Ma dove vanno i marinai,

mascalzoni imprudenti,

con la vita nei calzoni

col destino in mezzo ai denti,

sotto la luna puttana

e il cielo che sorride,

come fanno i marinai

con questa noia che li uccide.

 

“Ma come fanno i marinai”

Francesco De Gregori, Lucio Dalla

“Banana Repubblic”, 1978

 

4. Paraiso und Venice.

 

 

 

L’Hotel de Paraiso, nonostante il nome, era forse il più equivoco albergo ad ore della parte vecchia di Panama, che era già di per sé la zona più malfrequentata, pericolosa ed ambigua di tutto il Canale, dove non erano mai arrivati a imporre il proprio modo di vivere né i sussiegosi spagnoli tristi e alteri né i sicuri gringos moralisti e compunti: quella era terra dell’Inferno per ogni bravo cittadino cresciuto con la Bibbia nel comodino, la bandiera nel salotto e la pistola sempre carica, come voleva il Presidente Teddy Roosvelt. L’Esercito della Salvezza aveva da tempo rinunciato a salmodiare e ad edificare moralmente quelle strade e chi ci viveva, abbandonando al demonio e alle sue lusinghe tutti quei suoi servitori così zelanti.

In realtà, nonostante le chiacchiere miste di riprovazione e curiosità delle mogli dei gringos, quel quartiere non era poi molto diverso da tanti altri sparsi per tutta l’America: era simile alla periferia di Chicago dove si accalcavano gli immigrati europei di prima e seconda generazione, a quella di San Francisco brulicanti di piccoli alacri e misteriosi cinesi, a quelle di Bahia e di Rio de Janeiro dove sopravvivevano antichi riti che avrebbero fatto la gioia di dotti antropologi, a quella di Buenos Aires dove italiani e gauchos ascoltavano i tanghi licenziosi e si sfidavano col coltello.

La vera particolarità della parte vecchia della città di Panama era semplicemente che tra i suoi vicoli e le sue stamberghe convivevano tutte le realtà delle due Americhe. Come a Shangai, tra gli onnipresenti bambini che tendevano la mano chiedendo soldi ai passanti e tiravano avanti in mille modi, tra le sfrontate donne che si vendevano in proprio attirando i clienti in androni bui o tra i fili del bucato di qualche cortile, tra le torme di ciechi, zoppi e storpi più o meno falsi che tendevano la mano seduti agli angoli delle strade, si poteva incontrare qualsiasi tipo d’essere umano che la società umana aveva, stava o avrebbe prodotto.

Comunisti ungheresi seguaci di Bela Khun· e sfuggiti alla repressione dell’Ammiraglio Horty· stavano ai tavoli dei caffè vicino a nostalgici generali dell’Armata Bianca· sconfitti da Trockij tra i fiumi gelati della Siberia, ricchi notabili delle varie repubbliche sudamericane attendevano un golpe che scalzasse i loro avversari e li facessero rientrare da vincitori e con l’alone di martiri in patria, mandarini cinesi del defunto Celeste Impero sbarcavano il lunario trafficando in oppio e aprendo lavanderie, sarti ebrei tagliavano panni attendendo il ritorno nella Terra Promessa e disperati ruteni· rimpiangevano quella gran madre generosa che era stato l’Impero austro – ungarico. Solo gli avventurieri polacchi erano scomparsi, trasferitisi tutti nella neonata Repubblica di Polonia, cementandone col sangue la libertà e l’indipendenza.

Il centro di questo mondo dai confini geografici, umani ed etici relativi ed incerti era l’Hotel du Paraiso, in cui si affittavano ad ore le camere e dove nessuno chiedeva niente e tutti credevano, per tacita convenzione, a qualsiasi identità venisse millantata.

Oltre ai cinque piani di camere e al piano terra in cui, come in una grande esposizione di bestiame bivaccavano le prostitute attendendo di essere scelte, c’erano alcuni riparati salottini che, seppur arredati con mobili provenienti da bordelli smantellati, fungevano da discreti luoghi di conversazione ove trattare affari. Di qualsiasi genere.

Strőssner attraversò a passo sicuro il grande androne a volta, superò uno scalone che non avrebbe stonato nell’Opera di Parigi·, e con fare risoluto grugnì in direzione di un meticcio seduto su una sorta di sgabello da bar sotto l’ingresso ad arco che immetteva in un’altra grande sala piena di divanetti, poltrone, tavolini bassi, puttane, felci spelacchiate in vasi sbeccati, camerieri e uomini di tutte le età.

Spike guardava con disincanto questo porto di mare per uomini alla deriva così stanchi di tutto da essere pronti ad autoingannarsi con una parvenza di piacere dalla durata di mezz’ora e dal costo fisso, svanita da tempo quella patetica figura di omuncolo che riusciva a trovare l’effulgenza nelle burrose forme borghesi di tale Cecily Addams e componeva poesie che di lirico non avevano nulla in salotti dove si poneva rimedio con merletti alle nudità di tavoli e sedie.

No, non rimpiangeva certo William. Ma sapeva che una parte di quella sua persona sarebbe sopravvissuta a tutto. Era già sopravvissuta alla tomba … o no? Chissà, il tempo e gli eoni l’avrebbero detto …

Il meticcio, quando riconobbe Strőssner, scattò in piedi e in un attimo arrivò a loro: indossava una orrida camicia fantasia dall’incerto nitore sbottonata sul petto peloso e sudava copiosamente, nonostante l’infinità di ventilatori che pigri ronzavano e stavano appesi al soffitto come vecchi impiccati. Si scambiarono poche ed essenziali parole in qualche gergo caraibico, poi l’uomo di fiducia del Tedesco si girò verso Spike.

“Bene, Herr Nagel, il suo uomo la sta aspettando. Vogliamo andare?” Quel posto, nonostante i tentacolari bracci dove si estendevano le camere e gli uomini sospiravano in cambio di una giusta mercede, era come morto, pensò il vampiro: non c’era il sottile ed inebriante profumo del sesso e del piacere, la maliosa aurea del desiderio e dell’orgasmo, ma solo il noioso ripetersi di identici atti e di identici gemiti, l’abbacinante solitudine ed infelicità di chi pagava e di chi guadagnava.

Che non ci fosse un solo posto, in quel fottuto stato, dove la gente si godesse la vita?

In uno degli appartati e discreti salottini al mezzanino li attendeva Herr Simras Collmann. Era un uomo alto e dalle spalle larghe, con un viso bruciato dal sole che testimoniava le molte albe viste in ogni parte del globo: l’età era impossibile da definirsi, per sempre alterata alla percezione altrui dalla salsedine e dalle bestemmie, dal vento e dai rischi, dai pericoli corsi e da quelli sfuggiti.

Portava un paio di folti baffoni che coprivano il labbro superiore e che accentravano l’attenzione di chi lo vedeva, insieme alla mascella quadrata e al grosso naso schiacciato, l’unica eredità della madre india e della sua famiglia.

Spike pensò subito che quell’uomo fosse un trafficante di schiavi: non ne aveva mai visti, ma se li immaginava così, e si chiese (sporadicamente il William che era stato – a riprova della teoria testé elaborata - faceva ancora capolino in lui) se anche Rimbaud fosse finito per assomigliare a questo genere d’uomo.

Indossava un paio di pantaloni larghi chiari retti da una cintura in corda e una camicia cachi dalla maniche corte, con molti taschini, un cappello era posato sul tavolo e non indossava la cravatta o il papillon: solo un foulard spuntava dal collo della camicia, aperta, ed era un notevole e gradevole contrasto, per Spike, dopo la tanta affettazione della MeilenHaus.

Li invitò a sedersi: lui prese posto sul divanetto, Strőssner e Spike su due grandi ed avvolgenti sedie in vimini e bambù dal maestoso schienale. Li separava solo un basso tavolino laccato di pessimo gusto, che non avrebbe sfigurato in una fumeria d’oppio di periferia: sopra vi era posato il cappello di Collmann, un vassoio con tre bicchieri e una bottiglia di whisky, sotto si intravedeva una piccola valigetta. I due tedeschi e il vampiro, prima di iniziare la conversazione, per un breve ed intenso secondo si squadrarono: ne avevano tutti viste troppe di cose per non essere buoni giudici di persone, e infatti non si piacquero.

Collmann non si fidava particolarmente del Tedesco e soprattutto di Strőssner, che rimaneva insensibile davanti al grande progetto per ridare finalmente orgoglio e grandezza al popolo germanico, riunendolo ed epurandolo totalmente di quegli orridi bubboni purulenti che ne impestavano la società.

Strőssner eseguiva solo gli ordini del Tedesco e teneva fede alla parola d’ordine per cui bisogna essere amici di nessuno ma grati a tutti, e quando si inizia a rimanere invischiati in politica (soprattutto in certi progetti) l’unico modo possibile è quello di stare il più possibile dietro le quinte, senza lasciare le proprie impronte.

Spike invece già stava pensando che questi due, con tutte quelle formalità, gli avrebbero sicuramente fatto perdere l’ora di cena: ma poi, il delizioso pensiero di poterseli bere entrambi in un solo batter di ciglia fece molto per ridargli il buon umore.

Collman tirò fuori un portasigari ed offrì ai suoi interlocutori due fenomenali Cohiba Esplendido, quasi venti centimetri di foglie di tabacco cubano arrotolate a mano; Spike, che non aveva mai avuto occasione di deliziarsi con quel ben di Dio, iniziò a pensare che forse Panama non era poi tanto male.

Data la prima boccata, assaporando il fumo e socchiudendo gli occhi, il misterioso uomo davanti a lui finalmente entrò nel discorso, troncando le cortesie ed i riti borghesi in cui finora avevano navigato.

“Mi fa piacere, Herr Nagel, che abbia accettato l’invito a venire fin qui: personalmente ero molto curioso di conoscerla, di lei si parla molto.” Spike alzò appena un sopracciglio, incerto se sentirsi lusingato. “Lei capirà: una Cacciatrice morta, granchilde dello scomparso Flagello d’Europa …”

“Come? Scomparso? Angelus è morto?” domandò con vigore e infinita sorpresa. Strőssner lo guardò con disprezzo. Non perché non sapesse … ma perché se ne curava.

Spike si trattenne a stento dal sollevare due dita, nell’immortale gesto cockney che sostituiva, a sud di Londra, il più universale gesto del dito medio alzato. Cosa cazzo poteva capire quell’idiota di lui … e di Angelus? Cosa sapeva degli anni in cui, come quattro autentici flagelli, avevano solcato i continenti?

Spike aveva amato e odiato Angelus come si ama ed odia un padre, ed era stato suo rivale come si rivaleggia con un fratello. E, sì, non aveva più notizie di lui da anni. Ma non lo dava certo per morto, per questo. Poteva contrastarlo e combatterlo e ironizzare su di lui, ma non l’avrebbe mai sottovalutato. Questo era poco ma sicuro.

“No, che io sappia, semplicemente, è da un paio di decenni che non abbiamo più notizie certe su di lui. E le posso assicurare che qui a Panama c’è qualcuno che ha un sacco di giuste conoscenze. Inoltre lei vive anche con una vampira che ha il dono della Vista.”

“Una doppia ragione per la quale stare tranquillo circa la sorte di Angelus. Nulla potrebbe succedergli senza che Dru lo sappia. Lei mi sta tediando orribilmente. Dovrebbe andare in coppia col Tedesco: lei mi annoia parlandomi di cose che so già, quell’altro parlandomi di cose che non mi interessano.”

Strőssner aggrottò appena le sopracciglia, mentre Collman esplose in una pantagruelica risata, che stupì Spike. “In effetti il suo ospite non è rinomato per la sua scintillante conversazione: sarà per questo che le feste che organizzava la señora Renée andavano tutte deserte? Eh, Strőssner?”

Senza aspettare che questi rispondesse in qualche modo, continuò, rivolto a Spike. “Penso di sapere cosa l’ha tanto annoiata, una discettazione sull’importanza dei gringos da queste parti, giusto?” Il vampiro annuì.

“Gli debbo dar ragione: qui basta non infastidire alcune categorie sociali e poi si può fare ogni cosa, ma questo lei lo saprà già. Ha idee politiche, Herr Nagel?” Questa domanda giunse inaspettata a Spike: era un vampiro, come poteva avere idee politiche? Ma si sforzò di essere gentile e rispose.

“Le dirò, da quando sono morto e non mi fanno più votare mi sono del tutto disinteressato all’argomento.”

Collman sorrise appena e Spike ebbe l’ennesima conferma che i tedeschi, vivi o morti, non capiscono mai lo humor britannico. E la cosa, prima o poi, avrebbe avuto gravi conseguenze.

“E da vivo ne aveva?”

“Quand’ero vivo io il Primo Ministro era Gladstone· e in Europa c’erano solo due repubbliche: anche se avessi tutt’ora delle idee politiche sarebbero del tutto obsolete, e quindi non ce ne sarebbe da parlare. Detto questo, mi vuole finalmente dire quanto mi pagherà per uccidere i suoi nemici? Se la cifra mi piacerà allora non le resterà da dirmi chi sono e dove li posso trovare.”

A Strőssner non parve neanche vero: era già spiritualmente pronto a sentir raccontare per l’ennesima volta la triste storia della Germania contemporanea, del complotto masso – giudo – pluto – bolscevico, della grandezza e della fierezza del passato Reich ed infine della lungimiranza di Herr Hitler e della sapienza esoterica di Herr Hesse.

Invece, grazie ai modi spicci di quell’insopportabile vampiro, Collman sarebbe arrivato direttamente al punto della questione senza perdere tempo a disquisire di politica e simili. Ed infatti quell’uomo enigmatico e misterioso disse solo la cifra della propria offerta, che poteva essere considerata più che discreta: Spike sorrise soddisfatto – non che il denaro cambiasse di molto la sua non vita, ma assicurava a Dru il tenore di vita da lei desiderato, e questo contava assai per lui - ma prima che commentasse in qualche modo Colmanm aggiunse che il compenso non era negoziabile, se non nella valuta; se Herr Nagel preferiva ai dollari statunitensi le sterline o i franchi svizzeri non ci sarebbe stato alcun problema, bastava saperlo.

“Grazie, i dollari vanno sempre bene. In Europa in questi tempi ci si diverte poco, io e Drusilla pensiamo di tornare negli Stati Uniti a divertirci finché dall’altra parte del mondo non torna la gioia di vivere.” Stroessner mentalmente maledisse Spike: dire una cosa simile era porgere a quell’ossesso su un piatto d’argento l’occasione per ripetere quell’estenuante litania di discorsi politici senza capo né coda. Il che puntualmente avvenne.

“La guerra ha distrutto l’Europa com’era sempre stata, Herr Nagel, per sostituirvi un instabile coacervo di piccoli ed insignificanti staterelli che si odiano a vicenda e si guardano in cagnesco. E tutto per colpa dell’internazionalismo massonico e repubblicano, gestito dai giudei e dalle loro banche.

Le stesse che hanno permesso che il popolo germanico fosse diviso e frazionato, schiavo sotto il pugno slavo, francese ed italiano. Le stesse che hanno permesso ai giudei Lenin e Trockij di conquistare la Russia e che stavano per favorire il giudeo Bela Khun a Budapest ed i giudei Luxemburg· e Liebknecht· nella grande Berlino·.

Questo stato di cose non durerà, Herr Nagel, arriverà un’altra guerra che potrebbe spazzare via il popolo ariano e la sua civiltà, lasciando i giudei padroni definitivi e manifesti del mondo: ci spingono ad ucciderci tra noi per governare sui nostri cadaveri. Esattamente quello che essi hanno pianificato da anni: ha letto i “Protocolli dei Savi di Sion”· ?

Ma noi ci stiamo già preparando per l’imminente battaglia e stiamo già pianificando le strategie ed armando il nostro esercito, facendo sempre nuovi proseliti e questa volta non ci faremo sconfiggere: stermineremo le anti-razze· dei giudei e degli zingari e renderemo schiavi gli slavi e i latini, che è l’unico destino giusto che meritino quei popoli, prima ancora che loro possano fare la prima mossa!”

Spike scoppiò a ridere, suo malgrado. Non aveva mai sentito un peggiore cumulo di assurdità. A quanto pareva, Herr Collman ignorava che negri, giudei, zingari, ariani e latini….sapevano tutti lo stesso gusto, avevano lo stesso odore, e morivano nello stesso modo.

Cibo, non erano altro che cibo.

L’arringa di Collman fu più breve del solito solo perché Spike, oltre a ridere, fece un gesto di fastidio con la mano, come per scacciare via una noiosa mosca che gli ronzava attorno. “Buona fortuna e figli maschi, allora. Veniamo alle cose serie: chi devo uccidere?”

“Lei è uno strano vampiro, Herr Nagel. Sono abituato a parlare con il Tedesco, che non muove un dito e non prende una decisione se prima non conosce il problema in ogni suo minimo aspetto.”

“Che vuole, il fatto di essere immortale non implica che debba perdere tempo anche nelle sciocchezze. Però, visto che le piace tanto chiacchierare, che ne dice di dirmi cosa le hanno fatto le persone che mi berrò?”

Strőssner era troppo abituato, considerato cosa faceva per vivere e dove viveva, a dissimulare ogni emozione e quindi evitò di alzare ambedue le sopracciglia in segno di stupore per una domanda decisamente indiscreta, se si considerava che chi la poneva era assimilabile ad un sicario; ma era anche vero che non si poteva chiedere a quel vampiro di rispettare la deontologia professionale di un killer scrupoloso e corretto.

Collman fece invece buon viso a quella indiscreta domanda poiché l’ultima cosa che doveva accadere (Herr Hess·, che da Monaco dirigeva tutta l’operazione, era stato molto chiaro al riguardo) era che William il Sanguinario pensasse gli venisse nascosto qualcosa. Si doveva fidare il più possibile.

“Ci sono tre persone che ostacolano, potrebbero ostacolare o stanno scoprendo i grandi progetti che ci sono per la nostra grande Germania e per la difesa della civiltà ariana. Sono un giornalista di un quotidiano democratico di New York, un pastore protestante e l’ambasciatore olandese. Il primo fa troppe domande, il secondo ha acquistato un notevole ascendente sugli indigeni Cunas· e il terzo potrebbe creare problemi … ad alto livello, per così dire. E noi speriamo che lei, con discrezione, faccia capitare a ciascuno di loro un … incidente, che in alcun modo possa ricondurre a noi, alla sua presenza qui e alla gentile mediazione operata dal Tedesco.”

A questo punto per Spike venne il momento di fare la domanda più importante della serata, quella che Strőssner attendeva con ansia, giacché sospettava – o meglio si augurava - che neppure il Tedesco fosse ancora riuscito a sapere cosa Collman avesse intenzione di fare per la causa di Herr Hitler.

“Dopo i giudei e gli zingari adesso avete paura anche di questi Cunas e degli Olandesi? Cosa diavolo dovete fare di così importante da dover ammazzare addirittura un ambasciatore?”

Ecco, questa era una domanda assai più impegnativa a cui rispondere: Hess dalla Baviera, Ford· dal Midwest e Kennedy· da Washington erano stati molto chiari circa l’assoluta segretezza della “Thule Operation” e Collman non poteva certo spiattellare tutta la verità a quel vampiro inaffidabile in presenza del plenipotenziario della MeilenHaus.

“Non trovo corretto dire che abbiamo paura di quelle anti-razze: noi le riteniamo nocive per il popolo ariano, il che è molto diverso!

L’Olanda, piccolo stato borghese in mano ai gretti banchieri giudei e massoni, non può certo che avversare in tutti i modi che la Germania rialzi la testa e prenda di nuovo quel posto che le spetta di diritto sul palcoscenico del mondo.

Nello stesso modo quel giornalista, pederasta ed invertito, figlio dell’abominio morale di questi anni, non deve far sapere al suo quotidiano che il Partito NazionalSocialista dei Lavoratori Tedeschi e che il suo Fuhrer, Adolf Hitler, hanno tanti amici pronti a lottare per loro per il trionfo della civiltà ariana e la definitiva sconfitta del bolscevismo e del giudaismo.”

La nuova risata di Spike, di gola, libera e leggera come ogni istintivo rifiuto dei dogmi assolutisti che – con tanta sicumera – quel Collman gli andava sciorinando davanti, ruppe l’incanto.

Collman tornò in sé. Non stava facendo un comizio, lo rammentò a se stesso, ma stava solo cercando di comprare i servigi – conditi di un’accettabile dose di fiducia, o almeno di non diffidenza, come voleva Herr Hess - di un sicario vampiro.

Che – con tutta evidenza – se ne fotteva altamente sia dei Lavoratori Tedeschi che del loro Fuhrer. Tanto che aveva evitato accuratamente di porgli l’unica domanda che davvero Collman temesse: cosa mai quell’ambasciatore, quel prete e quel giornalista potessero scoprire. Quale fosse, insomma, il grande piano.

Spike smise di ridere … e sorrise. Semplicemente.

“Da chi comincio?”

 

 

L’uomo si accese una sigaretta, appoggiandosi piano al muro lercio. Non gli importava. Aveva indossato, per l’occasione, una divisa da marinaio inglese. Niente di vistoso.

La ragazza arrivò e gli chiese la sigaretta. Lui sorrise e cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni scuri un accendino a molla che lei ammirò. Le loro teste si sfiorarono brevemente, mentre la luce della fiamma illuminava appena i loro lineamenti, quelli dozzinali di lei, quelli spigolosi ed eleganti di lui.

“Sono cinque dollari.”  soffiò lei. Gli arrivò un odore rancido di cibo fritto in grassi di poco costo.

“No, grazie, aspetto qualcuno.” replicò lui, in un pessimo spagnolo.

Lei sollevò le spalle, guardandolo con rammarico: era snello, ma muscoloso, ed un sospetto gonfiore tendeva i suoi pantaloni, un gonfiore che prometteva bene per la serata.

Lui non se la prese. Riprese piano a fumare, fissando il suo culo grassoccio che si allontanava.

Non voleva guastarsi l’appetito.

L’americano arrivò di corsa, trafelato, troppo grasso, con in viso tutti i segni di un cuore che avrebbe mollato gli ormeggi, se continuava così, prima dei quarant’anni. Johnny Smithson, si chiamava, e portava sulla falda del cappello l’ennesimo lasciapassare dell’ambasciata. Stampa, c’era scritto sopra, e lui lo portava sempre alla sua bisnonna novantenne, per convincerla che stesse … davvero … facendo il giornalista.

Sì, Johnny Smithson era un giornalista. Malgrado la pinguedine, la mania di mangiare alimenti schifosi, ed il piacere di trovarsi bei ragazzi … dal culo stretto ed occhi grandi. Levavi tutte queste sgradevoli … inclinazioni, e ti trovavi con un fior di giornalista, uno che sapeva sicuramente fare due più due. Anche a Panama, dove di solito, per qualche soprannaturale ragione legata al clima, alle stelle, al cibo, al mare, o forse solo al destino, di solito due più due faceva almeno cinque.

E forse anche sei, negli ultimi mesi. In una città che galleggiava sull’alcool e la cui oscena trinità era rappresentata da prostituzione, gioco d’azzardo e corruzione, non c’era errore maggiore che lasciarsi scappare qualche parola di troppo nel grato languore che seguiva un orgasmo a pagamento.

Era tramite queste vie traverse, sporche e sudice come la sua vita, che Smithson aveva percepito una grossa verità, forse lo scoop che lo avrebbe finalmente allontanato da quel lupanare a cielo aperto: ne sapeva ancora troppo poco, ma se lo sentiva dentro che quella era la volta buona.

A quanto pareva c’era molto interesse, da parte di misteriosi investitori stranieri – tedeschi, si diceva - per l’arcipelago di San Blas, un gruppo di isole panamensi sulla costa atlantica, abitate dagli indigeni Cunas.

Questi indigeni, per qualche strana ragione che appassionava gli antropologi europei, erano di pelle relativamente scura ed alcuni avevano anche gli occhi chiari, come l’antico popolo delle Canarie, sterminato nel XV secolo dagli Spagnoli.

Per alcuni studiosi era l’ennesima prova dell’esistenza di Atlantide in mezzo all’oceano (e questi indios quindi ne erano gli ultimi discendenti), per altri invece erano la prova vivente dell’arrivo dei Vichinghi non solo a Terranova ma anche nei Carabi.

Ma Smithson sapeva che non era per le cabbale di studiosi bizzarri che c’erano stati movimenti di denaro intorno a San Blas e che gli antichi miti non avevano nulla a che fare con le costruzioni in cemento armato che da un po’ di tempo spuntavano come funghi su quelle isole.

Sembrava fosse stato costruito anche un piccolo aeroporto e in tutta quest’incertezza l’unica verità incontrovertibile era che l’autorità gli aveva proibito, in quanto giornalista, di andare a vedere perché quelle spiagge e quelle foreste spazzate dai venti atlantici stavano tanto a cuore a misteriosi investitori tedeschi.

E a Panama non veniva proibito nulla se il Governatore della Canal Zone non era d’accordo; e il Governatore era sempre d’accordo con il Dipartimento di Stato: in poche parole Smithson era convinto di aver trovato qualcosa in cui, per qualche oscuro motivo, erano invischiati il Presidente Hoover e tutti i suoi corrotti amici e finanziatori repubblicani.

Quelle isole parevano diventate di grande importanza non solo per i capitali germanici, non solo per qualcuno a Washington, ma anche per svariati dei molteplici immigrati tedeschi del Caribe e del Centro America, di solito figli di poveri contadini sassoni o bavaresi che erano venuti a far fortuna sotto questi cieli; e c’erano riusciti con metodi su cui era meglio sorvolare, ma certamente molto distanti dagli imperativi etici di Kant.

E tra questi figli d’immigrati spiccava il luciferino Simras Collman, il quale quasi sicuramente aveva violato tutte le leggi, umane e divine, scritte ed orali, che ogni società di questa terra avesse mai stabilito. Collman, ad essere sintetici, trafficava: in droga, armi, valuta, reperti archeologici, donne, uomini, macchinari, pezzi di ricambio, informazioni, materie prime, spezie e qualsiasi cosa che potesse essere oggetto di mercimonio.

E, a quanto pareva, una fetta dei suoi dollari finivano a foraggiare alcuni partiti d’estrema destra nella natia Germania, in quegli anni sconquassata dall’inflazione, dalla violenza e dall’incertezza per il futuro.

Elementi disparati e apparentemente discordanti, ma Smithson sapeva a chi rivolgersi per trovare quei collegamenti che finora gli mancavano: era da poco tornato da San Blas, allontanato con pretesti d’ordine pubblico, il pastore Jacob van Swaneburg·, un ministro calvinista che svolgeva su quelle isole il suo apostolato missionario.

“Señor … scusate, mi sono perso.” mormorò, umilmente, il marinaio inglese, aggiustandosi il berretto sui capelli neri, ondulati naturalmente. “Non riesco più a trovare la casa del Marinaio, e temo che se mi tratterrò ancora a lungo in questo quartiere malfamato qualcuno potrebbe rapirmi …”

Malgrado il secolo passato fosse ormai alle spalle, non mancavano tuttora, specie ai Tropici, episodi di marinai arruolati con la forza. Smithson lo fissò.

Giovane, pallido … fine come una porcellana. La maglietta a righe e i pantaloni neri scolpivano un corpo snello e muscoloso, perfetto, nel cui abbraccio virile sarebbe stato così dolce perdersi … e quella bocca, quella bocca morbida, dal labbro inferiore un po’ troppo carnoso, nel quale il marinaio mordeva, per l’imbarazzo, denti piccoli e bianchissimi. E quegli occhi, profondi e scuri alla luce del pallido lampione, eppure pronti a rivelarsi – alla luce di un lume - azzurri come il mare …

“Beh … se non vi è d’incomodo … io non so dove sia la casa del Marinaio … ma qui vicino ci sono parecchi hotel.”

“L’hotel de Paraiso è tutto occupato.” si lagnò il marinaio.

“Veramente … io abito qui vicino. All’Hotel de Venice.”

Il marinaio inarcò un sopracciglio, e l’ombra di un sorriso aleggiò sulle sue labbra.

“Venice?”

John Smithson annuì. Lui, al contrario del suo compagno, non era mai stato a Venezia. Lieti ricordi …

“Perché no?” disse l’inglese, e qualcosa nel suo accento … come forzatamente cockney … colpì Smithson. L’ombra di un’associazione mentale, di un … no, non sospetto … ma … curiosità professionale … si insinuò nei suoi pensieri. Possibile che un uomo tanto apparentemente fine fosse solo un marinaio?

Ma era un’occasione troppo ghiotta per essere sprecata, e la parte più in ombra del giornalista, quella che lo sviava da una buona notizia per condurlo verso i suoi più oscuri piaceri, premeva nella patta dei suoi pantaloni.

Si diressero piano verso la casa del giornalista, in quello squallido hotel, non migliore del Paraiso … solo più pretenzioso.

Smithson ansimava mentre saliva le scale. L’inglese lo seguiva con un’andatura morbida che non lasciava traccia sugli scalini traballanti della vecchia scala di servizio.

Smithson non si chiese quanto fosse stato facile: volle pensare che si trattasse di lui, dell’aurea di rispettabilità e benessere borghese che emanava. Era ovvio che il marinaio volesse qualcosa in cambio. Beh, dov’era il problema, se solo poteva sentire quella bocca morbida e decadente sul suo uccello …

Il marinaio lo seguì e si guardò intorno. Il posto puzzava di sporco e di cibo andato a male, ma poteva ancora passare per decoroso. Il giornale di New York non doveva pagarlo poi molto … “Possiamo darci del tu?” ansimò Johnny, andando verso il marinaio, alto quanto lui ma infinitamente più snello e forte.

Il marinaio scosse il capo. E sorrise. E poi, deliberatamente, si tolse il berretto, che posò sul tavolo, e si sfilò la maglietta a righe. Dalla vita verso la testa, rivelando un torace perfettamente liscio e bianco, marmoreo come quello di una statua. Smithson ansimò più forte, e gli cadde in ginocchio, davanti, pronto ad adorarlo.

Ma la capricciosa divinità dai capelli biondi scoppiò a ridere.

“No … vi prego. Siete stato così gentile con me … ospitandomi per questa notte … che vorrei ripagarvi. Lasciate che lo faccia. Spogliatevi.” gli intimò dolcemente, ma con un sussulto di crudeltà nella bella bocca. Ed il giornalista ubbidì.

Si tolse la camicia, e si abbassò i pantaloni.

“A letto.” gli intimò il marinaio, frugando nel cassetto. Smithson teneva lì creme di importazione, amiche dell’amore, se amore si poteva chiamare, ed altri aggeggi. Trionfante, il marinaio cacciò fuori un paio di manette.

E le dondolò davanti allo sguardo del giornalista, che non credeva alla sua fortuna. Era splendido, l’inglese, e – a quanto pareva – pieno di inventiva. Allora, era vero quel che si diceva degli uomini di mare …

Il membro prima flaccido, ora eretto, del giornalista spuntava tra la chiusura aperta dei suoi pantaloni. Il marinaio lo ignorò, e lo spinse sul letto. E poi, con un sonoro clic, fece scattare le manette intorno ai polsi dell’americano e le assicurò alla testiera del letto.

“Sei … siete … bellissimo.” sospirò Smithson, vedendo il giovane marinaio chinarsi su di lui, il petto liscio e lucente, il volto perfetto, le labbra socchiuse.

Il marinaio aveva qualcosa in mano: una sciarpa di seta.

E la ficcò in bocca all’uomo, che accettò l’invasione con gratitudine, certo dell’ormai prossimo piacere.

Chiuse gli occhi, ansioso di sentire il tocco del marinaio su di sé. Non che pretendesse un bacio, no, questo no, coloro che si vendevano non usavano concedere la loro bocca per i baci, ma almeno una carezza …

Quando li riaprì, vide che quei profondi occhi azzurri erano diventati … d’oro. E quel viso così bello era diventato mostruoso. Eppure … sempre oscuramente bello.

Mentre il vampiro affondava nel suo collo taurino lunghe, dolorose zanne, Smithson capì.

I marinai non hanno per niente quell’aspetto, nella vita reale. Ma proprio per niente.

La stessa cosa che pensava Spike, mentre si rivestiva e chiudeva a chiave la porta dal di fuori, lasciando Johnny Smithson, mezzo nudo e molto morto, nel suo letto.

Senza più una sola goccia di sangue indosso.

 

 

 



Note e curiosità

 

 

· Bela Kun (? – 1939) figlio di un notaio ebreo di stretta osservanza leninista, proclamò nel 1919 in Ungheria la Repubblica dei Consigli, mettendo in atto un programma che ricalcava quello bolscevico: nazionalizzazione di banche e imprese, confisca delle grandi proprietà terriere a vantaggio delle cooperative, creazione di una occhiuta polizia politica, omicidi di massa degli oppositori politici. Questi metodi dottrinari e terroristici riuscirono a trasformare la stragrande maggioranza degli ungheresi in accaniti anticomunisti e l’esperimento politico di Bela Kun fu tanto efferato quanto impopolare da crollare dopo appena 133 giorni, il 1° agosto 1919 per l’intervento dell’armata rumena.

Fuggito in Unione Sovietica, il suo rigore fu tanto perverso da essere sgradito persino ai sovietici i quali, dopo averlo ospitato a Mosca, al Komintern e nel sinistro Hotel Lux, tana e asilo di funzionari e capi internazionalisti, finirono con l’esonerarlo dal lavoro politico nel settembre del 1936. Arrestato, morì in circostanze oscure nel 1939.

· L’ammiraglio Miklos Horthy nacque a Kenderes in Ungheria il 18 giugno 1868 da una famiglia della nobiltà protestante ungherese: entrato giovanissimo nell’Accademia Navale di Fiume (Rijeka) ne uscì ufficiale di Marina e grazie alle sue nobili origini nel 1909 divenne uno degli aiutanti di campo dell’imperatore Francesco Giuseppe. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale venne nominato comandante di una unità navale e nel 1918 venne promosso ammiraglio.

Nel dopoguerra si legò ai circoli conservatori ed antidemocratici che si erano formati a Vienna e da questi venne incaricato di raccogliere un esercito per riconquistare Budapest controllata dal governo bolscevico di Bela Kun. Horthy attese di avere il consenso della Francia ed entrò in azione soltanto dopo che Bela Kun fuggì a seguito dell’arrivo dell’esercito rumeno a Budapest. Entrò senza colpo ferire nella capitale ungherese nel novembre 1920.

Il ricostituito parlamento ungherese il 1° marzo 1920 lo proclamò reggente d’Ungheria: avrebbe dovuto fare le funzioni di capo di Stato sino a quando il Parlamento non avesse deciso chi sarebbe stato il nuovo re d’Ungheria, ma allo stesso tempo impedì all’unico legittimo aspirante al trono, il Beato Carlo IV d’Asburgo, di ottenere la corona, perpetuando per ben ventiquattro anni la sua “reggenza”. Nel 1937 ottenne dal Parlamento una estensione considerevole dei propri poteri e di fatto istituì una autocrazia conservatrice.

Avvicinatosi alla Germania nazista per riconquistare i territori persi dopo la Prima Guerra Mondiale, pur avendo ottenuto ciò che desiderava, Horthy fu restio a collaborare pienamente con i nazisti. Nel 1944 con i Sovietici che si avvicinavano alle frontiere tentò di far uscire l’Ungheria dall’alleanza con la Germania e il risultato fu la sua eliminazione dal potere e l’avvento del movimento ultrafascista delle “Croci Frecciate”, ferocemente antisemite, che si resero colpevoli dello sterminio di buona parte degli ebrei ungheresi: oltre mezzo milione di persone su quasi ottocentomila.

Horthy venne arrestato dei Tedeschi e imprigionato in Germania e con l’arrivo degli Alleati venne rilasciato nel maggio 1945. Gli venne concesso di vivere in esilio in Portogallo dove morì il 9 febbraio 1957.

· Armata Bianca è il nome che fu dato all'esercito contro-rivoluzionario che combatté contro l’Armata Rossa bolscevica, nella Guerra Civile Russa dal 1918 al 1921. Il nucleo di ufficiali di questo esercito, la Guardia Bianca, erano monarchici. L’Armata Bianca era appoggiata da rappresentanti di molti altri movimenti politici: democratici, socialisti rivoluzionari, a altri che si opposero alla Rivoluzione d’Ottobre. Il grosso della truppa era costituito sia da oppositori attivi dei Bolscevichi, come i cosacchi, che da contadini apolitici che furono semplicemente arruolati al suo interno. Aiuti ci furono anche dalle democrazie occidentali soprattutto Gran Bretagna e Francia.

· Il ruteno era una delle nove lingue ufficiale che si parlavano nell’Impero d’Austria, ma mentre gli altri otto popoli hanno prima o poi ottenuto di vivere in uno Stato indipendente (qualcuno molto poi, come gli slovacchi che hanno uno Stato proprio solo dal 1993), i ruteni (o russini, o russi bianchi) uno Stato loro non l’hanno mai avuto e, per quanto sia possibile umanamente prevedere, mai l’avranno. Parlano una lingua parente stretta dell’ucraino, scrivono con l’alfabeto cirillico, hanno un rito religioso del tutto simile a quello ortodosso, ma sono cattolici, in quanto riconoscono la supremazia papale; tra i piccoli popoli europei, insomma, quello ruteno può iscriversi tra gli sfortunati. I ruteni sono circa 250 mila, vivono nella regione subcarpatica, divisi tra Slovacchia, Polonia e Ucraina: Andy Warhol è l’unico ruteno ad aver raggiunto fama mondiale.

· L’Opera di Parigi, monumentale teatro costruito tra il 1860 e il 1880 in stile eclettico, è conosciuta anche per le facciate e gli interni troppo ricchi e decisamente privi di gusto.

· William Gladstone, liberale, fu Primo Ministro in Inghilterra tra il 1868 e il 1874, nel 1886 e tra il 1892 e il 1894; detestato dalla Regina Vittoria perchè cercò di dare i diritti politici ai cattolici, era contrario a farle avere il titolo di Imperatrice delle Indie e perchè si faceva frustare dalle prostitute che adescava per “redimerle”.

· Rosa Luxemburg (1871 – 1919) era l’ultima di cinque figli di una famiglia ebrea poverissima. A 15 anni aderì al movimento rivoluzionario polacco; la giovane diventò presto uno degli agitatori più popolari del movimento operaio tedesco. Allo scoppio della prima rivoluzione russa, nel 1905, sostenne la ribellione delle masse fino al crollo dello zarismo. Nel 1914 Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht (1871-1929) e altri, contrari alla guerra, uscirono dal Partito socialdemocratico tedesco; dalla scissione nacque nel 1916 la Lega Spartaco, che sarebbe diventata alla fine del 1918 il Partito comunista tedesco. Nel gennaio 1919, dopo l’insurrezione spartachista, i socialdemocratici posero una taglia di 100.000 marchi su Luxemburg e Liebknecht. Arrestati entrambi il 15 gennaio, furono assassinati poco dopo e gettati nel fiume che passa per Berlino.

· Karl Liebknecht (1871 - 1919), figlio di uno dei fondatori del Partito Socialdemocratico Tedesco, alla fine del 1914 assieme a Rosa Luxemburg ed altri formò la cosidetta Spartakusbund (“Lega Spartachista”), che si richiamava agli argomenti dei bolscevichi russi per una Rivoluzione proletaria. Il 9 novembre 1918, Liebknecht dichiarò la formazione della “freie sozialistische Republik” (libera repubblica socialista) da una balconata del Castello di Berlino, due ore dopo la dichiarazione di Philipp Scheidemann della “Repubblica tedesca” da una balconata del Reichstag.

Assieme a Rosa Luxemburg, Leo Jogiches e Clara Zetkin, Liebknecht promosse la sollevazione Spartachista di Berlino del gennaio 1919, che venne brutalmente repressa dal nuovo governo socialdemocratico tedesco di Friedrich Ebert con l’aiuto dell’esercito e dei Freikorps (corpi di soldati smobilitati alla fine della guerra, violenti e reazionari). Al 13 gennaio la sollevazione era stata estinta e Liebknecht, assieme a Rosa Luxemburg, venne rapito dai soldati del Freikorps, portato all’Hotel Eden di Berlino dove venne torturato ed interrogato per diverse ore prima di venire ucciso il 15 gennaio 1919.

· Tutto il discorso di Stroessner è in linea con le idee del partito nazionalsocialista. Da notare l’attenzione con cui i nazisti – e gli antisemiti in genere - trovavano un rapporto tra comunismo e giudaismo (termine con cui in quegli anni si designavano gli Ebrei), partendo dal dato oggettivo che molte figure di spicco dei partiti comunisti europei (in Italia ad esempio il senatore Terracini) erano effettivamente ebrei, proprio come Marx.

· I “Protocolli dei Savi di Sion” è un testo antisemita russo, pubblicato ai primi del Novecento. Finge d’essere la copia degli atti del Congresso Sionista di Basilea del 1897, nel corso del quale i dirigenti sionisti avrebbero elaborato un piano a lungo termine per dominare il mondo tramite la corruzione e lo svilimento della cultura occidentale, l’incitamento ai piaceri materiali, la disorganizzazione dell’economia, la distruzione della stabilità finanziaria, sociale e politica per consentire alla razza ebraica di costruire il proprio dominio. Moltissimi hanno creduto –e purtroppo credono ancora- nella presunta veridicità di questo palese falso.

· La definizione di “anti razza” per giudei e zingari è tipica dei testi “scientifici” su cui si basava la dottrina razziale nazista; testi comunque posteriori alla data in cui è ambientata la fan-fiction.

· Rudolf Hess nacque ad Alessandria d’Egitto il 26 aprile 1894, da una facoltosa famiglia di commercianti tedeschi. Esperto aviatore, volontario nella Grande Guerra dove si fece onore, alla fine del conflitto fece parte dei Freikorps, organizzazione d’estrema destra formata da ex militari (spesso impiegati dai socialdemocratici) che eliminavano i comunisti. Da tempo legato all’occultismo, si iscrisse a circoli esoterici e conobbe Hitler, con il quale entrò a far parte del neonato partito nazional-socialista il 1 luglio 1920, sedicesimo iscritto. Ambedue facevano parte della Società Thule, un’organizzazione politica antisemita influenzata dal professor Karl Haushofer, un ex generale di cui le teorie sull’espansionismo costituivano la base del concetto di Lebensraum, cioè lo spazio vitale che i tedeschi dovevano avere a scapito di altre nazioni.

Nel 1923 prese parte al Putsch di Monaco e, pur riuscito a scampare all’arresto, preferì costituirsi per seguire le sorti del futuro Fuhrer, il quale in carcere gli dettò il Mein Kampf. Dopo il suo rilascio dalla prigione Hess fu per parecchi anni il segretario personale del Hitler che nel 1932 lo nominò Presidente della Commissione Politica Centrale del Partito di Nazi e Generale delle SS come ricompensa per il suo servizio leale.

Hess era un uomo timido e insicuro con una devozione religiosa, una lealtà fanatica ed un’obbedienza cieca ed assoluta a Hitler: una delle sue mansioni più visibili era di annunciare il Führer alle riunioni del Partito. Anche se gratificato spesso da Hitler per la sua lealtà, ad Hess non fu data mai alcun’influenza principale nella vita del Paese per la sua mancanza di comprensione dei meccanismi del potere e la sua incapacità ad intraprendere alcuna azione di propria iniziativa: era completamente e deliberatamente obbediente al suo Führer, che comunque lo nominò Membro del Consiglio Segreto del Governo e Membro del Consiglio Ministeriale per la Difesa di Reich e successore dopo Göring.

Cogli anni Hess appariva sempre meno lucido, praticava occulti riti iniziatici, si circondava di strani talismani, era sempre più sconclusionato e distante dalla realtà, come se la sua mente vagasse nel nulla: sempre più un simbolo e sempre meno un uomo di potere, divenne un personaggio di facciata sostanzialmente innocuo. Forse per riottenere potere, più probabilmente perché lo considerava un desiderio di Hitler o un vantaggio per la Germania (questo è uno dei grandi misteri della Seconda Guerra Mondiale) il 10 maggio 1941 a bordo di un aereo partì all’insaputa di tutti per arrivare in Inghilterra al fine di avviare trattative con i vertici dello nazione nemica: i documenti su questo volo e sugli interrogatori che seguirono sono vincolati dal Segreto Militare fino al 2021.

Pare volesse conferire con il Duca di Hamilton (atterrò a poche miglia da casa sua, in Scozia) per convincerlo che Hitler non voleva distruggere un’altra nazione ariana qual era quella inglese: i due stati si dovevano alleare contro il comune nemico comunista, firmando subito una pace. Molti nell’elite militare e politica inglese preferivano avere Hitler per alleato, invece che Stalin, anche membri della Casa Reale, influenzati dalla mattanza dei loro cugini, la famiglia imperiale russa, da parte comunista. Ma Hess mostrava segni di instabilità mentale e gli Inglesi conclusero che era pazzo e rappresentava soltanto egli stesso: Churchill ordinò fosse imprigionato e trattato come qualsiasi alto prigioniero di guerra.

Durante gli anni di prigionia Hess sviluppò un ossessione paranoica circa il timore d’essere avvelenato. Nel 1945 Hess fu condotto in Germania davanti al tribunale militare internazionale di Norimberga: durante la sua deposizione fu come se la sua mente si fosse arrestata agli anni del nazismo trionfante, esaltando i trascorsi felici accanto all’amico di un tempo, accanto a quello che definì il figlio più illustre prodotto dal popolo tedesco, manifestando tutto il suo orgoglio per essere stato suo fedele seguace. Nonostante il suo drammatico stato mentale (Churchill disse che rientrava tra i casi clinici, non tra quelli giudiziari) e pur non avendo  preso parte all’Olocausto, con prove non esaustive fu condannato all’ergastolo: negli anni l’Unione Sovietica impedì tutti i tentativi di rilascio anticipati. Morì - ufficialmente per suicidio - nel 1987 all’età di 92 anni, l’ultimo dei prigionieri detenuti a Norimberga.

· I Kuna, il gruppo etnico più compatto di Panama, hanno un’economia di sussistenza basata su pesca e coltivazione (platano, cocco, cacao, mais), cui si aggiunge un limitato commercio di aragoste e molas (tessuti tradizionali). L’organizzazione politica si fonda sulla “casa del congresso”, dove a sera gli abitanti del villaggio si riuniscono per organizzare la vita della comunità, decidere i lavori collettivi e ascoltare i canti tradizionali del saila (capo). Ogni sei mesi cinque delegati per ogni comunità si incontrano nel “Congresso generale kuna” per discutere i problemi di tutto il popolo.

Dopo la conquista spagnola, l’organizzazione statuale e gerarchica di questa popolazione, tradizionalmente bellicosa, si disgregò, trasformandosi in una società tendenzialmente egualitaria. Ma i Kuna continuarono a battersi per la propria autonomia, prima vanificando i tentativi di assimilazione seguiti alla nascita del Panama nel 1903, poi, nel 1925, cacciando la polizia coloniale e proclamando la “Repubblica Tule”. I successivi, lunghi negoziati portarono il governo panamense a decretare nel 1938 la nascita della “Comarca de San Blas”, ribattezzata dagli indigeni Kuna-Yala (“terra dei Kuna”) e a riconoscere nel 1957 l’autorità dei tre caciques nominati dal “Congresso generale kuna”, in cambio dell’accettazione della Costituzione e delle leggi nazionali.

Nel 1991 Kuna ed altri gruppi etnici indigeni hanno formato il Coordinamento nazionale dei popoli indigeni di Panama, che ha chiesto il riconoscimento costituzionale del carattere multietnico e pluriculturale di Panama, la demarcazione legale delle terre ancestrali, la legittimazione delle forme di autorganizzazione e autogoverno delle popolazioni autoctone, l’introduzione di un insegnamento bilingue e interculturale, il miglioramento dell’assistenza sanitaria nelle comunità, la fine della deforestazione e l’attribuzione di un potere consultivo vincolante ai Congressi generali sui progetti produttivi nei territori indigeni.

· Henry Ford (1863 - 1947) nel 1893, dopo aver fatto per anni esperimenti nei ritagli di tempo, completò la costruzione della sua prima auto e nel 1903 fondò la società automobilistica Ford. Nel 1913 cominciò a usare nel suo stabilimento componenti standardizzati intercambiabili e catene di montaggio: dopo dieci anni queste innovazioni avevano provocato una forte rotazione mensile della manodopera, per la monotonia del lavoro alla catena di montaggio e delle quote di produzione sempre maggiori assegnate ai lavoratori. Per ovviare Ford raddoppiò il salario giornaliero dei suoi dipendenti rispetto agli standard delle altre industrie e il risultato fu una maggiore stabilità della manodopera e una riduzione dei costi di produzione.

Nel periodo dal 1937 al 1941 Ford fu il solo grande produttore di autoveicoli nell’area di Detroit che non riconobbe alcun sindacato in rappresentanza dei lavoratori nel processo di contrattazione collettiva; venne anzi considerato responsabile di ripetute violazioni delle leggi vigenti in materia di relazioni industriali. Ford fu inoltre un’importante fonte americana dell’odio antiebraico di Hitler, da cui egli avrebbe potuto trarre l’idea di una congiura mondiale ebraica, e che potrebbe essere considerata decisiva nella stessa ascesa di Hitler al potere.

È impressionante osservare con quanta facilità, e con quale vantaggio, in America si sia perduto il ricordo del contributo dato da Ford al successo di Hitler: non lo dimenticò Hitler, che dimostrò la sua gratitudine facendo appendere alla parete del suo ufficio nel quartier generale del Partito nazista a Monaco un ritratto a olio, a grandezza naturale, del costruttore di automobili americano, e proponendo, negli anni Venti, di inviare negli Stati Uniti reparti d’assalto per aiutare Ford nella campagna presidenziale alla quale questi pensava di partecipare. La diffusione su scala mondiale del violento pamphlet antisemita di Ford “The International Jew”, che Hitler e i nazisti lessero con entusiasmo, propagandarono e distribuirono su tutto il territorio tedesco, e l’influenza esercitata dalla fama e dall’opera di Ford, che divenne in Germania un simbolo dell’età moderna, convalidarono agli occhi del credulo pubblico tedesco la malefica visione hitleriana della congiura ebraica ordita dai Savi Anziani di Sion.

· Joseph Patrick Kennedy (1888 – 1969), capostipite del clan Kennedy, fu uno dei pochi a trarre beneficio dalla crisi di Wall Street del 1929. Sul fronte politico sostenne economicamente la corsa alla Casa Bianca di Franklin Delano Roosevelt: a spingerlo in tale impresa fu soprattutto l’idea di poter trarre profitto dall’abolizione del proibizionismo, uno dei punti inseriti nel programma elettorale di Roosevelt. Grazie alla cessazione definitiva del divieto legale alla produzione a allo spaccio di liquori, Kennedy guadagnò una fortuna con il commercio di alcolici.

Ottenne da Roosevelt la nomina di capo della Security and Exchange Commission, il comitato governativo che svolgeva un’azione di controllo delle illegalità del mercato azionario e della borsa; non mancarono le proteste alle quali il presidente rispose che “nessuno meglio di un aguzzino può smascherare altri aguzzini”.

Nel 1937 venne designato alla carica di ambasciatore a Londra e qui strinse una forte amicizia con l’ambasciatore tedesco von Ribbentrop (dal 1938 Ministro degli Esteri del Terzo Reich, impiccato per crimini contro l’umanità nel 1946) e con il primo ministro conservatore Neville Chamberlain. Entrambi erano convinti che la cessione a Hitler della Cecoslovacchia sarebbe stato il passo decisivo verso la pace. Ma la guerra non tardò ad arrivare e l’ambasciatore Kennedy, antisemita e convinto della superiorità militare e politica dei tedeschi, sostenne che la Gran Bretagna non combatteva per la democrazia ma per la propria sopravvivenza e che sarebbe stato un bene che gli Stati Uniti non interferissero nel conflitto.

Queste ed altre dichiarazioni non tardarono a creare dissapori tra l’ambasciatore e il presidente tanto che, una volta richiamato in patria, Kennedy rassegnò le dimissioni e si bruciò ogni possibilità di essere candidato dal Partito Democratico alle presidenziali. Dopo questa esperienza si ritirò dalla vita politica per dedicarsi completamente alle speculazioni immobiliari e all’industria del petrolio.

· Jacob van Swaneburg era il nome di un pittore olandese presso cui fece apprendistato Rembrandt