C’era tra noi un gioco d’azzardo,

ma niente ormai nel lungo sguardo.

Spiega qualcosa, forse soltanto …

certe parole sembrano pianto.

Sono salate, sanno di mare,

chissà tra noi se si trattava d’amore.

Ma non parlo di te, io parlo d’altro:

il gioco era mio, lucido e scaltro.

Io parlo di me, di me che ho goduto,

di me che ho amato e che ho perduto.

 

“Gioco d’azzardo”

Paolo Conte

“Appunti di viaggio”, 1982

 

8. Tenera è la notte

 

 

 

“Papà … bussano.”

Jacob van Swaneburg sollevò infastidito un sopracciglio, mentre si accingeva alla consueta preghiera serale prima della cena. La più piccola dei suoi sette figli insistette. “Bussano !”

“Vado io.” intervenne sua cognata Marthe. Il reverendo calvinista la fissò, seccato. La giovane donna olandese, giunta dalla madrepatria solo due anni prima, alla morte della moglie di lui, per aiutarlo nella cura della sua numerosa famiglia e della sua comunità, conservava nel portamento eretto, malgrado i modesti abiti grigi, ed i capelli castani severamente raccolti in una crocchia, un qualcosa che il pastore non avrebbe esitato a definire ... impertinenza.

Non ne aveva nessun diritto. Presto si sarebbero sposati, e ci avrebbe pensato lui a spegnere per sempre quelle velleità. A favore e contro l’antica usanza di maritare le sorelle delle spose defunte c’era ogni genere di scrittura. Nel caso di Enrico VIII il tema aveva fatto rotolare teste. Per il pastore parlava però la tradizione. Lui era un uomo rispettabile, non poteva tenersi in casa una giovane donna in età da marito e non sposarla. La loro ambigua situazione era già durata fin troppo, e gli pesava, eccome se gli pesava, specie da quella volta che l’aveva sorpresa in piena notte a farsi il bagno in cucina, nella pesante tinozza …

Scosse il capo, piano, inorridito con se stesso. Quel genere di pensiero non poteva che nuocere alla sua anima immortale. Non più di tanto, peraltro, perché lui era un predestinato alla salvezza, naturalmente. Su di lei, non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, malgrado l’abnegazione e la modestia con la quale si prendeva cura di lui e dei suoi. Ma, si sapeva, era donna.

Marthe si aggiustò inconsapevolmente i capelli. Non che ci fosse nulla da aggiustare, visto la severissima acconciatura, ma era un gesto istintivo che nemmeno i sermoni del suo futuro marito avrebbero potuto cancellare.

E poi aprì.

Un uomo le sorrise.

Un uomo elegante, con denti piccoli e bianchi alla luce che proveniva dalla stanza, e occhi intensi, sicuramente chiari, infossati sotto sopracciglia scure. I capelli neri erano debitamente lisciati con la brillantina, all’indietro.

“La signora van Swaneburg ?” chiese l’uomo, educato.

“No, sono sua sorella. Chi lo desidera ?”

L’uomo accarezzò piano la tesa della paglietta che portava tra le mani, perfettamente intonata al suo completo beige. “Posso entrare ? Sono un suo fedele. Ho bisogno di un suo consiglio spirituale …”

Marthe esitò.

Chiamatelo istinto.

O forse solo educazione. Non avrebbe disturbato la preghiera del Pastore per nulla al mondo. Non si poteva certo dire, dopo quei due anni, che non lo conoscesse. E per nulla al mondo si sarebbe dimostrata inferiore a quella sposa perfetta, intonsa, che era stata sua sorella.

“Chi è, Marthe ?”

Il porco nemmeno alza il culo per venire a vedere, rifletté Spike, divertito. Scommetto che non si è ancora pappato il cioccolatino, il coglione …

“Reverendo, è un vostro fedele. Dice che ha bisogno di un consiglio spirituale.”

Lanciando uno sguardo pieno di rimpianto all’ottimo pasticcio di carne che si stava raffreddando in tavola, van Swaneburg si alzò. Era un uomo di statura superiore alla media, corpulento senza essere grasso. Quando si alzò in piedi, sembrò riempire la stanza. “‘Sti stronzi che sembrano degli armadi, pensò Spike, come se non li conoscessi … bene. Si credono dei padreterni. E poi crollano chiedendone ancora …”

“Sono a vostra disposizione. Ma non mi pare di avervi veduta alla funzione, signor…”

“Nagel” rispose Spike. “E … no. Sono appena arrivato dall’Inghilterra.”

“Siete inglese ?”

“Mia madre era scozzese.” sorrise il vampiro. “Ma personalmente sono una specie di cittadino del mondo. Ho abitato ovunque, anche in Cina. E ho fatto un sacco di affari.

“E’ questo che vi turba ?” chiese il pastore. “Mi rendo conto che il successo nelle cose di questa Terra può seriamente mettere in pericolo la vostra anima immortale. Vogliamo parlarne?”

“Della mia anima immortale ?” sorrise Spike, beffardo. “Perché no ? Parliamone. L’argomento è stuzzicante. Ma non qui. Non vorrei annoiare a morte la vostra famiglia.”

“La mia famiglia è avezza a questo tipo di considerazioni.” concluse freddamente il reverendo: il tipo non gli piaceva per niente. E non gli piacevano le occhiate che lanciava a Marthe. E se fosse stato un suo pretendente ? Il reverendo scosse il capo, nuovamente irritato con se stesso. La sola idea era talmente assurda da non meritare di essere formulata. “Ma potete seguirmi nel mio studio. Marthe, servi pure la cena ai bambini.”

La giovane donna chinò il capo, ubbidendo. E non tralasciando un’occhiata in tralice, da sotto le ciglia, allo straniero.

Spike sorrise. Quella ragazza, con il suo modesto costume grigio, gli ricordava le donne degli harem, nascoste in informi caftani. La loro apparente riservatezza era invece così deduttiva … Spike odiava istintivamente l’idea di creare dei childe, non l’aveva mai fatto, fino ad allora, al contrario di Angelus. Ma si chiese fuggevolmente cosa ne sarebbe venuto fuori …

La salutò decorosamente, con un sorriso, e seguì il reverendo nel suo studio, una piccolissima stanza imbiancata a calce. Sulla scrivania, in bell’ordine, stavano degli ordinatissimi dossier. Muy bueno. Per una volta il Tedesco sarebbe stato contento. Se li sarebbe portati via.

“Dov’eravamo rimasti ?” chiese il reverendo.

“A te … coglione !” replicò Spike, scivolando con facilità nel volto della caccia e prendendo il reverendo per la gola.

Il poveruomo non ebbe nemmeno la forza di rantolare. Spike lo inchiodò con una mano alla parete, sollevandolo senza sforzo grazie alla sua forza ultraterrena, e quindi frantumò con gioia il suo grasso collo.

 

 

“Tutto bene ?” chiese la giovane donna, curiosa, al vedere l’ospite uscire dallo studio, da solo, non un capello fuori posto.

“Avete una valigia ?” le chiese lui, lanciando uno sguardo perplesso alle sette piccole facce che lo fissavano curiose da sopra le scodelle fumanti.

Marthe inclinò il capo, sorpresa. Ma era talmente abituata a far fronte al potere maschile, che non esitò. Cercò nel sottoscala e vi trovò una vecchia valigia di cartone pesante.

“Perfetto.” replicò Spike. “Metteteci la vostra roba. Andiamo via di qui.

Nemmeno un Rimbaud avrebbe saputo descrivere la faccia della ragazza.

Lo guardò.

Guardò i suoi sette nipoti.

Ascoltò l’inquietante silenzio proveniente dallo studio.

Guardò per l’ultima volta il ritratto sbiadito di sua sorella sopra il camino, e pensò alla vita che le si prospettava. La sbiadita copia della vita che era appartenuta alla morta, ma mai davvero sua. Mai davvero.

“Zia …”sussurrò la più piccola, spaventata suo malgrado, ma troppo ben educata per scoppiare in lacrime davanti ad un estraneo.

Marthe si sollevò. E si lisciò il grembiule.

E poi prese la valigia. Spike vi gettò le carte che aveva trovato. Lei, un diario scritto su carta consunta e un paio di piatti di ceramica portati con sé dall’Olanda.

La chiuse con un gesto secco e lo seguì fuori, nella notte.

Tornato alla Meilenhaus, Spike fece dire alla povera Madame R. di non scomodare i suoi più mirabolanti piaceri.

Per quella notte, aveva già la sua ricompensa.

   

 

Una notizia simile non poteva passare inosservata, come nulla passava inosservato nella MeilenHaus., soprattutto quando si trattava di così palesi violazioni del regolamento.

La MeilenHaus era un immenso bordello, certamente, e la prostituzione si esplicava in ogni modo immaginabile; ogni tanto c’erano esecuzioni sommarie ed il sangue scorreva a fiumi; il Señor non era proprio un filantropo ed i quadri dirigenziali non assomigliavano affatto a quelli dell’Esercito della Salvezza, ma quel luogo aveva una sua dignità: la MeilenHaus non era un albergo ad ore dove si potevano portare impunemente puttane di strada!

Oltretutto era anche un palese sgarbo nei confronti del gestore e della merce in vendita: l’offerta della Cacciatrice non gli era andata decisamente bene, ipotizzò Madame R. alla notizia; che stesse perdendo la mano nel capire i desideri dei clienti?

Quel vampiro cercava proprio guai, penso Herr Thugut quando fu informato delle mosse di Herr Nagel dai piantoni di guardia all’ingresso. Cosa ci tocca sopportare, borbottò Stroessner, informato dall’autista dell’auto che Spike aveva impiegato. Questa donna è una signora per bene, concluse Viktor dalle descrizioni che gli fecero le cameriere che si occupavano dell’alloggio dei vampiri inglesi.

“Qualcosa non va?”domandò il Tedesco a Renée, mentre questa leggeva il biglietto che le era giunto. Interrompere la loro cena solo perché quel vampiro aveva fatto uno sgarro alla regola? Il suo Karl quella sera era già taciturno ed ombroso per chissà quale motivo, meglio non farlo innervosire ulteriormente.

“Nulla di irreparabile, ed inoltre Nagel è già di ritorno, ed ha con sé una grossa borsa: immagino ci sarà dentro quello che Collman desidera.”

Quanto alla donna … non era affare suo, c’era un servizio d’ordine che se ne doveva interessare: domani all’alba, durante la solita riunione, Stroessner avrebbe informato Karl sulle generalità dell’ospite.

 

 

Marthe era stata introdotta nell’ampia suite occupata dal signor Nagel….e dalla sua signora.

La giovane protestante aveva deglutito un paio di volte.

D’accordo, sapeva dal momento stesso in cui aveva acconsentito ad andare via dalla casa del Pastore che la sua vita non avrebbe più camminato lungo le rotte parallele del Bene e della Virtù, ma questo…quanto meno si era attesa che il signor Nagel fosse un uomo libero. Che lui avesse una moglie, e che lei acconsentisse a vedersi portare straniere in casa, beh, la stupiva e non poco.

D’improvviso le giunse alla mente la più logica (ed improbabile) delle soluzioni: il signor Nagel era davvero il suo salvatore, e la sua dolce moglie inglese collaborava con lui nel salvataggio di zitelle inaridite da un destino (protestante) peggiore della morte. Tale collaborazione si sarebbe risolta nel trovarle un idoneo marito, magari un elegante sudamericano, disposto a sfoggiarla come trophy wife in esotici viaggi su transatlantici dai nomi di regine.

Qualcosa negli occhi viola della Señora smentì quest’idea.

Occhi profondamente adirati. Ma non per il motivo che poteva immaginare lei.

Dru indossava una vezzosa camicia bianca pressocché trasparente, e solcava la stanza con lunghi passi nervosi. La sua pièce non aveva nulla da invidiare a quella di un’attempata attrice inglese in uno di quei drammoni anglo – indiani alla Somerset Maugham·.

Di solito, in quelle storie, signore di facili costumi ma di cristallina quanto immeritata reputazione in società seducevano giovani avventurieri di belle speranze, inevitabilmente frantumando loro il cuore. Purtroppo mai Marthe aveva letto quei libelli immorali, per cui la comparazione andò ai suoi occhi del tutto perduta.

“Perché l’hai portata qui ? Perché quei capelli? Cosa credi di dimostrarmi ?”

“Dru, tesoro, pensavo che la novità ti stuzzicasse …”

Non mi piace per niente.

“Dru, stella, è solo per una notte …”

Dru si fermò. Guardò la ragazza dall’alto in basso. I suoi capelli castani, rigidamente raccolti in uno chignon. Il suo abitino modesto, nero. I suoi occhi nocciola.

E le sue lunghe gambe da nordica.

“Intendo disinteressarmene.

Era almeno dalla conversazione con Renée che Dru sembrava di cattivo umore, e nulla poteva sorprendere Spike di meno. Definire umorale la sua compagna era d’obbligo. Anche nelle ore trascorse nella fumeria d’oppio la vampira aveva messo in luce una vena quantomeno malinconica. Avrebbe dovuto immaginare che portarle in casa una ragazza di quel tipo non l’avrebbe rallegrata.

Ma cosa fatta capo ha, e poi lui era mica il suo cavalier servente … quantomeno, non sempre. In quanto vampiro e in quanto William the Bloody rivendicava una punta di sano egoismo. La ragazza aveva avuto fegato e gli piaceva. Se a Dru non interessava, se la sarebbe pappata lui.

Perciò ignorò Dru che, a bella posta, si sdraiava su di un’agrippina con un mucchio di riviste di moda parigina, e si avvicinò alla ragazza.

“Vino ?” le chiese, e lei annuì, secondo la ben nota corrente di pensiero per cui se devi peccare, fallo che meriti.

Mentre lui le serviva il vino bianco e frizzante in bicchieri bordati d’oro zecchino, Marthe rifletté che la vita condotta per tanti anni nel suo piccolo villaggio in Olanda e quindi lì nelle Americhe, accanto all’austero Pastore, sembrava già svanita. Ogni notte, per anni, nel coricarsi nella sua stretta branda aveva pensato che ne sarebbe morta di noia. Eppure, non c’era fuga. L’idea stessa della fuga era semplicemente impensabile. Fino a quando un uomo con occhi non dissimili da quel chiaro spumante frizzante le aveva gettato le chiavi della sua prigione.

Un uomo ?

Era certa che i suoi occhi erano stati dorati, ma ora erano blu, blu notte. Mentre lei sollevava il vino, fresco e delizioso alle labbra, le parve di rivedere quel lampo d’oro.

Stava per chiederglielo, quando lui le tolse il bicchiere di mano. Gentilmente. Cominciò a mordicchiarle il collo, piano, e a Marthe venne da ridere. Ma probabilmente era solo l’effetto del vino.

L’immagine di sua moglie, la bella donna dai capelli neri e gli occhi viola, tutta assorta nelle sue riviste, gelò la sua ilarità. Davvero egli intendeva sedurla davanti a sua moglie ?

Spike annuì, lasciando che le sue agili dita giocassero con l’allacciatura del suo vestito.

“Ignorala, Marthe.” le disse. “Dru è stanca. Si unirà a noi solo quando lo vorrà.”

“Ma …”

“Stai tranquilla. La cosa non la turba minimamente. Non siamo come l’altra gente, noi.

Ah, questo l’aveva capito. Stupida non era. Inesperta, forse…ma non stupida.

Cosa diavolo erano ?

Il vino le faceva pizzicare il naso e le andava alla testa. Lui era vicino, e aveva un buon profumo pulito, quasi … sterile. Il Pastore avrebbe approvato. Ovviamente il pensiero portò un nuovo scoppio di risa.

“Vieni, tesoro.”

La voce dell’uomo era tenera. Marthe si lasciò avvolgere dalle sue braccia. Era un po’ – di un paio di centimetri - più alta di lui, ma la cosa non sembrò disturbarlo. Lei sorrise e volteggiò in una specie di valzer, che ovviamente non sapeva ballare. Ma lui era un ballerino provetto, e ballarono senza musica.

Quasi senza accorgersene, Marthe uscì fuori dal suo abito. Sotto indossava dei mutandoni già fuori moda all’epoca di sua nonna ed una camiciola, contro cui premevano i suoi capezzoli eretti. Ed era bella. Una bellezza senza fronzoli, per niente nevrotica, anni luce dal donnino elegante e fine che riposava sulla vicina agrippina. Una bellezza tutta nordica di gambe lunghe, snelle, fianchi solidi, lunghe braccia, lineamenti netti, capelli fini.

“Chiamami Spike.” disse lui, e lei di nuovo rise. Non ignorava il significato di quel nomignolo.

Dru prese un’altra rivista, sbadigliando.

Spike la prese in braccio senza apparente sforzo, e lei ansimò per la sua forza inattesa. Non era una donna leggera, probabilmente pesava più di lui, tra ossa e muscoli. Ma lui sembrava reggerla senza sforzo. Con cura, il vampiro la poggiò delicatamente sull’ampio letto, come un devoto sposo la notte delle nozze.

“Mia cara, la notte è tutta per noi. Finalmente.

Era un dialogo assurdo, date le circostanze, ed a Marthe venne di nuovo da ridere, ma si trattenne. Gli occhi, ora blu cielo, del vampiro erano serissimi. Egli spense l’abatjour, e Dru, seccata, accese una luce nel suo angolo: non riusciva più a leggere bene.

Nella zona notte, invece, c’era una felice penombra.  Marthe ebbe la stranissima sensazione di essere su una specie di palcoscenico in ombra. Dru, a pochi passi da loro, era in un’altra pièce, completamente diversa, anni luce da loro. Ed appena al di là del cerchio di buio, c’era il loro pubblico. Il Pastore era in prima fila, ovviamente.

La rappresentazione stava per cominciare.

Spike si tolse giacca e camicia, e restò in pantaloni. Marthe trovò cortese togliersi la camiciola. O forse avrebbe dovuto iniziare dai mutandoni ? L’espressione compiaciuta del vampiro le disse che non aveva sbagliato.

Spike si chinò su di lei e le chiuse i seni con le mani. Marthe ansimò. Oh, che deliziosa sensazione ! Lui le massaggiò i seni, e poi prese i capezzoli tra pollice ed indice, ruotandoli e sfregandoli piano. Erano già durissimi. La ragazza era prontissima.

Si chinò per pescare qualcosa in un cassetto. Rovistò un attimo e poi trovò quel che cercava.

Marthe seguì il suo sguardo. Era improvvisamente lucidissima … e sempre esilarata. Si chiese se aveva messo qualcosa nel vino, ma poi si disse che non ne avrebbe avuto né bisogno né desiderio. Era già curiosa ed eccitata così di suo.

Spike le mostrò i due piccoli oggetti. Sembravano mollette da bucato, ma erano piccole, di forma arrotondata. E di pelle di alligatore.

La bocca di Marthe di spalancò in un “O” di sorpresa.

Un giorno Spike avrebbe conosciuto una ragazza che, quando veniva, spalancava così tanto la bocca che ci potevi buttare dentro le chiavi della macchina e perdertele. Non sarebbero stati bei tempi.

“Cosa sono ?”

“Secondo te ?”

Lei scosse il capo. Spike ne prese una e, mentre con una mano accarezzava ulteriormente il suo capezzolo destro, rosso e dolorante, provocandole fitte profonde di piacere tra le gambe, con l’altra aprì una delle mollette. Con un gesto veloce la chiuse sul suo tenero capezzolo. I denti della molletta penetrarono un poco nella carne, ma non ne uscì sangue. Marthe gemette per il delizioso dolore.

“Sono nipple clamps. 

“A cosa servono ?”

“Oh, sono utilissime. Le terrai per un bel po’, fino a che la carne, intorno, scolorirà e diventerà quasi insensibile. I tuoi seni diverranno più pieni, e gonfi … e sensibili. Vedrai, ti farò impazzire di piacere. Quando sarà passato un po’ di tempo, te li toglierò, e allora sarà mio onere, e il tuo piacere, riportare con denti e lingua la tua povera carne insensibile alla vita …”

Marthe arrossì. Era un quadretto deliziosamente perverso.

Spike si chinò e leccò a lungo il suo capezzolo sinistro. Lei annuì, trattenendo il fiato, e lui fissò anche la seconda molletta. Aveva ragione. I suoi seni erano già più gonfi, pieni. Le facevano male. E la eccitavano da morire.

Il modo in cui lei si agitava nei suoi mutandoni di cotone non gli sfuggì. Era a dir poco rivelatore.

“Hai voglia di qualche altra novità ?” le chiese, con un sorriso che, da solo, avrebbe sgelato mezzo Artico.

Dru ri – sbadigliò.

“Oh, sì.” replicò Marthe, fissandosi nello specchio di fronte al letto.

I suoi seni, adorni delle due mollette, erano deliziosi. Il vampiro era proprio di fronte a lei, ma non lo vide nello specchio. Non si chiese né il perché né il percome. Il dolce dolore che le proveniva dal suo basso ventre la distraeva troppo.

“Spike …” gemette Marthe

“Spike !” intervenne Dru. “Falla finita. Mi stai distraendo.”

“Dolcezze, lasciatemi fare.”

Dru sollevò gli occhi al cielo, e Marthe si stese sui cuscini. Il modo in cui le mollette le tendevano i seni era osceno. Deliziosamente osceno.

Spike le tolse i mutandoni con un lungo, lento gesto pieno di reverenza. Lei sbatté le palpebre. Lui era proprio il perfetto seduttore, l’amante gentile e pieno di rispetto che ciascuna vergine sogna tra le sue candide coltri. Il principe delle favole.

Pudicamente, lei strinse le cosce. E lui, gentilmente ma con decisione, gliele allargò.

“Tesoro, tu sai, vero, come funzionano queste cose ?”

Marthe scosse il capo. Non era una sciocca, aveva vissuto in campagna tutta la sua vita, la meccanica la intuiva. Ma tra il dire e il fare …

Spike continuò a rovistare nel suo cassetto.

“Girati.” Le sussurrò, con un sorriso. Marthe si chiese cosa avesse in mente, ma non discusse. Era o non era una donna perduta ?

Le venne di nuovo da ridere.

Sentì qualcosa di freddo scivolarle lungo la schiena. Si voltò, e colse la sua immagine nello specchio. Di nuovo fulgente, sola, anche se lui era alle sue spalle.

Sembrava una Maya desnuda dipinta dal Vermeer anziché dal Goya. Una perfetta, e nuda, ragazza senza orecchino di perle. Il tono lucente della sua chiara pelle nordica tratteneva la luce che filtrava dall’angolo di Dru. Il contatto freddo che aveva sorpreso la sua pelle era una lunga fila di biglie nere, opache.

Marthe fece di nuovo Oh.

“E quelle che diavolo sono ?”

Spike annuì. “Un aggeggio orientale. Molto piacevole.”

Lei lo fissò senza capire.

Con un dito, con decisione, Spike premette le biglie nel suo…oh, cielo. Marthe, usa l’espressione giusta, diceva sempre il Pastore, quando lei si imbambolava.

Nel caso di specie, l’espressione giusta era ano.

Una dopo l’altra. Lentamente, amorevolmente. Erano piccole, e non le fecero alcun male. Ma le provocarono una strana, piacevole tensione, una sensazione di riempimento che la lasciò basita. Lui le premette piano, una dopo l’altra, e loro si accoccolarono nel suo corpo, il loro freddo … marmo ? … a scaldarsi del calore del suo corpo.

Dopo un po’, solo un filo usciva di lì. Con un frisson Marthe capì che Spike, prima o poi, se lei fosse stata brava, avrebbe tirato il filo. Piano.

“Ti fa male ?” le chiese, dolcemente, con la sua voce bassa e roca, british, educata.

“Oh, no.” rispose.

“Bene. Girati.”

Si girò. Le perle la seguirono. Le sentì sotto la schiena. Dietro le sue cosce, dure e fredde, eppure confortevoli. Le cosce le si aprirono spontaneamente.

Spike non sprecò tempo in convenevoli. Lei era deliziosamente tesa in tutti i posti giusti. Le diede un colpetto alle mollette. E lei rabbrividì di piacere. Niente come le ben wah balls per preparare una donna a darti…tutto. Anche la parte più segreta di sé.

Si chinò, e le leccò il sesso. Piano, dall’alto in basso. Non ci volle molto. Lei era succulenta, di già.

“Vogliamo fare conoscenza ?” le chiese, sorridendo.

“Oh, sì.” replicò lei.

Spike si tolse i pantaloni. Non indossava biancheria, sotto, e la cosa non stupì Marthe. Non le sembrava il tipo d’uomo che indossa biancheria.

La sua erezione era già pronta. Marthe lo studiò con interesse, leccandosi inconsapevolmente le labbra. Grossa, aggressiva. Très jolie, come diceva la moglie francese del fornaio.

Lei era stesa su alcuni cuscini e Spike se la mise a cavalcioni, aprendole le gambe che gli circondarono il bacino. Erano uno di fronte all’altra.

Non voleva spaventarla con la solita modalità aggressiva dei cosiddetti veri uomini. Sebbene la posizione del missionario fosse universalmente la migliore per fare l’amore, Marthe lo colpiva come una donna che aveva un buon senso di sé, malgrado gli abusi psicologici cui l’aveva sottoposta il Pastore. Anzi, forse, proprio per quelli. Era qualcosa che rispettava profondamente. Nessuno meglio di lui sapeva quanti cojones ci volessero per superare indenni e con dignità situazioni difficili di abuso e predominio.

In altri tempi, Spike si sarebbe trovato lui in posizione passiva, e ne avrebbe chiesto ancora, ma quella notte era ancora relativamente libero e magnanimo. Per cui, quando la penetrò, lei lo guardò negli occhi, e si sentì sua pari. Del tutto libera.

Solo che non la penetrò del tutto. Infilò solo la punta. Marthe lo guardò, con espressione interrogativa, gli occhi fissi sul suo membro chiaramente appena inserito, non tanto da stracciare la sua (inutile e sopravvalutata) barriera.

“Perché ?”

“Tesoro, ce lo vogliamo guadagnare, eh ?”

Marthe non capiva.

Spike sorrise, e spinse piano con i fianchi. Qualche centimetro solamente. La barriera ora tendeva dolorosamente.

Dru sollevò il capo. Il profumo del sangue di lei che correva sotto la superficie, andando ad irrorare i tessuti in vista dell’invasione, attirava inesorabilmente la sua attenzione. Si alzò, piano, dimenticate le sue riviste.

“Andiamo.” le disse, con voce morbida, del tutto superata la sua irritazione. “Ti tengo io.”

Marthe non si oppose. Lasciò che Dru si insinuasse tra lei e la testiera del letto, prendendola tra le braccia. Sentì dietro la schiena i seni morbidi dell’altra vampira. I capelli neri di lei le scivolarono sul collo nudo, con un curioso effetto erotico. Spike aveva in mente di spiegarle, nel corso della notte, che uno dei modi sicuri per fare impazzire di piacere un uomo era avvolgere il suo membro in una fluente e profumata chioma femminile.

Dru portò le sue mani ai lati del seno di Marthe, e premette. Marthe gemette di piacere.

Poi, le mani di Dru scesero ai suoi fianchi. Piano, la vampira spinse il suo bacino verso quello di Spike.

La barriera si tese.

“Mi fa male …” Si lamentò Marthe, mordendosi il labbro inferiore.

Dru annuì. Era quello il bello. Il suo sguardo si incatenò a quello blu di Spike.

Spike avvicinò ulteriormente il suo bacino. Marthe trattenne il fiato. Sarebbe bastato poco e … il sangue sarebbe spillato.

Oh, sì.

Dru le spinse i fianchi, con dolcezza e decisione.

E Marthe emise un piccolo grido. Il membro di Spike scivolò fino all’elsa.

Era entrato.

Immobile.

Qualcosa andò alla testa di Marthe. Il profumo della donna, che la teneva così stretta a sé, quello dell’uomo, i cui occhi avevano di nuovo il bagliore dorato del vino, quello del suo sangue. Era dentro, e la riempiva, e attraverso la lieve membrana sentiva le fredde biglie dure.

Sapeva che Marthe aveva voglia di venire.

Glielo leggeva nei grandi occhi nocciola.

Si ritrasse appena. Lei ansimò una protesta.

Tornò a spingere.

Meglio.

Dru le tenne stretti i fianchi e la costrinse dolcemente a rispondere nel modo giusto a quelle spinte. E poi, quando vide la perfetta maestria con cui Spike avanzava e si ritraeva, lasciando Marthe, deliziata, a interrogarsi sul perché e il percome di quel magnifico membro insanguinato che li univa come un ponte, si alzò.

“Ho capito cosa voglio fare.” disse, un dito sulle labbra.

Spike la fissò. Si era di nuovo ritirato, e di nuovo c’era solo la punta del suo membro in Marthe. Lei aveva posato le sue braccia sulle sue solide spalle, e continuava a rimirare la loro deliziosa congiunzione. Lui stava ancora parlando, mentre  il suo bacino, d’istinto, era tornato ad affondare in lei.

“Dimmi, Dru … tesoro.”

Dru sorrise. E Spike capì.

Per fare ciò che Dru voleva, bisognava prima dare un contentino a Marthe. Do ut des, no?

Le mise le mani sui fianchi e finalmente riprese a spingere. Con decisione e ritmo. Tempo tre minuti, e sentì il lento brivido dell’orgasmo percorrerle il corpo, e i suoi muscoli interni aprirsi e chiudersi, massaggiandogli il membro. Lei crollò contro il suo volto. Le diede un piccolo, dolce bacio, leccandole le labbra. Ma non indugiò.

Si ritrasse, e la guardò.

“Ti è piaciuto, dolce Marthe ?”

Se le era piaciuto ?

Marthe lo fissò, sbalordita. Era questa la via dell’inferno ? Non c’era da sorprendersene, oh no. Se l’Inferno fosse stato noioso e sgradevole, nessuno avrebbe lasciato la via del Bene, no ?

No ?

”Io e Dru…qui…ci chiediamo se tu saresti … recettiva.”

Marthe lo fissò, senza capire. “Recettiva … a cosa?”

“Mi pare evidente.” continuò Spike. “A … qualche gioco.”

“Che tipo di gioco ?”

“Quel tipo di gioco dove … ti facciamo un po’ male.”

Marthe non aveva voglia di farsi male. Finora, malgrado il lieve dolore provato nel momento – oh, glorioso momento ! – della penetrazione, era stato tutto magnifico. Perché mai doveva farsi male ? Il suo sguardo vagò dall’uomo alla donna, e vide sui loro volti una qual certa … delusione. Che diamine, non sapeva forse stare al gioco ? Era solo una sciocca ragazza incolta, dopo tutto …

“Mi farete … tanto male ?”

“Un po’.” disse Dru. “Nulla di irreparabile. E ti daremo anche piacere. Come prima.”

“E … durerà a lungo ?”

“Solo finché lo vorrai.” sorrise Spike. “Tu inventi una parola, e quella parola diventa la nostra safe word. Appena la pronunci, finisce tutto.

“Me lo promettete ?” chiese Marthe, spaventata ma … tentata.

“Oh, sì, te lo promettiamo.” Le disse Dru, leccandosi le labbra. “E’ giusto che tu abbia un po’ di paura. Fa parte del gioco. Noi dobbiamo dominarti, e tu devi avere un po’ paura. E mai lamentarti. Se non ti lamenterai mai, ti ricompenseremo.”

“D’accordo.” disse Marthe. “La mia parola è … fede.”

“Parola adattissima.” approvò Spike. “Ho da parecchio perso la mia.

“Già.” annuì Dru, compiaciuta. “Stenditi.”

Marthe si stese. Dru si chinò e leccò tra le sue gambe i liquidi lasciati dal loro amplesso. Marthe cominciò a gemere, sebbene la lingua di Dru stesse sempre strategicamente lontana dal suo clitoride. Ma a quello ci avrebbe pensato Spike. Prese da un cassetto una specie di giarrettiera, munita di una minuscola farfallina. Con voce morbida pregò Marthe di sollevare le lunghe gambe ed infilarla. La farfallina andò a posarsi sul suo clitoride. Era un piccolo, ingegnoso meccanismo a molla, e appena Spike lo avviò, cominciò a sbattere le ali. In modo miracoloso, titillando senza soluzione di continuità il suo clitoride. Marthe venne quasi subito, con un lungo gemito di piacere.

Finora il gioco le piaceva assai.

Spike le legò le mani sopra la testa, con una striscia di seta colorata. Marthe era troppo presa dal nuovo piacere, e solo a metà del terzo orgasmo della notte di accorse di ciò che Dru aveva in mano.

Un frustino.

Oh, no … non le piaceva. Quelle cose lì facevano male, lo sapeva per esperienza diretta. Non erano giocattoli innocui e divertenti come quelli finora usati.

Ma non poteva far nulla. Aveva le mani legate e … oh … ecco in arrivo il quarto orgasmo.

“Siamo generosi, nevvero ?” commentò Spike, seduto accanto a lei, ed accarezzandole i capelli.

Dru fece scattare il frustino.

Le aprì una lunga linea di sangue nel seno, proprio attraverso i suoi capezzoli. Le mollette, sotto la pressione, premettero a fondo nella carne. Altro sangue spillò.

Bruciava come l’inferno.

Dru continuò a frustarla, e Marthe si tese per il dolore. Spike le tolse la farfallina, e le infilò due dita nel sesso, continuando a titillarla, il pollice ben aperto sul suo povero clitoride abusato e rosso e gonfio.

Quinto orgasmo.

Ogni volta era peggio. Faceva un male cane. Presto il suo petto fu tutto un incrociarsi di linee di sangue. Bruciava come fuoco. E quelle dita, sulla sua carne tenera …

Sesto orgasmo. Non ne poteva più. Stava impazzendo.

“Girala.” ordino Dru, freddamente.

Spike ubbidì, notando con un lampo d’ingordigia il sangue di lei che macchiava le lenzuola bianche.

Il giorno dopo la serva del Señor avrebbe dovuto obbligatoriamente fare il bucato.

Era un peccato sciupare tutto quel sangue, ma in fondo erano solo ferite superficiali. Ne restava a volontà.

La lasciò riposare un attimo, ansimante. Marthe si tese, pronta a nuovo dolore, ma Spike si limitò a tirare appena il filo.

Oh.

Una singola perla uscì dal rifugio segreto del suo corpo, provocandole un delicatissimo, delizioso brivido.

Ora aveva solo un desiderio: ripetere quell’esperienza, e sentire, piano, il passaggio di tutte le perle.

Spike tirò di nuovo piano il filo e …

… Dru lasciò cadere il frustino, con un colpo netto, sui suoi glutei. Proprio lì. Dove le perle riposavano, e si riscaldavano.

Urlò.

Spike lasciò uscire un’altra perla.

Settimo orgasmo. Ma mal riuscito, stanco, esausto. Non ne aveva più, in corpo, di piacere. Era sfinita. Voleva solo dormire. Voleva …

Un’altra frustrata, bruciante come un’ustione.

E poi un’altra.

E un’altra perla.

E così per un tempo lunghissimo.

Marthe iniziò a singhiozzare, confusa.

Fede …”mormorò, e poi ripeté, più decisa. “Fede …”

“Qui non ti servirà a molto.” replicò Dru, perfetta nella sua tenuta da odalisca con tanto di frustino in mano.

“Abbiamo fatto una promessa … Dru … ricordi ? Che finisse tutto.” le rammentò il vampiro.

Già. Dru sorrise.

Le si gettarono addosso, ridendo, leccandole il sangue. Ad un certo punto, la fecero voltare per pasteggiare tra i suoi seni e le sue cosce.

A Marthe non dispiacque. Oh, sì … piacevole. Le loro lingue erano avide, per niente ripugnate dal sapore e dall’odore del suo sangue. Anzi, sembravano … pungenti.

Quando si accorse che erano i loro denti … urlò.

 

 

Dru era sazia, raggomitolata in fondo al letto, un dito in bocca. Spike scosse il capo. Era la solita adorabile bambina. Dopo la pappa, le veniva sempre sonno.

Aveva scosso il capo, indulgente, mentre Dru dissanguava Marthe all’altezza delle cosce. L’aveva fermata un istante prima che le recidesse la femorale.

Che diamine, era il suo turno ! Era lui che aveva scoperto quel piccolo tesoro, no ?

Così, Dru si era subito addormentata, contenta.

Spike aveva guardato Marthe, immobile.

E l’aveva sollevata tra le braccia.

L’aveva avvolta in una coperta (la serata era calda, ma lei – così dissanguata – rischiava comunque l’ipotermia) e l’aveva portata fuori dalla MeilenHause, tra le sue braccia. Le guardie all’ingresso non avevano osato fiatare. Era notte inoltrata, e l’alba stava per spuntare. Le stelle impallidivano. Era quell’etereo momento del mondo senza regole e padroni … apparentemente.

Mentre la teneva così in braccio, senza sforzo, Marthe aprì gli occhi.

Le piaceva stare così, tra le sue braccia. Nessuno l’aveva tenuta così, mai, dopo che aveva compiuto i quattro anni. Se ne sentì confortata.

Peccato che non si sentiva più le membra, e la testa le girava.

Spike la fissò.

“Quella è la porta, Marthe. Esci con le tue gambe e…non tornare MAI più. Sei una donna in gamba. Perciò, sta alla larga da questo posto. Pensa solo al tuo futuro.”

Marthe aprì la bocca senza poter dire nulla.

Spike le mise in mano il suo Cartier d’oro. Era già qualcosa, pensò assurdamente Marthe, abbastanza per portarla via di lì, ricca solo della sua esperienza e del suo buon senso.

Se ne andò  nella notte strascinando i piedi, nuda nella sua coperta, e nessuno fece niente, né la seguì, tanto meno Spike, tranne fumarsi una sigaretta.

Marthe sapeva che non era bontà, e sapeva che lui l’avrebbe volentieri uccisa senza alcun rimorso, proprio come la sua donna dai lunghi, affilati denti.

Ma, nella loro volubilità, le due divinità capricciose quella notte erano state sorprendentemente benigne.

 

 

Poi, chi era quella donna ?” domandò ingenuamente al meeting mattutino Madame R. prendendo posto al tavolo delle riunioni rivolgendosi a Stroessner, che si girò verso Thugut, che guardò Viktor, che cercò Stroessner: evidentemente non ne sapeva nulla nessuno e il terrore puro si diffuse in quella stanza un attimo prima entrasse il Señor.

“Che donna ?” chiese Magnus mezzo addormentato nell’esatto momento in cui, alle sue spalle, il Tedesco faceva la sua comparsa. Tutti si alzarono ed attesero che il Señor si sedesse nella poltrona in pelle per mettersi comodi; alcuni, perché altri erano – per ora solo in senso figurato - sui carboni ardenti.

“Ho forse interrotto una conversazione ?” domandò il vampiro che sentiva palpabile la paura in alcuni dei suoi collaboratori.

“Madame voleva avere informazioni su una donna.” rispose Magnus, trattenendo uno sbadiglio, senza avere idea di quello che stava scatenando.

“Volevo solo sapere chi era la donna che Nagel ha portato ieri qui. Mi ha fatto sapere che non aveva bisogno dei servizi delle mie ragazze.”

“Quello ha portato una puttana qui ?” domandò il Señor con un tono che mise i brividi addosso a tutti i presenti vivi e morti. E nessuno gli rispose, impegnati com’erano a cercare conferme o sicurezze in qualcun altro: non era possibile, qualcuno doveva sapere ! “Herr Nagel ha portato una donna qua dentro dodici ore fa e voi non sapete neppure se è una puttana ?”

A mezza voce Viktor osservò che le cameriere addette ai due ospiti sostenevano fosse una donna per bene.

“Potrebbe allora essere la cognata del pastore van Swanenburg: manca all’appello.” Il Tedesco squadrò Stroessner, che aveva avuto il coraggio di parlare, e questi spiegò che, da quanto sapeva, verso le nove della sera precedente il primo dei figli del pastore era uscito in cerca d’aiuto poiché loro padre era morto e la zia era uscita con un visitatore. Il Señor guardò con occhi freddi l’uomo e poi accennò un sorriso.

“Allora si muova a recuperare il cadavere di quella donna. Perché ho grossa difficoltà a credere che la cognata di un pastore calvinista abbandoni i nipotini con l’uomo che ne ha appena ucciso il padre. Se l’avesse fatto veramente …” Il Señor questa volta sorrise di gusto e tutti tremarono. “Che gran donna sarebbe. Le offrirei subito un posto. Uno dei vostri.”

Passarono alcuni lunghi momenti di silenzio, in cui ognuno dei presenti era troppo paralizzato dalla paura dell’immediato futuro per pensare qualcosa di razionale. “E ora che sappiamo chi non sia la donna, giungiamo ad analizzare un altro aspetto quantomeno interessante di tutta la presente situazione. Perché nessuno si è accertato della vicenda ? E perché nessuno di voi mi ha avvisato ?”

Herr Thugut bruciò tutti sul tempo nello scaricare le colpe. “Ho mandato una comunicazione a Herr Stroessner non appena ho saputo della donna: poiché non conosco i motivi della permanenza di Herr Nagel qui non mi sono permesso di interferire in alcun modo e mi sono limitato a mandare quattro uomini nei pressi dell’appartamento messo a disposizione per loro.”

Il Señor fece ruotare silenziosamente lo sguardo verso Stroessner. “Le mie competenze si fermano fuori le mura dalla MeilenHaus: de iure non potevo compiere un simile arbitrio, ma per maggior scrupolo ho comunicato a Viktor che avrei gradito, se possibile, informazioni sulla sconosciuta.”

La patata bollente era passata di mano, ma non si serve per anni prima il secondogenito del duca di Malborought, nonché Cancelliere dello Scacchiere, e poi il Tedesco, senza sapersi sempre barcamenare. “Avevo ordini ben precisi da parte del Señor, servire senza contrariare Herr Nagel, e quindi non potevo mandare cameriere ad aggirarsi circospette intorno alle stanze degli ospiti, cercando un motivo per domandare alla donna la sua identità. Anche in considerazione delle sue mansioni, ho preferito comunicare la situazione alla Señora mentre era a cena con il Señor.”

Ascoltando tutti questi passaggi il Tedesco aveva sorseggiato il caffè, senza smettere di fissare negli occhi colui che parlava: quando Viktor tacque, guardò la tazza fumante, ordinò di chiamare la Señora, si alzò piano dalla poltrona dall’alto schienale e sparì nella stanza vicina e di lì in quelle contigue.

Per tutto il tempo che Renée impiegò per essere svegliata, sistemarsi e scendere, i sottoposti del Señor rimasero seduti ai loro posti, fermi e zitti, cercando di intuire dal variare dei passi del vampiro che li comandava quale destino mai li attendesse, ma non c’erano appigli per prevedere il futuro: il Tedesco percorreva, immutabile come la goccia che scava la pietra, tutte le stanze del piano, senza emettere alcun suono che potesse far decifrare a cosa stesse pensando.

Renée arrivò con molta calma, decisamente assonnata, nel tripudio di svolazzanti trine che era la sua vestaglia celeste preferita e le bastò dare una rapida occhiata alla stanza per rendersi conto che qualcosa decisamente non andava: Karl, per esempio, non era lì e gli occhi di tutti i presenti la stavano fissando con una fissità preoccupante. Guardò Magnus e, senza parlare, gli mimò la parola “Nagel”: il suo childe annuì impercettibilmente.

“Scusa se t’ho fatto svegliare tesoro.” sospirò Karl sulla soglia, e a lei bastò meno di un attimo per capire che stava per esplodere.

“Non ti preoccupare. Cos’è successo ?”

Era entrato del tutto nella stanza e, giunto dietro alla sua poltrona, s’era fermato, posando le braccia sull’alta spalliera. “Ieri per caso ti è giunta una comunicazione scritta che verteva su Herr Nagel ed una sua eventuale ospite ?”

Renée fu puntata da qualche decina d’occhi. “Ah, sì. Te l’ho detto ieri a cena, che era arrivato con una borsa con i documenti che interessano a Collman.”

Il Tedesco alzò appena un sopracciglio e notò che esisteva, ontologicamente, una notevole differenza tra una borsa ed una donna.

“Sì, lo so anch’io, ma nel biglietto c’era scritto che era una donna d’aspetto curato: ho immaginato centrasse con i loschi traffici di Collman e che Stroessner sapesse già chi fosse.”

“Le tue supposizioni si sono rivelate infondate e per un curioso impedimento burocratico, dopo dodici ora che quella donna è qui, nessuno sa chi sia. Comunque grazie per la spiegazione, cara, torna pure a dormire.”

La sua voce grondava composta ira: Renée ebbe l’esatta predizione che tra non molto si sarebbe trovato in camera il compagno, molto incattivito e violento.

Uscita la vampira il Señor guardò uno ad uno i presenti, che ancora non erano certi di quale sarebbe stato il loro destino. “Devo fare una richiesta scritta in carta bollata per sapere chi sia quella donna ?”

 

 

 

Note e curiosità

 



· William Sommerset Maugham (1874 – 1965) nacque a Parigi, dove il padre lavorava all’ambasciata. Dopo la morte di entrambi i genitori frequentò la King’s School di Canterbury e l’Università di Heidelberg dove si laureò in medicina, che poi abbandonò per dedicarsi alla letteratura.

Ammalatosi di tubercolosi si trasferì nel sud della Francia e poi a Parigi, continuando però a scrivere romanzi e contemporaneamente dedicandosi al teatro dove il successo lo premiò quasi subito, nel 1907, con “Lady Frederick”. “Schiavo d’amore” (1915) e “La luna e sei soldi” (1919) lo imposero all’attenzione del pubblico e della critica: dopo un breve periodo di permanenza negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale si dedicò soprattutto alla saggistica e alla critica letteraria.

Il suo romanzo più noto e ambizioso è “Di schiavitù umana” (Of human bondage, 1915); noti altrettanto sono “La luna e sei pence” (The moon and six pence, 1919), “Il velo dipinto” (The painted veil, 1925), “Ashenden o l’agente inglese” (Ashenden or the British agent, 1928), “Paste e birra” (Cakjes and ale, 1930), “Una vacanza natalizia” (A Christmas holiday, 1939), “Il filo del rasoio” (The razor’s edge, 1944), “Catalina” (1948). Ha scritto anche commedie di successo come “Il cerchio” (The circle, 1921), e “Ad est di Suez” (East of Suez, 1922).

Maugham, narratore di mestiere, per il suo stile chiaro e scorrevole e una notevole vivacità di dialogo è divenuto uno dei più popolari scrittori inglesi. Nei racconti di “Pioggia e altri racconti” (Rain and other stories, 1932) emergono le sue maggiori qualità, cioè l’intelligente assimilazione del naturalismo di Maupassant, e uno scetticismo che dà un tocco di inconfondibile amarezza alle sue favole mondane.