Laggiù nel Paese dei Tropici,

dove il sole è più sole che qua,

sotto l’ombra degli alberi esotici

non t’immagini che caldo che fa.

Gli americani che espatriano,

si ritrovano tutti quaggiù,

alle spalle una storia improbabile,

un amore che non vale più.

 

Banana Repubblic

Francesco De Gregori e Lucio Dalla

Banana Repubblica 1978

 

6. Il mattino ha l’oro in bocca.

 

 

 

Cosa c’era di peggio che iniziare la giornata con la rituale riunione al cospetto del Tedesco? Presto detto, continuare la mattinata sentendo De Marina lagnarsi dei suoi orridi incubi, che per giunta erano sempre gli stessi, pensava Herr Stroessner, scendendo le scale degli appartamenti privati del Señor per dirigersi verso i suoi uffici, un’infilata di stanze quadrangolari che iniziavano dal cortile moresco ove Spike era rimasto a fissare la fontana solo trentasei ore prima.

Com’era prevedibile, De Marina, con quella faccia da becchino povero e quell’espressione da seminarista in lutto, iniziò a lagnarsi della sua orribile notte, funestata dal ricorrente incubo di sputare dei grumi sanguinolenti che poi erano i suoi denti. Intanto Stroessner s’infilava le mezze maniche d’ordinanza, sorbiva il secondo caffè della giornata, rovente come l’inferno, nero come la morte e amaro come la vita, che la sua segretaria gli faceva trovare sulla scrivania, e si domandava come ogni mattina perché avesse la sventura di avere quello stiriano come collega e parigrado.

De Marina, terminata l’accurata descrizione dell’orrido sapore di sangue che aveva in bocca sputando i propri denti (incubo non peggiore di quando veniva sbranato da torme di cani), sospirò e si decise ad entrare nella stanza attigua a quella, cioè nel suo ufficio, per dedicarsi all’entusiasmante compito di rivedere e completare i rendiconti del mese di dicembre delle puttane di seconda classe (la terza, gli uomini e i fanciulli erano già stati evasi).

Esistevano contratti di vario grado che legavano la manodopera e le loro famiglie al Tedesco: alcuni, i meno avveduti a parere del Señor, vendevano il figlio o la figlia in cambio di una somma, che veniva calcolata in base ad accurati parametri, secondo l’augusto principio del “pochi, maledetti e subito”.

Altri preferivano barattarla in cambio di una rendita a cottimo, idea geniale e supremo vanto della MeilenHaus: stimata a quale classe d’impiego potesse aspirare la ragazza, questa veniva messa al lavoro col primo del mese, e ovviamente ogni suo coito e prestazione erano accuratamente registrate dalla maitresse a cui rispondeva, procurando ai provvidi parenti una non trascurabile rendita.

Questi registri venivano poi inviati all’Amministrazione, cioè a De Marina e al suo ufficio, che li riguardava, ne controllava la corrispondenza con gli incassi (poteva darsi che una maitresse scrivesse “anale ½ ora” invece di “orale + vaginale 1 ora”: erano pur sempre persone, un errore poteva anche scappare!) e alla fine stilava i rendiconti mensili ad personam, che venivano pubblicamente letti dal Señor, presenti tutti i dirigenti, a metà mese nelle varie ali della MeilenHaus; la puttana del mese aveva diritto, oltre ad una calorosa stretta di mano ed un caldo abbraccio da parte del Tedesco, anche ad un premio, consistente o in denaro o in un giorno extra di riposo. Se la nota catena di fast food con l’archetto come simbolo l’avesse mai saputo, avrebbe sicuramente installato un altarino in memoria del Tedesco in ogni sua filiale.

Una copia del rendimento della lavoratrice veniva inviato alla famiglia, che aveva diritto, come da contratto, ad una percentuale dei guadagni netti, cioè privi delle varie spese (mantenimento, vestiario, pulizia, elettricità, acqua e simili) che quella certa sezione della MeilenHaus aveva sostenuto nel mese passato e che venivano divise per il numero di puttane impiegate.

Così, passato dicembre, nelle prime due settimane di gennaio si calcolavano le entrate e le uscite, a metà mese si facevano i pubblici elogi e le pubbliche reprimende per le meno produttive (a meno che non fossero giustificate da malattie ed eventi imponderabili) e a fine gennaio in tanti villaggi arrivavano buste piene di dollari e accompagnate da un breve rendiconto economico e da notizie di carattere privato.

Il Tedesco insisteva fermamente affinchè le sue ragazze scrivessero a casa per dare notizie: faceva anche questo parte della sua fantastica teoria della “pace sociale” che aveva esposto durante una cena di gala per i festeggiamenti per l’indipendenza al Presidente, alle principali figure politiche ed in presenza di uno sdegnato ma intrigato Monsignore il Vescovo. Ogni fine mese si rannuvolavano infinitamente i cuori dei parroci che dovevano leggere quelle lettere ai contadini analfabeti che vivevano della bellezza delle figlie e dei figli.

Sebbene le caratteristiche della routine fossero già di per sé abbastanza orribili, l’imprevedibilità quotidiana poteva riservare ancora brutte sorprese. Mentre De Marina rivedeva l’elenco delle puttane di seconda classe dalla A alla F, e non erano ancora battute le nove, Stroessner nell’ufficio contiguo si sentì gelare il sangue agli annunci, in rapida successione, che un giornalista americano era stato trovato dissanguato all’Hotel Venice da un morso alla gola e che Herr Simras Collman stava discutendo animatamente all’ingresso con due Guardie Civili, le quali cercavano di spiegargli che a quell’ora il Señor non riceveva.

Fottuto inglese rottinculo! Quando gli avevano fatto intendere che non doveva far capire che le vittime venivano uccise da un vampiro a cosa cazzo stava pensando? Oh porca puttana, e adesso chi aveva le palle di andare a svegliare il Señor di prima mattina per dirgli che c’erano degli intoppi? E soprattutto … perché i documenti che Herr Nagel avrebbe dovuto sottrarre al cadavere non erano ancora sul suo tavolo? Collman era stato chiaro al proposito: uccidere con discrezione e rubare. Stroessner ebbe una sinistra premonizione e gli si paralizzarono le membra dalla paura.

Senza bussare entrò nell’ufficio di De Marina, che si girò indispettito per quell’intrusione: poi vide quel rettile del suo collega pallido come un cadavere e intuì che c’erano problemi in vista, e si augurò di tutto cuore che lui e il suo reparto non c’entrassero, mentre già involontariamente contraeva la mano sinistra e si sentiva il fiato mozzo.

“Ho un tipo alla porta che chiede di … me. Ti spiacerebbe andare su a vedere se il Señor è sveglio?” De Marina, iniziando già a rantolare con affanno e sentendosi girare la testa, lo guardò spalancando gli occhi. “Un minimo intoppo con i Nagel.” aggiunse Stroessner, sperando che la precisazione facesse tornare il collega nel mondo dei viventi a pieno titolo. Fin troppo.

De Marina lo fissò come se ne andasse di mezzo la loro vita (e non era così lontano dal vero). E poi fece una proposta di grande pragmatismo.

“Io fermo il postulante e tu sali a svegliarlo: vorrà sapere il perché di questa visita, e se la faccenda non riguarda il mio reparto …”

Brutto figlio di puttana, pensò Stroessner, ingoiando l’amaro, misero boccone che il collega gli offriva, te la sei legata al dito per quando mi sono fatto negare mentre tu era incasinato col preventivo del nuovo tetto della mensa delle puttane di terza, eh? Ma poiché nessuno lo avrebbe aiutato molto di più, soprattutto in un frangente simile, tanto valeva prendere quel poco che gli veniva concesso e farsi coraggio.

Così, mentre De Marina telefonava all’ingresso che facessero entrare l’uomo e si domandava chi e cosa rappresentassero questi Nagel (per il timore di chiacchierare e lasciarsi sfuggire qualcosa di troppo c’era una scarsissima comunicazione tra i vari reparti, all’egida del vecchio ma sempreverde principio burocratico che l’informazione è potere), Stroessner saliva con cuore pesante le scale che conducevano agli appartamenti del Señor, come se fossero quelle del suo patibolo, maledicendo ad ogni scalino in ogni lingua che conosceva la coppia di vampiri inglesi e sfrontati che si riposava dalla nottata brava.

Bussò alla prima porta e una voce, da dietro, gli chiese di dichiarare chi fosse; fattolo, la doppia anta piano si aprì e gli permise di vedere il corridoio ove bivaccavano di guardia due vampiri della truppa di Magnus e due uomini della Guardia Civile.

Stroessner spiegò che doveva parlare con il Señor e quelli ebbero paura per lui. Bussò alla seconda porta, ripeté il suo nome, fu fatto entrare nel vestibolo degli appartamenti privati del Tedesco dove una cameriera, viva, gli chiese cosa desiderava: ripetutolo fu fatto accomodare su un divano bordeaux fin quando non comparve, accigliato, Viktor.

Da vivo, trent’anni prima, aveva servito Lord e Lady Churchill e li aveva accompagnati nel folle giro del mondo in yacht che la moglie aveva organizzato nell’ultimo anno di vita del marito, roso dalla sifilide: ma per Viktor il periplo si era fermato sulle rive che, qualche anno dopo, avrebbero visto aprirsi il Canale. Divenuto vampiro, ma sempre memore degli usi del maggiordomo che era stato, in breve tempo era stato assunto dal Tedesco prima come proprio domestico, poi come Maestro di Casa, con svariati sottoposti, vivi e morti, da comandare.

Accarezzandosi il folto barbone, come quelli che andavano di moda negli ultimi decenni del XIX secolo, ascoltò cosa Herr Stroessner avesse per osare comparire in quelle stanze in quell’ora poco caritatevole, poi, lisciandosi i galloni dorati della sua scintillante divisa rossa, diede fiato alle trombe della banalità: “Il Señor non sarà particolarmente lieto.”

L’uomo, trattenendosi dal spingerlo alla luce del sole, gli ribattè che lo sarebbe stato anche meno se avessero continuato a perdere tempo in chiacchiere.

 “Su, lo vada a svegliare, al resto ci penserò io.” disse, raccomandandosi l’anima e confidando nella sua buona sorte, che talvolta gli aveva arriso.

Di lì a poco, troppo poco, in cima alle scale comparve il Señor, la nudità vagamente coperta da un kimono coloratissimo, antico dono della comunità cinese: non disse nulla, ma lo sguardo che rivolse allo spaurito tedesco che si torceva le mani dalla paura era più eloquente di un’arringa di Herr Hitler a proposito della questione razziale, e Stroessner si sentì liquefare le ossa dentro il corpo.

“Señor, mi rammarico infinitamente di avervi disturbato, ma è arrivato Herr Collman, e pare sia furibondo, immagino perché Herr Nagel si è bevuto il giornalista in modo … plateale. E ho anche il sospetto che si sia … ecco, scordato di prendere i documenti del defunto.”

Il Tedesco non mutò apparentemente espressione. In quel momento sembrava più morto che mai.

“Fai entrare quell’imbecille di Collman. Io arrivo subito. E tu scendi dalle altre scale, prendi una macchina e vai subito all’Hotel Venice, e controlla che Herr Nagel abbia preso i documenti; in caso contrario provvedi.”

A Stroessner capitò ciò che capita normalmente ai sottoposti che sentono impartirsi ordini assurdi e soprattutto ineseguibili: maledì la propria cattiva sorte e abbozzò la più bieca delle obbedienze. Non c’era modo al mondo che potesse penetrare, senza farsi notare, sulla scena di un delitto oramai scoperto, e tanto meno trovare – ore dopo - qualcosa di interessante che nessuno prima di lui avesse asportato. Ma non giovava forse procrastinare le conseguenze dell’inevitabile, doloroso fallimento?

Intanto, giù al primo piano, si sentiva distintamente la voce di De Marina che sovrastava quella dell’ospite, ed era abbastanza strano, visto che difficilmente quell’uomo alzava la voce. “Non mi interessa niente, señor! O lei fa quanto le è stato richiesto o sarò costretto a chiedere alle guardie di farla aspettare nel cortile!”

Collman, paonazzo in volto, stava con le mani piantate sui fianchi, De Marina era in piedi dietro la scrivania con le mani poggiate fortemente su essa e due membri della Guardia Civile, accigliati, appoggiati al muro, erano già pronti ad usare i manganelli.

Quando la porta si aprì ed entrò il Tedesco, che aveva indossato in fretta e furia un paio di pantaloni di lino ed una camicia, calzando le comode scarpe di corda, di colpo tutto tacque davanti a quello sguardo di vampiro disturbato nelle ore più dolci del sonno.

“Posto che lei ha voluto Herr Nagel qui, e che quindi non sarà lei a protestare per i suoi metodi di lavoro, i quali ho l’impressione che mi porteranno costosi fastidi … cosa vuole, Collman? E mi auguro che ci sia qualcosa d’importante per venire a strepitare a quest’ora in casa mia.” L’unico rumore che si sentiva erano le dita della mano sinistra di De Marina, che battevano sulla scrivania con lo stesso ritmo del tasto di un telegrafo.

L’uomo impallidì vistosamente e istintivamente girò lo sguardo: le guardie tenevano gli occhi bassi, De Marina li aveva vitrei: per farsi forza scivolò nell’abitudine e scattò sull’attenti e stese il braccio destro nell’abituale saluto del partito.

“Sieg Heil ! Señor, sono vivamente dispiaciuto del disturbo arrecatole, ma non appena ho saputo che Herr Nagel aveva lasciato ampie tracce del suo passaggio sono corsa ad avvertirla e a portarle le scuse, a nome mio e a quello del Partito Nazional-Socialista dei Lavoratori Tedeschi, per lo spiacevole episodio che si è verificato e che turba quell’equilibrio sociale tra uomini e vampiri che Ella auspica. Memore delle sue …”

“Ci dia un taglio, Collman. Ringrazio lei e il partito; per quanto riguarda i danni che ho subito le assicuro che se passerà questo pomeriggio, diciamo dopo le sei, le comunicherò le somme che avrò dovuto elargire per tacitare questo spiacevole episodio. Buona giornata.” e bastò un cenno con la testa che le due guardie si affiancarono a Collman, batterono i tacchi e si accinsero a scortarlo fuori.

L’udienza era finita e non c’era più nulla da poter chiedere, neppure circa quei documenti tanto importanti di Smithson.

“De Marina, appena ha finito di battere il tempo sulla scrivania, mi segua: andiamo a svegliare quei due. Ma prima chiami Viktor e gli dica che voglio del sangue fresco per quando sarò nell’ala degli ospiti.”

 

 

Detto, fatto. Arrivati nel padiglione messo a disposizione di Spike e Drusilla, furono accolti da tutta la servitù schierata sull’attenti; una cameriere reggeva su di un vassoio d’argento una caraffa e tre bicchieri di cristallo.

Con degnazione, il Tedesco intinse un dito, lo tirò fuori gocciolante di sangue e se lo cIucciò con gusto: un sonoro schiocco della lingua palesò la sua approvazione. “Gustosissimo. Vuole favorire, De Marina?” Prima che l’uomo si schernisse dicendo che non beveva mai in servizio, da lontano si sentì una voce.

Una voce fastidiosamente beffarda. “Non c’è più rispetto per i lavoratori? Io mi vorrei ritemprare dopo una notte di duro lavoro, e invece tutti a far fracasso e strepiti perché arriva il Señor.”

Il vampiro si stava grattando la testa. I suoi capelli erano una meravigliosa scultura di casuale eleganza. Chi aveva inventato l’espressione bed hair come marchio commerciale doveva averlo davvero incontrato, in una qualche sua incarnazione.

Era quel tipo di uomo che riusciva irresistibile anche appena alzato dal letto, anzi, soprattutto appena alzato dal letto….

La visione andò per traverso al Tedesco. Odiava quel tipo di uomo, sentimentale, affascinante, attraente buono a nulla.

“Buon giorno, Herr Nagel. Gradisce del sangue?” gli domandò, cercando di mantenersi calmo e indicandogli la cameriera.

Spike cercò di mettere a fuoco la sua faccia, e fece una smorfia.

 “Ma lei lo beve così? Che gusto c’è?”

Il Tedesco non pensò neppure per un attimo di rispondergli, figurarsi se quel barbaro poteva capire la sottile voluttà che si provava nel gustare del sangue caldo come se fosse un buon vino rosso: era a causa di quei vampiri ancora così bestiali ed arretrati, rimasti all’età della pietra, che non si riusciva a trasformare il mondo in una grande MeilenHaus.

Il Tedesco lo sapeva: precorreva i tempi, e come tutti i grandi profeti era solo con le sue visioni grandi e magnifiche; ma un giorno il suo nome sarebbe stato pronunciato con riverenza ed ammirazione e devozione, come è giusto fare con i grandi precursori.

“Ha avuto una serata interessante, Herr Nagel, a quanto mi dicono. Ho sentito che si è fatto onore.” Iniziò a dire il vampiro, gelido e tagliente come ogni volta che era di umore pessimo.

“Ah … le sue puttane. Sì, molto brave, sanno fare il loro mestiere. Anche Dru s’è divertita.” Ovviamente il Tedesco non si riferiva agli ozi notturni dei due vampiri, ed ancor più ovviamente Spike lo sapeva, ma gli dava così gusto vedere quel vampiro noioso ed impalato scaldarsi.

“Pensavo al giornalista americano, veramente. Quello che è stato trovato molto dissanguato nella sua stanza d’albergo, non so se si ricorda.” De Marina, abituato al tono, comprese che quella era il massimo dell’ironia di cui era capace il Señor durante i prodromi d’un attacco d’ira; incurante Spike si diresse con fare molle verso un divano, dolce si lasciò cadere a corpo morto ed iniziò a stiracchiarsi pigramente, beato e felice come un gatto di buon umore.

“Già, già, già. Sarà contento, faccio il mio lavoro, sono anch’io un bravo e solerte impiegatuccio di questa grande macchina. Cosa c’è di più bello? Sto realizzando i sogni di tutta una non – vita.”

Il Tedesco cercò di schiarirsi la gola, ma il suonò che sentì De Marina era più simile ad un basso ringhio, e il povero contabile iniziò a pensare con nostalgia ed affetto a tutte quelle pratiche e conti che doveva ancora rivedere.

“Se lei facesse il suo lavoro, vorrebbe dire che sa cosa deve fare. Se sapesse cosa deve fare, vorrebbe dire che ha ascoltato ciò che Herr Collman le ha detto. Se avesse ascoltato Herr Collman saprebbe che dopo aver ucciso quel giornalista avrebbe dovuto prendere i suoi incartamenti e portarli qui. Se avesse preso quei documenti ed appunti adesso io non dovrei mandare qualcuno a corrompere la polizia locale per poterli prendere e rimediare ai suoi pasticci.”

Spike inclinò lievemente la testa, lo fissò curioso e gli domandò chi fosse il suo Sire. Il Tedesco non era minimamente preparato a questa domanda, che infatti lo prese totalmente alla sprovvista, ma prima che riuscisse a replicare qualcosa di sensato, Spike gli fece capire il senso della sua osservazione. “Doveva essere un gran bel bastardo. Cioè, rendere immortale un uomo così noioso e barboso come lei vuol dire odiare proprio questo mondo. Sì, il suo Sire doveva essere veramente un fottuto sadico.”

De Marina smise di respirare e di vivere nell’attesa che succedesse l’inimmaginabile, e come lui anche tutta la servitù, pur essendo morta già da anni: questa era una di quelle offese “da lavare col sangue”, per citare i vecchi romanzi di cappa e di spada. Ma evidentemente il Destino amava quel vampiro così impudente, e lasciò che accadesse uno tra i più classici colpi di scena: nella stanza entrò una persona, che calamitò su di sé tutti gli sguardi.

“Mi sentivo sola…” sorrise lei, bellissima ed esotica con la sua pelle di panna e porcellana fragile da rosa inglese. Spike si sollevò e tese la mano a Dru, facendola sedere accanto a sé sul divano. Carezzevolmente la vampira gli posò le lunghe dita sulla guancia, e poi appoggiò la sua fronte a quella di lui. Si voltarono all’unisono verso gli estranei, sorridendo. Insieme.

De Marina la guardò da capo a piede, e come abituale riflesso condizionato, calcolò mentalmente a quale classe di puttane sarebbe potuta appartenere: da quando lavorava lì oramai faceva questa considerazione su ogni donna che vedeva, e questo era un notevole problema per lui.

La vampira era alta abbastanza, poco formosa, un viso di una bellezza non classica, ma aveva qualcosa di estremamente particolare, che forse poteva mettere poco a loro agio gli eventuali clienti: seconda classe per lei, solo se si fosse mostrata portata ad approfondire tecniche e situazioni particolari avrebbe potuto aspirare alla prima, concluse mentalmente l’uomo.

Il che dimostrava una sua scarsa propensione per quel mestiere, per il quale invece Madame R. era nata: il che non faceva altro che confermare l’antico assioma per cui non bisognava far fare ad un uomo un lavoro da donna.

Il Tedesco, vedendola per la prima volta, la osservò molto curioso: eccola finalmente, la vampira tanto nota per il supposto dono della Vista, la childe del Flagello, degna compagna del vampiro il cui nome, a quanto lui ne sapeva, era sulla bocca di un sacco di persone ai due capi dell’oceano.

Drusilla gettò una svagata e sognate occhiata nella stanza, mentre Spike le stringeva le mani. “Principessa, che c’è, t’abbiamo svegliato? Tutto bene?” Lei gli donò uno splendido sorriso, poi senza dirgli nulla si diresse verso il Tedesco, che non aveva smesso di fissarla, con un’espressione indecifrabile sul volto.

Quando gli giunse davanti, prima ancora che lui potesse esprimersi al meglio in un formale e compassato saluto, lei gli mise le mani sulle tempie e lo attirò a sé, come una donna fa con un fanciullo e in men che non si dica il Señor si trovò la testa comodamente appoggiata sulla spalla di lei, mentre De Marina e tutta la servitù rimanevano allibiti e Spike s’immaginava divertito l’imbarazzo di quel vampiro.

“Non ce la facevo più, non riuscivo a dormire, sei stato molto molto cattivo.”gli disse Drusilla con un materno tono di rimprovero, mentre il Tedesco non riusciva assolutamente a capire cosa diavolo stesse succedendo intorno a lui.

“Eh … eh … mi spiace se gli alloggi non sono risultati di vostro gradimento …”

“No, è Miss Edith.” gli sussurrò Drusilla in un orecchio, poi scostò quella testa bionda dalla propria spalla e fece in modo di poterlo guardare negli occhi, molto da vicino. “E’ tutta colpa di Miss Edith. Lei è arrabbiata con te e di notte continua a lamentarsi e a parlarmi. Ma ora che sei qui ci potrai parlare tu stesso e lei ricomincerà a farmi dormire.”

Bene, adesso il Tedesco non ci capiva veramente più niente: chi era questa Miss Edith? Non c’era nessuna Miss Edith in tutta la MeilenHaus, e quei due erano arrivati senza servitù, solo con un numero eccessivo di bauli, il cui contenuto gli era stato riferito a tempo debito. E soprattutto … quella vampira era ancora più pazza di quanto i suoi dossier, i suoi informatori, Madame R. e Renée gli avessero detto; era anche più pazza di quel demente del Re di Baviera·.

Mentre Drusilla, tenendolo per una manica, se lo trascinava dietro, il Tedesco riuscì a guardare Spike, che se ne stava in piedi e sorrideva, divertito davanti a quell’uomo prima tanto sicuro di sé ed adesso, lontano dalla sua pacifica realtà dove comandava e tutto era perfettamente razionale, del tutto privo di appoggi.

Decise di seguirli, anche perché non si sarebbe perso per nulla al mondo ciò che sarebbe successo e così si ritrovò faccia a faccia con De Marina, il cui cuore batteva talmente forte che gli diede fastidio; piccolo svantaggio nell’essere vampiro.

“E lei chi diavolo è? La manda Collman per darmi una bella sculacciata visto che non ho fatto il mio dovere?”

“Oh … no, Herr Nagel, io sono  Francisco Josè De Marina e lavoro per il Señor, non ho nulla a che fare con Herr Collman, non so neppure perché lei è qui.”

“Ah, neanch’io se è per questo. Mi sembra di essere finito in un manicomio tedesco.” e dicendo questo Spike gli sorrise, e poi si diresse verso le stanze interne, seguendo il rumore della voce di Drusilla. Che uomo simpatico, pensò De Marina, peccato sia morto, demone e un gran casinista irrispettoso.

Intanto Drusilla, continuando a parlare senza un apprezzabile filo logico, il che disturbava molto il Señor, era finalmente arrivata nella camera che lei e Spike occupavano.

La parete bianca di fronte al grande letto era adorabilmente adornata con una collezione di acquasantiere spagnole e portoghesi – rigorosamente sconsacrate – in maiolica e azulejos. I vestiti bianchi ed adolescenziali della vampira erano disseminati ovunque, come se ella avesse a lungo indugiato dinnanzi al vasto guardaroba ricavato in una nicchia del muro per scegliere la toilette più adatta. Non v’erano specchi, ma grandi bacini di ceramica ed una vasca smaltata con piedi d’oro. Le bambole di Dru giacevano ovunque, come una scolaresca indisciplinata.

Dru tentò disperatamente di farsi il segno della croce alla spagnola, e ci rinunciò. Scoppiò a ridere, piano, divertità dall’inanità dei suoi sforzi.

 Il Tedesco ebbe il tempo di pensare che quella folle all’ultimo stadio era terribilmente disordinata quando la suddetta, sempre tenendolo per la manica, come con un bambino riottoso, lo portò fin davanti a un cassettone su cui erano posate alcune delle bambole e, orrore und raccapriccio!, iniziò a dialogare con una di loro!

 “Ecco, vedi, è qui, sei contenta?” Stava parlando con una bambola, quella vampira stava parlando con una bambola! Il Tedesco era senza parole, ma più per l’evidente follia dei gringos che confidavano su quella manica di matti dei nazionalsocialisti che – a loro volta - confidavano tanto negli oroscopi e in quei vampiri! E volevano pure riconquistare la Germania!

Matti, tutti matti! Stava coprendo un’operazione politica dove il più sano credeva che la terra fosse cava·, dentro ci vivessero i progenitori divini dei popoli ariani e la porta fosse in Tibet ! Matti, tutti matti !

Mentre il Tedesco riusciva ad recuperare un po’ di lucidità nel fare considerazioni di ordine cripto - geo - eso - politico, Spike e De Marina erano arrivati e si erano fermati sulla soglia, o meglio, il vampiro s’era appoggiato allo stipite della porta e guardava la scena evidentemente divertito e l’uomo non s’era azzardato a scavalcarlo e guardava anch’esso quel teatro dell’assurdo da oltre la spalla dell’altro.

“Eccola! La vede com’è arrabbiata con lei?” disse Drusilla mettendo Miss Edith a un palmo dal viso del Tedesco, che si ritrovò a dover fare buon viso a cattivo gioco.

“Oh, mi spiace. Potrebbe chiedere a Miss Edith cos’ho fatto e come posso riparare?” domandò gentilmente, mentre Dru si avvicinava la bambola ad un orecchio e sembrare ascoltare quello che lei diceva; in sottofondo De Marina non riuscì a trattenere, a bassa voce, un grugnito tedesco di stupore per quello che stava vedendo.

“Dice che lei è tanto cattivo perché non è bello fare il gioco delle tre carte, specie se si bara. E dice che noi vampiri ci bruciamo le mani se maneggiamo le croci. E poi … oh, povera aquila!” gemette Dru, che all’improvviso parve sentire su di sé tutto il dolore di quell’uccello.

Ma il Tedesco la ascoltava con un solo orecchio, per così dire, giacché in un solo momento, pesante come un’intera catasta di mattoni, gli era crollata addosso la drammatica e paurosa verità: quella pazza sapeva, anzi, vedeva tutto. E il Tedesco provò un sentimento che quasi aveva dimenticato, la paura.

“La taglieranno a pezzettini, povera piccola aquila, soffrirà tanto. Oh, Spike, urlerà e brucerà, e le uccideranno i piccoli e li appenderanno a dei ganci.” gemette Drusilla, lasciandosi cadere sul letto e coprendosi il viso con un braccio, mentre con l’altro teneva saldamente Miss Edith. “Me lo sta dicendo, è arrabbiata con loro. Vedo polvere e cenere, e tutto bruciato, il fuoco sulla terra e nell’aria, sta bruciando tutto, la croce brucia.”

Drusilla si contorceva piano, piagnucolando sul letto, mentre davanti a lei il Tedesco rimaneva immobile, con la bocca leggermente aperta e lo sguardo fisso su quello spettacolo, ma senza vederlo realmente; lei vedeva, lei sapeva: Hess aveva ragione.

Fu ridestato dalle sue sconvolte riflessioni da una vigorosa spallata di Spike che s’era avvicinato al letto per consolare e tranquillizzare la sua piccola Dru: inginocchiatosi, le aveva preso la testa tra le mani e l’accarezzava e cercava di tranquillizzarla parlandole sottovoce, mentre lei continuava a mugolare di aquile, fuoco, croci e di morte.

“Possiamo esserle utili in qualche modo? Posso far chiamare subito il nostro dottore.” disse il Señor, cercando di ridarsi un tono e tentando in qualche modo di riprendersi, mentre ancora una parte della sua mente era incentrata su quell’orrido vaticinio: lei sapeva, Hess aveva ragione e lui si trovava in un grosso guaio. Maledetto Collman, che il diavolo se lo portasse all’inferno, bisognava sganciarsi il prima possibile da quell’operazione, ma con la massima discrezione e il massimo profitto.

Spike, sempre inginocchiato, si volse verso il cerimonioso ospite, abbastanza stupito di sentirlo così gentile e premuroso. “No, grazie, nessun dottore, talvolta a Dru capita di … essere d’umore strano, ma poi passa tutto: tra poco starà meglio. Secondo lei, cosa intendeva parlando di croci ? La conosco molto bene, e so che non ha parlato a caso. Di questo. Con lei.”

Ma oramai il Tedesco si era ripreso abbastanza dall’orrida visione della folle veggente per sapere come svicolare in modo abbastanza credibile. “Se è per questo ha parlato anche di aquile, che qui a Panama non vivono; ne ho un paio di esemplari impagliati ma non fanno testo, immagino.”

Ora che Drusilla si era calmata Spike poté sedere più comodamente sul bordo del letto, senza però smettere di tenere la testa e le mani della sua compagna, e senza peraltro smettere di fissare sospettosamente il Tedesco, che diede il suo parere sul vaticinio.

“Le croci a mio parere riconducono alla Chiesa, e lei dovrà uccidere un pastore: credo che lei debba fare attenzione e studiare la situazione, se non vuole farsi male. Se crede poi le manderò Herr Stroessner per discutere sopra i metodi migliori per eliminare il religioso.” Spike, non molto rassicurato, decise che ne aveva abbastanza, almeno per ora, di tutti quei tedeschi matti, e si dedicò interamente a Drusilla, mormorandole qualcosa all’orecchio.

Bene, poteva andarsene: c’era molto da fare, molto da pensare, molto a cui provvedere. Il Tedesco passò affianco a De Marina e gettandogli a malapena uno sguardo gli sibilò “Cosa ha da restare qua? Si muova e torni alle sue mansioni.” e senza fermarsi imboccò l’infilata di stanze e sparì, lasciando il sottoposto nel vano della porta con le rotelline del cervello che giravano vorticosamente.

A quanto pareva, quella vampira faceva paura al Señor, e adesso lui aveva ricche notizie che avrebbe venduto a caro prezzo a Stroessner, che ci teneva tanto a fare il misterioso su questa strana coppia di vampiri. Il Señor maneggiava croci, evidentemente, e questa non era una buona cosa, era pericolosa … e sicuramente questo fantomatico pastore da uccidere era poco più che un pretesto. Cosa si stava combinando con o contro Monsignore il Vescovo?

 

 

Stroessner era troppo luterano e da troppo lavorava nella MeilenHaus per raccomandarsi a Dio o a qualche Santo: certe volte invidiava quel babbeo di De Marina e le sue pittoresche certezze ultraterrene. Ma adesso non era il momento di fare teologia e di riflettere sulla teodicea e sul perchè il male esista al mondo e capiti alle persone: bisognava andare a riparare ai danni fatti da quello stupido inglese rompipalle.

Mentre la macchina ufficiale correva velocemente verso il centro di Panama, e le bandierine bianche e blu garrivano ai lati del cofano, l’uomo stava già facendo mente locale su chi avrebbe dovuto corrompere, quanto sarebbe costato e come avrebbe dovuto agire nel caso nessuno i documenti richiesti da Collman fosse saltato fuori.

L’autista tirò il vetro che lo divideva dall’illustre passeggero e comunicò che non sapeva dove si trovasse questo Hotel de Venice: Stroessner si rese conto che nella foga si era scordato di prendere nota dell’indirizzo e che cercare un alberghetto da quattro soldi nella parte vecchia della città era come cercare il proverbiale ago nel noto pagliaio. “Appena vedi una stazione di polizia fermati che chiediamo informazioni.”

Accostarono poco dopo, parcheggiando sul marciapiede proprio davanti l’ingresso, e il rumore del motore, nelle ore morte del mattino, probabilmente svegliò il poliziotto che svogliatamente si sporse dalla sedia per vedere dalla finestra cosa fosse ciò che veniva a turbare il suo grato sonno.

L’immagine di quella macchina tutta nera, le cui uniche macchie di colore erano quelle due bandierine, fece saltare in piedi, letteralmente, l’uomo che urlò qualcosa ai colleghi: meno di un minuto dopo il commissario, evidentemente svegliatosi anche lui da poco, stava già uscendo di fretta dall’edificio, e servilmente si avvicinava al finestrino posteriore, verso Stroessner, che, seduto comodamente al suo posto, attendeva pazientemente qualcuno venisse a servirlo.

“Buongiorno, Señor, in cosa possiamo esserle utili? Le si è rotta la macchina? L’uomo sorrise (ma sembrava più un ghigno di approvazione), sentendosi così morbidamente avvolto dalle calde e robuste spire del potere e dell’autorità che emanava il Tedesco, e chiese l’indirizzo dell’Hotel de Venice: il commissario glielo disse subito e spiegò dettagliatamente la strada. “Grazie mille, e scusi per il disturbo Señor …” “Alfonso Sanchez y Barraca, residente in via Lincoln al numero 75, Señor. Sempre al suo servizio.”

Stroessner sorrise di nuovo e salutò con un vago e benevolo gesto della mano destra, che aveva copiato al Tedesco, il quale l’aveva visto fare ad un Sommo Pontefice in un cinegiornale, e con disgusto misurò la mancanza di dignità di tutti quei rivoltanti maiali di razza latina.

Una automobile dava normalmente nell’occhio, soprattutto nei sudici, maleodoranti e cadenti quartieri popolari come quello, figurarsi quella automobile: l’unico vantaggio era che i marmocchi, le decine di marmocchi di quelle povere donne buone solo a sgravarsi e tirare avanti, evitavano di correrle dietro urlando e saltando e facendo chiasso.

Chissà poi perché lo facevano e perché si divertivano tanto, pensava Stroessner con superiore e compassionevole degnazione: questi poveri … chi li capisce è bravo, meditò filosoficamente mentre l’automobile rallentava e s’addentrava in quel dedalo di vecchi palazzi dalle facciate scrostate e sghembe, sotto ragnatele di fili da bucato e il lussureggiare dei vasi da fiori posizionati ad ogni finestra e balcone.

E sarebbero questi gli eletti, le creature che avrebbero fatto la rivoluzione socialista mondiale? Talvolta Stroessner non capiva i dubbi del Señor: i poveri sono poveri ovunque, basta dargli da mangiare il giusto e farli lavorare il necessario perché non s’incapriccino di idee che non possono capire.

Se lo Zar avesse fatto sparare non sui contadini e gli operai, ma sui professorini, sui cosiddetti intellettuali, su quei borghesucci annoiati che si trastullano pensando a costruire un domani radioso, egli sarebbe ancora fra noi, beatamente regnante, rifletteva pigramente Stroessner, nell’attesa di arrivare a quel dannatissimo albergo.

Non lo sapeva, ma era ad un passo dal formulare per conto proprio, con anni di anticipo, il più noto tra i memorabila dicta del Terzo Reich, che gli storici avrebbero attribuito alternativamente a Goering e a Gobbels: ‘quando sento la parola Cultura metto mano al revolver.’

Infine, arrivarono davanti all’Hotel de Venice, la macchina si fermò e lui ne uscì, nel silenzio più perfetto, nonostante ci fosse una piccola folla davanti alla porta dell’albergo, facendo cadere uno sguardo sui miserabili negozi di quella disgustosa straducola e sulle porte delle spelonche che quegli esseri umani abitavano.

In realtà, la strada non era così squallida, ma Stroessner era abituato allo sfarzo e alla gelida precisione della MeilenHaus, e per lui già una giacca lisa faceva sottoproletario socialmente irrilevante. Diede una rapida occhiata intorno, su quella folla e si rese conto d’essere circondato da decine d’occhi carichi di … disgusto.

Cielo, quegli straccioni che probabilmente rubacchiavano nelle stive delle navi e le cui donne si prostituivano per qualche dollaro in piedi negli androni delle loro stesse case si permettevano di guardarlo storto, mentre alcuni si segnavano e molti tiravano a sé i propri figli, sporchi, macilenti e peggio vestiti. Osavano guardarlo. In silenzio, apparentemente senza espressione, ma lo guardavano.

Ecco, questo era uno dei momenti vagamente spiacevoli che era costretto ad affrontare: anni che lavorava alla MeilenHaus e non era ancora riuscito a togliersi di dosso la fama del becchino che arpionava ragazze e ragazzi nelle strade per portarli a lavorare dal Tedesco.

Pidocchi, pensò, che tanto poi quando siete più alla fame del solito venite a piagnucolare e a supplicare che vi prenda la figliola a pulire i cortili o a rammendare le lenzuola: ricambiò i loro sguardi con il proprio, strabordante di infinito disprezzo, e augurando loro di …

Ma non terminò la maledizione perché sentì dei rumori alle proprie spalle: dalla porta dell’albergo era appena uscito un poliziotto che si stava schiarendo discretamente la gola. Si scambiarono un significativo sguardo e lasciò che iniziasse la commedia. Che noia, sempre lo stesso copione, già scritto da millenni. Il potere pubblico corruttibile che incontra il corruttore.

L’uomo gli chiese se era lui il dottore mandato dalla Centrale per esaminare il cadavere e Stroessner, che come ogni medico in servizio alla polizia ovviamente disponeva di una lussuosa auto nera con tanto di autista e bandierine, se ne girava per la città con le scarpe di vernice, un completo gessato e una camicia di batista dal rigido ed alto colletto inamidato, annuì.

In realtà aveva solo una cosa in comune con un qualsiasi medico: una grossa borsa in cuoio nero, che teneva saldamente nella mano sinistra, e che sarebbe servita per stiparci tutti i documenti che avrebbe ritenuto necessario portare via.

Entrò nell’albergo, senza degnare di uno sguardo le persone che bivaccavano nella miserabile hall: un numero imprecisato e dall’incerto colore della pelle (probabilmente la famiglia che gestiva l’hotel, di ascendenze nere, creole, ottarone) che parlottavano tra loro, un paio di uomini mediamente dignitosi che dovevano essere ospiti lì e due poliziotti della polizia locale che guardarono curiosi l’uomo impettito, rigido e molto dignitoso, che con passo svelto attraversava la stanza e saliva per le strette scale, stando ben attento a non appoggiarsi al sudicio corrimano che necessitava da anni di una mano di vernice.

In cima al penultimo pianerottolo lo attendevano – insieme all’odore di cavolo bollito e di affettati da poco prezzo in carta oleata - due persone, il commissario di polizia nel cui distretto ricadeva l’Hotel de Venice e l’uomo mandato dal Governatore, poiché il caro estinto era pur sempre un cittadino degli Stati Uniti d’America.

Stroessner salutò cordialmente il commissario Marquez, che conosceva non solo per aver assieme sbrigato le pratiche circa alcune persone stranamente morte dissanguate, ma anche perché era un affezionato cliente della MeilenHaus, e si fece presentare il funzionario americano, che doveva essere arrivato da poco a Panama, visto che non lo conosceva.

Il Signor James. F. Wilkinson era uno splendido esemplare di wasp: mediamente alto, mediamente castano, pelle chiara, sguardo nobile ed educato, ordinato e ben pettinato, tra i venti ed i trenta, il fidanzato ideale per la propria figlia; un mezzo imbecille che pensa di conoscere il mondo solo perché s’è laureato bene a Yale, immaginò Stroessner, che realmente conosceva il mondo.

“Buongiorno mister Stroessner, allora è lei … l’uomo inviato dalla Sezione Scientifica della Polizia locale? È un piacere incontrarla.” Ottimo, la giornata proseguiva sempre peggio, ed erano appena le nove: adesso gli sarebbe toccato anche spiegare come funzionavano gli affari al novellino, poiché sicuramente il Governatore era stato vago e sibillino come al solito.

Si girò verso il commissario e gli disse che, venuto in tutta fretta da casa, si era scordato di fare colazione: non era che per caso c’era nelle vicinanze un forno o un negozio che vendeva cibi commestibili senza bacilli del tifo sopra ?

Wilkinson la scambiò per una battuta (“cosa ridi imbecille”, gli avrebbe voluto dire Stroessner, “non sto scherzando”) e Marquez capì fin troppo bene l’antifona: disse che sarebbe subito sceso a vedere un po’ cosa riusciva a far saltare fuori; loro intanto potevano dare una prima occhiata al cadavere.

Entrarono nella stanza e quel sensibile e gentile uomo che lavorava da anni per il Tedesco fu offeso dall’orrida vista che gli si parò davanti: grigio, molliccio, debordante, con gli occhi aperti e il membro ben eretto per il rigor mortis, Smithson era sdraiato nel letto, ammanettato alla testiera e, in sostanza, orribilmente disgustoso. “Potevate anche coprirlo!” protestò sdegnato Stroessner.

“Mi scusi, non pensavo l’avrebbe disturbato tanto.” si scusò blandamente Wilkinson.

“Per chi mi ha preso, per Jack lo Squartatore?” Detto questo Stroessner aprì l’armadio, tirò fuori la prima coperta che gli capitò fra le mani e la buttò sul cadavere, avendo cura di nascondere quel volto distorto nell’ultimo rantolo, quel corpo molle e flaccido, l’erezione grottesca, le gambe gonfie e pelose.

Così impari a ficcare sempre il naso, brutto grassone finocchio, pensò Stroessner, e questo fu il pietoso De Profundis per Johnny Smithson, giovane e promettente giornalista che aveva seguito la pista giusta, e quindi sbagliatissima, tra le puttane languide e i vicoli luridi di Panama.

“Mi scusi, credo di non aver capito le sue mansioni presso il Governatore. Lei non è un poliziotto, giusto?”

“No, lavoro nella Segreteria Interna, ho preso servizio da tre settimane. Mi sono laureato ad Harvard l’anno scorso, poi sono entrato come Addetto di Secondo livello nell’Ambasciata Canadese a New York nel dipartimento economico. Successivamente ho chiesto un incarico all’estero, sa, per farmi le ossa, per così dire.”

Mentre il giovanotto sfoggiava i suoi meriti accademici, con un sorriso nervoso a condire quel più che onorevole curriculum vitae¸ Stroessner s’era cavato da una tasca della giacca una piccola pipa curva, l’aveva caricata e se l’era accesa, sedendosi più o meno comodo sul bordo di un cassettone non molto pulito. Emise uno sbuffo di fumo e iniziò a porre i puntini sulle i.

Lo fece quasi con stanchezza, come un attore di grido che recita un monologo famoso alla trecentesima replica.

“Lei è di Boston, o di Philadelfia, conosco un po’ gli accenti dei gringos. Buona borghesia, famiglia ricca che la mantiene agli studi e poi le trova un gran bel posto a New York, dove lei fa un passo falso. Non mi dica bugie, un giovanotto perbene che vuole fare carriera viene mandato in Europa, non in questa sepultura de vivos, come la chiamavano una volta. Qui ci mandano solo quelli che hanno fatto dei brutti errori: li lasciano un annetto in questo purgatorio mentre le acque si calmano, gli atti si insabbiano e i peccatori, come li chiamerebbe un mio collega, riflettono. Lei cos’ha fatto? Alcool? Donne? Uomini? Bambini?”

Stroessner avrebbe continuato la lista delle possibili malversazioni che poteva compiere un funzionario a lungo, la lista era limpida nella sua mente come la coniugazione di un aoristo ad uno studente secchione del ginnasio, ma già al quarto punto vide Wilkinson, in piedi tra lui ed il cadavere, sussultare impercettibilmente: colpito.

Bambini, ripeté, e il ragazzone alzò una mano, come per allontanare quell’infamante accusa. Bambini … o bambine, domandò l’uomo, con un tono più allusivo, e l’americano sentì rovente sulla sua fronte il marchio di Caino: colpito e affondato.

“La settimana prossima daremo una festa, sarà presente il Governatore, il sindaco di Panama e un paio di suoi concittadini attivi nel mondo degli affari: spero vorrà fornirci il piacere della sua compagnia. Abbiamo alcuni cuochi magnifici, glielo assicuro, europei al cento per cento. E poi, dalla MeilenHaus nessuno è mai uscito scontento: sono sicuro anche lei si troverà bene.”

Schiacciò un po’ il tabacco nel braciere e poi continuò, gentile ed affabile. “Sono sicuro che due chiacchiere con quei signori, un po’ di bonding con loro, sarà un’ottima cosa per la sua carriera. Ed ora, amico mio, vediamo di sbrigare questa noiosa incombenza, così da poter mangiare ben calde di forno le leccornie che Marquez ci porterà.”

Wilkinson, senza accorgersene, già provava simpatia per Stroessner, che non dava peso alle piccole sviste del suo passato, e sentì come nascere un’orribile, ma molto rassicurante – sebbene sconcertante -, affinità con quell’uomo che non giudicava, che non condannava.

“Apra la porta finestra per piacere, e metta quel tavolinetto da caffè nel balconcino: nell’attesa di Marquez possiamo ben fare due chiacchiere.” Qui il giovane americano rimase sorpreso. “Come, ed il cadavere?”

Stroessner, passatogli il tavolinetto, fece un gesto con la mano, quasi Wilkinson avesse accennato ad un noioso argomento. “Oh, è il meno, usiamo la solita procedura standard.

Come lei già saprà, quando capitano queste morti noi pensiamo a trovare il responsabile e a punirlo come merita, senza che voi o la polizia ci perdiate tempo: è un vecchio accordo che vige da un sacco di anni qui a Panama.

Mi prendo un paio di effetti personali del defunto giusto per avere un quadro dell’uomo e potervi fornire un buon e plausibile motivo sulla sua morte, avvenuta ovviamente per una pugnalata alla gola: diciamo per entro sei ore conto di farvi sapere chi può avergliela sferrata e dove.

Non vorremo certo dire alla famiglia che lo abbiamo trovato nudo ed ammanettato ad un letto, vero ? Pensi che dolore, poverini. Mi manca solo una cosa ancora da sapere.”

Mentre parlava, e Wilkinson aveva sistemato le due sedie ai lati del tavolinetto, all’ombra e al fresco della tenda che riparava il minuscolo terrazzino, Stroessner apriva cassetti e faceva sparire nella sua borsa tutti gli appunti e fogli e block notes che trovava, oltre a qualche effetto personale: li avrebbe fatti pervenire al Governatorato nel pomeriggio, esclusi ovviamente quelli inerenti all’arcipelago di San Blas.

Poi si accomodò sulla seggiola, accavallò le gambe e tirò fuori un portasigarette d’argento, offrendo da fumare al giovane, che senza parole accettò e si sedette davanti a quel brav’uomo, sbrigativo e pratico, che pensava addirittura al dolore della famiglia del defunto. Un esempio perfetto di burocrate efficiente.

“Mi dovrebbe dire solo chi ha trovato il corpo e l’ha visto e se sa se ieri qualcuno ha visto il morto salire qui in compagnia.”

 “Purtroppo no, dev’essere rincasato quando non c’era nessuno in portineria. Il corpo l’ha trovato stamattina la figlia dei proprietari: povera ragazza, era sconvolta, che trauma.”

 “Quanti anni ha questa ragazza?”

 “Non so, a prima vista direi diciassette o diciotto.”

Stroessner sorrise, tirò un’altra boccata di fumo e scosse la testa. “Bene, allora ne avrà al massimo quattordici. E quanto al trauma … quella puttanella è cresciuta dormendo nella stessa stanza con fratelli che la toccavano mentre i genitori si accoppiavano, la verginità l’ha persa quando né io né lei eravamo ancora nati e si paga qualche fiocco per capelli e le sigarette facendo lavoretti veloci ai clienti di questa fogna. Il trauma e le lacrime le passeranno appena le porgerò un fazzoletto verde con la faccia di un vostro presidente.”

Wilkinson era allibito. “Ma lei la conosce?”

“Caro amico, vista una viste tutte. Che ne dice se le faccio un breve ed accelerato corso socio-economico su queste bestie che lei chiama ‘panamensi’ ?”

 

 

Per quanto Viktor avesse fatto piano, Reneè si era svegliata e aveva iniziato a stiracchiarsi avvolgendosi nelle leggere e fresche lenzuola di lino, mugolando come un gattino mentre la sua dolce metà smozzicava frasi in tedesco con il maggiordomo.

Un grugnito con relativa serie di oscenità svegliò del tutto, e non in modo piacevole, la vampira, che però continuò a fingere di essere nel dormiveglia, strusciandosi morbidamente sui morbidi materassi. Come al solito, o meglio, come tutte le maledette mattine che Dio mandava in terra, Karl puntualmente imprecò ulteriormente perché non riusciva a trovare le ciabatte e Renée prese di nuovo in seria considerazione quella di convincerlo ad andare a dormire con quelle stramaledette ciabatte legate ai piedi; o tenute su con le ghette, se proprio voleva mantenere un certo stile.

Erano queste le drammatiche e quotidiane sfide che il loro menagé doveva sostenere, non le torme di vampire nude e sempre disponibili che giravano sottocasa e che lui testava personalmente prima di assumere o la folla di grigi delinquenti mitteleuropei che assumeva e che poi lei si ritrovava a cena.

E in quest’ultima categoria sarebbe potuto rientrare pienamente Herr Collman, se solo fosse stato assunto, disgrazia apocalittica che fortunatamente era lontanissima dall’avverarsi, a sentire i commenti decisamente poco lusinghieri che Karl esprimeva su di lui.

Un uomo che va a convivere con una puttana che ha riscattato, con troppe idee nella testa e troppi affari disparati tra le mani non era esattamente la frequentazione ideale secondo la sua dolce metà di lui inoltre non piaceva per la grassa risata stentorea e l’umorismo greve e pesante. Ed era anche un mezzosangue.

Per questo Renèe si era stupita una prima volta nel sentire che Collman era entrato in affari con la MeilenHaus, si era stupita una seconda volta nello scoprire i motivi di questi accordi ed era rimasta semplicemente allibita quando aveva inquadrato i “coniugi Nagel”.

Cioè, le piacevano, niente da dire, ma non riusciva assolutamente a capire per quale motivo, con un intero mondo di uomini, vampiri e demoni vari Collman (e i suoi misteriosi amici europei e statunitensi) avessero scelto proprio i due non – morti meno indicati per lo scopo.

Lui era bello, affascinante, aveva molto – se non tutto -   quello che una donna potesse chiedere, ma era probabilmente la perfetta antitesi di un killer efficiente e discreto per un’operazione segreta; e lei … era matta come un cavallo, tutto qui. E nonostante questo Karl aveva accondisceso non solo a partecipare a questo affare, ma addirittura a tenerseli in casa, dove facevano danni e lo innervosivano.

La prima volta che Renée gli aveva chiesto qualcosa di loro era stato abbastanza vago: a quanto pareva Collman apparteneva ad un partito che cercava di prendere il potere in Germania e che aveva occulti ma ricchi e potenti finanziatori negli Stati Uniti e aveva individuato in un certo William il Sanguinario il vampiro ideale per uccidere qualcuno che poteva dare fastidio o scoprire qualcosa.

“Ma se quel partito è in Europa e gli appoggi sono a Washington perché le persone da eliminare si trovano proprio qui a Panama?” aveva chiesto la vampira, a cui già allora quella storia sembrava strana. “Mah, che vuoi che ti dica, cuoricino: il telegrafo, i piroscafi, la radio, i dirigibili … il mondo sta diventando così piccolo.” aveva risposto filosoficamente Karl.

Qualche tempo dopo, sempre a cena, lui le aveva raccontato quello che aveva scoperto su i loro futuri ospiti, che era riuscito a rintracciare e contattare: lei era una childe del Flagello d’Europa, si diceva avesse la Vista ma le mancava qualche venerdì, lui aveva ucciso una Cacciatrice in Cina una ventina d’anni prima ed era abbastanza sopra le righe.

“Sai, pare sia uno di quegli inglesi molto sanguigni, a quanto mi dicono, tipo … come si chiama … il Cancelliere dello Scacchiere· … quello che ha combinato quel casino ai Dardanelli … il figlio del padrone di Viktor·!”

“Ah, Winston Churchill. Dev’essere un bel tipo questo … come hai detto che si chiama?”

“Spike.”

“E lei?”

“Drusilla.”

Strani nomi per due strani vampiri, aveva pensato Renèe, e poi si era dimenticata di loro, terminando la sua granita.

Il resto era cronaca di quei giorni, a cominciare dai malumori sempre più evidenti di Karl e dal fitto mormorio che attorniava quei due ospiti, di cui lei sapeva ogni cosa, anche quante volte avevano copulato: visto che nella MeilenHaus tutti avevano un’occupazione (il Señor amava citare San Paolo “Chi non lavora non mangia”·) e nessuno restava con le mani in mano, Renée dirigeva con discrezione, capacità e metodi femminili uno degli uffici più importanti di tutta la MeilenHaus: il servizio informativo, squisita e germanica parafrasi per parlare di spionaggio interno.

Il suo ambito d’indagine era limitato a ciò che accadeva dentro la MeilenHaus, poiché per ciò che accadeva all’esterno c’era il silenzioso Stroessner con la sua folla di confidenti. Ogni puttana sapeva che doveva prendere nota non solo dei gusti degli uomini che intratteneva, ma anche di eventuali chiacchiere, accenni, discorsi e preoccupazioni che essi potevano esprimere mentre erano più o meno nudi.

Queste informazioni passavano alla Maitresse di riferimento (e spesso era proprio dalle puttane di terza classe che arrivavano le migliori notizie, sfuggite a qualche cameriere stanco o autista distratto), che poi portava l’incartamento a Renée, coadiuvata da una segretaria, una loquace e affaccendata vampira del Wuttemburg che da viva era stata la moglie di un locale borgomastro.

Per raccogliere tutti i dossier avevano trasformato alcune stanze dell’appartamento in un segretissimo e privatissimo archivio (ne esistevano solo due chiavi, più una terza di sicurezza nascosta in una testa impagliata d’uomo, dono di un esploratore inglese), ricco di fascicoli così dettagliati che avrebbero distrutto, se impiegati, la reputazione di tutti i Parlamenti panamensi succedutisi dall’Indipendenza in poi, di tutti i soldati graduati e non e degli amministratori statunitensi a vario titolo stanziatisi lì negli anni, oltre ad una fetta consistente di politici, imprenditori, giornalisti, borghesi alti e bassi, militari e nobili di qualche decina di stati europei, americani ed asiatici.

E per Renée era venuto di nuovo il momento di usarli, e di cercare di capire perché Collman si volesse servire proprio di quei due vampiri; ma prima bisognava avere le idee chiare su chi diavolo fossero quei tedeschi per cui lavorava ed il loro partito.

 

 

 

 



Note e curiosità

 

· Ludwig II von Wyttelsbach, Re di Bavie, raera figlio di Massimiliano II di Baviera e Maria di Prussia. Sovrano dal 1864 al 1886, anno in cui fu dichiarato pazzo e deposto, fu mecenate di Richard Wagner fino al 1880, quando fu costretto dal governo a sospendere l'amicizia a causa delle ingentissime spese che comportava. Mantenne buoni rapporti con il cancelliere Otto von Bismarck, anche se non partecipò all'incoronazione a Imperatore di Germania di Guglielmo re di Prussia. Il governo bavarese organizzò la deposizione dopo averne constatato la condizione di malattia mentale. Venne deportato nel castello di Berg, dove morì nelle acque del lago di Stanberg, insieme al medico Von Gudden.

Notoriamente omosessuale, nonostante si fosse fidanzato con la cugina Sofia Carlotta Augusta di Baviera non ebbe figli; gli successe il fratello Ottone I di Baviera, anch'esso malato di mente, quindi la reggenza fu affidata a suo zio Liutipoldo di Baviera,

· Oltre alla mistica del  gruppo Thule e alla cosmologia di Horbinger molti vertici del partito nazista avevano accolto anche la teoria della Terra cava, un modo per contrastare e negare il genio del giudeo Einstein.

Nel 1942 venne organizzata una spedizione tedesca, comprendente specialisti nell’uso dei radar, nell’isola Baltica di Rugen. Lo scienziato Heinz Fisher che studiava i raggi infrarossi fece puntare i radar verso il cielo con un angolo di 45 °; lo scopo era di individuare la flotta inglese tramite la riflessione delle onde, fatto possibile poiché nella loro credenza la terra era in realtà vuota, una sfera chiusa di cui l’uomo abitava il lato concavo. Riferimenti a questa visione del mondo sono rintracciabili in molti miti e leggende, e si viene ad affermare nuovamente nella società nazista dopo la riscoperta di scritti americani del XIX secolo di John Cleves Symnes e soprattutto di Cyrus Read Teed ad opera dell’aviatore tedesco Bender, protetto di Goering, che fonda in Germania il movimento Hohl Welt Lehre. Si affermava così che la terra è una sfera cava e la vita è attaccata alla superficie interna tramite le radiazioni solari. Lo strato di aria interna si rarefa gradualmente fino al vuoto assoluto del centro, dove si trovano il Sole e la Luna (di dimensioni ridotte) e l’universo fantasma, una sfera di gas azzurrognolo in cui brillano punti luminosi che gli astronomi ortodossi chiamano stelle.

· Sir Leonard Winston Spencer Churchill (30 Novembre 1874 - 24 gennaio 1965) era figlio primogenito di lord Randolph Churchill e di Jenny Jerome. A diciannove anni entrò nell’Accademia Militare di Sandhurst: nominato sottotenente nel IV battaglione ussari, partì come osservatore al seguito dell’esercito spagnolo incaricato di reprimere la rivolta di Cuba. Fu poi inviato in India e successivamente ufficiale e corrispondente di guerra del Morning Post nel Sudan dove assistè alla carica a cavallo dei dervisci nella battaglia di Omdurman. Nella guerra del Transvaal fu fatto prigioniero dai Boeri, ma evase. Eletto deputato conservatore nel 1900, nel 1904 si avvicinò ai liberali, tra cui il futuro Primo Ministro Lloyd Gorge.

Nel 1906, eletto deputato liberale di Manchester, gli venne assegnato il posto di segretario di Stato; nel 1908 ministro del Commercio, poi ministro dell’Interno (1910-11) e come primo Lord dell’Ammiragliato (1911-1915) Churchill avviò un processo di profonda modernizzazione della Marina militare. Nella Prima Guerra Mondiale il suo ruolo rischiò di comprometterne la carriera politica: i problemi con la Marina militare e il suo appoggio alla disastrosa campagna di Gallipoli lo costrinsero a dimettersi dall’Ammiragliato. Dopo aver trascorso un periodo al comando di un battaglione in Francia, tra il 1917 e il 1922 ricoprì numerosi incarichi di rilievo, fra cui quello di ministro dei Rifornimenti e di ministro della Guerra. Dopo la caduta di Lloyd George e il collasso del Partito liberale nel 1922, Churchill rimase escluso dal parlamento dal 1922 al 1924.

Entrato nuovamente a farvi parte, fu nominato cancelliere dello Scacchiere nel governo conservatore di Stanley Baldwin (1924-1929). Tra le misure da lui adottate in questo periodo vi furono la reintroduzione della parità aurea e la decisa opposizione ai sindacati in occasione dello sciopero generale del 1926 (partecipò personalmente, dando gli ordini necessari al bombardamento di alcuni palazzi londinesi dove si erano barricati anarchici e comunisti).

Negli anni della Grande Depressione (1929-1939) a Churchill furono preclusi incarichi di governo: la sua opposizione all’autogoverno dell’India, il sostegno verso Edoardo VIII (che dovrà abdicare), l’insistenza sulla necessità del riarmo e l’aperta condanna del patto di Monaco, firmato nel 1938, erano guardate con sospetto. Quando però, nel settembre del 1939, l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania, il punto di vista di Churchill venne rivalutato e l’opinione pubblica si espresse apertamente a favore del suo ritorno all’Ammiragliato.

Churchill successe a Chamberlain come primo ministro nel 1940: nei difficili giorni di guerra che seguirono la rotta di Dunkerque, la battaglia d’Inghilterra e la guerra lampo, la sua combattività e i suoi discorsi incitarono gli inglesi a continuare la lotta; collaborando con il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, Churchill riuscì a ottenere aiuti militari e il sostegno degli Stati Uniti. In questi anni ha l’idea di un “vasto disegno di una difesa combinata dell’Oceano Atlantico da parte delle due potenze di lingua inglese”: nove anni dopo nascerà la Nato. Stringerà rapporti molto stretti con i leader di USA e URSS e spostandosi incessantemente da un paese all’altro diede un contributo importante al coordinamento della strategia militare nel corso del conflitto e alla sconfitta di Hitler.

Le conferenze con Roosevelt e Stalin, in particolare il vertice di Jalta del 1945, servirono a ridisegnare la carta dell’Europa postbellica. Nel 1945 Churchill era ammirato in tutto il mondo, anche se ormai il ruolo militare della Gran Bretagna era diventato secondario. Ciononostante, a causa della sua scarsa attenzione alla richiesta popolare di riforme sociali nel dopoguerra, fu sconfitto dal Partito laburista nelle elezioni del 1945. Terminato il conflitto, Churchill volle comunque raccontare la seconda guerra mondiale a modo suo, scrivendo migliaia di pagine: questo monumento storico e letterario sarà premiato nel 1953 con il Nobel.

Fu nuovamente eletto primo ministro e rimase in carica dal 1951 al 1955 (nel 1953, venne decorato cavaliere dell’ordine della Giarrettiera, diventando “sir”), ma l’età avanzata e i problemi di salute lo indussero a ritirarsi a vita privata, trascorrendo gli ultimi dieci anni della sua esistenza nella casa di campagna nel Kent, a Chartwell, e nella Francia meridionale.

· Lord Randolph Henry Spencer Churchill (13 febbraio 1849 – 24 gennaio 1895) era figlio terzogenito del settimo duca di Malborought, discendente del glorioso generale inglese della Guerra di Successione Spagnola. Eletto deputato nel 1874, sposò pochi giorni dopo Jenny Jerome, figlia del proprietario del New York Times. Tre anni dopo seguì il padre, nominato Viceré delle Indie (evitando così un duello con l’erede al trono Edoardo Principe di Galles, da lui ricattato per aiutare il proprio fratello, invischiato in una complessa questione di amanti). Divenne Cancelliere dello Scacchiere (una sorta di Ministro del Tesoro) nel 1886 ma lo restò per un solo anno a causa del suo cattivo carattere, dell’irritabilità e di un linguaggio eccessivamente pungente e caustico, che non si addiceva ad un ministro di Sua Maestà.

Verso il 1890 gli fu diagnosticata la sifilide e nel 1894 la moglie, per allontanarlo da Londra e per fargli cambiare aria (nell’ingenua speranza questo servisse) organizzò un giro intorno al mondo: New York, Canada, San Francisco, Giappone, Hong Kong, Singapore, Rangoon. Disperando sopravvivesse, viaggiarono con una bara di piombo: non abbiamo la certezza che in questo viaggio un loro domestico sia stato vampirizzato. I coniugi tornarono a Londra verso Natale, e il 24 gennaio 1895 Lord Randolph morì, paralizzato e pazzo.

· San Paolo, II Tessalonicesi 3, 10, scrive “Si quis non vult operare, ne manducet”, cioè “Non mangi chi non vuol lavorare”. Secoli dopo Lenin in “I bolscevichi conserveranno il potere statale?” scriverà: “Chi non lavora non mangia: ecco la regola essenziale, iniziale, principale che possono e devono applicare i soviet dei deputati operai.”