, ritiene che la sua azione, Herr Nagel, ci abbia privato di questa
somma che, come può vedere è il rendimento medio annuo netto della defunta
moltiplicato per due. Calcolando il tasso di inflazione, che lei vede qui
rappresentato nella media degli ultimi dieci anni, e la relativa rivalutazione
del dollaro, il
rischio-paese e la capitalizzazione mensile degli interessi sul rendimento di
cui trattasi … il saldo finale è questo.
Che diventa questa bella cifra tonda perché lei mi sta simpatico e la Señora ha
detto di avere un occhio di riguardo per lei.” Tutto è bene quel che finisce
bene, pensò De Marina, dopo aver salutato il disponibile Herr Nagel, il
quale aveva sempre più la netta percezione di essere, con Dru, l’unico normale
in tutta la MeilenHaus. Il contabile si preparò
mentalmente il prossimo discorso: ora doveva andare da Collman (che era un osso
duro e non si fidava!) a dirgli più o meno le stesse cose, e farsi dare per la
seconda volta la stessa cifra che aveva chiesto al vampiro. Per la maggior
gloria della MeilenHaus e del Señor. La
notizia che Collman volesse di nuovo conferire con lui non riempì certo di
gioia il Tedesco: meno parlava con quell’uomo meglio si sentiva. Anche perché
gli argomenti di conversazione non erano moltissimi e, in pratica, iniziavano e
terminavano sempre con invettive su giudei, massoni e simili. Lo
ricevette, in piedi, nel proprio ufficio, e, salutandolo compitamente, si
rammaricò di poter restare in sua compagnia solo per poco, poiché alcuni affari
da sbrigare lo reclamavano; ma un tempo per un drink e due chiacchiere
sicuramente lo aveva. Collman
chiese una tequila, il Tedesco il solito
e si accomodarono nell’adiacente salottino come se fossero amici: ambedue
stavano mettendo a punto il modo migliore per ingannare l’altro. Come
scriveva La Fontaine: “Ingannare chi inganna è un piacere doppio”, ed ambedue
erano pronti ad assaporarlo. Ho un
regalo per lei, esordì Collman tirando fuori un pacchetto dalla giacca e
godendosi l’attimo di sorpresa nel padrone di casa. “È il
libro di un suo famoso concittadino, anch’esso amico della nostra causa.” gli
disse, porgendogli il dono, mentre il Tedesco si domandava chi diavolo fosse un
notorio svizzero pangermanista ed antisemita: c’era quell’architetto occhialuto
tanto di moda·, ma non sapeva si dedicasse
anche alla politica. Ed
infatti, sorpresa delle sorprese, il libro era il “Dictionnaire Philosophique” di Voltaire· (che era francese, ma aveva vissuto così tanto rifugiato presso
Ginevra da poter essere considerato svizzero a tutti gli effetti). “Amico
di … quale causa?” domandò cauto il Señor, i cui ricordi sul famoso filosofo autore del “Trattato sulla
tolleranza” non contemplavano affatto temi comuni con i deliri di Herr Hitler.
“Ma della nostra ! Non capisco come mai non ne parli nessuno, ma vedrà, vedrà …
quell’uomo di ingegno aveva già individuato i nemici dell’Europa.” sorrise Collman,
sorseggiando la sua tequila. Il
Tedesco, che aborriva Voltaire, ricordava male. E, dopo
la cortesia, arrivava il dovere. “Ha avuto occasione di conoscere le date di
nascita dei Nagel ?” Il
Tedesco posò con grazie il suo calice (il cui liquido rosso all’interno non era
un Borgogna ben invecchiato…) e cercò di ricordarsi dove avesse messo il foglio
con segnati i compleanni di quelle due calamità. “Mi
tolga una curiosità, Herr Collman: per fare un buon oroscopo non serve anche
l’ascendente?” “Ah, ma
allora anche lei ha familiarità con l’antica sapienza dell’astrologia !” “Ne
conosco a malapena i rudimenti, non creda. Mi domandavo solo come farete a
calcolare l’ascendente giacché, se non erro, oltre al giorno serve anche l’ora
di nascita: e quella non ha chiesto di chiederla.” Collman
sorrise, quasi compiaciuto di trovarsi davanti una persona intelligente quanto
lui: la soddisfazione nell’ordire un inganno alle sue spalle sarebbe stata
anche maggiore. “Vede, ritenevo che domandare anche l’ora del giorno in cui
sono nati potesse essere eccessivo: abbiamo degli amici, in Inghilterra, che ci
hanno assicurato sapranno arrivare all’ora e al luogo di nascita una volta che
avremmo loro comunicato il giorno.” Collmann
non aggiunse che su Drusilla erano in possesso già di molti dati: era bastato
fare una ricerca sui pochi monasteri femminili cattolici inglesi devastati da briganti
intorno al 1860 per giungere con buona approssimazione ad una ristretta rosa di
nomi. Con
William the Bloody era stato più difficile, ma c’era un Osservatore, nel
Consiglio, che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di frenare la peste bolscevica
che affliggeva l’Europa: egli aveva fatto trapelare molte informazioni
interessanti e con il frutto delle indagini all’interno della MeilenHaus Herr
Hess avrebbe avuto tutto il necessario per far compilare i due oroscopi. Neppure
in quella giornata Reneé era rimasta inattiva, anzi! Si era lasciata convincere
con relativa facilità dal suo adorato Karl a non andare a fare due chiacchiere
con l’olandesina, siccome voleva continuare indisturbata la sua indagine su
Herr Hitler e sul perché quei tedeschi avessero bisogno proprio dei Nagel. Inutile
chiederlo a Karl, non si interessava molto di politica, soprattutto quando a
farla era uno sconosciuto partito attualmente fuori legge e neppure di valenza
nazionale: Collman pagava bene e questo gli bastava. Scuotendo la testa
divertita, Renée pensò che forse il vecchio adagio era vero: la curiosità è
donna. Entrando
nell’Archivio sentì in lontananza Frau Blucher borbottare: fece tintinnare le
chiavi con cui aveva aperto e attese che la sua assistente arrivasse,
domandandole subito cosa stesse cercando. La donna, le sorrise e poi iniziò a
parlare, com’era ovvio. Purtroppo. Quella
vampira aveva due caratteristiche: parlare velocemente e soprattutto riuscire a
rendere incomprensibile qualsiasi argomento che toccava per la sequela di
domande, obiezioni, contro domande ed ipotesi che si faceva, tutte da sola e
senza che alcuno le suggerisse nulla. Una
volta il Tedesco ebbe la cattiva idea di parlare di cani in sua
presenza: Frau Blucher partì da un’osservazione totalmente marginale, e senza
mollare il capo del discorso continuò imperterrita a montare un delirio di cui
alla fine nessuno riusciva più a capire alcunché e di cui nessuno avrebbe
neppure potuto fare un sunto. “Ma è
peggio di un platonico che parla degli archetipi” commentò il Señor, che dopo i primi cinque minuti aveva perso il filo
dell’esposizione, con un suo rarissimo sfoggio di reminescenza universitaria. Quella era la persona che faceva
al caso suo per l’Archivio Segreto: se anche le fosse sfuggito qualcosa di
quello che sapeva di sicuro lo avrebbe detto in un modo così contorto e
complicato che nessuno si sarebbe potuto giovare dell’informazione.
Praticamente un labirinto! Inoltre aveva una perfetta memoria
fotografica che le permetteva di ricordare esattamente dov’era ogni fascicolo e
scheda, e vagamente anche cosa contenesse, e ciò era una mano santa in quel
grandissimo archivio. Certo, se avesse avuto meno memoria probabilmente non
sarebbe riuscita a complicare così ogni discorso, ma non si poteva avere tutto.
Neppure nella MeilenHaus. Poiché Renée conosceva benissimo
la sua assistente, nell’esatto momento in cui quella aprì la bocca ella alzo il
braccio destro mostrandole tre dita: la vampira doveva spiegare la situazione
in sole tre parole. Metodo drastico, forse, ma necessario per la salute mentale
di chi l’ascoltava. “Problema. Condor. Risolto.” Ecco, si vedeva lontano un miglio
che quello era un argomento che sarebbe potuto lievitare oltre misura
aggredendole i centri nervosi, soprattutto perché lei non ricordava di aver
chiesto informazioni su alcun condor. Renée domandò molto titubante chi
riguardasse. “Vede, ho trovato le informazioni sul quel Condor irlandese che
commercia in navi. Ovviamente il condor è un simbolo, un emblema per qualcosa:
ho pensato che fosse un’immagine assimilabile a quella dell’aquila, comune a
tanti stati e tante logge segrete. Quindi ho iniziato a cercare associazioni o
partiti irlandesi che avessero dei riferimenti o collegamenti con il continente
americano, di cui l’animale è originario. La bestia è tipica delle Ande, quindi
era il caso di accertarsi se ci fossero dei rapporti tra gli insorti irlandesi,
o i lealisti filo inglesi, e qualche stato locale, come il Perù, magari per il
traffico delle armi, che sarebbe quindi trasportate sulle navi di proprietà
dell’organizzazione.” Solo a questo punto, quando la
vampira accennò vagamente a fermare la lingua, Renèe riuscì a zittirla,
allibita dalle capacità di indagine della sua collaboratrice. “AnneLiz, avevo
detto Connor, non Condor. Connor, l’armatore irlandese che viene qua due volte
a settimana! Connor, AnneLiz, Connor.” Frau Blucher ebbe la tentazione di
spiegarsi in qualche modo, ma preferì tacere: mimò una parola con la bocca,
fece un vago cenno con una mano ed in ordine e silenzio si ritirò, sparendo tra
i faldoni dell’Archivio Segreto. Un’altra piccola avventura kafkiana nei
meandri della burocrazia della MeilenHaus. La Señora decise di dimenticare totalmente la conversazione ed andò a
riprendere in mano i fascicoli del giorno precedente domandandosi cosa, oltre
alla famiglia, Herr Hitler avesse di così particolare per suscitare tanto
interesse da parte del vecchio Ford, di mister Kennedy e degli altri ricchi
gringos. Sorpassò la lacrimosa vicenda della duplice bocciatura da parte di
un’Accademia d’arte a Vienna, saltò le brevi vicende militari e arrivò
direttamente al dopoguerra·. Il 5 gennaio 1921 un ferroviere, Herr Anton Drexler, aveva fondato
a Monaco la Deutsche Arbeiterpartei (Partito dei Lavoratori Tedeschi), un
gruppo politico di origine operaia, anticapitalista, antisocialdemocratico,
nazionalista e di orientamento antisemita, che godeva dell'appoggio di circoli
militari locali e si riuniva nelle birrerie della capitale bavarese. Ne
facevano parte, fra gli altri, il giornalista Dietrich Eckart, e il capitano
Ernst Röhm· (membri
della Loggia Thule, specificava il dossier). Nel luglio di quell’anno il dipartimento
politico dell’esercito affidò ad Herr Hitler l’incarico di controllarne
l’operato ed era avvenuto l’incontro con Herr Eckart, che aveva fin da subito
visto in quel giovanotto del grande potenziale: in breve tempo prese la tessera
numero 7 del Partito ed iniziò un’impressionante carriera. A quanto pareva, grazie alle grandi capacità di Herr Hitler come
organizzatore e propagandatore, nonché come abile oratore, un ciarliero circolo
politico da retrobottega poté trasformarsi in un formidabile partito: Hitler
cominciò con l’organizzare comizi sempre più numerosi, iniziando così ad
esercitare la propria arte oratoria in un pubblico che giungeva sempre più
numeroso ad ascoltarlo. Renée ne aveva visto la foto, in calzettoni e calzoncini
corti, con quei baffetti anacronistici in un viso smunto, e si domandò
come quell’omuncolo che pareva Charlot potesse attirare tante persone. Se lo
sarebbe chiesto spesso, molto spesso, anche negli anni a seguire. Il 24 gennaio del 1920, pochi mesi dopo il suo tesseramento,
Hitler era tra gli estensori dei venticinque punti programmatici del Partito,
tra cui, accanto al filo conduttore del razzismo antisemita, figurava il
revisionismo della pace di Versailles, l’unione (Anschluss) di tutti i tedeschi
in una grande Germania, il generico principio della “socialità”, il riarmo, le
limitazioni alle libertà di stampa e a quella artistica, e il centralismo del
Reich, secondo l’idea di uno stato gerarchicamente ordinato e autoritario,
sottoposto al principio del capo o Führerprinzip.
Poco dopo Hitler mutò il nome al Partito, che da “Partito dei
Lavoratori Tedeschi” divenne “Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori
Tedeschi” o NSDAP, diede incarico al capitano Rohm di organizzare squadroni
paramilitari, truppe d’assalto (denominate SA·,
abbreviazione di Sturmabteilungen)
formate da ex militati e membri dei corpi franchi (volontari già appartenenti
all'esercito imperiale, impiegati dal governo per reprimere l’insurrezione
spartachista del gennaio 1919 e le iniziative separatiste). Il loro scopo era
di mantenere l’ordine durante i comizi del partito e, in seguito, di disturbare
i comizi degli altri, arrivando ad impedirli del tutto o a farli sciogliere. Infine,
Herr Hitler aveva scelto l’emblema del Partito: una bandiera a fondo rosso, con
in mezzo un disco bianco sul quale spiccava una svastica nera, la croce
uncinata; a tal proposito nel “Mein Kampf” avrebbe scritto: “Nel rosso abbiamo
l’idea sociale del movimento, nel bianco l’idea nazionalista, nella svastica la
nostra missione di lottare per la vittoria dell’uomo ariano”. Questo simbolo
era un’antica immagine della tradizione indoeuropea simboleggiante la fortuna,
noto nella religione nordica per essere legato al Sole e rappresentante Thor,
il Dio del Fulmine; nelle teorie occulte della Blavatsky, era il simbolo
esoterico più importante ed emblema della razza ariana. In seguito a questa folgorante ascesa era scontato che Herr Hitler
divenisse capo del movimento, cosa che puntualmente accadde il 10 luglio 1921:
molto avevano contato i membri del Partito anche affiliati alla Loggia Thule Di nuovo questa Thule: devo ricordarmi di dare un’occhiata a
cosa sia, penso Reneè. In seguito il partito aveva assorbito vari gruppi della destra
radicale tedesca, passando da movimento prevalentemente operaio a punto di
riferimento politico di ceti medi, di ex militari e di numerosi disoccupati che
vennero inquadrati nelle SA. Con questa nuova fisionomia la NSDAP cominciò ad
ottenere finanziamenti dall’esercito, dai circoli monarchici, da editori e
grandi industriali e vide crescere il numero degli iscritti: ne erano entrati a
far parte l’asso dell’aviazione Hermann Göring, il generale Ludendorff·, il giornalista Julius Streicher·. Con tali appoggi il partito poté dotarsi
di un giornale, il “Völkischer Beobachter”, diretto poi da Alfred Rosenberg. Inoltre, in questo periodo, Hitler iniziò anche ad occuparsi di un
ulteriore allargamento della sfera d’influenza del suo partito, impegnandosi in
alleanze con altre formazioni politiche, arrivando nel settembre 1923 a
costituire una coalizione abbastanza poderosa, denominata Deutscher Kampfbund
(Unione tedesca di combattimento), diretta da un triumvirato di cui Hitler
faceva parte. Gli obiettivi della nuova organizzazione, resi noti all’opinione
pubblica, erano il rovesciamento della Repubblica e l’abolizione del trattato
di Versailles. Intanto, nello stesso periodo, i rapporti tra la Repubblica
tedesca e il Land di Baviera, erano giunti ad un punto critico, e per questo le
era stato imposto come governo un triumvirato formato da Kahr, commissario di
stato, von Lossow, comandante della Reichswehr in Baviera, e von Seisser, capo
della polizia di Stato, sui quali circolava voce che volessero far separare la
Baviera dalla Germania. Reneè ricordava quel periodo, un anno prima: tutti gli
uomini - e i vampiri - discutevano animatamente della situazione politica, una
noia terribile sentirli. Herr Hitler, a quanto pareva, maturò la decisione di prendere il
potere in Germania imitando l’Italia, dove Herr Mussolini poco prima era
divenuto Capo del Governo marciando sulla capitale con le squadracce del suo
partito e la copertura e la connivenza di gran parte dell’Esercito·. “Ridurci ad imitare l’Italia, come siamo caduti in basso
!” aveva commentato allora Herr Stroessner:
Renée se lo ricordava benissimo ! Ma per attuare una marcia su Berlino prima serviva l’appoggio
almeno della Baviera, delle sue forze armate e, in generale, di tutti i partiti
reazionari, militaristi e di destra che pullulavano in Germania. Un primo punto
a suo favore Herr Hitler l’aveva segnato coinvolgendo il generale Ludendorff,
la cui reputazione tra il corpo degli ufficiali e tra i conservatori della
Germania rappresentavano un prezioso appoggio; anche presso il suo nome compariva
il riferimento “cfr Thule” Ma cosa voleva dire ?, si
chiese nuovamente Renée. La sera dell’8 novembre 1923, mentre il Commissario di Stato Kahr
stava parlando da circa mezz’ora dinanzi ad almeno tremila borghesi di Monaco,
Hitler, indossando un’elegante marsina irruppe nella sala e sparò un colpo in
aria con la sua rivoltella. Poi comunicò ai presenti che il governo bavarese e
del Reich erano stati rovesciati e che l’esercito e la polizia stavano
marciando in città sotto la bandiera della svastica. Però, un colpo di stato basato su un bluff, pensò Renée
scuotendo la testa: mezzo troppo rischioso. Dopochè le truppe d’assalto del partito, le SA, avevano stretto
d’assedio il palazzo del Governo, Hitler invitò Kahr, Lossow e Seisser a
seguirlo in una vicina stanza e provò a convincerli ad appoggiarlo nella
formazione del nuovo governo promettendo loro posti chiave nelle alte sfere del
potere. Quando videro arrivare il generale Ludendorff, che era dalla parte
degli insorti, i tre uomini accettarono di scendere a patti con Hitler e
tornati in sala esposero una breve allocuzione dove giurarono fedeltà ai
compagni ed al nuovo regime. La folla, dopo un’iniziale smarrimento per quel
repentino mutamento dei fatti, ma soprattutto dopo aver appreso che Kahr,
Lossow e Seisser, i rappresentanti politici che essi sostenevano, si erano
uniti a Hitler, cambiò immediatamente atteggiamento e accolse la notizia con
giubilo. Subito dopo lo scioglimento della riunione Herr Hitler si
allontanò momentaneamente dalla birreria, lasciandola sotto il controllo di
Ludendorff ed al suo ritorno scoprì che i tre uomini erano fuggiti: il generale
li aveva lasciati andare contando sulla loro parola. Inizio a capire
perché la Germania abbia perso la Grande Guerra, pensò Renée divertita. Intanto, per peggiorare la situazione, le truppe d’assalto, le
quali avrebbero dovuto colpire la città in alcuni dei suoi punti vitali,
avevano fallito. Solo Ernst Röhm, a capo di uno dei distaccamenti, era riuscito
a impadronirsi di uno di questi punti, il quartier generale del Ministero della
Guerra; peccato non fosse riuscito a conquistarlo tutto e che tra le zone non
in suo potere ci fosse l’ufficio telegrafico, dal quale erano partite le
informazioni che misero al corrente del putsch tutta Berlino. Intanto il KronPrinz Rupprecht von Wittelsbach, pretendente al
trono di Baviera, aveva già fatto sapere che non aveva intenzione di appoggiare
il colpo di Stato, ed anche l’Arcivescovo di Monaco aveva auspicato il ritorno
della legalità: venivano meno quelle basi che, come più volte Hitler aveva
asserito, erano indispensabili per il successo della sua rivoluzione politica,
quali la Chiesa, la nobiltà, l’esercito, la polizia e il gruppo politico al
potere. Ludendorff propose un proprio piano che avrebbe senz’altro portato,
secondo lui, al successo senza spargimenti di sangue: loro due, seguiti dai
loro sostenitori, avrebbero marciato sulla città al fine di impadronirsene e
l’esercito, come la polizia, composto fondamentalmente da ex-combattenti, non
avrebbe mai osato aprire il fuoco su di un vittorioso generale che li aveva
guidati in leggendarie imprese durante la guerra. Pareva che Herr Hitler fosse
era alquanto scettico, ma non c’erano molte altre soluzioni. Che deprecabile improvvisazione: Renée pensò fosse stato quello
il commento del suo Karl a leggere queste notizie. La mattina del 9 Novembre, anniversario della proclamazione della
Repubblica tedesca, Hitler e Ludendorff marciarono alla testa di una colonna di
circa tremila uomini d’assalto tra i quali erano distribuite numerose armi.
Poco dopo mezzogiorno i ribelli si avvicinarono al loro ultimo obiettivo, il
Ministero della Guerra, dove Röhm era ancora asserragliato insieme ai suoi
uomini. Per arrivarvi la colonna passò per una stretta strada bloccata da un distaccamento
di un centinaio di poliziotti armati di fucili. Uno degli uomini di Hitler intimò loro di tenere abbassate le armi
perché era lì presente il generale Ludendorff. La pronuncia di questo nome non
sortì alcun effetto tra gli uomini della polizia, qualcuno aprì il fuoco:
diversi uomini furono feriti e uccisi, Herr Hitler ed Herr Hess si diedero alla
fuga, mentre Ludendorff venne arrestato sul posto. E questa congrega di sprovveduti idioti è riuscita ad
attirare l’attenzione di Mister Ford? Renée aveva le idee sempre meno chiare. A quanto pareva il processo per altro
tradimento era stato, paradossalmente, molto vantaggioso ad Herr Hitler: i
corrispondenti della stampa estera e quelli dei più importanti giornali
nazionali giunsero a Monaco per assistervi ed egli potè pubblicamente sia
gettare discredito sulle autorità che lo avevano fatto arrestare, sia
diffondere il suo nome oltre i confini della Baviera e della stessa Germania. Herr Hitler, favorito in questo dal suo
personale amico il Ministro della Difesa, poté parlare a suo piacimento in
qualsiasi momento e per tutto il tempo che voleva, controinterrogare i
testimoni a volontà, interrompere le sedute. Proclamò con orgoglio di essere
stato l’unico vero responsabile, di aver portato innanzi una rivoluzione contro
la rivoluzione masso - pluto - giudaica, contro quei criminali che avevano
pugnalato alla schiena il Reich. Il procedimento durò appena ventiquattro
giorni: per la legge il suo reato era punibile con l’ergastolo, ma ad Herr
Hitler (e così ad Herr Hess, che si era liberamente costituito alle autorità,
per condividere la sorte del suo Fuhrer) vennero inflitti solo cinque anni con
la possibilità di ottenere la condizionale dopo sei mesi. Dopo appena nove
mesi, il 7 dicembre 1924, Herr Hitler era già libero. L’ultima nota riguardava fatti di poche
settimane prima: il 26 febbraio 1925 l’uomo politico, tramite il giornale del
partito, aveva incitato gli ex membri a dimenticare i vecchi rancori ed a
riunirsi a lui nella lotta contro il Marxismo e gli ebrei. Aveva tenuto anche
un primo discorso proprio nella birreria dove era fallito il putsch e circa
cinquemila sostenitori erano accorsi, mentre Herr Rohm (l’uomo che guidava
l’organizzazione paramilitare del partito) era partito per la Bolivia. A parte quest’ultimo possibile
collegamento con Panama, rifletté Renée, tutto quello che fin’ora aveva letto
non le chiariva minimamente perché tanti importanti gringos dovessero dare
tanta fiducia a quell’accozzaglia di mentecatti, e perché questi avessero bisogno
proprio dei Nagel per uccidere quelle tre persone, lì a Panama. Aveva
preso la pista sbagliata, ammise con sé stessa in sincerità: era inutile
indagare su quel partito e sulle sue velleitarie improvvisazioni. Ma prima di
cercare in tutt’altra direzione volle dare un’occhiata a quell’altra
associazione cui aveva trovato riferimenti: la Loggia Thule. Collman
tornò a recuperare Danka, aspettò pazientemente che terminassero i soliti
stucchevoli saluti ed abbracci con Madame R. (donne ! ma perché non limitarsi ad una stretta di mano ?) e con lei
si avviò verso l’uscita. La ragazza notò subito quanto fosse distratto e con la
testa fra le nuvole ma fece finta di niente: sapeva che stava svolgendo un
lavoro molto importante per dei gringos che contavano e quindi evitò di molestarlo
con le classiche domande donnesche sul genere ‘cos’hai? perché non parli?
sei arrabbiato?’ e simili. Si
limitò a prenderlo a braccetto e ad essere orgogliosa del proprio uomo. Il
quale meditava e rimuginava, parola per parola, il telegramma cifrato che a
breve avrebbe spedito, con la stessa dedizione di un monaco che recita le Ore
Canoniche. Ma giunti alla macchina un funzionario si avvicinò e li pregò di
voler tornare sui loro passi: i Señores
gradivano conferire con loro. Cosa stava succedendo? pensò Collman,
diffidente. A quel che pareva, nulla di preoccupante: il
Tedesco e la signora Renée sarebbero stati deliziati di avere Herr Collman e la sua signora (sic!)
ospiti a cena. Questo era il tipo di invito che Collman non intendeva
certo rifiutare, pur non sottovalutandone affatto la pericolosità. Quando due vampiri ti invitavano al loro desco,
c’era da chiedersi se ci saresti andato da invitato…o da pietanza. Ma in questo caso Collman decise di mettere la
paranoia da parte, e di godersi la serata. Quello che egli minimamente non
sospettava era che non sarebbero stati gli unici invitati. Note e curiosità · Drusilla
parla citando gli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Secondo Eliphas Lévi, il famoso
occultista vissuto nel XIX secolo, i Tarocchi hanno origine dalle carte che
riproducevano i theraphim, cioè i simboli ideografici o geroglifici con l'aiuto
dei quali i grandi sacerdoti di Gerusalemme interrogavano gli oracoli. A favore
di questa tesi c'è il fatto che gli Arcani Maggiori sono 22, come le lettere
dell'alfabeto ebraico, mentre l'ipotesi cara a Court de Gébelin nel XVIII
secolo, e cioè che risalissero all'antico Egitto, non è stata in nessun modo
documentata. Secondo il grande esoterista e studioso di tarocchi Oswald Wirth, è
molto probabile che esista un'influenza delle carte ebraiche sui Tarocchi, i
quali sono però una creazione originale nata verosimilmente dalla combinazione
delle Naibi e delle carte numerali. Le Naibi, carte note in Italia nel secolo
XIV, sono 50 immagini, distribuite in 5 serie di 10 carte. Le serie
corrispondono alle condizioni della Vita, alle Muse, alle Scienze, alle Virtù e
infine ai Pianeti. Le condizioni della vita vanno dalla più umile fino al
supremo potere temporale e spirituale : il mendicante, il servo, l'artigiano,
il mercante, il gentiluomo, il cavaliere, il dotto, il re, ed infine
l'Imperatore ed il Papa. Le carte numerali vanno da 1 a 10 e comprendono 4
serie che si trovano nelle carte spagnole: coppe, spade, denari e bastoni. I
semi delle carte numerali sono assimilati ai 4 elementi: le spade all'aria
(poiché la spada turbina nell'aria), i bastoni al fuoco (sono fatti di legno,
che è infiammabile), le coppe all'acqua (poiché contengono liquidi), i denari
alla terra (poiché sono fatti dei metalli che essa cela). Gli Arcani Maggiori dei Tarocchi, che derivano dalle Naibi, sono un
insieme composito, in cui si accostano immagini di origine biblica (l'Angelo
del Giudizio, la Torre, il Diavolo), le virtù predicate dalla Chiesa (la
Giustizia, la Forza, la Temperanza), certi astri accompagnati da segni dello
zodiaco (la Luna con il Cancro, il Sole con i Gemelli), le due grandi potenze
dell'epoca, il Papa e l'Imperatore, ciascuno abbinato ad una sposa, per
fantasia, irriverenza o necessità di simmetria. L'Appeso e la Ruota della
Fortuna si incontrano spesso nell'iconografia medioevale. La prima carta, il
Bagatto, che ricorda il famoso quadro di J. Bosch, "Il
Prestigiatore", appartiene ugualmente al repertorio delle allegorie di
quel tempo. Prima di stabilizzarsi nel numero di 78 (22 Arcani Maggiori e 56 Arcani Minori), esistevano mazzi con un numero variabile di carte. Ma qualunque fosse il loro numero, le serie di simboli erano costituite con l'aiuto di immagini diffusissime. I simboli erano indifferentemente di origine laica o ecclesiastica, pagana o cristiana, colta o popolare. Sembra che l'essenziale fosse di ottenere una 'totalità' che racchiudesse l’universo. · Fraulein Kastanie in italiano si tradurrebbe con Signorina Castagna: è l’omaggio doveroso ad una persona meravigliosa, una ragazza bellissima ed un’amica splendida. · Juan
Domingo Peron (8 ottobre 1895 - 1 luglio 1974) nato in un villaggio nelle
vicinanze di Lobos in provincia di Buenos Aires, entrò nella scuola militare
all'età di 16 anni e dopo il diploma fece rapidamente carriera nei vari gradi.
Nel giugno 1943 con il grado di colonnello, svolse un ruolo di primo piano in
un golpe militare. Inizialmente sottosegretario, divenne Ministro del lavoro e
dello stato sociale nel (novembre 1943) e in seguito Vice Presidente e
segretario alla guerra. Costretto alle dimissioni dagli oppositori all'interno
delle stesse forze armate il 9 ottobre 1945, Perón fu arrestato dopo poco:
manifestazioni di massa organizzate da un sindacato portarono al suo rilascio e
gli aprirono la strada alla presidenza con il 56% dei voti nelle elezioni del
24 febbraio 1946. Nonostante le sue simpatie fasciste e
antidemocratiche (che si tradussero nell’ospitalità politica per decine e
decine di criminali di guerra, gerarchi e delle loro famiglie), Perón perseguì
una politica sociale che mirava all’aumento dei poteri della classe operaia.
Espanse enormemente il numero di lavoratori iscritti al sindacato e aiutò a
fondare la potente Confederazione Generale del Lavoro (CGT). Definì questa come
la “terza posizione”, tra il capitalismo e il comunismo, sebbene egli fosse
dichiaratamente anti-americano ed anti-britannico. Perón rivinse le elezioni
nel 1951, tuttavia i problemi economici, l’alto livello della corruzione e i
conflitti con la Chiesa Cattolica contribuirono alla sua destituzione con un
colpo di stato militare nel settembre 1955. Si recò in esilio in Paraguay, da
dove infine riparò a Madrid. Sposò la cantante di un night club, Isabel
Martínez de Perón nel 1961. In Argentina, gli anni 1950 e 1960 furono segnati da frequenti cambi di governo e da un’insufficiente crescita economica, con continue rivendicazioni sociali e sindacali. Il 1 marzo 1973 si tennero in elezioni generali e anche se a Perón fu impedito di concorrere, gli elettori votarono come Presidente una sua controfigura, Héctor Cámpora, che si dimise nel luglio 1973. A quel punto la confusione era tale che da più parti di invocava il ritorno di Perón, che tornò al suo paese natale e vinse, divenendo Presidente per la terza volta con sua moglie Isabel nel ruolo di VicePresidente. Nel tentativo di ristabilire l'ordine pubblico, il governo deliberò alcuni provvedimenti di emergenza ma a meno di un anno dalle elezioni Perón morì e gli successe la moglie Isabel. Quest'ultima fu rovesciata da un golpe il 24 marzo 1976 e sostituita da una giunta militare. · Le Corbousier (vero nome
Charles-Edouard Jeanneret) nacque il 6 ottobre 1887 a La Chaux-de-Fonds
(Svizzera). Studiò alla scuola d'arte, orientandosi poi verso
l'architettura (ma, oltre che architetto, fu anche urbanista, pittore, scultore
e scrittore). Dal 1906 al 1914 viaggiò in numerosi paesi d'Europa, soggiornando
soprattutto a Vienna e poi a Berlino dove, nello studio di Peter Beherens,
conobbe Gropius e Mies Van der Rohe. Solo intorno al 1920 cominciò realmente a
lavorare come architetto: quasi da subito osteggiato dagli accademici per il
suo presunto stile rivoluzionario, viene successivamente riconosciuto a livello
mondiale, lasciando una traccia indelebile e profonda nelle moderne concezioni
architettoniche ed urbanistiche. Il suo sistema progettuale è improntato
all'uso di sistemi razionali, con moduli e forme estremamente semplici, secondo
i principi del ‘Funzionalismo’. Nella sua infaticabile sperimentazione riuscì
anche a toccare gli estremi opposti in una varietà di linguaggi plastici, come
testimoniano le ville La Roche-Jeanneret e Savoye (1929 e 1931), ‘l'unite d’abitation’
di Marsiglia (1947/52), La Cappella di Notre-Dame-Du-Haut sulla sommità di una
collina che domina la borgata di Ronchamp( 1950/54), il convento dei domenicani
La Tourette, La Maison De L'homme a Zurigo e L'ospedale di Venezia. Negli anni Trenta pubblica “Verso una Architettura”, il libro d'architettura più importante della prima metà del secolo scorso, un esplosivo manifesto in cui sostiene che l'impegno nel rinnovamento dell'architettura può sostituire la rivoluzione politica, può realizzare la giustizia sociale. Nel libro tratta dei ‘cinque punti di una nuova architettura’ applicati con intenti teorematici in una delle opere più importanti del razionalismo architettonico: villa Savoye a Poissy del 1929. Nel 1927 vinse il primo premio in un concorso internazionale di idee per il progetto (mai realizzato) del palazzo della Lega delle nazioni di Ginevra. Nel 1932 fu costruito a Parigi il Dormitorio Svizzero della Citè Universitarie e nel 1936 Le Corbusier progettò la sede del Ministero dell'educazione del Brasile a Rio de Janeiro. Fra i progetti di pianificazione urbanistica elaborati da Le Corbusier meritano di essere ricordati quello di Algeri (iniziato nel 1930), di San Paolo, di Rio de Janeiro, di Buenos Aires, di Barcellona (1933), di Ginevra, di Stoccolma, di Anversa e di Nemour (1934). Morì nell'agosto del 1965 a Roquebrune, in Costa Azzurra. · Voltaire
(vero nome di François Marie Arouet) nacque a Parigi nel 1694. Ultimo figlio di
un ricco notaio del Châtelet, crebbe in un ambiente borghese colto, compiendo
gli studi presso i gesuiti del collegio Louis-le-Grand. Rientrato a Parigi dopo
un breve soggiorno in Olanda compose poesie satiriche che gli crearono qualche
guaio; una satira politica sul regno di Luigi XIV gli costò undici mesi di
prigione alla Bastiglia (1717-18). Il successo della rappresentazione della sua
prima tragedia, “Œdipe” (1718) gli aprì l'accesso all'alta società. Nel 1726,
dopo una breve permanenza nella Bastiglia, andò in Inghilterra, dove rimase
circa tre anni: un cambiamento profondo si operò nella sua vita e nella sua
cultura, a contatto con una società di nobili, di poeti e di filosofi
(Congreve, Walpole, Swift, Pope, Berkeley) espressi da una società
anticlericale e massonica, avversa alla Francia e alla sua monarchia. Da allora passò la vita girovagando tra Francia, Svizzera e Germania, ogni volta credendo di trovare uno stato abbastanza tollerante da sopportare tutti i suoi arguti sberleffi ad ogni istituzione vigente, tutte non abbastanza razionali, a suo dire. Mescolando sapientemente verità a menzogne, notizie prive di fondamento con dati inoppugnabili, si dedicò a demolire con vigore tutti coloro, fossero altri filosofi, uomini di stato, religiosi, uomini politici, che si opponevano alle sue idee. Attaccò indistintamente ebrei, cattolici e musulmani, il Re di Prussia e quello di Francia, il Papa e la chiesa ortodossa, Leibnitz e Rosseau, la monarchia assoluta e i parlamenti locali: nota la sua massima “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Tra le sue opere più famose ci sono “Lettere filosofiche” (1733), “Maometto ovvero il fanatismo” (1741), “Il secolo di Luigi XIV” (1751), “Micromégas” (1752), “Saggio sui costumi” (1756), “Candido ovvero l'ottimismo” (1759), “Dizionario filosofico” (1764). Un clima più favorevole, instauratosi a Parigi dopo la morte di Luigi XV e con l'assunzione della carica di primo ministro da parte di Turgot, gli permise infine di ritornarvi per assistere al trionfo della rappresentazione di “Irène” (marzo 1778) e a quello suo personale, tributatogli dalle folle. Morì di lì a poco, senza ottenere il diritto di sepoltura a Parigi, dove i suoi resti furono trasferiti nel Panthéon per decreto della Costituente rivoluzionaria. · Le informazioni seguenti sono tratte da “Hitler” di J. Fest, 1999, Garzanti · Ernest Rohm nacque in Baviera, nel 1887. Nel 1923 prese il comando delle SA (Sturmabteilungen, reparti d'assalto), che consistevano nel braccio armato del Partito nazista. Dopo il fallito tentativo dei nazisti di conquistare la Baviera con il colpo di stato di Monaco nel 1923 si trasferì in Bolivia per sfuggire all’arresto; tornato in Germania nel 1931 su invito di Hitler, Rohm fu rinominato capo delle SA. Quando i nazisti, nel 1933, riuscirono a conquistare il potere in Germania, Röhm insistette affinché il controllo dell'esercito venisse affidato alle sezioni d'assalto (le sue SA) e si schierò con l'ala più a sinistra del partito, che si opponeva ai ricchi conservatori seguaci di Hitler. Per ottenere il pieno sostegno dell'esercito e degli industriali, Hitler fece uccidere Röhm e numerosi altri capi delle SA nella notte fra il 30 giugno e il 1° luglio del 1934, la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”. · SA cioè Sturmabteilungen, reparti d’assalto, chiamate anche Camicie Brune, furono istituite da Hitler nell’aprile del 1922 con un effettivo di 6000 uomini. In seguito Röhm ne prese il comando e tese a farle diventare sempre più indipendenti dal partito nazista: per questo nel 1925 Hitler creò le SS come forza alternativa di sicurezza alle SA e Röhm fu allontanato dal Reich. In seguito più volte le SA si ribellarono e Röhm ne venne rimesso al comando nel 1931, riscattandosi agli occhi dei vertici nazisti sabotando gli esponenti del partito comunista in vista delle elezioni. Sia l’alto comando dell’esercito sia i vertici delle SS, capitanate da Heinrich Himmler, ritornarono però ostili nei confronti di Röhm, che voleva creare un ‘esercito di popolo’, e nel giugno del 1934 vennero diffuse voci su un piano di Röhm per un colpo di stato. Nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio, durante la cosiddetta “Notte dei lunghi coltelli”, Röhm e molti ufficiali delle SA furono uccisi. Le truppe furono disperse o inglobate in altre polizie naziste. · Erich
Ludendorff (1864-1937) si fece presto strada nell’esercito grazie alla sua
straordinaria abilità, che ne fece il pupillo dei generali von Molke e di
Schlieffen. Dal 1903 al 1913 si occupò della modernizzazione dell’esercito e
allo scoppio del conflitto organizzò la presa di Liegi, che gli valse i
complimenti dello stato maggiore. Dopo le gloriose vittorie di Tannenberg e dei
laghi Masuri, che videro i tedeschi travolgere le armate russe, mettendo in
ginocchio la Russia, Ludendorff, che ne fu l’artefice con Hindenburg, ottenne
grande fama e prestigio, fino ad assumere il comando supremo dell’esercito
assieme allo stesso Hindenburg, con il quale venne a formare un binomio in
grado quasi di scavalcare l’autorità del Kaiser in persona in merito alle più
importanti decisioni politico-militari. Sostenitore della guerra sottomarina
indiscriminata e artefice delle grandi offensive del 1918, si dimise
dall’esercito nello stesso anno, ritirandosi in Svizzera. Credendo fermamente nell’occultismo entrò
nelle Loggia Thule, cui portò svariati fondi tramite le sue amicizie
importanti: sarà uno dei promotori del putsch del 1923, marciando alla testa
del corteo. Successivamente abbandonerà i nazisti per diversità ideologiche:
Hitler aveva iniziato a mettere in secondo piano le componenti esoteriche, pur
perduranti, rispetto all’impostazione programmatica politica, mentre Ludendorff
era di parere opposto. Fondò così un suo partito, il “Tannenberg Bund”, che
alle elezioni presidenziali del 1925 prese l’un per cento, non contò mai nulla
nella vita politica tedesca e sopravvisse fino alla morte del Generale nel
1937. Nel 1933 scrisse al Presidente del Reich il generale von Hindenburg, che si era visto costretto a nominare Cancelliere Hitler, un famoso telegramma: “Nominando Hitler cancelliere del Reich tu hai posto la nostra sacra madre patria nelle mani di uno dei più astuti demagoghi di tutti i tempi. Io prevedo che quest’uomo diabolico sprofonderà il nostro Reich nell’abisso e procurerà al nostro popolo immani sofferenze. Le generazioni future malediranno il tuo nome.” Per gli occultisti intransigenti come lui Hitler era un demagogo perché aveva messo in sordina l’esoterismo a favore di un nazionalsocialismo “popolare”. · Julius
Steicher nacque nel 1885 ad Augsburg in Baviera. Maestro elementare a
Norimberga partecipò alla I guerra mondiale meritandosi diverse medaglie al
valore: dopo la guerra, nel 1919, fondò il Partito Socialista Tedesco che fece
confluire nel Partito Nazionalsocialista nel 1922. Benché fosse uno dei primi
nazisti durante tutta la carriera ebbe pochi e marginali incarichi politici. Fu
gauleiter (capo regionale del partito) della Franconia dal 1928 sino al 1940. Per
tutto il periodo nazista fu semplice deputato al Parlamento ed ebbe il titolo
onorifico di Obergruppenführer delle SA. Personaggio apparentemente marginale
dell'apparato nazista ne rappresentò un anello fondamentale. Sin dal 1922 Streicher di dedicò al giornalismo
fondando nel 1922 il ‘Der Stuermer’ di cui fu editore e poi proprietario. Nel
1933 fondò il quotidiano regionale della Franconia ‘Fraenkische Tageszeitung’ e
attraverso il ‘Der Stuermer’ Streicher scatenò una azione di propaganda
antisemita senza precedenti per continuità e virulenza. Di fatto l'apparato
nazista ufficiale si dissociò costantemente dalle affermazioni pubblicate da
Streicher, ma la grande diffusione del giornale fu strumento per mantenere alto
l'odio verso l'ebraismo: un comodo organo non ufficiale in grado di veicolare
il verbo nazista. Nel 1935 fu strenuo promotore delle Leggi di Norimberga. Nel 1940 fu destituito da gauleiter della Franconia a causa del suo coinvolgimento in reati di corruzione riguardanti gli espropri di attività industriali di proprietà ebraica. Alla fine della guerra venne arrestato dai soldati statunitensi. Sottoposto a giudizio nel processo agli alti gerarchi nazisti venne condannato a morte e impiccato il 16 ottobre 1946. · La Marcia su Roma, compiuta il 28 Ottobre 1922, permise a Benito Mussolini di essere nominato Capo di un governo di coalizione composto dal Partito Fascista (con solo tre ministri più Mussolini stesso), dal Partito Popolare, dal Partito Democratico, dal Partito Liberale, dal Movimento Democratico Sociale e dal Partito Nazionalista. Il dibattito su come si svolse la Marcia su Roma, sullo Stato d’Assedio dichiarato e poi ritirato e sulle amicizie militari e politiche di cui si avvalsero i fascisti è troppo ampio per essere riportato qui. Valga però quanto disse il più decorato militare italiano, il Generale Armando Diaz - l’uomo che aveva sfondato a Vittorio Veneto assicurando la vittoria nella Prima Guerra Mondiale - al Re Vittorio Emanuele III circa la possibilità di impiegare soldati contro i fascisti: “Maestà, l’esercito farà il suo dovere, ma sarà meglio non metterlo alla prova”. |