Vedi cara, è
difficile spiegare, è
difficile parlare coi
fantasmi di una mente. Vedi cara, tutto quel
che posso dire è che
cambio un po’ ogni giorno e che sono
differente. Vedi cara, certe
volte sono in cielo come un
aquilone al vento che poi a
terra ricadrà. Vedi cara,
è
difficile spiegare, è
difficile capire, se non hai
capito già. “Vedi cara” Francesco Guccini “Tra la via Emilia e
il West” 1984 7. Costano, le donne, costano Dopo la piacevole sveglia e
l’incontro mattutino con Collman, il Tedesco era troppo di malumore per tornare
a dormire, quindi decise di andare ad ispezionare qualche remoto angolo dei
suoi possedimenti, per controllare se i suoi lavoratori di mattina battevano la
fiacca o meno, nella speranza gli giungesse un’illuminazione su come far
fallire le mire di Collman e dei suoi amici. Tornò in camera, indossò
qualcosa di adatto e grugnendo uscì dalla stanza: Renée aveva continuato a far
finta di dormire ed era rimasta immobile nel grande letto, aspettando uscisse.
Ora lei poteva andare a ricercare le notizie che le interessavano nell’Archivio
senza Karl le domandasse cosa stesse facendo. L’appartamento privato dei signori della casa si sviluppava su due piani, in un proliferare di stanze, arredi eccessivi, logge schermate da aggraziati frangisole e abbinamenti folli. Spostando qualche libreria lignea con intarsi marmorei, pittoresche vedute della campagna bavarese, sfavillanti specchi con corpose cornici in ferro battuto e poltrone che erano state ritenute di gusto troppo equivoco anche per i bordelli, vi aveva in cui aveva trovato posto anche quel piccolo capolavoro che era l’Archivio Segreto della MeilenHaus. Se fosse stato più famoso ed accessibile, certo sarebbe divenuto meta di incessanti pellegrinaggi da parte di generazioni di dirigenti del KGB, del Mossad, del MI6, dell’OSS· e di tutte le polizie politiche delle migliori dittature del globo, non solo per l’ampiezza e la ricchezza di dettagli, ma anche per l’ottimo metodo con cui, anni prima dei computer, tutti quei faldoni zeppi di fascicoli erano stati archiviati fin dalla fine del secolo XIX: bastava poco, conoscendo l’Archivio, per rintracciare le notizie che servivano. E Renée era una delle quattro persone (assieme alla sua assistente Frau Blucher·, il suo dolce Karl e Stroessner) che vi avevano libero accesso. La
vampira tirò fuori il mazzo di chiavi da una tasca della leggera vestaglia di
lino e aprì le tre serrature della prima porta, trovandosi di conseguenza nella
Stanza Rossa: lì c’era un tavolo con poche sedie, una tappezzeria di un porpora
da far invidia a tutti gli Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali di Santa
Romana Chiesa e gli schedari in legno che contenevano le indicazioni per
raggiungere i fascicoli da consultare, esattamente come avveniva nelle
pubbliche biblioteche. In uno,
le schede erano ordinate per l’iniziale del cognome della persona su cui
verteva il dossier, in un altro la catalogazione avveniva per Stati, regioni, e
città (dopo la Prima Guerra Mondiale e quello che era capitato avevano
impiegato mesi per risistemare tutto), in un altro per mestiere, nell’ultimo
c’erano partiti, sindacati, logge più o meno segrete, associazioni più o meno
illegali, congregazioni di vario genere e movimenti politici, economici o
sociali. Renée
andò allo schedario ordinato per cognomi, aprì il cassettino corrispondente
alla lettera H, lo posò sul tavolo ed iniziò a cercare, finchè non trovò la
scheda che cercava: “Hitler Adolf, politico tedesco. Braunau (Austria),
20/IV/1889, h. 18:30. Fascicolo n°: 1HiA896. Vedi anche: Part.
NazionalSocialista dei Lavoratori Tedeschi; Thule; GermanenOrden; Hess Rudolph;
Collman Simrall; Eckart Dietrich; Goering Hermann”. La
parola “anche” era stata cancellata con un tratto di penna e sostituita con
“solo”; cassata era stata anche la lista di riferimenti successivi il primo:
con gli abituali caratteri gotici e la grafia secca Stroessner ci aveva vergato
sopra “nel Partito tutti i riferimenti!” Un punto esclamativo, inusuale in
quell’uomo: Renée scelse di consultare prima la scheda 1HiA896, poi quella sul
partito, tralasciando le altre; decisione che si sarebbe rivelata moderatamente
sbagliata di lì a qualche giorno. Sbadigliando si infilò tra gli stretti passaggi in mezzo a scaffalature alte fin quasi al soffitto, girò in quell’opificio di informazioni e bassi pettegolezzi, sorpassò spessi faldoni che raccontavano vita, peccati ed affari di tanti galantuomini, ed infine arrivò all’incartamento che cercava, ricco di dettagli di prima mano che il tempo e gli uomini avrebbero cancellato: Renée non lo poteva immaginare, ma i fogli che stava per leggere riportavano notizie che legioni di storici, invano, avrebbero poi cercato di scoprire per venire a capo del “mistero Hitler”·. Di lì a una generazione quello sarebbe rimasto l’ultimo ed unico documento attendibile e di prima mano sulle origini di Adolf Hitler e il Fato avrebbe lasciato che rimanesse, dimenticato dal mondo, sotto la polvere nello scaffale dell’archivio di un bordello centroamericano gestito da un vampiro. Ironia della Sorte, come se l’ultima copia del secondo libro della Poetica di Aristotele, quello che tratta della Commedia, fosse finita tra le mani di qualche oscuro monaco avverso al riso! La bella vampira prese quella
sorta di futura reliquia, profano ed osceno Graal, ignorando che di lì a
qualche anno il dossier sarebbe stato catalogato con 1HiA896a, 1HiA896b,
1HiA896c, 1HiA896d, 1HiA896e, 1HiA896f, 1HiA896g e così via, in un proliferare
impressionante di notizie e faldoni che avrebbero fagocitato ripiani e ripiani
dell’Archivio Segreto, e andò a sfogliarlo seduta comodamente sul tavolo da
consultazione nella Sala Rossa. Quando, qualche anno dopo, sarebbero entrati in auge gli intricati radiodrammi che rimbalzavano ai quattro angoli dell’America centrale e meridionale, da Caracas a Buenos Aires, da Città del Mexico a Lima, zeppi di nemici che si scoprono fratellastri, figli illegittimi abbandonati in culla, ricchi signori che nascondono un passato equivoco e suore che cedono alle seduzioni di pirati dalla pessima reputazione, Renée avrebbe pensato che, per quanto gli autori si potessero sforzare, non sarebbero mai riusciti a superare la storia della famiglia Hitler, in cui nulla era certo, forse nulla vero, neppure il cognome. Karl, dovendo fare affari con Collman e considerato l’interesse che Ford, Kennedy e tutti quegli altri banchieri riponevano su quell’ometto che sembrava Charlot e che voleva riportare la Germania agli antichi fasti, aveva deciso di fare un paio di indagini utilizzando i molteplici contatti che ancora aveva sparsi sulle due rive del Danubio, verso oriente dove la civiltà germanica si confondeva con gli slavi dalla passione grande come la crudeltà, e verso l’occidente dei popolo latini geniali e molli. C’era tutta una folla di fratelli, sorelle, nipoti, cognati e parenti vari dei suoi sottoposti che vivevano là e che erano sempre pronti a sbrigare lavoretti per la MeilenHaus, in cambio di dollari e di eventuali segnalazioni ai vari consolati di qualche stato, i cui governanti dovevano favori personali al Tedesco. E poiché per conoscere un uomo bisogna per prima cosa conoscerne le sue origini, il più completo dossier non solo su Herr Adolf Hitler ma anche sulla sua famiglia si trovava in una stanza della MeilenHaus. E leggerlo era un vero spasso. Il cognato di De Marina era
personalmente andato fino a Dollersheim, lo sperduto villaggio al confine tra
Austria e Boemia, in cui erano nati e vissuti gli avi di Hitler, o meglio, i
pochi antenati di cui si era certi e che, nel 1938, sarebbe stato letteralmente
cancellato dalla faccia della terra (paese, chiesa, cimitero, archivio
parrocchiale e tutte le case) dal fuoco dei cannoni della Wehrmacht, su ordine
dello stesso Hitler, che non desiderava affatto qualcuno indagasse e scoprisse
la verità sulle origini sue e della sua famiglia. La storia iniziava circa un secolo prima, nel 1832, con una domestica nubile di circa quarant’anni, Maria Anna Schicklgruber: nel Settecento l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria aveva concesso la cittadinanza piena agli ebrei austriaci che si convertivano al cattolicesimo, i quali spesso tradussero i loro cognomi ebraici in tedesco, e Schiklergruber era un cognome comune tra gli ebrei convertiti; se quella Maria Anna lo fosse neppure il Tedesco era riuscito a saperlo. La
donna era rimasta incinta e aveva partorito un figlio, Alois, cui aveva dato il
proprio cognome: ma chi era il padre dell’infante? Il cognato di De Marina
aveva fatto un ottimo lavoro, riportando non solo il nome del vero padre di
Alois, ma anche tutte le voci che giravano intorno alla donna. In quel
periodo Maria era cuoca presso degli ebrei di Graz, i Frankerberger: il
capofamiglia le passò per molto tempo dopo il licenziamento una costante
quantità di denaro. Cinque anni dopo si celebrò il matrimonio tra la donna,
allora quarantasettenne, ed un mugnaio austriaco errabondo più giovane di
quatto anni, Johann Georg Hiedler, che solo nel gennaio del 1887, già
settantenne, morta da anni Maria Anna Schicklgruber, si sarebbe presentato al
parroco di Dollersheim con tre testimoni che garantirono essere lui il padre
del piccolo Alois. In questo modo, a quarant’anni compiuti, da Alois
Schicklgruber divenne Alois Hiedler (cognome che fu poi mutato in Hitler a
causa di un distratto impiegato dell’anagrafe; ma a quei tempi erano cose che
capitavano frequentemente). In un
primo tempo il piccolo Alois non visse con la madre e il suo sposo, che avrebbe
di seguito atteso così tanto tempo per riconoscerlo come proprio, bensì si
trasferì nella casa dello zio paterno Johan Nepomuk Hiedler, che in molti
indicavano come il vero padre del fanciullo: essendo però questi già sposato,
avrebbe quindi fatto in modo di legittimare “per interposta persona”,
servendosi dello spiantato fratello, il proprio figlio. Alois si sposò per
la prima volta a Braunau, paese austriaco sul confine con la Germania, con una
donna molto più anziana e più ricca di lui, già assai malata: questo matrimonio
durò assai poco perché la consorte morì e non ci furono figli; intanto presso
di loro serviva la nipote Klara Poelzl, (era una Hitler per parte materna, e
quindi nipote di Alois), che probabilmente già allora iniziò una relazione con
lo zio. Poco più tardi Alois
sposò Franziska, la cuoca della prima moglie, una giovane ventenne, e con lei
ebbe alcuni figli, ma la donna si ammalò di tisi e poi morì. Poco più avanti
Alois, quasi cinquantenne, decise di sposare Klara, con la quale la relazione
intima non si era mai interrotta: la coppia ebbe cinque figli, dei quali due
morirono subito, il terzo venne battezzato Adolf, il quarto, di nome Ottone,
morì a due anni, e l’ultima, Paula, sorella non molto amata da Adolf, sarebbe
vissuta lontana dai fasti del potere per morire nel suo letto nel 1960. Klara era morta nel
1907 per un tumore: il dossier menzionava anche il nome del dottore che l’aveva
avuta in cura, Eduard Bloch, specificando che era ebreo. Quello che non era
specificato era che il dottore era cugino di un altro, famoso, ebreo: Franz
Kafka, le cui quattro sorelle sarebbero morte nei lager nazisti. L’ultima
annotazione, anch’essa gustosa, risaliva a pochi mesi prima Renée leggesse quel
fascicolo: Alois jr., figlio di secondo
letto di Alois senior, pochi mesi prima era stato arrestato per bigamia, avendo
una moglie in Inghilterra ed una in Germania. Che famiglia
fenomenale, pensò la vampira stupita! Se tutto ciò non fosse vero, sarebbe
semplicemente irreale. E ancora non sapeva
che di lì a sei anni William Patrick –il figlio inglese del bigamo- sarebbe
andato in Germania con la madre per ricattare lo zio Adolf, minacciandolo di
rivelare ai giornali tutta la vergognosa storia di famiglia (guadagnandoci
duemila sterline prima, poi un posto di lavoro alla Opel a Berlino, e alla fine
fuggendo prima in Inghilterra e dopo negli Stati Uniti, dove sarebbe stato
minuziosamente interrogato): come si suol dire, buon sangue non mente! Già, decisamente il
sangue non mentiva tra gli Hitler, poiché lo stesso Adolf, come già suo padre,
avrebbe molto probabilmente avuto una relazione con una propria nipote, Geli
Raubal, che si sarebbe misteriosamente suicidata nel 1931 a neppure ventitré
anni. La vampira smise di
leggere, la testa le girava: quella storia era così assurda da non sembrare
neppure vera! Quella non era una famiglia, era un romanzo d’appendice! Renée
saltò un paio di fogli, scorse distrattamente un paio di bocciature da parte di
un’Accademia di Belle Arti, diede appena un’occhiata allo stato del suo
servizio militare durante la guerra e iniziò a leggere con attenzione dall’anno
1919. Purtroppo era tutto
un riferimento, per lei abbastanza incomprensibile, a partiti, uomini e
movimenti ideologici e situazioni di cui non sapeva assolutamente nulla. Renée infatti non aveva esattamente una gran padronanza delle vicende politiche contemporanee tedesche e quei fatti le erano abbastanza oscuri: sarebbe dovuta andare a cercare le schede su quegli uomini e quelle associazioni, cosa che non la entusiasmava affatto, soprattutto di prima mattina. Il sonno le era passato e inoltre la domanda che le ronzava in testa s’era fatta ancora più insistente: con tutti i sicari di questo mondo, perché cercare proprio William il Sanguinario ? Qual era il nesso tra un ex caporale dell’esercito tedesco con una famiglia complicata alle spalle e quel particolare vampiro ? Ed infine perché Collman voleva sapere le date di nascita dei Nagel, incombenza che Karl le aveva passato ? C’erano peraltro compiti più sgradevoli che interrogare sulle loro date di nascite due vampiri folli, pensò Renée, bussando gentilmente alla porta dei due vampiri. Specie quando erano due persone così belle. Dru le aprì con un sorriso, ed aveva maniere perfette. Sembrava che quel giorno si fosse calata, per gioco, nel ruolo della perfetta mogliettina. Infatti, aveva tra le mani una tazza di caffè fumante pronta per il suo maritino. “Benvenuta, señora.” la salutò, cordialmente,come una giovane, timida sposa. Pur essendo, e sapendolo, più antica di lei. Renée si sedette sul divanetto e Dru portò una tazza anche lei. William Nagel ora indossava il suo consueto completo color panna, fresco di stiro, ed era particolarmente bello. Renée ammise di avere un debole per il vampiro, ne aveva conosciuti di rado di così seducenti. Forse mai. “Questo caldo afoso non le dà alcun fastidio, Miss Drusilla ? Non è abituata a climi più miti ? La si direbbe una rosa inglese.” “Ah, la mia Dru lo è, fatta e finita.” commentò William, agitando piano il cucchiaino. “Nata nello Yorkshire, in una piccola città tra le brughiere. Era la terza, e la più bella, di tre sorelle.” “Mi dica, come è stato possibile che …” Renée fece delle virgolette, con le dita, in modo, giudicò William, piuttosto elegante. “… come sono stata vampirizzata ?” chiese Dru, sorridendo, e mettendosi una manina pudica davanti alla bocca. “Già. Doveva essere piuttosto giovane.” “Avevo diciannove anni. Ero già abbastanza matura per la mia età. Ma non pensavo di sposarmi. Volevo consacrarmi sposa del Signore.” Quale Signore ? Renée ci mise un po’ a realizzare di cosa parlava. “Al punto che mi ritirai presto in convento.” le venne gentilmente incontro Dru. “E poi ?” “Poi mi dedicai alle mie preghiere. E alla meditazione. Ed un giorno dai miei sogni sbocciò un fiore rosso …” Renée spostò lo sguardo da uno all’altro dei suoi ospiti. E poi, fissò Spike. “Cosa….intende ?” “Intende dire che arrivarono i nostri sire, Angelus e Darla, che devastarono, stuprarono e uccisero tutte le suore del convento e fecero altrettanto con lei … vampirizzandola, inoltre. Dopo tutto il resto, beninteso. Dru è ancora tutta un casino, là dentro.” e Renée non capì se si riferiva alla sua testa o ad altro o, come le parve, ad entrambe le cose. “Ah.” “Un modo assai elegante di morire, non trova ?” sorrise Dru, tranquilla. “Nacqui in maggio.” le disse, con un luccichio complice negli occhi. Renée sentì un brivido freddo scorrerle lungo la schiena. Era come se la vampira bruna le stesse mandando un messaggio subliminale nemmeno troppo difficile da tradurre. So cosa vuoi da me, cagna … chiedimelo apert amente, se vuoi ! “Davvero ? Di che anno ?” “Dru intende che la sua vampirizzazione avvenne in maggio, il mese delle rose … e della Madonna.” aggiunse Spike, posando la sua tazza. “Ma … lei invece è davvero nata il …” Dru la fissò. Non sorrideva più. “Novembre, credo.” disse infine, con un lento sospiro. “Il dodici.” Renée capì che non ne avrebbe ricavato altro, a meno che lei non avesse voluto. Era ora di passare a lui. “Sono un gemelli” disse Spike, ridendo. “Natura ambivalente, e tutte quelle palle là. Nato il 31 maggio 1852”. “Ah.” registrò mentalmente Renée. “La signora Dru è….più
antica ?” Dru annuì. Era nata verso la metà del secolo: 1841, per l’esattezza. Lo disse a Renée, che non fece commenti. Il modo tranquillo con il quale i suoi due imprevedibili ospiti avevano parlato le lasciò pensare che ci fosse qualcosa di sostanzialmente ridicolo circa i motivi che avevano spinto i mandanti di Collman a scegliere loro. E lei avrebbe scoperto quali. O non si chiamava più Renée, la circassa. D’accordo, erano due vampiri fuori dal comune. Erano i childe dei diretti discendenti dell’Ordine di Aurelius. Ed erano due creature belle, imprevedibili e pericolose. Ma cosa diavolo potevano portare alla causa di Collmann che altri tra le migliaia di vampiri direttamente o indirettamente legati alla MeilenHaus non avrebbero potuto ? Cosa ? Dru si alzò e la riaccompagnò alla porta. Renée capì che l’aveva congedata. “Le voglio raccontare una storia.” mormorò Dru, con fare vezzoso, ma Renée non tralasciò nemmeno per un istante di prenderla tremendamente sul serio. “Sì, Dru, raccontacela.” sorrise Spike, a braccia conserte, in piedi contro una colonna. “Il mio paparino … Angelus … amava molto i fiori. Per un certo periodo aveva preso l’abitudine di comprarne sempre un mazzetto, fresco, dalla fioraia al fianco del teatro … il Covent Garden, a Londra. La poveretta viveva di quei fiori, specie quando qualche cortigiana decideva che era il momento di ingaggiare una di quelle guerre tra pretendenti … ha presente ? Una bella dama misteriosa, ben abbigliata, compariva ogni sera a teatro, e attirava tutte le attenzioni dei cavalieri presenti, sposati e non. Nei giorni di festa, appariva alla Rotonda di Ranelagh, tra i fuochi. Sempre sola. Malinconica. Apparentemente inconsolabile. Per anni io e Darla abbiamo giocato a questo gioco. Nei club maschili si raccoglievano le puntate sui singoli cavalieri, e su quanto a lungo sarebbero resistite le grazie delle dame in questione. In questi casi, la piccola fioraia faceva affari d’oro. Le nobili dame oggetto di contesa cedevano, infine, tra le amorose braccia di ricchi cavalieri, si facevano portare nei loro castelli e lì … beh, ce li spolpavamo. Loro e le loro sostanze. E abitavamo le loro dimore. Non c’era ragione che gli eredi sapessero. Angelus teneva sempre alte le poste: comprava i fiori più belli, e con la sua prestanza teneva viva la competizione. Spike, tesoro, aiutami … qual è la morale di questa storia? Non lo rammento più … sento più solo odore di fiori …” Renée era già nel corridoio. Qualcosa in quei due l’atterriva. E lei era una creatura del Male … per cui … cosa diceva questo di loro ? Spike sorrise, venendo più vicino. Un sorriso abbagliante. “Mia cara, che sbadata. La morale di questa storia è ovvia. Non scommettete mai su di noi.” Renée rimase gelata. Dru sorrise benevolente. “Arrivederci, señora.” Gentilmente, Spike le chiuse la porta in faccia. Spike non aveva poi tanta voglia di sentire i suggerimenti che quel noioso tirapiedi del Tedesco gli avrebbe dato per uccidere il pastore, ma la visione di Dru sembrava piuttosto chiara: la croce lo poteva bruciare, quindi doveva essere abbastanza cauto. Dopo la visita della Señora, una lunga e soddisfacente sessione di sesso con Dru, una degustazione di sangue ed una rilassante dormita, andò a trovare quel ritratto dell’allegria e della gioia di vivere che era Stroessner: un cameriere si incaricò di accompagnarlo fino all’ufficio dove lavorava. Nel
tragitto si imbatterono in un omone grande e grosso con un paio di monumentali
mustacchi che, indossando solo un paio di calzoni lunghi, correva incitando
alcuni uomini che lo seguivano di corsa. “E questi chi diavolo sono ?” domandò
sorpreso Spike, che iniziava a credere di poter vedere qualsiasi tipo di
stranezza in quel posto: ora ci mancava solo che la MeilenHaus avesse anche una
squadra di corsa da mandare alle Olimpiadi del ‘28! “Sono i
fottitori, mister Nagel.” rispose il servo. “Affinché siano sempre atletici e
in buona salute ogni giorno fanno dell’esercizio fisico: se lavorassero
solamente potrebbero ingrassare o perdere massa muscolare. Inoltre credo che ad
alcuni clienti piaccia trovarli accaldati e sudati. Se è interessato a fare un
po’ di allenamento posso informarmi quando la palestra è disponibile.”
Decisamente le attenzioni del Tedesco verso i propri lavoratori non avevano
limiti. Anni dopo, vittima della più imbarazzante delle situazioni, Spike avrebbe risposto che l’Immortalità non era una scusa per lasciarsi fisicamente andare, ma la verità era un’altra. La vampirizzazione si portava via l’anima, da un lato, e dall’altro ti lasciava in dono un fisico perfetto, la miglior realizzazione possibile del potenziale genetico originario. “Con il cavolo che William era così magro, muscoloso e scattante” pensò Spike, ma –per innata buona educazione – si tenne l’irriverente pensiero per sé. Finalmente
giunsero al cortile centrale, dove c’era già blanda animazione: la MeilenHaus
aveva aperto da meno di un’ora e per questo di cavalli ed auto se ne vedevano
pochi. A quell’ora vespertina non erano molti coloro che desideravano godere
dei servigi messi a disposizione, qualche piccolo proprietario, alcuni
commercianti che poi, da bravi borghesi, sarebbero andati a cenare a casa, dei
militari in libera uscita; anche per questo la Maison con le sue puttane di
lusso apriva più tardi, i clienti danarosi non arrivavano mai prima del
tramonto. Di lì passarono nel fresco piccolo chiostro dove la fontana gorgogliava e alcuni poveracci, con il cappello in mano e un’infinita dose di umiltà e povertà, attendevano di essere ricevuti da qualche piccolo burocrate infastidito, che per loro era l’uomo più potente del mondo, e che poi tremava davanti a qualcun altro, appena più potente di lui. Cazzo, che schifo essere poveri e non contare niente, pensò Spike, gettando loro un’occhiata piena di qualcosa simile alla compassione e ringraziando di non essere più dalla parte dei perdenti. Un altro fringe benefit dell’Immortalità, s’intende. Il
servo bussò discretamente ad una porta, ed una voce infantile lo invitò ad
entrare. Nell’ufficio della segretaria di Stroessner stava seduto su una sedia,
composto come fosse finto, un ragazzino sui dieci anni con i calzoni corti e i
capelli biondi ordinatamente pettinati con la riga a lato, la camicia linda e
le scarpe chiare perfettamente pulite. “Papà arriverà subito” disse, guardando negli occhi Spike e non degnando di uno sguardo il vampiro che aveva aperto la porta. Si alzò in piedi e, educatamente come gli aveva insegnato la mamma, tese una mano in segno di saluto: sapeva che quello era un vampiro ma aveva anche capito, dai vestiti eleganti e dal portamento, che era qualcuno di importante, anche perché non era solito che un vampiro a quell’ora pomeridiana cercasse suo padre. “Piacere, sono Alfred Stroessner·.” disse, con una serietà da adulto che strideva con il volto paffuto di bravo bambino che ha i pasti assicurati e giochi costosi con cui divertirsi. “Piacere, Willian Nagel.” rispose asciutto l’altro. Nell’ufficio
c’erano solo loro due e il servitore che aveva accompagnato Spike fin lì e che
non si fidava a lasciare da solo Alfrediño con quello strano vampiro che non si
sapeva comportare e che per aspettare s’era seduto su un angolo della
scrivania. Nessuno
diceva una parola, anche perché non avevano evidentemente nulla da dirsi:
alcune brutte stampe di città estere seminate lungo i muri della stanza
rendevano quell’ufficio opprimente senza requie, come se l’inferno fosse stare
sotto quel ventilatore che girava asmatico in eterno a sbrigare pratiche di
cancelleria. Che schifo di posto la MeilenHaus, ne aveva le tasche piene ! “Beh, magari torno dopo, così trovo tuo padre. Digli che sono passato.” “Non ce
n’è bisogno, mi ha detto sarebbe arrivato subito, e lui è un uomo di parola.
Starà facendo del bene a qualcuno.” Questa era bella: Spike alzò un sopracciglio in segno di stupore. “Allora forse stiamo parlando di due persone diverse.” “Siamo gli unici Stroessner qua alla MeilenHaus.” rispose il ragazzino, senza aver minimamente percepito l’ironia, e questo confermò al vampiro che era proprio il figlio di quell’uomo grigio e noioso. “Non sapevo che tuo padre facesse del bene.” “Certo, papà si occupa di trovare un lavoro per questi poveracci che vivono qua, così loro fanno dei soldi e possono stare meglio, spendere ed avere una vita migliore. Se non ci fosse papà sarebbero dei poveri straccioni ubriachi e senza scopo, schiavi dei loro vizi. Invece papà gli dà un lavoro che li rende liberi e degni.” Spike strabuzzò gli occhi: cazzo,
quel marmocchio era proprio figlio di suo padre ! Chissà che orrore vivere in
quella famiglia. E neppure si poteva immaginare come la frase Arbeit macht
frei sarebbe stata tanto famosa
negli anni futuri·. Fortunatamente la porta si aprì ed entrò il buon padre di famiglia, che non si dimostrò molto felice del proprio figlio così a portata di morso di Herr Nagel. Lo salutò educatamente con una stretta di mano, poi discusse in tedesco con il rampollo che subito dopo uscì salutando altrettanto educatamente il padre e il suo ospite: Spike e Stroessner si accomodarono nell’ufficio di quest’ultimo. L’uomo era totalmente all’oscuro
di quello che era successo la mattina, ed ignorava assolutamente come il Señor, sconvolto dal fatto che Drusilla
avesse realmente la Vista, stesse già meditando di uscire dal pasticcio in cui
si era cacciato, fregando Collman prima che lui fregasse la MeilenHaus e mezzo
mondo. Stroessner sapeva solo che doveva spiegare a Nagel un modo
per non dare nell’occhio, ma, impegnato nelle solite sue occupazioni
quotidiane, non era ancora riuscito ad elaborare alcunché di significativo.
Aveva anche la fortissima sensazione che suggerire stratagemmi non
sarebbe servito ad una beata fava. Il vampiro avrebbe comunque fatto a modo
suo. Ci stava proprio riflettendo su mentre Nagel si serviva dei sigari prendendoli dalla scatola posta sulla sua
scrivania e si stendeva sul divano in cuoio rosso, guardandosi in giro, in
quell’ufficio tappezzato con una carta da parati a righe che dimostrava
trent’anni (pur avendone solo dieci) e cattivo gusto, addolcita da una serie di
stampe raffiguranti chissà quali fiori alpini. “Herr Nagel, ha avuto modo di studiare l’incartamento sul Pastore che
Collman le ha consegnato ?” “Perché leggerlo, quando scommetto che adesso lei
me ne parlerà a lungo ?” Qui Stroessner fece una cosa che non avrebbe dovuto fare: perse la
pazienza. Nel loro piccolo, anche i funzionari tedeschi si incazzano. “Bene,
allora sappia che il Pastore vive coi figli e la sorella della moglie, morta.
Lo uccida senza berselo, prenda le sue carte e …insomma, si studi qualcosa ! E
ora, se mi vuole scusare, ho molto da fare. Arrivederci.” Che se ne andasse pure al diavolo, quell’irritante
gradasso vampiro, l’unica cosa che aveva fatto di buono per ora era stato
consentire alla sua vampira di eliminare quella stupida puttanella della
Cacciatrice ! Che grosso errore era d’altronde già stato comprarla, per quel
mese che era rimasta da loro neanche le ripetute “prestazioni non consensuali”
(così De Marina aveva rubricato i proventi dati dalla permanenza della
Cacciatrice tra loro) avevano sfiancato quella cagna: riusciva ad evadere una
volta a settimana, a Thugut stava venendo un esaurimento, non sapeva più cosa
fare per impedirle di fuggire. Spararle in testa sarebbe stato facile, ed
igienico, ma il Señor si opponeva, ripetendo che non si poteva uccidere una
Cacciatrice come fosse un maiale da macellare. Da questo punto di vista i Nagel
erano stati utili, ma più passava il tempo più iniziava a credere che fare
affari con Collman (e truffarlo) non fosse stata una buona idea. Spike
si girò per andarsene, non era tipo da imporre la sua presenza dove non
desiderato (al diavolo !! Era una delle cose che gli riusciva meglio !),
fece un paio di passi ma fu richiamato da Stroessner, incerto e dubbioso su un
piccolo particolare. “Herr Nagel, stamattina mi dicevano che è stato trovato
ucciso da un vampiro anche un marinaio. Lei ne sa nulla ?” Spike non sorrise, anzi, si mise la mano
destra sul cuore, alzò la testa e assunse l’espressione più nobile e altera di
cui fosse capace. “Egli è stato un innocente sacrificato per la grandezza della
Germania eterna, dei suoi condottieri di domani e del nobile e chiaroveggente
partito nazional-socialista.” Stroessner quasi sbiancò: da quando quello
stupido vampiro era diventato nazista ? Ci mancava anche questa grana ! “Ho
capito” mormorò, e fece per tornare alle proprie carte, ma sentì la risata
beffarda di Spike nel suo ufficio. “Non
c’è bisogno che lei corra dal Tedesco a riferirgli che sono nazionalsocialista.
Stavo scherzando.” Stroessner si sentì molto più sollevato e, mentre
l’ospite se ne andava davvero, restò a ruminare pensieri offensivi sullo
stupido umorismo inglese. Un
umorismo decisamente sopravvalutato. Una trentina d’anni dopo Graham Green· in “The quiet
American” avrebbe così descritto la nobile arte di fumare l’oppio: “Stava dando forma
alla pallottolina di miscela bollente passandola sul margine convesso della
scodella, e io già sentivo il profumo dell’oppio. Non c’è niente di simile al
mondo [ … ] ero affezionato alla mia pipa, quasi mezzo metro di canna di bambù
ben dritta, con ghiere d’avorio ad entrambe le estremità. A due terzi verso il
basso stava il fornello, simile a ad un convolvolo capovolto, con il margine
convesso lucido e insieme scurito dai frequenti impasti d’oppio. Con una mossa
del polso Phuong immerse l’ago nella minuscola cavità, vi lasciò cadere l’oppio
e capovolse il fornello sulla fiamma, tenendomi ferma la pipa. Mentre tiravo,
la perlina d’oppio emise bolle delicate e regolari. Il fumatore esperto può
finire una pipa in un tiro solo, ma io avevo bisogno di farne parecchi. Poi mi
distesi appoggiando la testa sul cuscino di pelle, mentre lei preparava la
seconda pipa.” Alla sensibilità
tutta pragmatica di Spike l’esperienza sembrò, come ebbe modo di esprimersi più
volte, una gran stronzata. Personalmente trovava
divertenti le sostanze stupefacenti, ma c’era da dire che la sua fisiologia
vampiresca ne limitava, e di parecchio, gli effetti. Oh, sì, illusioni,
allucinazioni, ma il tutto passava con una velocità sorprendente, e senza
nessun effetto secondario. L’oppio su di lui era come il cioccolato per una
persona costituzionalmente magra: per quanto ne mangiasse, non l’avrebbe mai
davvero desiderato. Negli anni, l’esperienza della fumeria d’oppio della
MeilenHaus sarebbe sbiadita nel ricordo fino a che, un giorno, a Woodstock, si
sarebbe mangiato una coppia di figli dei fiori ed avrebbe visto muoversi le
sue mani per ore. Meglio il whisky,
per sballare, in questo era un
tradizionalista. Dru non la pensava
come lui. Adorava le cineserie. Nel loro lungo soggiorno in Cina, al
volgere del secolo, quando le strade di Angelus si erano inesorabilmente divise
dalle loro, lei era stata bellissima, seducente, con indosso magnifici kimoni
di seta ed i lunghi, neri capelli da bellezza celtica raccolti sul capo. La
migliore scopata della loro vita restava
- nei decenni - quella in quel piccolo tempietto, quando aveva ucciso la
cacciatrice cinese. Quella volta Spike si era davvero sentito il re del
mondo. Erano distesi, lui e
Dru, con in mano le loro pipe, e mentre lei sorrideva, Spike glielo ricordò.
L’oppio, come la pasta al pesto e i fiori di cipolla fritti e mille altre cose,
lo faceva diventare ciarliero. Dru arrossì tutta
adorabilmente, ma poi - improvvisamente
– mise il broncio. Era stata malinconica, dopo la visita di Renée, e sembrava
che non le fosse ancora passata. “Oh, tesoro mio, mio
cavaliere adorato, la pagherai, oh, se la pagherai.” La fumeria d’oppio
recava su una delle pareti un piccolo buco quasi invisibile. Da quel buco, una
persona ben disposta a pazientare e
dotata di apposito mandato del Señor, poteva osservare, non visto, e sentire.
L’oppio portava alle labbra degli uomini (e delle donne) interessanti verità,
in quello non era poi molto diverso dal vino. De Marina annotò
tutto scrupolosamente. Il blocchetto che usava per gli appunti era nuovo,
preso, ancora imballato, dall’armadio della cancelleria. “La vampira disse: Oh,
tesoro mio, mio cavaliere adorato, la pagherai, oh, se la pagherai.” egli
scrisse, in bella grafia. “Continui ad
insinuare che avrò problemi con le cacciatrici. Dru, dov’è la novità ? Quelle puttane
sono nate per farci fuori. E’ il nostro gioco eterno. Loro cacciano noi, io
caccio loro. Finora, io vinco.” “Sì.” disse lei,
inseguendo una nuvola di fumo con lo sguardo. “Che vuol dire si
?” “Che vinci.” “E allora ? Pensi
che una cacciatrice mi ucciderà ?” Dru scoppiò a
piangere. A dirotto. Non era la prima volta che lo faceva, sotto l’effetto di
un qualche stupefacente, e Spike non si preoccupò particolarmente. “Oh, no”
replicò lei “Non ti ucciderà. Né tu ucciderai lei. Sarà già morta.” “Uh ?” “Morta. Piena di
vermi. Putrefatta.” il pianto di Dru mutò in riso. “E ti creerà comunque una
marea di casini. Guai. Roba grossa. Spike … brucerai all’Inferno, per lei.” “Per una cacciatrice
morta ?” Spike scoppiò a ridere, era troppo divertente. La parte più
vigile del suo cervello intervenne a palla. “Un istante. Sto ridendo ?
E’ solo questo stupido oppio che mi fa ridere. Dru, dai … molliamola lì.
Mi fai venire i brividi.” “No, è divertente
come della musica ad un funerale.” “Se lo dici tu.” De Marina annotò “Se lo dici tu”,e poi si mise a pensare a quando, finalmente, il Señor gli avrebbe concesso di provare la fumeria d’oppio. Era così concentrato
nella sua fantasia che quasi si perse la frase più importante di tutto
il secolo. “Del resto, Dru … lo
sai com’è. Se lo dici tu, per quanto assurdo, ha buone probabilità di essere vero.
Gli hai messo una gran fifa al Tedesco con le tue predizioni, eh ? Aquile e
croci…benissimo. Se non è il coglione che sembra avrà capito che tu non
scherzi, con le tue profezie. Ben fatto piccola mia.” Ben fatto,
piccola mia, annotò De
Marina. Le sue sinapsi
arrivarono alla realtà di quanto il vampiro aveva detto solo un istante dopo. Aveva perso tempo,
intanto. Spike e Dru parlavano ora di fiori e scommesse. Note e curiosità
· KGB,
Mossad, MI6, OSS sono i servizi segreti
dell’URSS, di Isralele, di Gran Bretagna e degli USA (prima di venire
ribattezzati CIA); i migliori nel loro campo, almeno per tutta la Guerra Fredda.
Negli ultimi anni, pare, sono divenuti un po’ più fallibili. · Frau
Blucher è il nome della famosa governante del film “Frankenstein Junior” di Mel Brooks. Se non lo avete mai visto …
affittatelo subito ! · “Il
mistero Hitler” è il titolo del libro (scritto da Ron Rosembaum, edito da Mondadori)
da cui sono tratte tutte le notizie qui riportate sulla vita della famiglia
Hitler. Sono state però sintetizzate e semplificate alcune cose: il riferimento
alla famiglia Frankerberger, un cui membro avrebbe messo incinta la nonna di
Hitler, compare per la prima volta nel 1945, in un memoriale scritto durante la
detenzione a Norimberga da Hans Frank, già avvocato personale di Hitler, poi
governatore della Polonia occupata, impiccato per crimini contro l’umanità. Questo memoriale di oltre
mille pagine, conservato attualmente nel Museo dell’Olocausto a Gerusalemme,
riporta che, verso la fine del 1930, Hitler comunicò a Frank il ricatto da
parte del nipote William Patrick, il quale voleva divulgare ai giornali “l’ipotesi
che Hitler avesse sangue ebraico nelle vene e non potesse essere considerato,
quindi un vero antisemita. [ … ] Per incarico di Hitler feci alcune indagini
confidenziali”
che portarono ad attribuire la paternità di Alois al figlio giovinetto della famiglia
ebrea di Graz presso cui lavorava Maria Anna Schicklgruber. Nel memoriale
leggiamo poi che queste rivelazioni furono definite da Hitler false: egli
spiegò a Frank che la nonna lasciò credere a Frankerberger che il figlio fosse
suo (quando invece era dell’uomo che avrebbe sposato poi) perché “erano
poveri, e l’assegno di mantenimento che l’ebreo pagò per un certo numero di
anni rappresentò un aiuto economico quanto mai desiderabile”: una truffa, in parole
povere. Ma tutto questo è vero? È
vero quello che scoprì Frank? È vero quello che scrisse Frank? È vero quello
che disse Hitler a Frank? Per queste domande non ci sono risposte certe, oggi.
Il carteggio e i pagamenti tra i Frankerberger e la Schicklgruber non sono mai
venuti alla luce, e pare che a Graz in quegli anni non risiedesse alcuna
famiglia Frankerberger (ma viveva un trippaio ebreo, Frankenreither).
Sicuramente Hitler si vergognava della sua famiglia, distrusse tutti i
documenti possibili ed il paese stesso, forse sospettava (e in tal caso preferiva
far credere che i nonni fossero solo dei truffatori) di essere in parte ebreo:
a torto o a ragione, questo non siamo in grado di dirlo con sicurezza. Le prove
per sostenere una o l’altra teoria (e tutto ciò che comporta) sono molte di più
di quelle elencate in questa breve nota, e per approfondirle rimando al libro
citato. · Alfredo
Stroessner Matiauda (1912 - vivente) nato ad
Encarnaciòn, era figlio di Hugo, il contabile di un birraio emigrato dalla
Germania; la madre - Heriberta Matiauda – era del Paraguay; il cognome è
scritto Stroessner, Strössner o
Strößner. All’età di 17 anni, Stroessner si arruolò e divenne ufficiale due
anni più tardi, combatté nella Guerra del Chaco contro la Bolivia nel 1932, e
negli anni successivi salì progressivamente di rango. Nel 1948 divenne Generale
di brigata (il più giovane del Sud America) e poi Generale di Stato Maggiore
dell’esercito del Paraguayan: il colpo di stato compiuto dal movimento del 4
maggio 1954, che elevò alla presidenza della repubblica Tomás Romero Pereira
spianò la strada a Stroessner che prese il potere il 15 agosto del 1954,
abolendo la costituzione. Venne rieletto per otto volte consecutive (nel 1958,
1963, 1968, 1973, 1978, 1983, 1988): la sua è stata la dittatura più duratura
(35 anni) nell’America Latina. Stroessner fu un leader
energico: iniziava la sua giornata lavorativa alle quattro del mattino dando
ordini dal suo letto ed andando al lavoro al Palazzo del Governo prima delle
sei: salvo l’eccezione di una pausa di tre ore all’ora di pranzo, lavorava fino
all’una e non si prese mai una vacanza durante tutto il suo governo. Egli
disprezzava il comunismo ed il suo regime era favorevole agli interessi
americani; era rispettato per la sua politica finanziaria che garantiva il
pagamento dei prestiti erogati al regime paraguegno dalla Banca Mondiale e da
altre istituzioni, mantenendo così salda la moneta nazionale. Come statista, Stroessner
fece varie visite ufficiali, presso l’imperatore giapponese, il Presidente
Johnson, Charles de Gaulle e in Germania, sebbene le sue relazioni con
quest’ultimo stato si deteriorarono nel tempo, poiché egli sempre mostrò una
spiccata simpatia per ex nazisti, cui garantì asilo; tra essi il più famoso fu
certamente il tristemente noto dottor Josef Mengele. La vicenda Mengele gli
procurò della pessima stampa e il mondo dei media non glielo perdonò mai,
malgrado il plauso per le sue politiche finanziarie e la costruzione del più
imponente impianto idroelettrico del mondo, che esportò elettricità ad altri
paesi, migliorando di molto l’economia del Paraguay. Inoltre, egli supportò la
concessione di venti ettari di terra coltivabile ad un prezzo nominale per ogni
soldato che completasse il servizio militare, purché egli la coltivasse e oltre
10.000 soldati usarono questa facilitazione. Sebbene fosse un autocrate, col
tempo divenne più tollerante nei confronti dell’opposizione politica, ma il suo
regime comunque costò la vita ad un numero di persone stimato tra le 400 e le
3000 a causa dell’uso della forza lungo tutto il corso del suo governo durato
35 anni, e si imputano al suo regime l’uso della tortura, dei rapimenti ed il
generalizzato ricorso alla corruzione, che egli non negò mai. Ebbe pessime
relazioni con la Chiesa Cattolica, e gli sono imputate azioni di contrasto: si
sostiene d’altronde che la Chiesa fu il suo unico vero oppositore, impedendogli
di fatto l’assoluto controllo del Paese. La sua amicizia con gli USA
continuò per parecchi anni fino a che l’Amministrazione Reagan cominciò a
boicottare il suo regime e il suo Paese per il rifiuto di Stroessner ad indire
elezioni democratiche e per il declino dell’Unione Sovietica. Il Partito
Colorado, al quale Stroessner (ed ogni presidente ad egli succeduto)
apparteneva, iniziò ad opporglisi, fino a deporlo nel 1989, per mano di un
altro membro del partito, il generale Andrés Rodríguez, nonché suo consuocero.
La città orientale di Puerto Flor de Lis venne ribattezzata Puerto Presidente
Stroessner in suo onore, ma nel 1989 il nome fu cambiato nuovamente in Ciudad
del Este. Stroessner
vive in esilio a Brasilia fin dal giorno in cui venne rovesciato e, nel 1997, è
stato condannato in contumacia per crimini contro l’umanità. Ovviamente la sua
infanzia, per quanto ne sappiamo, non ha compreso bordelli panamensi e incontri
con vampiri o attivisti nazisti. · “Il
lavoro rende liberi”, in tedesco “Arbeit macht
frei” era il motto che campeggiava all’ingresso del solo campo di Auschwitz
(ogni campo di lavoro o di sterminio aveva il proprio: “Ad ognuno ciò che si
merita” a Buchenwald, “Pulizia e salute” a Mauthausen e così via). Secondo
Rudolf Hoss, che diresse fino al 1945 il campo, nella propria autobiografia
scritta prima di essere impiccato: “Il lavoro […] è anche un mezzo educativo […]. Era
ferma intenzione rimettere in libertà quei prigionieri, a qualunque categoria
appartenessero, che avessero saputo emergere dalla massa per la loro costante e
diligente efficienza nel lavoro.” Questo
motto, inaugurato anni prima che Auschwitz divenisse luogo deputato alla
Soluzione Finale, era ispirato al concetto di Erziehungslager, lavoro come
strumento di rigenerazione, applicato da decenni in tutto il mondo; basti
pensare ai lavori forzati cui venivano spesso impiegati i detenuti comuni. Il
lavoro “correttivo” è tuttora impiegato nei campi di concentramento cinesi ed
asiatici in genere, in condizioni non dissimili da quelli nazisti (cfr. J.
Kotek, P. Rigoulot, “Il secolo dei campi”, Mondatori). · Henry Graham Greene (2
ottobre 1904 - 3 aprile 1991), frequentò i primi studi nella scuola pubblica di
cui il padre, Charles Henry Greene, era il direttore. Passato al Balliol
College di Oxford, si ambientò nei circoli letterari e politici diventando
membro del Partito Comunista, che abbandonò dopo poco più di un mese. Una crisi
d’identità religiosa lo costrinse nel 1926 a lasciare il protestantesimo per
convertirsi al cattolicesimo, cosa che influenzò tutta la sua opera letteraria
successiva. Nello stesso anno si laureò e nel 1927 sposò Vivien
Daryell-Browning. Diventato giornalista collaborò inizialmente con il
Notthingham Journal e, in seguito alla pubblicazione del suo primo romanzo (“L’uomo dentro di me”), con il Times, del quale fu vicedirettore
fino al 1930. Nei cinque anni successivi si dedicò unicamente alla narrativa,
pubblicando un libro all’anno, e nel 1935 tornò al giornalismo diventando
critico cinematografico per lo Spectator fino al 1939. Durante la guerra lavorò
per il Secret Intelligence Service in Africa: scrisse alcuni libri di viaggio e
quello che viene considerato il suo capolavoro: “Il nocciolo della
questione”. La sceneggiatura de “L’idolo
infranto” lo portò alla nomination
all’Oscar nel 1948. Nel 1954 fu corrispondente di guerra in Indocina per il New
Republic ed in seguito alternò l’attività di scrittore a quelle di giornalista,
saggista, autore teatrale e sceneggiatore cinematografico fino alla sua morte,
avvenuta nel 1991 nella sua casa di Corseaux sul Lago di Ginevra. “Il ruolo dello scrittore è
quello di suscitare nel lettore la simpatia verso quei personaggi che
ufficialmente non hanno diritto alla simpatia”, così Graham Greene definiva il suo ruolo di artista. I personaggi di
Greene sono peccatori che sembrano vivere in un mondo abbandonato da Dio:
alcolizzati, lussuriosi, assassini e suicidi sembrano trovare nella sofferenza
quasi una consolazione. Del 1938 è il primo romanzo del ciclo cattolico, “La
roccia di Brighton”, in cui Pinkie è un
delinquente poco più che adolescente, devastato da un’infanzia infelice ed
orgogliosamente votato al male. Da un viaggio in Messico nel 1939, dove è in
corso una feroce persecuzione religiosa, trae lo spunto per uno dei suoi
capolavori, “Il potere e la gloria”,
nel quale l’ultimo prete sopravvissuto, un uomo indegno ed impuro, tormentato
dal peso delle sue colpe, cerca di sfuggire ad una spietata caccia all’uomo.
L’eutanasia è all’origine de “Il nocciolo della questione” e ai sentimenti di pietà che porteranno
alla perdizione il rigido Commissario Scobie. I toni drammatici si attenueranno
nelle opere successive, arrivando a sfiorare la commedia con “Il nostro
agente all’Avana”. Contemporaneamente
inizia la serie dei romanzi politici con “Un americano tranquillo” (1955), in cui prevede la svolta interventista dell’amministrazione
statunitense. La società convenzionale, il sesso, il gioco d’azzardo e
l’avventura convivono tra farsa e dramma ne “I commedianti” (1966), mentre i viaggi in Sudamerica
ispireranno il divertente “In viaggio con la zia” ed “Il console onorario”.
Nel 1978 scrive la spy story “Il fattore umano”, probabilmente suggerita dal tradimento dell’agente doppiogiochista
Kim Philby, che fu suo superiore ai tempi della guerra e che nel 1963 fuggì in
Unione Sovietica. “Il Dottor Fisher a Ginevra, ovvero la cena delle bombe” è una satira sul capitalismo e nella
Spagna post franchista ambienta “Monsignor Chisciotte”, in cui Greene trasporta personaggi ed episodi del libro di
Cervantes. Graham Greene è
probabilmente uno degli autori contemporanei a cui più spesso si è rivolta
l’industria cinematografica; sono infatti circa cinquanta i film tratti dai
suoi romanzi, racconti e commedie, dei quali ha spesso curato personalmente la
sceneggiatura. La prima trasposizione del 1934, “Orient Express”, è tratta da “Il treno
d’Istambul”.
Molti dei suoi romanzi sono diventati film di successo anche grazie agli attori
che li hanno interpretati; fra questi vanno certamente ricordati lo sfuggente
Orson Welles ne “Il terzo uomo” (1949), il britannico aplomb di Alec Guinness ne “Il nostro
agente all’Avana”
(1959), Richard Burton, Elisabeth Taylor, Alec Guinness e Peter Ustinov ne “I
commedianti”
(1967), il freddo Richard Attenborough ne “Il fattore umano” (1979) diretto da Otto
Preminger, fino ai più recenti “Il console onorario” (1983) con Richard Gere e
Michael Caine, “La fine di una storia” (1999) con Julianne Moore e “The quiet
american”
(2002) ancora con Michael Caine. Le atmosfere di questa
storia debbono molto ad alcuni suoi romanzi, quali “Il Potere e la Gloria”, “Il nostro agente all’Avana” e “L’americano tranquillo”. |