VIII. 05 – LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI

 

Scritto da: FranzJoseph

Spoiler per: tutta la stagione VII di BtVS

Rating: per tutti

Timeline: un anno e mezzo dopo “Chosen”; fine ottobre 2004

Summary: dove le sorelle Summers incontrano il Conte di San Germano, questi e Margot lavorano per creare il Nuovo Ordine degli Osservatori, qualcuno trama nell’ombra, degli zombie attaccano Giles che non festeggia Halloween, Buffy impara a sbucciare le mele e Vigio l’Inclemente finalmente rivolge la parola a Willow.

Commenti: se volete scrivetemi a franzjoseph1@supereva.it

Disclaimer: I personaggi appartengono a Joss Whedon, David Greenwolt la WB, ME, la UPN e la Fox. L'autore scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

 

PROLOGO

Non fu la cosa più semplice riuscire a calmare Dawn, soprattutto perché Xander e le ragazze avevano un terribile mal di testa e non erano assolutamente pronte a una tale sorpresa, nonché a un tale problema da risolvere.

Kennedy, mentre ammirava i suoi due coinquilini per il sangue freddo con cui riuscivano a trattenersi dallo strangolare quella ragazza isterica, stava passando l’occorrente per preparare una colazione decente ad Amy, che invece era particolarmente indulgente, memore del proprio terrore la prima volta che aveva visto all’opera quella persona. Dawn in piedi continuava a parlare ininterrottamente recriminando, facendo la vittima, mescolando verità a menzogne, fatti a supposizioni, idee a speranze; quando taceva per respirare Willow cercava di mettere in mezzo una parola accomodante. Xander si teneva la testa tra le mani, i gomiti ben piantati sul tavolo della cucina conscio che Dawn, come Buffy, avrebbe finito di recriminare solo quando sarebbe entrata in crisi d’ossigeno.

Dopo un tempo che parve infinito, e lo era quasi stato, scese finalmente il silenzio sulla ragazza, svuotata di tutto quello che avrebbe voluto dire alla sorella maggiore, sulle tre ragazze, divise tra compatimento e irritazione, e su Xander, che non aveva ascoltato una sola parola, giacchè sapeva che non avevano nessun peso. Fu lui a rompere quel piacevole ma teso silenzio.

“Noi lo abbiamo conosciuto da poco, io gli ho parlato solo una volta, ma ha invitato Kennedy-” “Rapito.” si intromise Willow, sbalordendo Dawn, con cui Pilar aveva tralasciato alcuni particolari. “Diciamo prelevata contro la mia volontà.” corresse l’interessata. “Hanno cenato assieme una sera, e lei si è trovata bene.” cercò di riprendere il filo della conversazione Xander, invano. “In psicologia si usa l’espressione “sindrome di Stoccolma”.” si intromise di nuovo Willow, che però era l’unica in quella cucina a sapere cosa fosse, e per tutta risposta si prese un’occhiata torva da parte dell’uomo di casa. “Ora parlo io.” aggiunse poi lui, smorzando in lei tutta la voglia di puntualizzare.

In modo pacato, posato e chiaro riassunse tutte le vicende dell’ultimo mese, sforzandosi di non urlare qualcosa di brutto ad Amy che non si era trattenuta, dopo che Dawn aveva chiesto cosa fosse un Golem, dal dirle: “Come ? Sei la sorella della Cacciatrice e non sai neppure cos’è un Golem ?” Le raccontò di quella bizzarra prova che avevano superato, dell’attacco a quegli homuncoli e del contegno del Conte, di ciò che Giles aveva raccontato e di ciò che era capitato a quelle streghe, lasciandole nella mente molta più confusione di quanto avesse prima, giacchè non riusciva a capire se quella persona fosse veramente affidabile. Eppure Pilar era stata molto chiara e inoltre se quell’uomo non fosse stato realmente in grado di rivelarle la sua vera natura allora Buffy non si sarebbe tanto preoccupata di nasconderne l’esistenza. “Bene, chi ha il suo numero di telefono ? Voglio chiedergli se oggi ci possiamo incontrare.”

 

Buffy si svegliò tardi quella mattina, dopo una notte tribolata passata tra la veglia e gli incubi del sonno: uscì dalla camera sperando di non incontrare la sorella, con cui non si erano lasciate proprio bene, dopo le rivelazioni … Oh cielo ! Aveva un fantasma pettegolo che girava liberamente per casa sua: avrebbe torto il collo a quel Vigio non appena lo avrebbe incontrato, e sperava questo avvenisse il più tardi possibile, perché sapeva che gli sarebbe stato antipatico e lo avrebbe trovato odioso esattamente come il Maestro; e al diavolo tutto quello che aveva fatto per lei, sicuramente aveva un doppio fine o voleva qualcosa in cambio ! Il minimo, da uno che vende denti di vampiro !

Entrò in cucina così stanca da non accorgersi che nulla era cambiato, che era la solita cucina di tutti i giorni: decisamente strano, dopo la battaglia della sera precedente. Quando lo realizzò smise di botto di versare la spremuta nel bicchiere e andò a guardare la sala: le cose rotto erano tutte ammonticchiate in un angolo, ma i mobili sani e gli oggetti si trovavano nei posti in cui erano soliti, e le piume erano rientrate nei cuscini, apparentemente. Era impossibile che Dawn avesse fatto questo, quindi doveva ringraziare …

Diavolo ! la sera prima, oltre a mandare la sorella a quel paese, aveva mandato il fantasma all’Inferno: già sarebbe stato duro cercare di riprendere una parvenza di conversazione civile con Dawn, figurarsi porgere scuse e ringraziamenti a … a Pilar. Perché tutto nella sua vita doveva essere così difficile ? Prima di tutto una buona colazione, poi ci avrebbe pensato: peccato che entrando in cucina vide che i suoi toast “da soli” avevano abbandonato il piatto per infilarsi nel fornetto, e capì chi era in giro per casa.

“Buon giorno Pilar. Ti ringrazio per aver sistemato casa.” Che sapore squisito, ingoiare un rospo a stomaco vuoto. La lavagnetta si staccò dal muro, galleggiando a mezz’aria le si avvicinò e vi comparve la scritta “Buongiorno. È stato un piacere. Già parlato con Dawn ?” Anche i fantasmi si annoiano, e quella mattina Pilar aveva intenzione di dire tutto e subito a Buffy, così da scoprire se la ragazza si poteva arrabbiare ancora più della sera prima: che intenzione ammirevole !

La Cacciatrice la guardò, silenziosa, scuotendo il capo in segno di diniego, già preoccupandosi per qualcosa che le aleggiava vago nella mente. “Lo so. Non puoi averlo fatto: Dawn è partita.” Buffy non si arrabbiò neppure, forse perché si immaginava che sarebbe andata a finire così, sapeva che sarebbe andata così, che non sarebbe mai riuscita a fuggire per sempre da Sunnydale e dal suo passato, che come lo spettro di Banquo le compariva davanti agli occhi a ricordarle le trascorse azioni, e tutta quella vita con cui voleva chiudere per sempre.

Si sedette sconfortata, delusa da questo suo ennesimo fallimento, piegata davanti al Destino che ancora una volta le faceva fare quello che voleva, e prostrata a un capo del tavolino fissò con sguardo spento la lavagnetta e, con voce piatta, chiese se la sorella era andata dal Conte. “Sì”. “Non potevi fermarla ?” “Perché ? Lei voleva andarci. Tu quando parti ?” Era inutile discutere con … un fantasma, soprattutto con quello; ora doveva pensare a chiamare Giles e Xander.

 

Xander a tutta quella discussione volle aggiungere qualcosa, che non aveva detto neppure a Willow. “Io sapevo che Giles ci aveva mentito a proposito del Conte.” Intorno a lui calò il silenzio: Amy smise di asciugare i piatti della colazione, Dawn di parlare male di Buffy con Kennedy e Willow di far finta di non sentirle. Si girarono per guardare il ragazzo, seduto al tavolo della cucina, le braccia distese lungo i fianchi.

“La prima volta che ci ha parlato di lui ha detto che era dalla metà degli anni Sessanta che non se ne sapeva più nulla. Eppure a me sembrava, anzi, ero certo di sapere molte cose su questa persona, ma non riuscivo a ricordarmi neppure chi me ne avesse parlato o dove lo avessi letto. Poi, una mattina, in sala ho visto quei due candelabri d’argento che ci sono sul mobile.” Le ragazze, all’unisono si sporsero per guardare quei due begli oggetti, che avevano poco a che fare con tutto il resto del mobilio: lucidi, raffinati, lavorati con grazia erano del tutto fuori luogo in quel tripudio di plastica e oggetti a basso prezzo.

“Erano il suo regalo di nozze per me ed Anya.” Otto paia d’occhi e quattro bocche spalancate per la sorpresa si girarono verso di lui. “Vendeva i suoi prodotti al negozio, quando Giles lo gestiva: denti di vampiro, monili, pelli di demone, demoni imbalsamati e così via e ogni tanto faceva un passo di persona, più o meno una volta all’anno. E Anya, che lo conosceva già di fama, oltre al fatto che è in buoni rapporti con D’Hoffrin, lo trovava simpaticissimo.” Di tutto quello che aveva sentito su di lui questa era la cosa più incredibile: Willow non credeva alle sue orecchie.

“Ma Anya era un ex demone !” “Appunto per questo: era un ex. E poi assieme parlavano di lavoro, lui le aveva insegnato un paio di trucchi per truffare il fisco, amavano il denaro, le mandava e-mail per sapere come andava il lavoro, e avevano molti ricordi in comune. Si erano già incontrati in Russia ai primi del secolo.” “Va bene, ma D’Hoffrin è ancora un demone !” “Non mi ricordo i particolari, ma c’è un motivo, hanno stipulato una sorta di tregua. Pensa che Vigio gli manda del vino, ogni tanto.” Amy e Kennedy ignoravano chi fosse quel demone, ma trovavano ugualmente assurdo che il Conte ci andasse d’accordo.

“È da quel momento, da quando ho visto i candelabri, che ho saputo che Giles ci stava nascondendo qualcosa sul Conte. Quando è venuto da noi, dopo che Kennedy era scomparsa, l’avrei aggredito se non ci avesse detto tutto quello che sapeva su di lui.” “La tomba.” mormorò Willow. Xander la capì al volo. “Già. Credo ci sia lui dietro la storia della tomba di Anya e delle altre Cacciatrici.”

 

Anche gli Osservatori, dopo una notte trascorsa a trascinare cadaveri, non amano essere svegliati dal trillo del telefono, soprattutto se nel pomeriggio dovranno prendere parte a un saccheggio e alla successiva distruzione della “base” nemica. Chi mai poteva essere ? Sperò di cuore solo che non fosse il Conte, perché è terribile iniziare un giorno sentendo per prima la sua voce, e sporgendo un braccio da sotto le coperte prese la cornetta per rispondere.

“Pronto Giles, è sveglio vero ? Sono Buffy.” Come se una scarica elettrica lo avesse attraversato, l’Osservatore si ritrovò del tutto desto e teso nel tentativo di comprendere quale fosse l’umore della ragazza: non sembrava furente come la volta scorsa. “Sì … Buffy, non mi disturbi affatto. C’è qualche problema ?” Ma certamente che c’era, sennò perché mai gli avrebbe telefonato ? “Lei sapeva nulla del fantasma che ho in casa ?”

Eh ? Come ? Un fantasma ? In casa di Buffy ? Dal cuore gli venne subito di domandarle se era in pericolo: lei percepì la sincerità nella sua voce e ne fu sollevata, questa volta lui non era partecipe dei maneggi di quell’uomo. “No, non si preoccupi, è un fantasma che mi deve proteggere. Me lo ha messo in casa Vigio.” Giles si ritrovò nel letto intento a fissare il soffitto con aria più che incredula: la fantasia di quell’uomo non aveva limiti ! Buffy invece vide avvicinarsi la lavagnetta con su scritto “Chissà perché ha scelto un fantasma. Con Angel ti divertivi tanto !” ma si limitò a spalancare gli occhi e a trattenersi dall’insultarla in tutti i peggiori modi che conosceva; le fece solo un volgare gesto con la mano.

Intanto, all’altro capo della cornetta, il silenzio regnava. “Pronto, Giles, mi sente ?” “Ah … sì … sei tu … Sì, ero … stupito … sai come si chiama questo fantasma ?” Buon vecchio Giles, ora che sa che la sua Buffy non ne deve temere nulla inizia a fare l’Osservatore curioso. “Pilar, ed è spagnola, è morta agli inizi dell’Ottocento. Perché ?” “Quindi non è francese e non si chiama Margot.” Ah, giusto, il fantasma da compagnia del Conte, su cui né lui né Angel avevano detto nulla. Vabbè, meglio non fare rimproveri per questa volta, in fondo c’era qualcosa di più importante di cui discutere.

“No, si chiama Pilar, come le ho detto. Ma veniamo a noi. Ieri sera abbiamo avuto un problema: alcuni vampiri e degli esserini schifosi tutti imbacuccati in tuniche dai colori orrendi ci hanno invaso casa.” Decisamente, dopo tanti anni, non aveva imparato ancora il modo con cui dare notizie spiacevoli a quell’uomo così protettivo: bisogna andarci cauti, una verità per volta e intervallarle da parole rassicuranti, così da evitare quell’inconsulto, affannoso, incomprensibile accavallarsi di parole e di espressioni di angoscia e paura.

“Calma, calma, signor Giles, se qualcosa fosse andato male non le telefonerei certo adesso. Sto benissimo, e anche Dawn.” La lavagnetta iniziò a muoversi inconsultamente a mezz’aria, e Buffy capì. “Pilar ci è stata molto utile. Solo che poi ha iniziato a parlare di Vigio, ha detto che si è informato sulle presunte potenzialità di Dawn e adesso mia sorella è in viaggio per Sunnydale, da sola, per incontrare quell’uomo.” Silenzio totale all’altro capo della linea: questo era troppo per i suoi neuroni inglese e Buffy si immaginò che avrebbe iniziato a ridere come un ossesso, come quella volta mentre Willow distruggeva il mondo e lei gli raccontava tutto quello che era riuscita a fare di sbagliato senza di lui. Invece la stupì, riprendendo subito –o quasi- possesso del suo sangue freddo e sfoderando una perfetta flemma britannica: non c’era tempo per agitarsi.

“Ho capito. Faccio una telefonata al Conte per avvertirlo e poi chiamo Xander perché la vada a prendere alla stazione degli autobus. Stai tranquilla, gestirò al meglio la situazione e quando lei lo vorrà incontrare cercherò di esserci anch’io. Non hai nulla di cui preoccuparti.” Era irritata la ragazza, non serviva un genio per comprenderlo, non riusciva ancora ad accettare che la sorellina facesse qualcosa di testa propria, dimostrando così quanto avessero in comune. “Signor Giles … “ “Sì ?” “Mi mentirà ancora ?”

Non poteva non chiederglielo, non poteva rimanere ancora a lungo con quel dubbio, anche se questo voleva dire ferirlo. “No.” Una sola parola, ma sincera: le bastò e la sollevò perché fu certa che, in tutto quello che avrebbe dovuto vivere nei prossimi tempi, lui sarebbe stato al suo fianco per proteggerla e guidarla, come una volta. E lei aveva disperatamente bisogno, anche se non riusciva ad ammetterlo, di qualcuno che si prendesse cura di lei e le rendesse la vita, se non più semplice, almeno meno complicata.

 

Il sonno era passato del tutto a Giles, intanto, e benché non fosse tra le sue azioni preferite, appena terminata la conversazione con Buffy si accinse a telefonare a quell’uomo, ma il telefono squillò di nuovo. “Dimmi Buffy.” “No, sono Xander signor Giles. Era al telefono con Buffy ? Allora sa già tutto di Dawn.” “Sì, io lo so, ma tu come fai a saperlo ?” “Era da me, ora Willow l’ha accompagnato a casa a lasciare i bagagli.”

Dopo l’implosione della Bocca dell’Inferno anche la dimora delle due sorelle era andata distrutta, ma con i soldi dell’assicurazione (a Buffy era sempre parso strano averne ricevuti così tanti, e solo dopo l’incontro con Angel i suoi dubbi si erano tramutati in vaghe certezze sul perché di una tale cifra) e tramite una ditta di costruzione dai prezzi “stranamente” bassi, avevano di nuovo la vecchia casa, com’era e dov’era. “Dawn vuole incontrare oggi il Conte.” “Allora lo farò venire a casa mia … facciamo per l’ora del tè.” “Il che è squisitamente britannico.” motteggiò Xander.

“Sì, e spero che questo non innervosisca troppo quel mezzo francese. Però vorrei vederla prima: diciamo che per pranzo sono da voi.” “Lei si auto-invita per mangiare a casa mia ? È uno dei segni dell’apocalisse ?” “Sì, e sai quando avverrà ?” Ora Xander non era più molto sicuro che Giles si stesse mantenendo sul filo dell’ironia. “Avverrà quando Buffy verrà qui e incontrerà Dawn: credo di aver capito dal suo tono di voce che tra le due ci sia una brutta discussione in sospeso.” Già, ma quando Buffy sarebbe venuta a Sunnydale ?

 

ATTO I

Buffy arrivò a Sunnydale cinque giorni dopo quella telefonata, il 31 ottobre, alle sette di sera. La stazione degli autobus era sempre stata squallida, quella ricostruita non era molto migliore, nonostante lo sfoggio di metallo e vetro, e il buio della sera e il freddo della stagione avevano reso ancora più triste il suo ritorno a casa.

Meno male che, illuminata dalle luci gialle dei lampioni, sotto il cono di luce, c’era una ragazza dai capelli rossi, avvolta in un soprabito beige di panno, che teneva in mano un grosso cartello colorato con scritto “bentornata”. Willow, la sua Willow ! Volontariamente aveva avvertito lei perché, in quella situazione, aveva paura di trovare un muto rimprovero o disapprovazione negli occhi di Giles o di Xander, e avrebbe preferito che ad accoglierla venisse Caleb che sua sorella, verso la quale ancora nutriva sentimenti ben poco fraterni e dolci.

Si abbracciarono e si baciarono, contenta ognuna delle due per la presenza dell’altra: la rossa sapeva di avere finalmente una valida alleata che l’avrebbe aiutata ad allontanare i diabolici piani, qualunque fossero, di Vigio da lei, la bionda sapeva che solo sulla sua unica amica poteva contare per sbrogliare le peggiori matasse della propria vita. Ognuna aveva bisogno dell’altra, ognuna si sarebbe sentita ancora più persa se non ci fosse stata l’altra al proprio fianco.

“Ehi, ti vedo bene ! Soprattutto contando che hai una sorella scappata di casa e un fantasma dentro !” Buffy sorrise. “Anche tu stai bene, per una che vive nella stessa città di un ammazzastreghe.” Così stemperarono la tensione e la paura che albergava più o meno in profondità nei loro cuori; poi dovettero salire in macchina, Willow si mise alla guida e Buffy fu di nuovo meno tranquilla. Nel viaggio fino alla casa di Rodello Drive, tra a un sorpasso a destra e un senso unico imboccato per sbaglio, Willow per filo e per segno le raccontò i fatti dell’ultimo mese, le parlò di Golem e di Amy, delle streghe e di quella setta, dell’arrivo di Dawn e di Giles; tacque solo su Vigio, perché non sapeva ancora cosa dire, oltre alle minacce vaghe di cui le aveva accennato Giles non c’era stato nulla, ed era la calma prima della tempesta.

Arrivarono finalmente e Buffy si accorse che le chiavi di casa erano sperdute da qualche parte in qualche tasca o nel borsone: avrebbe suonato e Dawn le avrebbe aperto. Quando arrivarono con le borse alla porta –Willow si stupì della poca roba che Buffy si era portata- e suonarono, dopo poco la porta fu aperta. Da Amy. In un solo momento la rossa capì cosa si era dimenticata di dire all’amica, la quale era rimasta impietrita da questa conosciuta figura, in accappatoio e con i capelli bagnati, che con tanta familiarità la abbracciava, la salutava e la invitava ad entrare in casa. In casa sua !

Si riprese molto lentamente dalla sorpresa, mentre Willow dietro di lei non diceva nulla e Amy continuava a parlare. “ … così mi sono detta: tanto vale andare da lei, visto che Dawn è così gentile. Anche perché insomma: Xander chissà come si sentiva assediato tra tante ragazze. Vero Will ?” Chiamata in causa questa sorrise annuendo e spingendo gentilmente Buffy oltre l’uscio. “Però potevi avvertirci che saresti arrivata: ti avrei preparato qualcosa di buono. Sono un’ottima cuoca, sai ? Aspetta che finisco di asciugarmi e poi sono di nuovo da voi.” e trillando questo scomparve salendo al piano di sopra, lasciandole nell’ingresso tra le valigie.

“Cosa mi sono persa Willow ?” Buffy si girò verso l’amica, rossa come un peperone. “Sai, con Vigio in giro Amy non si sente sicura a vivere da sola sopra il Magic Box e così si era trasferita da noi. Ma ha ritenuto che voi due siate una migliore … assicurazione sulla vita, per così dire: Vigio non verrebbe mai a fare una battuta di caccia alle streghe qui da te.” C’era qualcosa che le sfuggiva, e glielo disse. “Ma qui tutti sono sicuri dell’affetto che quel tizio nutre per me ?” Era arrabbiata: era un oggetto in tutte queste congetture e pensieri, si dava per certo cosa Vigio provasse per lei senza neppure domandarsi il perché, il cosa ci potesse essere dietro, per quale motivo mai un figuro di tal genere si fosse tanto affezionato a lei. Cos’era, un altro diabolico spasimante ?

Probabilmente avrebbe iniziato a scaricare il suo malumore con Willow se dalle scale non fosse scesa Dawn: le due sorelle si tirarono un’occhiata delle peggiori e per saluto si scambiarono appena un cenno della testa, come due loschi avanzi di galera. Per fortuna che dal piano di sopra si sentì Amy urlare a Willow se aveva intenzione di restare per cena, così poi magari l’avrebbe accompagnata al negozio (quella sera, poiché Halloween, restava aperto). La domanda era mirata: la ragazza aveva timore a trovarsi da sola con le due sorelle, ancora evidentemente furenti l’una con l’altra e immaginandosi che la prima cena assieme sarebbe stata la più tesa confidava in un’altra presenza amica che diminuisse la tensione. Willow annuì, dicendo però che preferiva avvisare prima Xander.

“A questo punto digli di venire qui da noi a cena. Con Kennedy, naturalmente.” “Non abbiamo abbastanza roba in casa.” urlò da sopra Amy, che preferiva farsi le unghie in corridoio prima di asciugarsi i capelli per poter ascoltare senza problemi quello che succedeva nell’ingresso. Fu Dawn a prendere in mano la situazione. “Cinese, indiano, texano ? Dove mandiamo il ragazzo a prenderci la cena ?” Buffy disse “pizza” solo per il gusto di contraddire la sorella, e le due streghe acconsentirono: nonostante avesse ancora voglia di picchiare Dawn, Buffy si sentì sollevata all’idea di questa improvvisa cena, ma per essere del tutto conclusa “di famiglia” mancava ancora una persona.

“Potremmo chiedere a Giles se vuole partecipare.” “Oh, non credo, detesta Halloween: mi diceva che starà in biblioteca a fare delle ricerche sui simboli che abbiamo trovato sotto quella casa.” È vero, quella era la sera di Halloween: Buffy non aveva alcuna voglia di festeggiare e in ogni caso, prima ancora di disfare i bagagli e di farsi una doccia, voleva uscire per andare a fare il “giro dei cimiteri”.

 

Una volta con quell’espressione Buffy intendeva controllare che non ci fossero vampiri appena sfornati dall’inferno: ora, a ventiquattro anni, significava portare un fiore ed un saluto alle tante tombe dei suoi cari, la madre per prima, poi la dolce Tara e, recentemente, Anya e le altre Cacciatrici o aspiranti tali, morte contro i Turok-An.

Circa cinque mesi dopo la grande distruzione Xander era stato contattato da un’impresa di pompe funebri di una cittadina poco distante da Los Angeles per sapere se voleva essere presente alla sepoltura della signorina Anya Christina Emanuella Jenkins e di un’altra quindicina di ragazze: purtroppo a causa di un incendio i fascicoli su come quei corpi si trovavano nella loro camera mortuaria erano andati distrutti, tutti gli addetti avevano preso servizio da poco e nessuno sapeva chi avesse pagato ogni cosa perché quei corpi venissero tumulati in un mausoleo della città di Sunnydale. Troppe strane coincidenze e Buffy per molto tempo non seppe cosa pensare, ma da quando il Conte di San Germano aveva fatto irruzione nelle loro vite stava solo aspettando il momento giusto per fargli una domanda in merito a ciò, pur immaginandosi già la risposta.

Tutte le volte che arrivava davanti alla cappella dov’era sepolta Anya e le altre Buffy non poteva evitarsi un senso di paura ed angoscia. Era un’alta costruzione in pietra a pianta a croce greca: le quattro testate identiche presentavano quattro semicolonne corinzie su cui si impostava un classico frontone, al centro di ognuno dei quali c’era un simbolo diverso. Su quello dell’ingresso un cerchio conteneva una X con in mezzo una P dall’orecchio molto piccolo e sproporzionato; in quello seguente le lettere IHS; nel terzo due lettere, una A e una che sembrava una O con la parte inferiore aperta; sull’ultimo le lettere INRI.

Tra le semicolonne della facciata d’ingresso al centro c’era la porta, preceduta da un’inferriata molto elaborata, e sopra una finestra dai vetri colorati, mentre sulla facciata speculare c’era solo la finestra, della stessa misura e grandezza. Era entrando però in quella sorta di massiccia torre che a Buffy venivano i brividi: se una delle braccia della croce, in pianta, era adibita ad ingresso, in quelle laterali avevano trovato posto, impilate le une sulle altre, le tombe di tutte quelle ragazze: così chi entrava si trovava tra due alte pareti di marmo, ognuna delle quali composta dalla lastre tombali su cui in caratteri bronzei compariva nome e cognome, le dati di nascita e di morte, l’ovale della fotografia della defunta.

In più, ad aumentare l’angoscia e lo sgomento del pio visitatore, ai due estremi di ogni lastra era affisso un gancio da cui pendeva una lampada funebre, la cui luce si rifletteva sul retrostante marmo candido: queste colonne di luce fioca avrebbero fatto paura a chiunque. Nel braccio della croce prospiciente l’ingresso era posto un altare addossato al muro, con sopra sei alti candelabri che rischiaravano il Crocifisso, appeso sotto la finestra.

La prima cosa che notò Buffy quando ci entrò la prima volta, in occasione di quell’affollata tumulazione, fu che non c’era un posto dove mettere i fiori, se non sull’altare, e che non aveva mai visto inginocchiatoi al di fuori di una chiesa: all’interno di quella cappella c’erano due soli, benchè potessero starcene altri dietro, e la solitudine e il senso di disperata angoscia che emanavano era infinita.

Anche quella sera Buffy si fece forza e si avviò ad andare a dare un saluto ad Anya e alle altre ragazze ma, a poca distanza dall’edificio, si avvide che c’era un uomo in piedi davanti all’ingresso aperto, da cui filtrava la tremula luce delle lampade e delle candele. Si avvicinò quel tanto da rimanere allibita: compassato e rigido, le braccia lungo i fianchi come se aspettasse qualcosa, c’era Ethan Rayne, avvolto in un corto cappotto nero e intento a fissare le fronde degli alberi lì vicini.

Era probabilmente l’ultima persona che si aspettava di trovare lì: non lo vedeva oramai da quattro o cinque anni (non che ciò fosse male) ma in quel tempo non pareva cambiato, era solo un po’ ingrassato. Per il rumore dei suoi passi girò la testa e la vide: con un gran sorriso stampato sul volto scese gli scalini che costituivano da basamento alla cappella e le si fece incontro, tendendole una mano in segno di saluto. Come in un sogno, dove ci capitano le cose più strane, si trovò a stringere la mano di quell’uomo nella notte di Halloween, proprio lo stesso giorno in cui l’aveva incontrato la prima volta tanti anni fa.

“Buona sera Buffy, è un piacere rivederti. È passato un sacco di tempo, eh ?” Lei lo fissava, senza parole, non riuscendo neanche a profferire verbo: non riusciva neppure ad immaginare cosa l’avrebbe stupita più di quell’incontro. “Stai bene, ti vedo bene, ma immagino che con tutto il movimento che fai … insomma, la ginnastica non ti manca eh ?” Con notevole forza di volontà riuscì a scuotersi e pronunciare parole di senso compiuto. “Ethan ? Cosa ci fa qui ? Io credevo … l’ultima volta la stavano arrestando !” Lui rise di cuore, per nulla offeso. “Che vuoi che ti dica, ho anch’io dei santi in Paradiso, ti dirò solo che ho approfittato di una … personale amnistia. E ora sono libero e immacolato come una colomba. Divertente, no ?”

Sarà stato il tempo che passava, l’aria fredda della sera, il vederselo così vicino, con qualche ruga e capello bianco in più, ma oramai Buffy aveva riacquistato la solita freddezza. “E cosa ci fa davanti a questa cappella ? E chi c’è dentro ?” “Uh, che tono aspro. Sto qui mentre il mio padrone dice le sue orazioni.” “Eh ?” “Sono il cameriere, autista e factotum di Sua Eccellenza il Conte di San Germano, Generale Emerito della Compagnia dei Santi Luigi, Giovanna e Vigio, Cavaliere di qualche decina di ordini cavallereschi, cugino di alcune Case Reali, nonché tuo … angelo custode. Ti stava aspettando.” le disse, tramortendola con quella notizia (e per fortuna lei non sapeva ancora nulla del Buffybot).

Visto che la fanciulla non riusciva a dire nulla di significativo davanti alla sua qualifica professionale, Ethan ritenne doveroso aggiungere un’ultima cosa. “Mi ha assunto perché sostiene che in tempi calamitosi non ci sia nulla di meglio che una canaglia governata da un gentiluomo. Certo, il mio Ego è un po’ offeso, però paga bene e nessuno viene a importunarmi, finchè lavoro per lui.”

Basta, era il momento di darci un taglio: tutta quella storia stava superando i confini del ridicolo, come quasi ogni vicenda legata a quell’uomo (le venne in mente i suoi studi sui giovani tramite i telefilm): era il momento di incontrarlo faccia a faccia. Entrò decisa nella cappella.

 

Non seppe esattamente a cosa fu dovuta, ma si trovò presa alla sprovvista da quello che vide: illuminato dalle decine di lampade funerarie ai lati, davanti ai ceri accesi sull’altare, stava il Conte piegato sull’inginocchiatoio, intento a recitare a mezza voce una strana, melodiosa e ieratica nenia. Le falde del lungo cappotto sfioravano il pavimento marmoreo a scacchiera e, oltre al capo chino e incassato tra le spalle, non si distingueva altro del suo corpo.

Buffy rimase ferma, muta e imbarazzata sulla soglia, non avendo il coraggio di dire o fare nulla perché, benché non capisse una parola (nonostante un Concilio il Conte usava ancora in latino), le era chiaro che quell’uomo stava pregando. Era come ipnotizzata dalla cadenza ritmata e soave di quelle frasi, dalle luci fioche e dall’incenso che stava bruciando da qualche parte. Terminò e, gemendo un poco, si alzò, poggiandosi con forza con le mani sull’inginocchiatoio: probabilmente non aveva sentito entrare Buffy perché, girandosi e vedendosela davanti a pochi passi, ebbe come un sussulto.

Di lui notò subito che era molto alto e che il suo viso, pallido ed anonimo, non era all’altezza di tanta e terribile fama: non si sarebbe neppure notato, se non fosse stato per quegli occhi così chiari e vitrei, che la mettevano a disagio. Le sorrise, quasi timidamente, fece sparire nelle tasche del lungo cappotto di taglio militare un libricino nero e un rosario e le si avvicinò: le bastò uno sguardo generale, dalle scarpe di vernice ai pantaloni, dalla giacca nera alla perla che usava come spilla da cravatta, per capire come avesse potuto affascinare tanto Dawn e Kennedy.

La sua mano, nascosta da morbidi guanti in daino color ghiaccio (antico vezzo copiato poi da Edoardo VII d’Inghilterra e Irlanda), morbidamente cercò quella di Buffy e, mentre lui piegava dolcemente il busto, la portò quasi alle labbra, nel più compito e perfetto baciamano che si fosse visto da secoli in California. Forse Buffy, soggiogata da questa profusione di fascino, se ne sarebbe potuta anche innamorare alla follia, ma lui rialzò il capo e lei lo guardò negli occhi.

È difficile dire cosa vide, ma ne ebbe timore: era una sensazione irrazionale, era una percezione istintiva quella che le diceva che oltre al timido imbarazzo e ad un affetto ben più profondo di quanto immaginasse c’era dell’altro, né limpido né positivo; ma era una percezione frutto della sua natura di Cacciatrice, e quindi non c’era errore.

“Buonasera Anne.” le disse con un gentile sorriso e a mezza voce. La sua pronuncia era strana e straniera, ma il tono molto vellutato e carezzevole. “Buona … buonasera. Non … non volevo disturbarla.” “Oh, non se ne preoccupi. Mi fa piacere incontrarla.” Parlando le sorrideva, ma Buffy si sentiva terribilmente a disagio, con lui in quella cappella e volle uscire subito, sentirsi l’aria fresca della notte sul volto. “Stava uscendo ?” gli chiese e lui annuì. “Andiamo allora.”

 

Fuori Ethan era seduto sugli scalini in modo poco dignitoso, ma gli bastò vedere il Conte per alzarsi di scatto ed andare a chiudere la cappella. Lei lo guardò un po’ stupita e fece la domanda più stupida dell’universo, almeno in quel frangente. “Ha le chiavi ?” “Sì, ecco perché mi ha trovato gia dentro.” “Gliele ha date Dawn ?” Lui la guardò ma si trattenne dal dirle la prima cosa che le venne in mente. “No, il fabbro quando ha montato le porte. Poi io ho fatto avere una copia ad Harris.” Bene, ora Buffy aveva la certezza di chi avesse fatto costruire la cappella, ma aveva ancora un dubbio. “Ed è stato lei a recuperare i corpi delle potenziali morte contro i Turok-An ?” “Non io di persona, delle … mie conoscenze.”

Calò il silenzio tra i due, che si fissavano, entrambi imbarazzati. “Le debbo parlare di alcuni argomenti. Posso sperare di averla mia ospite uno dei prossimi giorni ?” Si aspettava una domanda del genere, ma non era psicologicamente pronta per sostenerla. “Sì … vediamo … non ora, stavo tornando a casa.” Il Conte era preparato a trovarsi davanti una ragazza decisa, di carattere, anzi, dal cattivo carattere, non una bambina spaventata, me fece buon viso a cattivo gioco. “Le posso dare un passaggio ?”

Buffy non si sarebbe mai fidata ad andare volontariamente in macchina con quell’uomo: disse che la casa era vicina e quindi avrebbe fatto volentieri due passi a piedi. Vigio era incerto, voleva starle vicino per parlarle ma aveva paura: di essere invadente, di litigarci, di metterle paura anche, e mentre lo pensava si rendeva conto che timori del genere verso un’altra persona non gli capitavano più da un secolo. Si fece coraggio. “Mi permetta di accompagnarla. Dicono che questa città la sera sia mal frequentata.” Un po’ di fine umorismo era quello che ci voleva, pensò, e non ebbe torto: Buffy abbozzò un mezzo sorriso, anche se continuava ad essere visibilmente guardinga nei suoi confronti.

Dolce e chiara era la notte e senza vento e la luna quieta posava … senza accorgersene il Conte pensò alla poesia scritta dal nipote di un suo vago conoscente e comprese che, invece di perdersi in ricordi e svenevolezze varie, qualcuno dei due doveva spezzare il silenzio. E non toccava a Buffy. “Mi è giunta voce che avete conosciuta Donna Maria del Pilar Eusebia Isabella Santiaga.”

Per dirlo si voltò un poco verso di lei e le sorrise, osservandola ancora una volta: era poco formosa e decisamente bassa, cosa che non apprezzava nelle donne, e per parlarle si doveva chinare verso di lei, con il fare di un prete che meditabondo ascolta i peccati di una penitente. La ragazza gli rispose con uno sguardo perplesso e chiese se si riferiva al fantasma. “Sì … non vi ha detto il suo nome ?” “Solo Pilar. Non tutta quell’altra roba.”

Il Conte di San Germano mugugnò in segno di assenso e si sforzò di trovare qualcosa di carino per continuare la conversazione ben sapendo, come gli diceva quel demonio di Voltaire, che “non c’è nulla di più ridicolo che voler fare gli spiritosi senza esserlo.” “Strano. Di solito parla molto.” Buffy gli rivolse ancora un mezzo sorriso, più di circostanza che altro, e specificò che con lei e sua sorella scriveva, non parlava. “Oh, certo. Anche con me. Ho detto che parla molto perché di solito lo fa con … immaginò le abbia accennato all’esistenza di una presenza incorporea che mi è vicina.”

“Già. Ma si è espressa molto più su di lei. In pochi giorni ho avuto un sacco di risposte a domande che neppure mi facevo. Ne è venuto fuori un quadro … curioso.” Sentì nella voce della ragazza un certo fastidio ma sapeva, benché avesse timore di approfondire l’argomento, di non poter far cadere il discorso: cercò però di muoversi con maggior tatto e discrezione possibile, cosa per lui rara, almeno quando si rivolgeva a qualcuno di quella sfortunata epoca contemporanea.

“Il quadro è molto sfuocato o abbastanza nitido ?” “Certe parti sono ben disegnate, altre meno. Tipo: lei si arricchisce squartando demoni, è violento, pericoloso, molto vecchio, molto ricco, le manca qualche rotella e ha conosciuto più di una Cacciatrice.” Era pronto a sentirsi dire qualsiasi cosa, ma sperava di cuore che la ragazza menzionasse un fatto importante, quello basilare; e invece nulla: ma da troppo calcava il suolo del Mondo per offendersi od essere deluso. O no ? “Oltre al fatto che lei ha governato nell’ombra la mia vita. E che si è molto preoccupato per me e mia sorella.”

Sorrise, schernendosi, compiaciuto ma sperando lei non se ne accorgesse troppo: ora doveva dirle qualcosa. “Già. Ho cercato di fare al meglio per la vostra felicità.” “Magari ci sarebbe riuscito se fosse venuto a conoscerci di persona.”

Il tono era tagliente ed aspro e propedeutico ad un litigio, almeno da parte della ragazza, ma egli era preparato a questo: dopo tutti quei secoli di frequentazioni nelle Corti e nelle trincee sapeva molto bene come condurre una conversazione, come aver ragione, e poi quella era solo una ragazzina, e per di più americana. L’unico problema era che aveva anche la certezza che lei non avrebbe capito e soprattutto che alla fine sarebbe riuscito ad offenderla in qualche modo, pur non volendo.

“La prima volta che l’ho vista l’ho misurata in un solo sguardo. Piccina, minuta, ossa sottili: non le davo più di uno o due anni di vita come Cacciatrice.” “E ha sbagliato.” “Il Maestro.” disse solo, giusto per correggerla e farle presente che difficilmente lui si sbagliava; lei tacque, ammettendo tacitamente la verità. “Io sono una persona … solitaria. Non sola, solitaria. Non amo la compagnia altrui, e non mi piace frequentare persone visto che potrei affezionarmici.”

Lei sapeva, più o meno queste cose, ma dette da lui, con voce così seria e triste, era un’altra cosa: provò per lui compassione, pur ritenendolo un disadattato asociale, e stranamente, pur non volendo, lo sentì vicino. Pensò a sé stessa: avere una vita strana ed insolita, per cui non ci si può legare agli altri, perché possono correre dei rischi o non capire, vivere sempre ad un passo dalla morte, soli nella propria missione; lei stessa si era allontanata dagli amici e da chi le voleva bene, avendo paura dei legami.

Il Conte continuò. “Sa, io rimango vivo e gli altri muoiono. Tranne lei, a quanto pare.” Lui non amava fare tanto lo scherzoso quando si trattava di argomenti così seri, ma avrebbe fatto ogni cosa perché quella ragazza, anche senza volergli un po’ di bene, non stesse vicino a lui con lo stesso contegno di chi ha nei pressi un’animale pericoloso e velenoso. “Resuscitare: scommetto che nessuna prima di me lo aveva fatto.” “Già, in quello mi ha proprio lasciato senza parole; non solo in quello, in verità. In ogni caso, tornando al mio agire, ho deciso che l’avrei protetta per interposta persona, da lontano. Mi sono infatti limitato a venire raramente qui a Sunnydale.”

“E suppongo che non mi vorrà dire il motivo di tanto interesse per me.” Si girò verso di lei e sorrise candido, sperando che non iniziasse a strepitare per ottenere una risposta che non avrebbe mai avuto. “Credo lei sappia già cosa le risponderò.” Buffy non aveva intenzione di arrendersi così facilmente, ma preferiva prima elaborare una strategia appropriata per avere quell’informazione, per cui lasciò cadere l’argomento.

“Quante volte è venuto a Sunnydale ?” Il Conte pensò solo un attimo, poi iniziò ad enumerarle. “Subito dopo il suo incontro con Giles e per la cerimonia di tumulazione dei resti del Maestro. Dopo i problemi con il demone evocato da Giles quand’era giovane e poi mentre lei era latitante: si era nascosta bene. Quando ho saputo del ritorno di Angel, per dare una mano a Giles per evocare un demone durante le difficoltà con Faith e all’Ascensione. All’inizio della sua carriera universitaria e dopo che quella pazza della Prima Cacciatrice era venuta a disturbarvi. Durante la malattia di sua madre e al funerale. Dopo la sua resurrezione e qualche giorno prima che sua sorella iniziasse il Liceo. Infine a recuperare e poi per far seppellire Anya e le Cacciatrici. E poi sono passato una volta dove lei lavorava fino a qualche giorno fa.”

“Ci lavoro ancora, non mi sono ancora licenziata.” “Lo faccia. Riprenderà il lavoro nella scuola, ho già parlato con il signor Wood a tal proposito, e si farà assumere da Amy: guadagnerà abbastanza così, senza contare che la potrei assumere anch’io. Sa del lavoro che faccio: la potrei pagare tra i trenta e i cinquanta dollari per ogni vampiro che mi porterebbe a casa.” Era incredibile come il tono che usava: tranquillamente le diceva cosa fare della sua vita e in più voleva che le facesse da … non riusciva a trovare un termine, un metro di paragone: portargli a casa i vampiri che poi lui avrebbe scuoiato ?!

Stava per avere un crisi di furore davanti a questo sfacciato e sfrontato uomo quando lui la prevenne. “Va bene, come non detto circa lavorare per me. Comunque se avrà bisogno di qualcosa non esiti a chiedere. Non posso però transigere sul suo nuovo domicilio: lei rimarrà qua. Riaprire Bocche dell’Inferno è un’attività già tentata in passato, e inoltre credo che sua sorella sia in pericolo. Qui ci sono i suoi amici, che possono essere utili, conosce il territorio e io oramai ho già preso casa in questo villaggio. Inoltre devo sbrigare altre faccende, prendermi cura di Kennedy e insegnare molte cose a sua sorella.”

Il senso logico della frase poteva essere opinabile, ma soprassedette, allarmata e totalmente colta alla sprovvista: forse quell’uomo sapeva chi o cosa fossero gli esseri che avevano fatto irruzione in casa loro, e soprattutto forse conosceva il motivo di tale azione. Smise di camminare, si girò verso di lui e lo fissò spalancando gli occhi; lui non diede molto peso a tutto, sfoderò il perfetto autocontrollo già mostrato alla Rochelle col Duca d’Angiò e con noncuranza riprese la parola.

“Per ora non ne so molto di più, ma non si preoccupi, quando lo riterrò opportuno vi informerò. Intanto le mie conoscenze sono al lavoro. Sua sorella è la Chiave, ricorda ? Può far collassare universi, ma anche molto altro: ha alcuni poteri, che voglio tirarle fuori ed insegnarle. Le insegnerò anche il francese, penso. Kennedy non ha avuto un proprio Osservatore, può diventare una buona Cacciatrice ma deve imparare molte cose. A lei insegnerò l’italiano, invece. E a tutte e due il valzer e il bon ton: ne hanno bisogno, almeno diventeranno due magnifiche dame.”

“E a me non insegnerà niente ?” Il suo tono era fortemente polemico, questa persona la innervosiva profondamente, la infastidiva, non solo le diceva cosa fare ma le comunicava, con una insopportabile degnazione, anche le ingerenza che avrebbe portato nella vita di sua sorella: ma chi si credeva di essere ? “Lei sa abbastanza, ma ha un cattivo carattere e sarà un miracolo se non ci prenderemo a morsi tutti i giorni. Anch’io ho un cattivo carattere, ma questo tutti glielo avranno detto, suppongo.”

Incredibile, con questa affermazione Buffy rimase presa alla sprovvista ancora una volta e non seppe cosa dire: cos’era tutta questa sincerità e confidenza ? Giles non diceva che era falso, che mentiva con la stessa frequenza con cui respirava e che era insopportabilmente altero ? Lo guardò fisso e contrariata ma lui la disarmò con un ampio e benevolo sorriso “Direi che abbiamo qualcosa in comune ! Sa che non ci avevo mai pensato ? Mi fa piacere. Oh, siamo anche arrivati.”

Buffy girò la testa e vide che effettivamente erano davanti a casa sua, e a metà strada del vialetto c’era Willow, bloccata nel vedere quell’orribile immagine: Buffy parlare con Vigio e lui sorriderle garrulo. Buffy fece due passi fino a raggiungere l’amica, a cui sorrise per confortarla perché aveva lo stesso sguardo di chi vede un fantasma. “È tempo di congedarmi quindi. Buona notte.” le disse, gentile, guardandola, come se Willow, che le era a fianco non esistesse neppure.

“Sì … certo. Questa è la mia amica Willow Rosemberg, la conosce?” Voleva vedere come avrebbe reagito a questo: dopo tutto quello che aveva sentito da Giles e da Willow stessa voleva proprio vedere cosa avrebbe fatto. “È difficile non sapere cos’ha fatto nel suo passato. Ancora buona notte Anne. E spero che quanto prima mi farà l’onore, lei e sua sorella, di accettare un invito a cena a casa mia.” e detto questo le baciò le mani, gentile ed impeccabile, davanti alla strega che per lui, evidentemente era invisibile.

Le due ragazze rimasero, immobili e silenziose, a vederlo salire sulla macchina ferma dall’altra parte della strada: quando l’attraversò una delle due sperò che arrivasse a tutta velocità un Tir come per Glory. La macchina partì, loro si girano e si guardarono in viso: avevano troppo vissuto spalla a spalla per non sapere cosa passava nella mente dell’altra, ma vollero lo stesso dirselo. “Vuoi sapere cosa ne penso.” “Preferisci il Maestro a lui.” “Direi che più che altro mi sembra il fratello subdolo del sindaco Wilkins.” “Buona osservazione, Anne.” sull’ultima parola l’ironia era palese e fu la stessa Buffy a riderci su. “Non so perché mi chiami con questo nome, ma immagino sia per qualche motivo che mi lascerà senza parole.” “Perché, esiste ancora qualcosa che ci può stupire ?”

 

ATTO II

La cena fu strana, forse perché tali si sentivano i partecipanti. Willow, uscita per prendere la borsetta in macchina di Xander, aveva avuto la sera rovinata da ciò che aveva visto. Buffy non riusciva ancora a farsi un’idea di quell’uomo; Dawn se l’era fatta e stava aspettando che sua sorella si decidesse a litigare. Xander sudava sette camicie per fare lo spiritoso e alleggerire la serata, in ciò coadiuvato da Kennedy; Amy sperava di cuore che almeno quella sera al negozio qualche cliente si sarebbe fatto vivo.

Fu Dawn a tranciare quel sottile muro di reticenze e di ipocrisia. “Allora, che te ne pare del Conte ?” Fu come se tutti avessero all’improvviso smesso di respirare e di esistere per lasciare spazio alle due sorelle e al loro scontro. “Maleducato. Non ha neppure salutato Willow.” “A me ha detto che le dovrà parlare. Era terribilmente elegante ed affascinante come quando l’ho incontrato ? Sai che mi ha fatto pure il baciamano ?”

 

Nella stessa città, nella maison del Conte si teneva un pranzo molto più silenzioso: Margot si era subito accorta che qualcosa non andava, quando lo aveva visto rientrare dal cimitero e quel tanghero del cameriere le aveva dato poche e scarne notizie. A capotavola mangiava l’arrosto d’oca con notevole, troppa, concentrazione, e beveva il Borgogna senza la solita passione: dopo secoli che vivevano assieme, comunque, anche senza questi particolari avrebbe capito che qualcosa lo turbava. E benché lui non amasse essere interrogato quand’era di malumore o preoccupato, Margot non riuscì a stare zitta.

“Com’è andata con Anne ?” Lui distolse lo sguardo dal piatto per risponderle. “Poteva andare peggio.” Ahi ahi, sarebbe stata dura tirargli fuori qualcosa dalla bocca: forse parlare nel loro vecchio francese l’avrebbe reso più malleabile. “Meglio o peggio che rispetto alla piccola ?” “Una è una ragazzina indifesa che vuole sapere da me cos’è veramente, l’altra una Cacciatrice testona che non comprende cosa voglio da lei e che non si fida di me. Secondo te con chi è andato peggio ?” “E immagino che intanto la strega soffi sulle braci contro di noi.” Lui storse la bocca, infastidito dal pensiero di quella là. “Oh, è veramente ironico che passi per una brava e buona amica. Ma lo sciapode è quasi pronto, volendo potrei anche mostrarlo domani.” “E allora cosa aspetti ?” “Ma il momento buono mia cara, non spreco così il mio primo asso di briscola. Attendo che la Provvidenza faccia il suo corso: io sarò ancora una volta l’umile strumento nelle sue mani.”

Secondo lei non era una buona cosa, quella: la strega lavorava contro di loro, Anne era facile da convincere, quella gente strana preparava qualcosa contro la piccola, Giles non cavava un ragno dal buco nel decifrare i segni e né D’Hoffrin né Madame X da Parigi si erano ancora fatti vivi. Lui sospirò, mangiando il purè, e scosse la testa.

“E cosa ci posso fare io ? La nostra mossa l’abbiamo già fatta, sono passati solo cinque giorni da quando abbiamo depredato e incendiato quella casa facendola sprofondare sopra quelle stanze. Troppo pochi perché loro possano tentare qualcosa in grande stile, mi pare. Comunque, non appena Anne sarà convinta a rimanere qui, vedrò di preparare qualcosa per rendere più sicura la loro casa. E ho già parlato con quel Wood circa la sicurezza della piccola quand’è a scuola.” “Ah, allora siamo a posto.” Margot non riusciva a trattenere l’ironia e ciò non era una buona mossa, visto l’umore del padrone di casa.

 

Buffy stava per dare alla sorella della stupida che si fa comprare con poche moine quando Kennedy intervenne per sapere cosa quell’uomo aveva detto a proposito della sua piccola Will. “Niente di preciso; quando l’ho nominata ha solo annuito, aggiungendo che la conosceva di fama e prima o poi le avrebbe detto alcune cose.” E perché continua a ignorarmi metodicamente, si domandò preoccupata Willow ?

Tutto ciò era terribilmente sospetto, chiaramente nel buio del suo antro (se si poteva definire così: a sentire Kennedy sembrava la reggia di Versailles) stava tramando qualcosa, ma cosa ? E cosa le doveva dire ? Tante domande a cui non aveva risposte, solo alcune fragili supposizioni. “Era molto elegante.” ammise infastidita Buffy, guardando fissa negli occhi la sorella, che ricambiava lo sguardo: Amy pensò che forse, se fossero venute alle mani, poi dopo sarebbero state più rilassate.

 

Nel frattempo da qualche parte sulla terra (ma neppure troppo lontano da Sunnydale, giusto per dare un indizio in più) in una stanza, di cui la descrizione non è importante, stavano tre persone. Una, la più giovane, era seduta su un divano color tortora e teneva le gambe accavallate, ascoltando distratto quello che si dicevano gli altri due. Il secondo, seduto vicino a un tavolo rotondo, faceva scorrere l’indice destro sul bordo del bicchiere che aveva davanti a sé, e talvolta interveniva, muovendo qualche obiezione. Il terzo, in piedi, parlava gesticolando, inframmezzando il suo americano di parole latine (che il giovane sul divano non capiva) e costruendo grandi castelli in aria.

Era un uomo sicuro di ciò che voleva, di come lo voleva e in che ordine, e davanti ai suoi occhi già brillavano gli immancabili destini e l’ora fatale della prossima vittoria. “Giungeremo come falco e rapidi come aquile creeremo il vuoto intorno alla prescelta: uno dopo l’altro, puntuali come la morte, faremo cadere chi le sta intorno, per maggior gloria dell’Angelo.”

“Secondo me è meglio metterli subito tutti in condizione di non nuocere.” chiosò a mezza voce l’uomo seduto presso il tavolo. “Non sono questi i patti. Avevamo stabilito che nuoceremo loro soltanto se sarà il caso.” “L’Osservatore potrebbe arrivare a capire qualcosa, e noi non possiamo permetterlo. Che sia preparato tutto il necessario.”

 

“E circa il Sud America ?” Il Conte non si aspettava questo repentino cambio di argomento da parte di Margot, ma preferiva discutere del Novus Ordo Inspicientum che delle bambine. “Non ci crederesti mai: negli ultimi anni il Brasile è passato da centotrentatre milioni di abitanti a centosettantatre.” Lei sorrise, impercettibilmente: in certe cose lui non cambiava mai.

“Certo che ci credo, sono stata io a farti presente che i dati sulla popolazione in un atlante del 1986 risaliranno probabilmente al 1980 e quindi sono vecchi di un quarto di secolo.” Lui mosse una mano in aria come se lei stesse puntualizzando eccessive piccolezze e le si rivolse in modo fin troppo melodrammatico. “Un quarto di secolo: cos’è per noi ?” Scherzava su sé stesso e questo era non frequente in lui: gli stava tornando il buonumore.

“Per noi niente, ma per un Osservatore Medio che muore a ottant’anni è un terzo della vita.” “Ah, gli Osservatori … ma ora inizia una nuova era. Per il Sud America ho solo un paio di dubbi. L’ho diviso in Gran Priorato del Brasile, in Gran Priorato del Rio della Plata e in un terzo, che comprende il Perù, l’Ecuador, la Colombia, il Venezuela, il Suriname e le due Guyana.” “Cioè negli altri stati rimanenti, come già avevi deciso. E scommetto che non hai ancora trovato un nome a quella zona.”

Lui la guardò ammirato e pensò che, sorvolando su moltissime cose, era un piacere lavorare con lei. “Come hai fatto a capirlo ?” “Forse perché non ne hai detto il nome ma gli stati che ne fanno parte, o forse perché è da quando hai iniziato a studiare come sistemare quell’area che borbotti se usare l’appellativo di “Nuova Spagna”, come ai bei tempi. Hai già scelto chi sarà l’Osservatore Gran Priore per quelle terre ?” “Don Josè Arcadio Aureliano Buendia. Ti avevo detto che non si sarebbe tirato indietro se glielo avessi chiesto.” “E allora il nome fallo scegliere a lui e agli Osservatori locali: sarà una gentilezza che apprezzeranno molto, e tu non ricorderai loro la figura di qualche inglese spocchioso che decide tutto a tavolino.” “Povero Quentin Travers, dovunque sia gli staranno fischiando le orecchie adesso.”

 

Giles era di pessimo umore. Erano oramai quasi giunte le nove e tra poche ore il trentun ottobre sarebbe divenuto il primo di novembre, e non ci sarebbe mai più stato fino alla fine del mondo un ottobre 2004. Dopo cena era venuto al Liceo, carico di fogli e appunti –doveva abituarsi a pensare all’idea di prendersi un computer portatile- nella speranza che quella biblioteca potesse portare luce tra i dubbi e le domande della propria mente.

Era da una settimana che studiava quegli strani segni trovati sotto quella casa, e ancora non riusciva a trovare un filo logico: era Babele, era la confusione delle lingue e delle tradizioni, simboli di troppo disparate tradizioni e culture si mescolavano assieme. Eppure, tra quel grande mare di confusione e contraddizioni, Giles riusciva a intravedere una strada, una linea che portava a una risoluzione, a una chiave per decifrare l’intero crittogramma: era lì vicina, quasi a portata di idea, eppure non riusciva a vederla. E per questo era di cattivo umore.

Il Conte non gli era stato ancora utile, ma per queste approfondite ricerche, come lui stesso sapeva, ci voleva più tempo e talvolta era necessaria la presenza fisica di un folle sanguinario, incubo di tutti i demoni, per estorcere delle informazioni: probabilmente, nei prossimi giorni, sarebbe partito per andare di persona a fare due chiacchiere con alcune sue conoscenze francesi.

 

La cena non proseguì ilare o distesa. Dawn descrisse alla sorella con dovizia di particolari il suo incontro con il Conte: avevano preso la cioccolata a casa di Giles e lui l’aveva deliziata con molti ricordi su quella bevanda, introdotto in Europa all’epoca di una Regina di Francia che era anche una sua cugina e di cui era ghiotto un Principe Reggente inglese. Le aveva parlato dei viaggi che aveva fatto per scoprire qualcosa di più sulla natura della Chiave, e un paio di aneddoti divertenti di ciò che gli era capitato ad Alba Iulia (Dawn ignorava, e con lei tutti i presenti alla cena, dove si trovasse).

Le aveva accennato che avrebbe gradito sottoporla a una prova, ovviamente indolore, per saggiare alcune capacità che credeva lei avesse, e le aveva fatto dei magnifici complimenti sui suoi occhi. Le aveva promesso che le avrebbe insegnato il francese, così da migliorare i suoi voti, e alcuni vezzi con cui una dama può affascinare un qualsiasi gentiluomo. Le aveva parlato di sua madre, delle volte che era venuto a Sunnydale e dell’importanza che secondo lui doveva avere l’istituzione della famiglia nella società.

In definitiva Dawn ne aveva avuto solo ottime impressioni. “È una persona molto gentile, disponibile e ammodo, ci vuole un gran bene, usa dei termini fuori moda da un sacco di tempo e credo voglia diventare nostro amico o almeno andare d’accordo con noi.” “Mente.” sentenziò Buffy fredda. “C’è qualcosa che ci nasconde, ha un doppio fine dietro. E finchè non saprò tutto di lui io non ho intenzione di fidarmi.” “Certo, se sapessi il suo vero nome, quand’è nato e perché è sempre vivo anch’io sarei più contenta. Gli ho chiesto se era un Highlander e sai cosa mi ha risposto ? Che avrebbe voluto tanto avere il fascino di Sean Connery, ma purtroppo quello non era il suo caso. E avevo ragione io a dire che non è gay.”

L’ultima osservazione a Buffy sembrò decisamente fuori luogo, ma ignorava della lunga discussione che si era trascinata per giorni tra Dawn e Kennedy. Quest’ultima dava per certa l’omosessualità del Conte perché ballava, conosceva la moda ed era pieno di vezzi e premure, mentre all’altra ragazza sembrava naturale in un uomo che aveva litigato con Byron e che aveva ballato con Maria Antonietta. Alla fine si erano decisi a chiederlo a Giles. “Ha detto che non lo è, anzi, ha una preferenza per tipi di donne … esperte e volgari.” “Ha detto “appariscenti”.” corresse Dawn, piccata con sé stessa per aver tirato fuori quell’argomento.

“Sì, e poi ha aggiunto che dal momento che quando lui era giovane le esperienze sessuali si facevano o nelle case di piacere o con le cortigiane, non si fa alcun problema a … frequentarne gli equivalenti moderni. Pare che ce ne sia uno particolarmente grosso a Parigi dove lui soggiorna spesso.” Buffy fremette di santo e casto disgusto quando Willow aggiunse con maligna gioia questo particolare, rivelato con grandissimo piacere da Giles. “Veramente una persona ammodo.” commentò solo.

 

La cena si stava concludendo e Miss Moller stava portando la grande e pesante fruttiera d’argento, dono del Beato Imperatore e Re Carlo I d’Asburgo, traboccante di mele gialle disposte a piramide, quando Sua Eccellenza le rivolse la parola, terrorizzandola. “Ahi, miss Moller, lei non è sincera con me.” La donna fu percorsa da brividi per tutto il corpo e rimase ferma e tramortita per la paura, a pochi passi dal tavolo: Madame Margot, evanescente e divertita, abbozzò un sorriso, lui la guardò serafico come suo solito. Si fece un rapidissimo esame di coscienza nel cercare in cosa avesse mancato verso Sua Eccellenza, ma non riuscì a trovare nulla: lui era sempre stato più che buono con lei, da quando le aveva pagato la clinica per disintossicarsi, ma con le leggende sul suo conto che lui stesso alimentava non c’era da stare troppo sicuri.

“Ho dovuto sapere da sua figlia che lei è ammalata.” Maledizione ! Ma perché non se ne era stata zitta ? Ora cosa sarebbe successo ? La donna guardò Sua Eccellenza senza replicare, perché tanto era chiaro che aveva appena iniziato il discorso. “Sono assai spiaciuto. Avrebbe potuto dirmelo. Sta di fatto che da oggi, fino a che il dottore non certificherà una sua completa guarigione, si occuperà solo di cucinare le vivande. Al resto penserà Rayne e il robot.”

Le sorrise, paterno e comprensivo e quella donna gli tributò uno dei suoi sguardi più grati e devoti: se solo cinque anni prima era un’alcolizzata che si picchiava con il convivente e con una figlia assassina e poi in galera, adesso era una donna nuova, in salute, trattata bene, con un buon salario, ottimo vitto e alloggio e la sua bambina era al sicuro, con un lavoro insolito ma adatto a lei. Margot scosse la testa: era dell’opinione che i domestici andasse trattati in tutt’altra maniera e poi né il robot né Rayne sapevano stirare decentemente.

 

Giles finì di bere il suo thè, guardò con rabbia il cumulo di appunti e libri sparsi sul tavolo, pensò che aveva fatto bene a non coinvolgere ancora i ragazzi (chissà cosa c’era sotto, per far muovere il francese dalle sue terre) e volle sgranchirsi le gambe facendo due passi. Non gli spiaceva camminare nel buio del Liceo, quando tutta quella scuola non era invasa da torme di ragazzini troppo sicuri di sé, ignari di ogni cosa che non sia futile, dediti solo al proprio aspetto. Si fermò a metà del corridoio dove c’erano gli armadietti e pensò che si stava tramutando nel preside Snyder.

Sorrise per questa idea e riprese a passeggiare, cullato dal fresco dell’aria e dalla penombra, quando sentì alle sue spalle dei rumori e dei tonfi. Era stato per così tanti anni in quel Liceo che in solo attimo comprese che avrebbe fatto meglio ad avere una croce o un paletto con sé. Si girò e non vide vampiri, anzi, non vide nulla perché il corridoio era buio e l’uscita di sicurezza era lontana. Ma adesso i colpi si facevano più forti e più serrati. Corse verso l’origine di quei rumori, che si facevano più insistenti, ma fu solo quando si trovò a non più di trenta metri da loro, che loro riuscirono a sfondare la porta, che cadde con un gran rimbombo sul pavimento.

 

ATTO III

Prima ancora di vederli bene capì cosa fossero dai loro gemiti e dal loro muoversi, dal loro odore e dal passo lento e barcollante. Zombie. E gli stavano venendo incontro protendendo verso di lui le loro braccia e mani in putrefazione più o meno avanzata.

Non perse neppure tempo ad urlare, ma si girò lesto e corse a perdifiato a chiudersi in biblioteca: non era una mossa intelligente rinserrarsi in una stanza, quando avrebbe potuto benissimo provare a scappare da una delle tante uscite di quel Liceo, ma pensò che non era il caso di abbandonare tutto il materiale raccolto su quei simboli e se si fosse attardato a raccoglierlo senza sbarrare la porta avrebbe fatto la fine del topo. Ma, ragionò, non era neppure il caso di farsi assediare senza prima non averne ucciso almeno qualcuno, in modo da rendere un po’ più agevole a Buffy il compito di salvarlo.

Brandendo una pesante e ben affilata spada uscì dalla biblioteca, si piantò in mezzo al corridoio e appena il primo di quella lunga, assai lunga, ributtante processione gli fu vicino con un fendente lo decapitò di netto; ma questi continuò ad avanzare. Con un altro colpo gli staccò un braccio e tagliò un altro zombie in due, all’altezza del torso. Il braccio staccato con la mano si afferrò alla sua caviglia, mentre il corpo a cui apparteneva continuava ad avanzare, e così facevano anche i due pezzi in cui aveva diviso l’altro.

Di punta infilzò il braccio che stava risalendo sulla sua gamba e senza porre tempo in mezzo si diresse a barricarsi nella biblioteca, urlando durante la fuga. Chiuse le porte e iniziò a spostare tutto quello che trovava sottomano, ma poi si ricordò della novità apportata a quel luogo: la porta aveva ben due serrature e un chiavistello ! Ci fossero sempre state si sarebbero stati meno problemi, anni prima. Rinserrò le porte, spinse contro anche il tavolo, mentre così facendo cadevano libri, fogli e appunti, e poi corse a telefonare: a Buffy, a Wood, al Conte.

 

Se dal preside non rispondeva nessuno, a casa del Conte rispose Ethan al concitato connazionale che cercava di essere più chiaro possibile. “Mi spiace Rupert, ma Monsieur non vuole essere disturbato: si è rinserrato nello studiolo toscano-” “Eh ? Dove ?” “In uno dei tre salottini che ci sono in questa casa e ha dato tassative disposizioni perché non sia disturbato da nessuno.” “Ma non mi importa, spiegagli la mia situazione !” “La sua pupilla è lì ?” “Chi ?” “Buffy !” “Non ancora, la chiamavo adesso.” “Perfetto, non appena Monsieur saprà che la ragazza sta lottando contro dei pericolosi zombie verrà di corsa da voi.” Giles non perse tempo neppure a mandarlo al diavolo e riattaccò la cornetta.

 

A casa Summers rispose Dawn. “Come ha detto ?” “Zombie, Dawn, ho detto molti zombie assassini ! Chiama tua sorella e Kennedy e dì loro di correre subito qui. Sono barricato in biblioteca ma non so per quanto queste porte reggeranno. Ah, e fai cercare a Willow qualcosa sul fatto che, se anche gli tagli un pezzo, quello continua a muoversi !” “Come ?” “Ho tagliato un braccio ad uno di loro e quel braccio mi si è attaccato alla gamba ! Ecco come !” “Sul genere Mano della Famiglia Addams ?”

Quando la conversazione telefonica finì la ragazza si girò e vide gli occhi dei convitati fissi su di lei: pur non avendo capito nulla avevano sentito una voce maschile urlare nella cornetta. Dopo le prime spiegazioni, tutti, anche Kennedy, si girarono verso Buffy, domandandole muti sul da farsi, il cui ego fu estremamente felice nel notare che era ancora considerata il boss.

“Amy, tu vai pure al tuo negozio senza problemi, Dawn e Xander ti accompagneranno e faranno un paio di ricerche per scoprire cosa serve per ucciderli. Io, Kennedy e Willow andremo in biblioteca a tirare Giles fuori dai guai.” Lo disse seria, decisa e risoluta come ai vecchi tempi, ma troppa acqua era passata sotto i ponti da quando era una giovane, vergine ed inesperta Cacciatrice alle prime armi: c’era stato un ammutinamento, tanto per dire, nel frattempo.

Infatti Dawn protestò perché non voleva essere considerata la solita bambina, Xander che non voleva sentirsi messo in un angolo solo perché parzialmente invalido e Kennedy perché non voleva Willow tra i piedi quando cacciava (ma disse solo che lo trovava pericoloso per lei). Politicamente Buffy dovette scendere ad un compromesso: Dawn e Kennedy si sarebbero dovute rassegnare a quanto già deciso, mentre Xander le avrebbe accompagnate sul campo di battaglia, soprattutto perché sosteneva che erano stati costruiti alcuni passaggi sotterranei che univano varie parti del Liceo con alcune costruzioni esterne e in tal modo avrebbero potuto entrare in biblioteca o cogliere di sorpresa gli zombie senza alcun problema.

Si prepararono ad uscire, tra i mugugni dei componenti più giovani: l’unica lieta e sollevata era Amy, che poteva andare al negozio, non rischiava nulla e poteva fare un po’ amicizia con una delle sue nuove padrone di casa.

 

Giunsero davanti al Liceo e, sotto quel timpano in stile neoclassico tutto era tranquillo, tutto sembrava normale come al solito, esattamente come a Sunnydale era sempre stato, almeno apparentemente. Buffy, che vi era passata davanti d’estate, quand’era già costruito completamente, provò ugualmente una strana sensazione: quella scuola, lei, Xander, Willow e Giles dentro. Non c’era più Cordelia, ma adesso avevano Kennedy, di un genere diverso ma almeno assai più utile: sperava di cuore che le lezioni che le aveva dato fossero servite a qualcosa e che adesso fosse una Cacciatrice migliore.

“C’è una cosa che non capisco: prima c’era la bocca dell’Inferno e tutto era molto, molto più complicato e demoniaco. Ma ora che è chiusa perché non cambia niente ?” Era una valida domanda e Xander le diede subito la risposta. “Lo ha spiegato il Conte a Dawn: anche se la Bocca dell’Inferno si è chiusa, continua a mandare i suoi … influssi, per così dire, malefici: la terra qui intorno è impregnata di male come un buon hot dog di maionese.”

Le tre ragazze lo guardarono stupefatte. “La parte dell’hot dog è mia. Lui l’ha paragonata ad una stella: morta quella, la sua luce continua a viaggiare nell’universo. Qui invece una sorta di aurea maligna continua a trasudare e a richiamare demoni e vampiri, ma fortunatamente col tempo diminuirà fino a scomparire.” “Il paragone con la stella è di Dawn. Il Conte ha detto che la Bocca dell’Inferno è come un camino: abbiamo spento il fuoco ma la brace scotta ancora.” lo corresse Willow.

Ora che Buffy aveva le idee più chiare, mentre il resto della città festeggiava Halloween, si poteva anche iniziare a salvare Giles, sperando Dawn ed Amy trovassero qualcosa di utile. Gli telefonarono per sapere com’era la situazione interna e questi, trafelato e ansante, disse loro da dove aveva visto gli zombie entrare, quanti c’e ne erano approssimativamente e di fare presto perché continuavano a premere contro la porta, e prima o poi i cardini avrebbero ceduto.

In parte nascosta dalle felci, vicino l’ingresso, c’era una piccola costruzione che serviva per la manutenzione del giardino che circondava la scuola: Xander diresse il gruppo lì dentro e lasciò a Buffy l’onore di forzare la serratura: dentro, sotto un pannello di lamiera, si apriva un cunicolo che portava a una rete di passaggi sotterranei che si stendevano tra le fondamenta dell’edificio e univano vari punti del Liceo: sbucavano in biblioteca, in palestra, nell’ufficio del preside, nei camerini del teatro e in altri quattro punti della scuola. “Mentre la costruivamo tutti gli operai si chiedevano a cosa servissero questi tunnel.” ricordò soddisfatto Xander: “Io ero solo dell’idea che ci sarebbero stati utili qualche anno fa, ma vedo che anche ora fanno comodo.”

Scesi, si trovarono in un cunicolo, composto da elementi prefabbricati di calcestruzzo, largo poco più di un metro e alto un paio: polveroso, ruvido, ma sicuramente meglio delle fogne e dotato anche di illuminazione: ogni venti metri una lampadina, accesa da un interruttore nascosto dietro gli utensili nel capanno, illuminava la strada. Arrivarono ad un bivio e Xander chiese dove dovevano sbucare: Kennedy propose di prendere alle spalle gli zombie, Willow di assicurarsi che Giles stesse bene. Si divisero: le due Cacciatrici sarebbero uscite dall’ufficio del preside e avrebbero attaccato da dietro, Xander e Willow sarebbero andati in biblioteca.

 

Giles aveva già ricevuto una telefonata da Dawn, che gli comunicava le decisioni prese e gli chiedeva qualche informazione in più su quegli zombie: le rispose in modo brusco che non avevano nessuna carta d’identità da interrogare. Mentre quelli continuavano a spingere contro la porta, dove nel frattempo aveva accatastato svariati mobili, alle proprie spalle sentì degli strani rumori.

Si girò e vide dalla grata d’aerazione –che aveva sempre giudicato stranamente grande- vicino alle scale che portavano alla zona della biblioteca dove c’erano gli scaffali, sbucare Xander, che lo salutò impolverato ma allegro. “Buonasera signor Giles ! Penso che abbiano fatto male ad assumerla: solo quando c’è lei in giro la scuola viene invasa da demoni.” Lo aiutò a tirarsi fuori del tutto e poi tese una mano anche a Willow. “Accidenti, non sa quanto mi mancavano queste cose.” Dei grugniti poco rassicuranti coprirono la sua voce. “Beh, non poi tanto a pensarci bene.”

 

Nel frattempo le due Cacciatrici, a cui Xander aveva spiegato la strada da fare, erano sbucate nell’ufficio del Preside da una botola posta sotto un tavolinetto appoggiato al muro. Guardinghe e silenziose si affacciarono nel corridoio, Buffy davanti, con le mani salde nell’impugnare le spade: si sentivano i grugniti ma non vedevano nessuno nella penombra creata dalle luci di sicurezza. Avanzarono silenziosamente e caute lungo il corridoio verso l’origine di quei rumori, e sporsero le teste da uno spigolo, per accertarsi della reale situazione: gli zombie erano oltre una trentina e tra loro saltellavano un busto senza gambe, due gambe senza busto, un braccio e un corpo senza testa, mentre una testa, immobile in un angolo, grugniva per conto suo.

L’immagine era grottesca quanto irreale. Mentre cercavano di inventarsi un piano d’attacco, il cellulare di Buffy trillò e Kennedy non fece neppure in tempo a pensare che era una brutta musichina che tutti gli zombie si girarono verso di loro. “Forse dovevo togliere la suoneria.” ammise Buffy un minuto prima di slanciarsi contro quella torma che le si stava dirigendo addosso.

Le porte della biblioteca avevano ancora le due aperture circolari ad oblò e, come accadeva sempre, i vetri di queste furono subito spaccati da chi attaccava. Mentre Willow e Giles sfogliavano i libri Xander dava colpi di piatto con la spada per ricacciare indietro le braccia putrefatte che spuntavano. Lo spostamento in massa degli zombie provocò terrore nel ragazzo, che subito aveva capito si stavano dirigendo contro le due Cacciatrici: richiamò Willow e Giles, impegnati nelle ricerche, perchè lo aiutassero a liberare l’uscita permettendogli così di dare una mano alle ragazze.

Ci vollero solo pochi minuti ma quando Xander, seguito dall’Osservatore, poiché Willow e le sue magie avrebbero fatto la guardia al materiale sui simboli trovati in quella sorta di tempio, si affacciarono sul corridoio videro una scena degna de “L’apprendista stregone”. Come Topolino prendeva a colpi d’ascia la scopa magica creando tante piccole scope, così Buffy e Kennedy, spaventate dall’assalto, crollando fendenti sugli zombie avevano creato tante braccia, gambe, mani, torsi, teste, cosce e torsi dotati di vita propria che stavano loro intorno, chi cercando di farle inciampare, chi di farle uno sgambetto o di morderle.

Le due ragazze spiccavano per altezza rispetto a questa fiera di feroci parti anatomiche: Xander e Giles rientrarono in biblioteca, mollarono le spade e brandirono le balestre. Il ragazzo non poteva più avere una buona mira riusciva ancora a centrare un busto dotato di vita propria e con l’Osservatore consumò molte frecce per inchiodare al pavimento quei pezzi di corpo dotati di vita, ma gli strali terminarono prima di aver compiuto l’opera.

“E ora cosa diavolo facciamo ?” La domanda di Kennedy era decisamente sensata: benché fosse quasi tutta saldamente immobilizzata sul pavimento una parte di quella macedonia di arti si muoveva e cercava di attaccare ancora e, in ogni caso, bisognava trovare un modo decente per sbarazzarsene: e non li potevano seppellire da qualche parte se si muovevano ancora.

Willow, affacciatasi armata di scopa, stava spazzando via, lontano dalla porta della biblioteca, un braccio e un piede che cercavano di entrare, ignorando se ridere o preoccuparsi, mentre Buffy prendeva a calci un torso e cercava di scrollarsi di dosso una mano che le stava salendo lungo la schiena: la situazione stava degenerando nel grottesco più spinto !

“Ma non avete trovato niente su come fermarli ?” urlò Kennedy impegnata a schivare due insistenti teste che cercavano di morderle i piedi. “La biblioteca non è ancora completa, almeno per il lato soprannaturale ! Non pensavo ne avremmo avuto di nuovo bisogno e allora ho tenuto i miei volumi a casa.” rispose Giles, impegnato nel respingere lontano dalla biblioteca un torso con ancora attaccato un braccio. “Ho sempre sognato di passare così la notte di Halloween !” chiosò Xander da dentro, mentre cercava disperatamente altre frecce.

“Buffy, liberati da quella mano e vai a telefonare al Conte.” La Cacciatrice guardò il proprio Osservatore, perplessa per quel suggerimento mentre per l’ennesima volta gettava a terra una mano, più insistente di quella di mummia che le aveva fatto capire non essere tagliata per lavorare da Anya. “Lui sicuramente sa come trattare con questa varietà di zombie. E con te sarà più gentile.”

Avrebbe avuto voglia di litigare, di dire a Giles che non teneva affatto a chiamare quell’uomo nel cuore della notte e che meno le ricordavano che il Conte aveva una particolare predizione per lei meglio era, ma una cosa la fece cambiare idea.

Sua sorella ed Amy, urlanti e di corsa, inseguite da alcuni zombie interi, comparvero del corridoio, stravolte: la loro espressione quando videro cosa stava succedendo non può essere descritta a parole. “Dawn ! Cosa accidenti fai qua ?” “Abbiamo chiuso il negozio perché non veniva nessuno e siamo passate a vedere come ve la cavate.” rispose la sorella appena prima di vibrare un colpo di estintore nello stomaco ad uno zombie, mentre la strega ne faceva lievitare tre lontano da lei.

Xander, udite le voci, uscì senza frecce dalla biblioteca con la fotocopiatrice: facendo forza e facendo cigolare le piccole ruote che la sostenevano la lanciò come ariete contro gli esseri che stavano attaccando Dawn; purtroppo incappò in un braccio che strisciava verso Kennedy e si cappottò rovinosamente su un fianco.

 

Buffy corse dentro, e fatto il numero che Giles le aveva urlato, attese: rispose la cameriera, che dopo poco la mise in comunicazione con Sua Eccellenza. “Buonasera Anne. È un piacere sentirla.” “Quasi quanto il mio. Ci sono degli zombie che ci stanno attaccando, siamo nella-” “Ah, sì, lo so, Giles ha telefonato prima.” “E perché diavolo non è venuto a darci una mano ?” “Dovevo vedere un film e poi, mi scusi, una manciata di zombie per lei non dovrebbero costituire un problema insormontabile. Ha affrontato cose ben peggiori.”

Buffy tacque un secondo e, in tutta sincerità, non riuscì a trovare nulla da ribattere a quell’uomo, intuendo che era meglio sorvolare su questi particolari e giungere subito al dunque: gli raccontò della loro situazione ed ebbe l’impressione che dall’altro capo della cornetta quell’uomo si stesse divertendo pazzamente. “In parole povere avete decine di pezzi di zombie che cercano di aggredirvi e voi non sapete che fare ?” “Potremmo dire anche così.” minimizzò Buffy, che si sentiva un po’ stupida in quella situazione, mentre una mano ne gettava un’altra contro Giles.

“A lei, Anne, piacciono le mele ?” Nuovo momento di silenzio. “Scusi ? Ma le sembra il momento ? Vuole sapere che frutta ordinare se verremo a cena da lei ?” “A lei, Anne, piacciono le mele ?” Buffy capì che non c’era molto da fare: lei stava interrogando l’oracolo e adesso doveva giocare secondo le sue regole. “Abbastanza.” “E come le sbuccia, se le sbuccia ?” Con la coda dell’occhio vide Amy fuggire inseguita da tre gambe saltellanti, mentre alcune mani levavano le frecce che avevano inchiodato al suolo gli altri pezzi di corpo.

“Mangio anche la buccia, fa bene alla pelle.” “Faceva bene alla pelle, ma ora, con tutte le schifezze che usano i contadini … è da decenni che la frutta non ha più sapore, e non è neppure genuina. Comunque, sappia che le mele si possono sbucciare in due modi. O con un unico taglio, tenendola intera: si parte dall’alto con la lama e si scende in modo spiraliforme seguendo la superficie del frutto. La tagliava mio nonno così. Oppure la si spacca in quattro e si sbucciano i singoli spicchi.”

Dawn, stanca di vibrare colpi con l’estintore, adesso si serviva di una sedia, presa dalla biblioteca, mentre Giles menava colpi di scopa e Willow aveva scoperto che non bastava far loro prendere fuoco per renderli inanimati: un torso con ancora le braccia attaccate in fiamme cercava di ghermirla. “Questo è il modo per renderli innocui, se non ricordo male. Spacchi in due la testa di quegli esseri come fosse una mela, o un melone ben maturo. A me non piace molto il melone, a lei ?” “È insipido.” gli rispose, e si accorse con sgomento che gli stava pure dando retta !

Prima di ringraziarlo per i suoi sproloqui ebbe ancora una domanda, mentre Xander cadeva a terra per lo sgambetto fatto da un piede. “Ma … in che verso ?” “Scusi ?” “In che verso devo tagliare ? Verticale o orizzontale ?” “Ma verticale, cara, proprio come una mela. E mi raccomando, prima coglietela dal ramo.” “Eh ?” “Prima separate la testa dal corpo e poi la spaccate. Credo che appena finirà il film passerò a vedere come ve la cavate.” “Non ce n’è bisogno ! Buonasera !”

Con che gioia Buffy sbattè la cornetta sul ricevitore e brandendo la spada si diresse verso la prima testa che vide. Il metodo era giusto e spaccata in due quella, una delle gambe che avevano stretto, minacciose, Amy in un angolo cadde a terra di botto: illuminati sul metodo tutti iniziarono a menare gran fendenti e, mentre il pavimento veniva del tutto coperto da un liquido nauseabondo e vischioso, ogni arto cadeva come corpo morto cade.

 

ATTO IV

Mentre tutti chiacchieravano tra loro e Giles cercava qualcosa per pulire almeno alla meglio lo scempio di corpi sul pavimento davanti la “sua” biblioteca, a Buffy parve di sentire un qualche lontano e fioco rumore che si avvicinava verso di loro: con un gesto imperioso della mano ordinò a tutti di tacere. Era vero.

Più rumori si soprapponevano in lontananza: qualcuno stava fischiettando qualcosa, con un tempo dolce e lento tipico del valzer, un oggetto colpiva ritmicamente il pavimento o un muro, dei passi pesanti si avvicinavano. Non erano certo gli zombies di prima, ma non si poteva mai sapere: mentre Dawn cercava disperatamente di ricordarsi dove avesse già sentito quel motivetto, tutti si armarono di nuovo, brandendo coltelli e armi bianche, disponendosi a semicerchio davanti alla porta d’ingresso, agguerriti e pronti a dare ancora battaglia. Un momento appena prima che le presenze si palesassero fu la Chiave a capire cos’era quella musica e scoppiò in una liberatoria risata, riuscendo solo a dire “Amelie”.

“Oui ! Bonne soirée.” rispose il più eccentrico francese di Sunnydale aprendo le braccia in segno di saluto, come avrebbe fatto decenni prima una diva del cafè – chantant, mostrando al contempo tutta la sua eleganza: bastone, guanti e cappello, il soprabito leggero antracite, il gilè e la spilla da cravatta. Giles si domandò come fosse possibile che tutte le volte che lo vedeva gli pareva lo stomaco si rivoltasse dal disgusto. “Oh, che cari, un presentat-arm: era un sacco che non me ne faceva più nessuno. Certo, non è impeccabile, ma qui siamo in California.”

Buffy fu la prima a far cadere, rumorosamente e palesemente, il grosso spadone che aveva in mano, seguita da Willow, Giles ed Amy; Dawn, ridacchiando ancora aveva già abbassato la sua ascia. “Lo ha visto anche lei? Non lo trova magnifico? E poi, solo la storia del nanetto viaggiante è una piccola delizia !” “Oh, a me piace quando il maialino della lampada parla con le ochette dei quadri.” commentò deliziata la ragazza, ancora ilare, soprattutto per come tutti gli altri la stavano guardando, in primis Buffy, sempre più torva mano a mano la conversazione si snodava oscura per lei.

Decise di spiegarle, prima che il Conte dicesse ancora qualcosa. “Stava fischiettando il tema musicale de “Il fantastico mondo di Amelie”, ti ricordi quel film francese?” Certo che si ricordava quel film ! Lo avevano visto assieme ed era loro molto piaciuto: la questione è che non si può fischiettare un tema musicale così romantico entrando vestiti da damerini, scavalcando pezzi di cadavere e per giunta presentandosi in colpevolissimo ritardo. “Film magnifico. Ma in fondo sono stati i Lumiere a creare il cinema. Peccato che poi siate arrivati voi e abbiate prodotto Hollywood.” chiosò con l'abituale gentilezza.

Probabilmente qualsiasi statunitense presente avrebbe trovato da ridire sull'affermazione, ma fu l'inglese a precederli. “Lei ci ha lasciato qui da soli perché doveva guardare quel film?!” Il Conte lo guardò con la più pura ed innocente espressione che un volto potesse indossare. “Mi avete chiamato quando avevo già iniziato a gustarlo: non potevo interrompere così un'emozione.”

Giles si domandò solo perché, dopo tutti quegli anni, continuava a cascarci: perché gli faceva ancora delle domande, avendo già la certezza che la risposta lo avrebbe profondamente indisposto? Ma Kennedy non era abituata a lui e non riuscì a stare zitta, avvampando di sdegno contro quel presunto amico delle Cacciatrici. “Grazie ! Lei ha preferito vedere un film che venire ad aiutarci ! É mostruoso !”

A bassa voce, ma non tanto da essere impercettibile, Giles bofonchiò un ironico "che strano" mentre l'azzimato nobiluomo, sfoderando un accettabile sorrise, disse alla ragazza che se erano sopravvissute a dei Turok - An tutto quello che era comparso quella sera era appena un lieve fastidio, e inoltre aveva dovuto preparare una piccola sorpresa per qualcuno: più di una persona in quella stanza si sentì gelare il sangue e occhiate preoccupate rimbalzarono da uno all'altro.

Il conte batté due volte le mani con fare altero e dalla porta comparve uno stravolto Rayne, con la divisa d'ordinanza da cameriere, reggendo in precario equilibrio sulle spalle un tappeto tutto arrotolato: “Prego, lo appoggi pure sul bancone.” ordinò con un ampio gesto del braccio al suo servo, che posò il carico senza troppa grazia. Mentre quello iniziava a slegare alcune cordicelle che lo tenevano avvoltolato, tutti gli si misero dietro per guardare cosa fosse realmente la sorpresa mentre l'artefice di tutto questo colpo di teatro silenziosamente si dirigeva al tavolo rotondo della biblioteca e comodamente ci si appoggiava, incrociando le gambe all’altezza delle caviglie.

Rayne sciolse i nodi e tirò i lembi del pesante panno, in cui era in realtà avvolto ... un bambino con una gamba sola. Benché i tratti del viso fossero quelli di un uomo adulto la sua lunghezza non superava il metro e venti: la pelle era olivastra, i capelli neri tagliati molto corti, un naso piccolissimo appena spuntava dal volto, la corporatura secca e minuta. Indossava un breve gonnellino forse in cuoio, come quello degli antichi romani, che copriva in qualche modo dove l'unica gamba, grossa e muscolosa, si univa al tronco: infatti era evidente che quell'essere aveva per costituzione una sola gamba, che in qualche modo si fondeva con il busto sovrastante, e che terminava con uno spropositato, lungo e grosso piede arcuato.

Solo due persone, tra quelle intorno ad esso, compresero immediatamente cos’era quel corpo morto steso sul tavolo, ed ebbero la stessa reazione: istintivamente si allontanarono dal bancone, Willow retrocedendo verso la porta d’ingresso della biblioteca, Giles verso la gabbia metallica dove erano custodite le armi (e dove, nell’originale, veniva segregato Oz). Tutti e due sapevano cosa fosse quel corpo e a Giles non servì neppure un secondo per capire a chi era rivolta la sorpresa: gli mancava solo di comprendere quale fosse il nesso tra quel demone e Willow.

“Cos’è, un pigmeo geneticamente mutato?” chiese Xander girandosi verso il Conte, molto perplesso davanti a quella cosa lucida, morta e antropomorfa. “Se fosse così avrebbe un colore della pelle più scuro.” osservò il francese. “Ha intenzione di rivelarcelo tramite il gioco “acqua – fuochino – fuoco”?” chiese Buffy guardandolo accigliata e con un tono che decisamente avrebbe innervosito anche l’uomo più paziente del mondo; e l’interlocutore non lo era certamente, ma per fortuna era un gentiluomo e quindi si trattenne dal risponderle come meritava.

“Una Cacciatrice preparata non impiegherebbe molto a dirmi almeno il nome comune di quel demone. Ma suppongo che lei avesse troppi interessi tra cui dividersi per dedicarsi un po’ alla teoria e alla conoscenza.” “Scusi ma ho sempre creduto che una buona spada sia più utile di un libro, almeno per uccidere vampiri e affini.” “Ed è per queste sue idee, suppongo, che lei coi vampiri ci faceva amicizia, invece che ucciderli.” Prima regola: non iniziare schermaglie verbali con il Conte, perché tanto le vince lui. Seconda regola: anche se vuole bene non si fa problemi a tirare una buona stoccata. Giles, oltre a pensare a questo decise che doveva intervenire prima che dalla bocca di Buffy uscisse qualcosa di irreparabile.

Rivolto ai ragazzi che aveva davanti disse: “È uno sciapode, immagino imbalsamato. Sono dei demoni innocui che vivono verso l’equatore e per ripararsi dal sole, quando si riposano, si sdraiano sulla schiena e si fanno ombra con il piede. Sono famosi per la loro velocità e per una spiccata propensione a trovare le persone; sono spesso paragonati ai levrieri, anche per l’indole pacifica e mediamente sociale.” Un leggero applauso alla sua sinistra lo fece girare verso il francese, che aveva come sempre voglia di fare dello spirito, mentre Buffy era ancora paonazza di rabbia e Willow aveva il colorito di un cadavere. “Bravo, eccellente: conosce la lezione. E immagino che conosca anche come evocarli. Ma non è stato lei a farlo. E non è stato lei a mandarlo a casa mia.”

Parlando come suo solito sorrideva con la bocca ma non con gli occhi, “l’unica cosa limpida in lui” diceva la nonna di Giles per descriverne il chiaro e acquoso colore. Dopo queste brevi frasi, pronunciate gentilmente e ben staccate le une dalle altre, nessuno aveva più dubbi su chi fosse l’oggetto della sorpresa, ma solo Giles, ancora una volta, comprese quanto ci fosse di artefatto in tutta quella situazione.

Quel maiale latino, che ai difetti francesi assommava anche i vizi italiani, aveva costruito un suo personale teatro lì in biblioteca, come apparve chiaro all’Osservatore: da un lato Willow, davanti a lei Vigio e in mezzo, appoggiati al bancone, tutti gli altri, novella versione del coro. La rappresentazione era agli inizi, e sicuramente non sarebbe stata una commedia.

“In grado di evocarlo ci sarebbe anche il mio cameriere, che va escluso perché sa bene chi sono, e poi la streghetta bionda.” Amy, sentitasi tirare in causa, iniziò velocemente a mugolare ed uggiolare protestando la sua innocenza e la sua estraneità con fare tanto umile, sottomesso e lagnoso che in premio ebbe uno sguardo di evidente compassione. “Allora direi che sei rimasta solo tu, strega.”

La partita era iniziata, finalmente, e Willow aveva intenzione di giocarla al meglio possibile, e la prima cosa da fare era mostrare del carattere. “Non ci voleva molto a capirlo. Siccome la mia ragazza era stata rapita da un pericolo figuro uccisore di Cacciatrici ho cercato di sapere subito dove fosse carcerata.”

Tutti gli sguardi si rivolsero su di lui, in primis quello di Buffy e Kennedy, a cui questa notizia giungeva non solo totalmente nuova, ma anche decisamente terribile: per quanto avessero un’idea vaga di chi fosse mai si sarebbero aspettati che oltre a demoni, vampiri e streghe uccidesse anche le Cacciatrici. Tutti non dicevano che lui le proteggeva?

Giles, agghiacciato da tanto ardire da parte di Willow, notò negli occhi del Conte un sinistro lampo di soddisfazione: sapeva che gli piacevano gli avversari che opponevano resistenza, perché c’era più gusto a batterli. “Una verità raccontata male e detta a mezzo è solo una menzogna, strega. Se è per questo ho ucciso anche Osservatori, ma immagino Giles per primo riconoscerà che ho fatto solo cose che andavano fatte. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Vero?”

Sorrideva, cielo come sorrideva di gusto: ogni parola che pronunciava era come una dolce caramella nella sua bocca, si estasiava nel porgere con signorile gentilezza la verità davanti a lei e ai suoi amici. “Willow era-” cercò di intervenire Xander, inopportuno ma coraggioso, prevedendo che quella conversazione sarebbe ben presto degenerata. “Al Liceo non avete recitato qualche dramma greco?”

I ragazzi si guardarono tra di loro, spiazzati da questo repentino cambio di argomento e mentre qualcuno cercava di capire cosa tutto ciò avesse a che fare con il resto, Willow rimaneva sempre tesa a fissare l’antagonista, che si godeva lo scompiglio nel campo degli avversari. “Se non ricordo male doveva essere un “Edipo”. Peccato, sarebbe stato più utile se aveste recitato “I Persiani”. Immagino non sappiate di cosa parli.” Pendevano dalle sue labbra, ancora increspate in un sorriso beffardo.

“Parla di hubris, e non vi domanderò se sapete cosa sia. È il folle orgoglio che prende taluni esseri umani quando vogliono superare i limiti della propria natura e ardire troppo, ritenersi a pari di Dio. È quello che fa Re Serse ne “I Persiani” di Eschilo, l’Ulisse dantesco o, così capirete meglio, il Re di Babele quando vuole erigere una torre che giunga a Dio. L’uomo che vuole essere come il suo Creatore, oppure superiore: una bestemmia, un terribile peccato che sarà duramente scontato. Asclepio, avendo osato resuscitare un uomo, fu fulminato da Zeus, suo nonno, perché aveva violato le leggi del creato. Mi comprendi, strega ?”

Pause da attore consumato, domande retoriche a cui la folla non poteva che rispondere in un solo modo, sorriso ironico quel tanto per innervosire chiunque: stava impiegando al meglio il suo più sgradevole repertorio davanti a una Willow che non distoglieva lo sguardo un solo attimo da lui, pronta a difendersi da qualsiasi colpo di mano, a Giles e ai ragazzi che trepidavano davanti a questo scontro verbale.

“Sei stata presa, pesata e trovata in difetto.” Ogni tanto diceva una frase incomprensibile ai più, giusto per aumentare mistero e senso di disorientamento. “Si diceva in altri e migliori tempi ai processi. Strega, sarò breve. Sei colpevole di omicidio, sei colpevole di crimini contro l’umanità, sei colpevole di hubris e sei pericolosa. Hai qualcosa da obiettare?” Se la prima parte del discorso era stata pronunciata con grave solennità, come si confaceva a una condanna, la domanda era beffarda ed ironica, oltreché irritante.

“Da queste parti prima si accusa e poi si verifica la colpevolezza. E inoltre lei, Conte, non è la legge.” Il Conte girò in modo secco la testa verso sinistra, sorpreso e infastidito da questo intervento; Willow fissò la ragazza con gli occhi pieni di ammirazione; Giles temette cosa sarebbe potuto accadere a breve; Buffy non abbassò lo sguardo davanti all’accusatore dell’amica e continuò a fissarlo con aria di sfida. Lui sorrise e divertito le pose una domanda.

“Oh. E chi è a Sunnydale la legge? I sindaci demoni? I miei conoscenti militari dell’amministrazione provvisoria? Oppure la Cacciatrice? La Cacciatrice che voleva mandare Faith in prigione quando ella uccise per sbaglio un uomo, se non erro. E allora mi domando perché tanto accanimento con quella ragazza, che giustamente meritava il carcere, mentre qui, con la strega, fate finta di nulla, come se dopo aver distrutto mezza Sunnydale, quasi ucciso il qui presente Giles, ucciso quel delinquente, condannato lei e sua sorella a morte quasi certa, bastassero un paio di mesi come ragazza alla pari in Inghilterra a cancellare la colpa e a riabilitarla.” Ora non sorrideva più e l’aria, se possibile, si era fatta ancora più pesante.

“Non era in sé quando voleva ucciderci!” mugolò Dawn esasperata da quell’uomo nei cui occhi non leggeva nulla se non una condanna a morte, e sdegnata per quel paragone: Faith era cattiva, Willow era una loro amica che per un breve periodo aveva … sbandato. “E allora la metterò in qualche manicomio criminale.” le rispose gelido.

“Quali sarebbero i crimini contro l’umanità?” Willow. Le prime parole che diceva le rivolse al suo accusatore con un auto-controllo che neppure pensava di avere, mentre era intenta, tra sé, a pensare a come ucciderlo prima che lui la uccidesse; probabilmente se non ci fossero state le voci dei suoi amici a difenderla avrebbe già ceduto alla tentazione di chiudere il discorso in maniera violenta: aveva moltiplicato le Cacciatrici, sarebbe stata in grado anche di uccidere Vigio l’Inclemente.

“Distruggere il mondo, strega: mi pare che rientri decisamente in quella categoria. Ma andiamo per ordine. Per il peccato di hubris io non ho diritto ad applicare alcuna pena: hai violato la Legge di Natura, a cui io stesso sono sottoposto, ma essa ti ha già punito. Ti sei mai chiesta come mai, dopo quell’atto scellerato e sacrilego, in pochi mesi metà di coloro che l’hanno compiuto siano morti? Pensaci. Resuscitate Anne e muore la dolce Tara, muore la cara Anya, le vostre vite sentimentali sono dolorosamente colpite, Harris perde un occhio, tu il senno, venite feriti nel corpo e nello spirito. Quando Icaro volle volare troppo alto precipitò e morì, strega: per quel peccato avete espiato ed espierete ancora, forse. Com’è giusto che sia: dalle mie parti si dice “Chi sale in alto e non deve cade più in basso di quanto crede”. Invece è il diritto consuetudinario che mi autorizza a punirti per l’uso criminale ed esecrando che hai fatto della magia.”

“Di cosa diavolo parla? Cos’è questo “diritto consuetudinario”“ Xander non si fidava affatto di tutti questi termini inconsueti, di questi strani esempi, di questi discorsi complicati: mentre il Conte parlava ogni tanto si guardava in giro, per leggere se negli occhi dei suoi amici c’era la stessa confusione e lo stesso disorientamento che regnava in lui.

Anya non gli aveva mai detto che uccideva anche le Cacciatrici: gli aveva parlato a lungo dei metodi per sviscerare ed imbalsamare i demoni, dell’incidenza della produzione e lavorazione artigianale sui costi del prodotto finito, ma questo! Eppure gli sembrava di essere l’unico in quello stato: Giles era il ritrattato dell’apprensione come Amy lo era della paura.

In Willow gli parve che ogni singola fibra del suo corpo fosse tesa nello sforzo di trattenersi e di non iniziare con lui un duello come già aveva fatto con Glory dopo che aveva fatto del male a Tara. Negli occhi di Dawn e Kennedy c’era solo disorientamento perché non riuscivano a far combaciare l’uomo gentile e premuroso che avevano incontrato con quella persona gelida e sicura di sé.

“Avendo la fortuna di appartenere a un continente che ha fatto la storia e la civiltà del mondo …” Si interruppe come se avesse compreso qualcosa di importante; guardò l’Osservatore inglese di mezza età, il giovane carpentiere californiano, le due Cacciatrici totalmente prive di cultura, la giovane Summers, l’insignificante streghetta, Willow e preferì evitare preamboli che non avrebbero capiti: adesso aveva voglia di arrivare subito al sodo.

“Lasciamo perdere. Io punisco le streghe pericolose, privandole dei loro poteri e uccidendole, se esse si ribellano, da così tanto tempo che è oramai la consuetudine si è legalizzata, per così dire, e tutti mi riconoscono questo diritto. Non c’è nessun arbitrio quindi, e tutte le serie congregazioni di streghe mi apprezzano perché in tal modo provvedo a rendere innocue persone che potrebbero essere di grave detrimento per tutta la categoria.” Pausa e silenzio perfetto intorno a lui. Willow non aveva intenzione di perdere tempo in chiacchiere: stava già elaborando il maggior complotto mai pensato, o almeno così credeva, per liberare il mondo da quella sinistra presenza.

“Per questo sconterai la pena che meriti, strega. Pagherai, come vuole la legge degli uomini, per aver ucciso una persona. Pagherai perché con la tua magia hai messo in pericolo chi ti stava intorno e ti sei mostrata indegna di quel potere. Pagherai perché hai evidentemente dimostrato, lo sciapode insegna, che non sei in grado di controllarti e utilizzi ancora le forze demoniache per i tuoi scopi. E pagherai, finché vorrà la Provvidenza, per aver strappato Anne dal Paradiso.”

Ogni parola cadeva pesante dall’alto della sua bocca come la scure del boia sul collo del condannato: lei non aveva mai smesso per un attimo, anche quando si era girata verso Buffy, di scrutare quel volto anonimo e quegli occhi cerulei e più passavano i minuti più faticava ad impedirsi di iniziare un duello mortale. Per la prima volta da quando si era appoggiato al tavolo della biblioteca, le braccia incrociate sul petto, il Conte si alzò e fece un passo verso Willow: Xander uscì dal gruppo e gli si parò davanti, fiero e saldo sulle gambe, teso come una corda di violino e con un cipiglio raro.

“Per fare del male a Willow dovrà passare sul mio cadavere !” Questa era la frase più stupida che si potesse dire a un tale figuro, e Xander lo comprese solo un attimo dopo averla detta: Giles e tutti gli altri, a sentirla, gelarono. Il ragazzo vide il Conte davanti a sé a mezzo metro di distanza, i suoi occhi chiari e freddi come una lama e lo sentì dire con voce soave e tono vago di chi fa benevola conversazione: “Uccidere Harris. Spiacevole, ma non impossibile.” Detto ciò con due lunghi passi in diagonale lo superò, avvicinandosi ulteriormente a Willow: Kennedy stava per slanciarsi tra i due ma una stretta forte la bloccò e fu Buffy a interrompere ancora una volta il cammino di Vigio l’Inclemente, ponendoglisi davanti.

Lui chinò un poco la testa per fissarla in quegli occhi verdi che promettevano battaglie e lotte pur di non fargli svolgere il proprio compito; incredibilmente sospirò, rassegnato e addolorato dal fatto che lei non lo capisse, e attese di sentire quali idiozie la ragazza avrebbe detto. “Willow sa controllare la propria magia: non ha detto lei che quel demone era innocuo? E inoltre ... io non le permetterò di dettare legge nella mia città.” Lui scosse appena la testa e a Buffy parve di leggere nei suoi occhi … compassione?

“Ho smesso di contare le Cacciatrici dopo che ho incontrato la centesima.” Parlando aveva di nuovo assunto quel tono triste ed evocativo come durante il loro primo incontro e per un istante solo all’immagine di assassino e megalomane folle si sostituì quella tracciata da Angel, di uomo triste e sconsolato.

“Lei, Anne, non è la prima Cacciatrice ad innamorarsi di un vampiro, a sventare apocalissi, a credere di essere la Legge: è solo una ragazza giovane, inesperta di troppe cose, con in testa idee ed opinioni sbagliate, priva di basi e non è neppure l’unica Cacciatrice, adesso. Io sono solo ed unico, e ho visto cose che voi nemmeno riuscite a concepire: ho visto uomini morire a mucchi per la Peste del Quarantotto, costruire la più bella reggia del mondo, e degli straccioni vincere a Valmy i primi eserciti d’Europa.

Ho visto passare oltre cento Indizioni, quarantasette Sommi Pontefici, quindici Sacri Romani Imperatori, quattordici Re Cristianissimi, due Duchi e dodici Granduchi regnati di Toscana. So quello che faccio Anne, so che va fatto e lo farò perché è mio dovere e ad majorem Dei gloriam. Ma non ho voglia di litigare già adesso con lei, per cui la lascio con una sola domanda: perché Faith doveva andare in prigione e la strega no? Mi trovi una valida differenza etica tra i due casi.”

Sospirò di nuovo, ancora più triste –non sorrideva nemmeno- e superò Buffy, attonita davanti a quello spinoso quesito morale e alle sue parole, che l’avevano fatta sentire piccola e sciocca; fece un gesto con la mano a Rayne, che iniziò a re-impacchettare il demone imbalsamato, e camminando si avvicinò a Willow, senza neppure guardarla.

Lei non aveva per un attimo smesso di tenergli gli occhi fissi addosso durante quella conversazione e la cosa che maggiormente l’aveva spaventata era stata quella triste, rassegnata sottomissione a un superiore dovere da compiere: è facile perpetrare le peggiori nefandezze quando ci si sente giustificati da parole maiuscole come “Dovere”, “Onore”, “Giustizia” e simili. Se internamente tremava di puro terrore all’idea che lui si avvicinasse, esternamente era rimasta immobile come una statua da quando le aveva rivolto per la prima volta parola.

Silenzioso come un’ombra, senza neppure il ritmico rumore del bastone, le passò affianco, senza sfiorarla, ma sussurrandole all’orecchio, discreto quanto sinistro: “La prima udienza termina qui.”