TEMPO PRESENTE
Capitolo
finale delle Cronache
Prefazione
dell’autrice:
Certe volte, la
storia dietro la storia è più interessante delle parole che, infine, vengono
messe per iscritto. La storia dietro, o dentro, la storia, narra di legami che
si creano e si sciolgono, di avvenimenti veri, inventati, dolorosi e
meravigliosi di cui mai, e poi mai, potremo prenderci il merito. Avvenimenti
casuali, emozioni e persone regalate come un sorriso da una mano benevola, da
parole che hanno lasciato scaturire altre parole, fino ad un’overdose. Ma una
storia dietro la storia, il più delle volte, è qualcosa che non narriamo,
perché siamo troppo impegnati a viverla.
Questa è, per
sommi capi, la parabola delle cronache, della sua autrice, di un sito e di
tutti coloro che seppero trovare questa triade solitaria nel mare della rete.
Questa la storia di una ragazza disperata per la sospensione delle repliche di
Buffy che, senza aver mai visto ATS, fu costretta a crearsi un mare di storie
ad uso e consumo per sopravvivere ai propri ventun anni. Questa è la storia di
Spike, il vampiro che voleva solo essere amato e di Angel, il vampiro che
credeva di non poter amare. Questa è la storia delle cronache, di un Doyle
Cantastorie, di un Methos immortale e di una Faith che era dolce e troppo
giovane in un mondo di adulti.
Questa è la storia
della giovinezza, dell’ebbrezza e dei sogni nati sullo schermo, delle frasi che
avremmo voluto sapere immaginare, delle scene che abbiamo visto e sentito, come
schiaffi, come baci, come pugni. Questa è la storia di un pezzetto della mia
vita in punta di penna, di una frase che ha segnato me stessa e chi ho amato e
amo tuttora.
Questa è la
storia di ‘uno della mia vita’. E questo uno, allora come ora, si chiama ancora
sogno.
E questo sogno,
ora, è fatto delle persone che le cronache mi hanno donato e a cui dedico
questo finale.
È passato tanto
tempo. Un tempo infinito trascorso cavalcando la propria esistenza, cadendo di
sella, cercando amore e perdendo, ritrovando e perdendo ancora.
È passata un’esistenza
in mezzo, nel bene e nel male e al di là del bene e del male. Parole e altre
parole, calde come coperte, rassicuranti come gli amici del ‘per sempre’.
parole di Eternità e sbagli, compromessi e Doni. Parole di Legami ed
Entropia... parole di Anime e Sangue.
È passata
un’esistenza e le cronache hanno atteso il loro turno, pazienti, dimenticate in
un angolo, impolverate e nascoste, come qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa
di amato e accantonato per chissà quale casualità. È passata un’esistenza piatta
e tumultuosa di altri eroi e altre storie, di liti e conversioni, di regole e
libertà. È passata una vita, sono finite le serie, svaniti gli attori,
celebrati i decennali, scivolate via le passioni. Eppure le cronache ci sono
ancora, sempre nascoste, sempre nell’angolo.
Le cronache,
iniziate prima dell’avventura di vs.ananke, perse in un sito chiamato solo
Inchiostro, un sito che rischiava la chiusura tutti i momenti. Inchiostro, che
non era parte del destino delle cronache e Ananke che perse il vs. innanzi al
nome come un segno profetico.
Le cronache di
margot. Perché la persona e la storia sono cresciute assieme.
Ed oggi, margot
è ormai diventata grande. O, almeno, si sente tale. E le cronache… le
cronache... le cronache vogliono avere la pace che meritano. E una fine, per
tornare ad essere ciò che erano in origine… un sogno prima dell’alba.
TEMPO PRESENTE
Spoiler: nessuno. Non esiste più questa parola
nel whedonverse. Ma è bello ricordarla, no?
Pairing: // non credo che le cronache ne abbiano mai avuto uno.
Rating: Angst, forever angst!
Timeline: post
bad day, perché le cronache ormai vivono una cronologia loro. Non ne hanno mai
avuta un’altra. E non hanno mai avuto nemmeno un disclaimer, credo, per cui,
questa è la mia ultima grande occasione.
Disclaimer: i
personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza
alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Nota dell’autrice: è
passato troppo tempo perché io riesca a scrivere il capitolo finale delle
cronache in maniera coerente al resto e con lo stesso sprint. Per due motivi.
Primo: non ci riesco. Sul serio, non ci riesco più. Si è perso tanto di quella
visione che avevo del mondo e di quella passione che ancora oggi non so
spiegarmi del tutto. Ma ho riflettuto, immaginato, ponderato.. e ci sono tante
cose che comunque potrei dire, impegnandomi. E mi impegnerò. Secondo: ho sempre
saputo come andavano a finire le cronache, mediante visioni e illuminazioni
ottenute con i metodi più disparati del creato. Sono anni che lo so, che ho
visto la fine. Ma, forse, in questi anni, non ho voluto dare alle cronache un
finale scritto perchè sapevo per certo che avrei dovuto scrivere altri capitoli
mediani.
Oggi, so che quei
capitoli mediani difficilmente vedranno la luce. Sparite alcune idee e,
soprattutto, sparite le motivazioni che guidano le mani sulla tastiera. Ma il
finale resta. Ed anche se non sarà altro che una parentesi, un enorme riassunto
di qualcosa che avrei voluto descrivere minuziosamente, arricchito qua e là con
scene scritte e rimaste inutilizzate, sarà il finale nato e cresciuto assieme
alla filosofia delle cronache e di quel mondo strano, inaspettato e a tratti
melanconico che con esse è vissuto.
Dedicato
a BB. Tua MJ
PROLOGO
Londra, Aprile
2003
La sala del
consiglio era affollata. Il caldo, in barba alla pioggia londinese che si
scioglieva sui vetri, era soffocante.
Sedie di ogni
fattura venivano portate all’interno dell’ambiente, accatastate contro le
pareti, inserite a lato delle file ordinate, sui gradini delle tribune, fino ai
palchetti ancora rivestiti in uno sbiadito velluto rosso.
Le persone si
accalcavano, le porte sbattevano, la confusione era sovrana. La vecchia aplomb
inglese, la cara vecchia aplomb inglese, considerò Methos, era perduta. E, come
se questo fosse un segno definitivo della disfatta, si sedette sul tavolo al
centro della sala, lasciando dondolare i piedi.
“Prego, fai
pure.” - commentò Doyle, incrociando le braccia e fissando gli austeri
osservatori perdere l’impassibilità e correre affannosamente tra panche e posti
già assegnati, litigandosi l’ultimo cuscino - “Come se fossi a casa tua…”
“Io sono a casa
mia.” - allungò un braccio, puntò un dito - “Vedi quel vecchietto con la toga
bordeaux? Sta seduto nel posto che era mio nel 1832. E quell’altro? Non può
saperlo ma, nel XVI secolo, in quel punto c’era la panca degli aspiranti, era
il posto peggiore di tutta la sala…”
Methos appoggiò
i palmi, dondolò ancora i piedi, guardandoli.
“Correvano così
anche il giorno in cui giunse la notizia dell’uccisione della prima Cacciatrice
di Spike.” - aggiunse. E Wes alzò la testa dagli incartamenti, guardandolo -
“Oh, si, Price. Io ero qui…”
Indicò con il
mento una porta, al centro, in cima alla gradinata.
“Un tizio ha
spalancato la porta gridando: ‘il sangue nero del Flagello ha infettato la
stirpe. La Cacciatrice è morta!’… un tipo plateale…” - si perse nel ricordo,
per un attimo - “Il sangue del Flagello…”
“Un argomento
sempre attuale.” - Doyle fissò ancora gli uomini, cercando di non ascoltarli. Da
quando le visioni se ne erano andate dalla sua mente, migrando chissà dove, era
divenuto stranamente silenzioso. Le avrebbe riavute, avevano garantito, ai
piani alti. Le avrebbe riavute, a tempo debito, ma l’assenza ancora lo turbava,
rendendolo stranamente lontano.
Westley lo
sbirciò, sottecchi. E, involontariamente, corse al ricordo atroce delle sue
convulsioni, del dolore e di quell’attimo infinito e freddo in cui li aveva
lasciati.
Soli. Senza
Doyle.
Solo, per
sempre. Scosse ancora la testa e il ricordo della paura svanì mentre tutto
attorno il brusio mutava. In aula si era creato il silenzio, imposto con un
perentorio colpo di martelletto.
E Wes, in
automatico, si era alzato, radunando gli appunti, preparandosi all’arringa. Era
il momento. Presto avrebbe dovuto spiegare l’accaduto, si ripetè,
presentandosi, elencando i propri titoli, tollerando le occhiate perplesse
innanzi alla cicatrice che gli segnava la gola, mantenendo un tono distaccato.
Narrare.. ma
narrare cosa? Le emozioni? Le angosce? Il senso di impotenza e quello di
trionfo? Narrare cosa? Una vita tra le mura dell’Hyperion? E cosa sarebbe
rimasto, infine?
Cosa potevano
saperne, quei quattro barbagianni di due vampiri con l’anima, una Cacciatrice e
un osservatore? Cosa potevano immaginare di una ex cheerleader in grado di
conquistare con il cuore e vedere con la mente e per amor di un demone?
Magari… magari…
parlando loro di bistecche…
“Gattina… i
vampiri non usano le bistecche.”
“E’ un’opinione.”
“No, è
certezza.” – insistette Spike – “Non ho bisogno di una bistecca.”
“See, see.” –
replicò Cordelia, piazzandogli ugualmente il surgelato sullo zigomo– “Vedrai
che poi andrà meglio. Westley, prendine una anche per Angel…”
“Per una volta
sarei d’accordo con Spike…”
“Grazie della
concessione, sei un toccasana per la fiducia personale.”
“Westley, la
bistecca.”
“Umphf… per una
volta… per una volta è d’accordo con me… io ho ragione spesso… no, anzi, io ho
sempre ragione.”
“William…”
“Non mi parlare
Flagello. Peggiori le cose.”
“Westley!”
“Cordelia...” –
Westley si affacciò alla porta. Aveva un occhio nero. Come dire….. nero – “
Sarebbe l’ultima. Visto che Angel non la vuole, posso tenerla io?”
Qualcuno
l’avrebbe volentieri definita una rissa da bar.
Westley, ad
esempio. Che stava ancora parlando, quando Faith era saltata sul tavolo ed
aveva spaccato lo sgabello che reggeva in mano sulla prima testa avvistata.
E che non aveva
visto arrivare il pugno solo perché distratto da Spike che incendiava le bottiglie
prima di lanciarle.
Ovviamente i
coinvolti, con tono stizzito, cercavano di dare alla questione una certa
impostazione eroica.
Salvifica.
Moralmente
indispensabile.
Divertente.
No, Spike,
questo non mi sembra il caso di tenerlo presente.
Ma se lo era….
Dicevamo,
epica.
Oppure…
“Ho capito, ho
capito.” – Wes allungò le braccia e sventolò le mani, per calmare quella corsa
all’aggettivo – “ mi bastava che qualcuno dicesse inevitabile. Faith, per
favore, puoi sfilargli quel… ehm… coltello?”
“Quale?” – Spike
si guardò distrattamente in giro. Poi afferrò l’impugnatura che gli sporgeva
dalla coscia – “Ah, questo?”
Lo sfilò senza
battere ciglio ed Angel lo prese prima che finisse piantato nel ripiano del
tavolo.
“Non arriverei
a definirlo coltello.” – aggiunse Spike, mentre, con occhio ironico, fissava
Faith, intenta a premergli sullo squarcio, con uno straccio.
Ovviamente la
Cacciatrice non lasciò passare la cosa. E premette anche le unghie, oltre ai
palmi aperti.
“Vampiro…” -
disse, quando il suo uggiolio sembrò consono all’occhiatina – “se sento
un’altra volta il reggiseno che mi si slaccia perché mi stai guardando, io ti
farò molto… molto, molto male.”
“ed io ti
metterò al tappeto.”
“Vuoi provare?”
“posso
baciarti, una volta che ti ho sbattuto per terra?”
“smettetela voi
due!” – scattò Cordelia, battendo i pugno sul tavolo. Poi, quando i due la
fissarono con aria allibita, aggiunse, pacatamente – “Ho mal di testa.”
“non stento a
crederlo.” – borbottò Spike. la faccia di Cordelia, stravolta per le visioni,
gli aveva ricordato il chip.
Ma strutturato
al contrario.
Se lui provava
a menar le mani, il chip, fintanto che era stato funzionante, lo aveva fatto
impazzire dal dolore.
Le visioni di
Cordelia, invece, erano il segnale per uscire ed iniziare a pestare tutti di
santa ragione.
Tutti i
cattivi, si intende.
Certo, Angel,
lo so anch’io che gli innocenti non vanno toccati….
Anche se in una
rissa ho difficoltà a separare gli innocenti dai picchiati… ma farò ovviamente
l’impossibile.
“ Ne sarò
lieto…” – aveva mormorato Angel. Domandandosi se si poteva perdere tempo in una
discussione superflua traendone così tanto piacere.
Il ritorno di
Spike non aveva turbato la normale routine di tutti i giorni.
Forse si era
aggiunta una certa confusione. Ma il succo del discorso era sempre uguale.
Difendere,
combattere, espiare.
Difendere,
combattere, espiare.
Difendere,
combattere, espiare.
“ehi! Frena! a
me sono stati promessi dei divertimenti!”
“Davvero? E
quando?”
“Angel ha detto
che avrei avuto la mia parte di divertimenti se mi sobbarcavo le incombenze.” –
Spike si puntò il pollice allo stomaco e mollò i sacchi della spesa.
“Veramente.” –
mormorò Angel, iniziando a ritirare la roba sotto lo sguardo interrogativo di
Cordelia – “io ho detto che avresti avuto le tue incombenze. Sei tu che hai
parlato di divertimenti.”
“E che c’entra
questo!” – Spike roteò gli occhi e li puntò al cielo –“Io sono certo che, per i servizi che presto presso la
comunità, mi merito delle gratifiche.”
“Spike, sei
tornato da due giorni…”
“Conti i minuti
gattina?” – replicò Spike, cambiando discorso, assumendo una falsissima
espressione adorante – “aver saputo che ti mancavo così tanto, sarei tornato
prima….”
E così via. In
effetti, ragionò Angel fissando la bistecca che finiva sul tavolo e Spike e
Faith che finivano sotto, la confusione era Parecchio aumentata.
Si, con Spike
tutto era aumentato. Era aumentato il senso di famigliarità, l’impazienza per
la lotta, la difesa delle proprie opinioni e la ricerca di loro stessi. Il
poeta biondo li aveva irretiti, sfidati e stroncati senza mai dare loro pace.
Spike aveva
portato un nuovo perché alle loro esistenze. E dato il via a quella che sarebbe
stata la loro più grande avventura e la parentesi più perfetta della loro
strana, romantica e irrecuperabile esistenza. Un’esistenza all’ombra di Angel,
l’ultimo grande eroe del vecchio millennio.
Un’ altra notte
all’insegna della giustizia.
Un’ altra notte
alla ricerca dell’infallibilità, di una risposta per ogni innocente.
Elargire
certezze senza averne di realmente proprie.
Attorno a Angel
stavano ancora discutendo, di disinfettante e tecniche di approccio. Attorno a
lui, ancora palpabile, il profumo inebriante del sangue versato, anche se in
ridotte quantità. Lividi, contusioni…
Cordelia aveva
chiuso gli occhi e si massaggiava quietamente la fronte. Un leggero movimento
rotatorio sulla tempia, come per risucchiare la fitta persistente.
Aveva delle
leggere ombre sotto gli occhi e, per sua stessa ammissione, era stanca.
Angel si alzò,
ponendosi in piedi dietro la sua sedia e, dopo un esitazione, posandole le mani
sul collo. La sentì rabbrividire per quel tocco freddo senza opporre
resistenza. Con movimento fluido, la vide
scostare i capelli e farli scivolare su una spalla, per lasciare campo
libero al massaggio.
“Dovresti
riposarti un po’.” – commentò, pacatamente. Cordelia, sotto le sue mani,
respirava piano, come una persona che desidera un po’ di silenzio per
riflettere.
“Mi piacerebbe…
ma non posso.” – sussurrò, in un sospiro soddisfatto – “Ho da fare… non mi
ricordo cosa… ma ho da fare…”
“Secondo me,
Angel ha ragione. “ - si intromise Faith, rinunciando all’ultima fulminea
stoccata nella discussione con Spike – “Hai una faccia che sembra una
gelatina.”
“Grazie.” –
commentò la ragazza, inarcando la testa per lasciare che Angel lavorasse su
un’altra contrattura – “Questo commento mi aiuta molto.”
Del resto, è
detto da una frittella all’uvetta, aggiunse, aprendo un occhio.
Faith
ricordava, in effetti, un dolce speziato. La sua carnagione dorata era
costellata di lividi ed escoriazioni brunite. Ed uno zigomo si stava gonfiando.
Wes le porse la
bistecca, senza un commento, mentre Faith lo zittiva con un’occhiata gelida.
“Dovresti
metterci qualcosa.” – insistette, inforcando gli occhiali. Per avere un’aria
più autoritaria – “Altrimenti domattina non riuscirai neanche ad aprirlo…”
“E’ gia mattina
e ci vedo benissimo.”
“Certo, e rompi
le palle tale quale ieri sera.” – commentò Spike, piantando i piedi sul tavolo
e accendendo una sigaretta – “Il che dimostra che stai benissimo.”
“Ti ho già
detto come non ti sopporto?” – ringhiò lei.
“Ti ho già
detto che ti amo?” – ribattè prontamente lui.
“Mmm… Angel…
falli smettere.” – mugolò Cordelia, piegando la testa dall’altra parte. Aveva
un collo flessuoso e attraente.
“Tranquilla
gattina.” – rispose Spike, sbuffando fumo e sorriso – “Amo anche te. Non essere
gelosa…”
in effetti
Cordelia era decisamente bella. Studiò, con aria critica. E, adesso che la
vedeva così, con gli occhi socchiusi e i capelli ondulati intorno al viso, non
poteva che chiedersi se Angel, dall’alto della sua assenza ormonale, si fosse
reso conto di questo particolare.
Era bella,
giovane e palpitante.
Si sarebbe
fermato a contemplarla se, da sopra la testa della ragazza, due occhi scuri non
lo avessero puntato. E polverizzato.
Si ritrovò a
ricambiare con sfida. Angel non aveva diritto di parola sulla sua vita. E
doveva ficcarselo in testa, oltre che continuare a ripeterlo.
Ma Angel aveva
abbassato gli occhi, nascondendo il volto in ombra. Per riflettere.
Alle sue spalle
la conversazione stava proseguendo. Ma solo una voce si rivolgeva a lui.
Una voce
impostata e beffarda.
“Allora,
Flagello… per oggi possiamo ritenere adempiuta la nostra fetta di redenzione?”
Angel sorrise,
cinicamente, serrando le braccia. Una fetta di redenzione… troppo dolce eppure
mai abbastanza.
“Io direi che
per oggi siamo a posto.” – insistette Spike – “Decisamente a… dannazione!”
Angel si voltò
di scatto, mentre il tonfo della sedia di Spike lo assordava.
In tempo per
vederlo muoversi e raccogliere tra le braccia Cordelia, stravolta da una nuova
visione.
Ed ora… ora era
tutto finito. Wes chiuse gli occhi un attimo, scacciando i ricordi, i ricordi
di un’epoca perduta e indimenticabili. Indimenticabili. E non per quello stuolo
di uomini che lo fissava in attesa di grandi verità.
Esiste una
verità maggiore del sentimento?
“Io non ti
capisco!” – sbraitò Spike, in preda ad una furia incontrollabile – “Sei pronto
a giurare e spergiurare sulla permanenza della mia anima rispetto alla tua. Ma
guarda come ti comporti, non appena cerco di prendere il controllo della
situazione!”
Si comportava
come un bambino viziato. Un bambino lasciato troppo a lungo in balia dei suoi
desideri.
Angel lo
guardò, traendo un respiro mentale per non iniziare, seduta stante, a pigliarlo
a ceffoni.
Ricordandosi,
con un attimo d’anticipo quanto poco servissero le bastonate di suo padre.
“William…” –
inspirò – “non ti sto dicendo di non avere una vita normale. Né tantomeno di
sentirti un menomato. Ti sto solo consigliando di essere certo di quello che
fai. Perché tu non sai dove stai andando e non ho nessuna autorità per
impormi.”
Wes si zittì,
perdendo il ritmo nella lenta e attenta lettura del proprio resoconto. Ancora
ricordi, ricordi da niente, parole, scene, frasi accantonate e dimenticate
sotto mille altre più importanti. Eppure.. eppure c’era tutto in quei
fotogrammi. Tutto ciò che erano stati.
Tutto.
Oh, Helen,
pensò Wes, fissando i cinque anziani della giuria, cosa non darei per te e il
tuo vestito rosa, ora…
Mi guarderesti
e, con una lieve alzata di spalle, mi daresti tutto ciò che ho bisogno. Una
risata, una presenza, un profumo di pace.
Helen… la tua
Faith è…
Con un
deliberato gesto, chiuse la cartelletta da cui stava minuziosamente leggendo i
dati della grande battaglia di Los Angeles, i come, dove, i perché che gli
osservatori, non paghi dei satelliti e degli informatori, volevano sentirgli
elencare.
La voce del
sopravvissuto, del caro figliolo tornato finalmente all’ovile.
“Signori, credo
che il mio verbale…” - esordì dunque, dopo un silenzio prolungato che ne aveva
generato uno ancora più gelido in sala - “Si stia rivelando inappropriato per
relazionarvi sull’accaduto. Permettetemi di raccontarvi i fatti come sono
stati... e non come sono divenuti sulla carta.”
Allungò un
braccio e la cartelletta, dal leggio, volò dritta sul tavolo, tra un tonfo
sordo e un unanime mormorio scandalizzato.
“Finalmente.” -
comentò Methos, compiaciuto - “Mi stavo addormentando.”
“Sai come è
Wes…” - replicò Doyle, piegando la testa e accendendosi una sigaretta - “Ci
mette un po’ a carburare le informazioni…”
Wes posò i
palmi sul ripiano in legno usurato dalle mille e più arringhe, fissando la
platea, l’oratorio, le occhiate offese e quelle curiose.
“Il tempo degli
osservatori, miei signori…” - disse, con voce chiara - “…E’ finito. Cominciate
a farci l’abitudine. Perché siete appena divenuti i fantasmi del passato.”
PRIMA PARTE
[I]
“E' tutto
iniziato così, per caso. Dopo la partenza di Edward, dopo Drusilla, dopo la
consapevolezza che il destino si sarebbe compiuto nel legame di sangue.” -
esordì Westley, poco dopo. In uno slancio di onestà, era sceso dal podio,
rinunciando alla posizione predominante al centro della sala e preferendo
sedersi al lungo tavolo su cui sedeva Methos, non lontano da Doyle. E
l'atteggiamento informale, rilassato contro lo schienale, le mani sui
braccioli, non aveva comunque ridotto le sue capacità oratorie - “Si, è
iniziato tutto così, alla fine di un'altra avventura, con Spike che alza le
spalle e si lamenta del sangue delle cacciatrici, dopotutto uguale a quello di
un immortale.”
Methos sorrise,
dello stordimento inziale dei presenti. Stavano ancora mal digerendo il cambio
di gestione che già price li gettava in medias res. Un po' repentino
come cambiamento, per un branco di vecchi ammuffiti!
Si erano
aspettati una pacata esposione, cronologicamente ineccepibile. E, invece...
dritti come frecce a Spike e alle sue lamentele.
“Forse non vi
interessa... ma, a scopo di informazione, il sangue immortale ha il sapore di
quello delle cacciatrici. Credetemi. Io ne so qualcosa.”
Quante storie
per un sangue così prelibato per poi scoprire che un Methos qualsiasi ha lo
stesso sapore!
Ti sbagli…
non è il sangue
immortale..
è il sangue di
Edward ad avere quel sapore.
Il tuo sangue,
Spike.
Il tuo sangue.
E' la tua
anima.
“Da tempo
eravamo giunti alla conclusione che l'incontro di Spike e delle cacciatrici
facesse parte di un destino scritto prima della notte dei tempi. Lo sapevamo…
ma, come nostro solito, non ci eravamo sentiti in dovere di dirglielo. E
sapevamo della profezia sulla stirpe.” - commentò Wes, senza battere ciglio -
“La stirpe delle cacciatrici un giorno si sarebbe dovuta concludere nel segno
di una nuova era, un’era che, cito testualmente, ‘non nascerà dalla morte
bensì dall’amore e si compirà nel riunirsi del sangue, nel legame del sangue e
nella morte del sangue’.”
Si interruppe,
concedendosi un respiro.
“Conoscevamo la
potenziale attitudine di Spike, sapevamo della leggenda... ma non sapevamo il
quando. Oggi è cosa certa. I tre segni si sono compiuti. La luce, la notte,
l'amore.” - aggiunse, senza smettere di fissarsi le mani spelate, segnate dalle
battaglia, scarne - “Nulla è rimasto.”
Nulla. Nulla se
non ciò che eravamo, dentro le nostre menti.
Alcune voci lo
avevano nuovamente interrotto, chiedendo una scansione cronologica nel suo
resoconto, meno umanità forse, meno emotività.
Suvvia, Price,
così non ci siete d’aiuto.
Andiamo, Price,
come pensate che si posa cogliere la situazione nella sua interezza se vi
ostinate ad essere così sibillino?
Chiedo scusa,
aveva risposto, in automatico. Ma i suoi occhi dicevano ben altro, mentre
intrecciava le mani, posando i gomiti sul piano e ricominciando a parlare.
La sua voce
calda, da oratore, in pochi attimi, riempì nuovamente l’aria. Ed egli, così
come un tempo aveva difeso la sua Cacciatrice e il suo diritto alla libertà,
affrontò nuovamente gli osservatori e il loro bigotto modo di osservare il
corso degli eventi.
“Quando venni
inviato a Sunnydale per occuparmi temporaneamente della Summers.” - e
razionalmente parlò di lei in quei termini, spersonalizzandola in una forma di
lealtà. Solo un uomo poteva parlare di lei come di una persona. Ed era
l'osservatore che l'aveva amata, sopra ogni cosa, non di certo il sostituto -
“Compresi in fretta che, per quanto l'imprevedibilità e l'astuzia potessero
giocare a vantaggio, si poteva ottenere un aiuto di ben altro genere anche
dall'osservazione e dalla memorizzazione di molteplici fonti leggendarie. Un
approccio accademico, indubbiamente, che ho imparato qui e ho stentato ad
abbandonare e che, a tutt'oggi, penso ci abbia salvato più di una volta.”
“Come no.” -
sussurrò Methos, celando il tutto in un colpo di tosse - “Salvi il mondo dalla
tua biblioteca, sbruffone.”
Wes non
rispose, ma stentò a restare serio. E si piegò, fingendo di cercare un foglio.
“Stronzo.” -
rispose, a mezza voce.
“Buffone.” -
altra tosse. Poi un segno di scuse - “Perdonatemi, ho preso freddo in aereo...”
“Ricomincio a
parlare appena smetti.” - fece eco Wes, soave, tamburellando sul tavolo. Nel
frattempo Doyle gli aveva rubato il foglio e ci stava facendo un aeroplanino.
Intanto, a lui, non avrebbero detto un bel niente - “A posto? Bene. Quelllo che
sto dicendo è che, man mano che procedevo nelle mie letture, si ideò in me
l'idea che ci fosse uno schema ben preciso dietro alcuni eventi casuali, che
tali eventi separati tra loro potessero inserirsi in una visione più ampia...
Sempre che casuale si possa definire il ritorno di un'anima in un vampiro,
oppure il fatto che egli abbia un fratello immortale.”
“Vi state
riferendo al Pescatore d'Oro, vero?”
“Come, prego?”
“E' il nome in
codice per Edward Coventry.” - spiegò Methos, in maniera stranamente
professionale, voltandosi - “Lo hanno identificato la prima volta mentre viveva
nel golfo del Tonchino. I locali lo chiamavano così per via dei capelli.”
Portava i capelli lunghi. E nei paesini
della costa lo conoscevano come il pescatore d’oro, per quella sua chioma
ribelle, per quei tratti bruciati dal sole e gli occhi di acqua liquida.
E Methos non era del tutto certo che quel
soprannome gli spiacesse.
Mosse il cappello con più decisione e si
tirò indietro i capelli, corti e lisci, brontolando. La camicia bianca che
indossava gli si stava incollando addosso. Era scandaloso.
“Mi dici cosa trovi in questa vita,
Coventry?” – il cappello smuoveva solo aria calda – “Caldo, insetti, puzza di
pesce… ti stai per caso inselvatichendo?”
Edward si voltò. E gli sorrise. Appoggiò
saldamente un piede e si issò, sul bordo consumato dell’imbarcazione. Il braccio con cui reggeva la fune si tese,
delineandosi di muscoli. E l’uomo, incurante dell’oscillazione anomala, protese
l’altro verso il vuoto.
“Getto via la saggezza.” – recitò,
ridendo – “ripudio il sapere.
I miei pensieri vagano nel grande vuoto.”
Ruotò il busto, salutando un’altra
imbarcazione. E la luce lo colpì in pieno, esasperando il contrasto tra i
capelli e la pelle. Gettò la testa indietro, e la sua voce scivolò sulle
leggere increspature azzurre.
“I miei pensieri vagano nel grande vuoto.
Stare sempre a pentirmi del male commesso non porterebbe il mio cuore alla
pace. Getto il mio amo in un ruscello solo
ma la mia gioia è come avessi un regno.”
Era felice. In pace con se stesso. Non se
ne sarebbe mai andato.
Ed io sono
andato a prenderlo, per farlo sparire dai loro radar. Ma era già tardi.
Gli ho guastato
la festa senza motivo.
“Ho capito.” -
Wes annuì, senza commentare. Methos, a sorpresa, risultava essere l'Osservatore
di Edward. Probabilmente, dalla notte in cui lo aveva ucciso, non aveva più
fatto altro che cercare di proteggerlo. In tutti i modi - “Si, sto parlando di
lui, Edward Coventry. Non penso che vi interessi del tutto sapere come la sua
strada si sia incrociata con quella di Spike, durante l'anno passato. E,
oggettivamente, è una storia piena di fatti privati che sono ben lieto di non
riassumere. Mi limiterò solo a dire che
Edward è stato, con le sue scelte, la miccia che ha dato il via al nostro
epilogo. Dopo di lui, la storia ha inizato a cambiare.”
Edward ci aveva
dato conferma del senso del nostro combattere.
Era per una
luce come la sua che avremmo dato le nostre vite.
Tutti. Nessuno
escluso.
Spike,
probabilmente, aveva in sé questa consapevolezza dalla nascita.
Tutto dalla
luce e per la luce.
Noi,
semplicemente, imparammo da lui. E da loro.
Edward era agli antipodi del suo fratello
vampiro… dal sorriso ai movimenti. Eppure…
Eppure Faith, per essere una Cacciatrice,
mancava a volte della fantasia necessaria. I suoi forse e i suoi eppure, figli
dell’intuizione, tendevano a finire nel reparto pensieri scartati.
Sicchè, il possibile punto di incontro tra Spike
ed Edward, venne sbattuto nella categoria ‘ effetti di luce’.
Così vicino alla realtà da essere sorprendente.
Perché la luce che Faith aveva identificato su
Edward, non proveniva da fuori... ma da dentro.
Venti minuti più tardi, rientrando all’Hyperion,
avrebbe trovato Wes sotto il portico, intento a prendere una boccata d’aria.
“Fatto tutto.” – disse, scavalcando la panchina
e andandogli incontro – “Ha detto che si farà vivo per parlarne. “
Ottimo, rispose l’Osservatore, girando le pagine
del giornale. Interrompendo la lettura, nel notare la sua espressione
pensierosa.
“Qualcos’altro?”
“No, niente di particolare.” – Faith scosse il
capo. Poi, visto che non aveva nulla da perdere in dignità, azzardò – “Wes,
posso farti una domanda?”
“Penso di si…”
“Ti è mai successo di incontrare qualcuno a cui
si addica il termine ‘ rifulgente’?”
Questo si che era strano, detto da Faith.
Wes si trattenne per un pelo dal chiederle come
diavolo sapesse una parola così forbita. Sarebbe suonato offensivo, gli ricordò
il suo sangue inglese.
“Ma no, è un sciocchezza.” – aggiunse, subito
dopo, la ragazza, movendosi per entrare in casa – “Lascia stare… si vede che
frequento troppo Spike e le idee bacate.”
“Presto fu
evidente che, dopo essersi ritrovato con il fratello, Edward non sarebbe
rimasto lontano a lungo. Lo sapevamo. Come sapevamo che il suo ritorno, una
volta ancora, ci avrebbe segnato, probabilmente in maniera definitiva. Ma lo
attendevamo, con impazienza. Edward Coventry, per quanto immortale e già parte
di un gioco differente dal nostro, era l’uomo del destino, per tutti noi.” -
spiegò, poco dopo, quando sentì i commenti affievolirsi - “L’unicità di questo
immortale va oltre l’essere il fratello di un vampiro destinato a redimersi e
divenire paladino. La forza di questo essere sta nell’assoluta umanità e
assoluta mancanza di incertezza innanzi al bene. Edward Coventry è luce. Personalmente,
in tutta la mia vita, non ho mai conosciuto nessun uomo di tale vasta
concezione del creato. E dubito che mai nessuno arriverà ad eguagliarlo. La sua
immortalità, signori, quell’immortalità che alcuni di voi inseguono e
osservano, è tanto forte e perfetta da stordire e accecare.”
“Alta velocità?
Esplosivi? Ma scusami, non sei preoccupato?” - domandò Cordelia, perplessa.
“In che senso?”
“Va bene che
sei immortale, va bene tutto, ma non hai paura di morire? Potrebbe accadere che
ti si stacchi la testa in un'esplosione…”
“Cordy...” – si
intromise Spike – “Edward non aveva paura di morire nemmeno da vivo…”
“Si.” – sorrise
lui – “Sono un incosciente dalla nascita.”
“Edward
Coventry è luce. Definizione appropriata. Luce senza ombre in un mondo di incertezza.”
- aggiunse una voce alle sue spalle. Methos era ancora seduto sul tavolo, la
stessa espressione incurante di sempre. Adam Pierson si rivolgeva ai suoi pari
continuando a celare la propria identità. Ma la sua voce, la sua voce svelava i
millenni - “Come suo osservatore, ho seguito la sua esistenza, passo dopo
passo. E tutti, i testimoni diretti come le fonti, confermano ciò che sta
dicendo mister Price. Edward Coventry, il Pescatore d'Oro, è un fuoriclasse
oggi ma, con buona probabilità, lo era già da vivo… la sua morte violenta, in
questo caso, ha preservato e potenziato delle doti umane uniche. E non solo nel
campo della scherma.”
"Non lo
avessi visto" - mormorò Cordelia, osservando la spada ruotare due volte e
piantarsi per terra - "Non ci avrei creduto."
"Non me ne
parlare."- aggiunse Wes, guardando Spike camminare fino a raccoglierla.
Per la terza
volta.
E, per la terza
volta, i loro occhi si spostarono dal vampiro battuto all'immortale.
"Non ho
parole." - ammise Faith, voltandosi - "E tu gli hai tenuto
testa?"
"Sono
stato fortunato." - ammise Angel - "Molto, adesso che lo vedo in
azione."
"voi la
smettete di pontificare?" - ringhiò Spike ripassando davanti alla tribuna
e rimettendosi in posizione - "vorrei vedervi al mio posto."
Edward accennò un
sorriso senza un commento. e, un minuto dopo, la spada di Spike si piantò
nuovamente a terra. Con una nuova ondata di commenti ammirati.
“Ritengo che
Spike abbia sempre percepito queste sue peculiarità fin dalla nascita e ben
oltre il legame fraterno. Negli anni più volte ha parlato di rifulgenza,
riferendosi a una disperata ricerca della luce.” - aggiunse Doyle, con voce
quieta. Nessuno fiatò per quell’intervento fuori programma. Se Pierson poteva
vantare l’osservanza di Coventry e la tutela di Faith e Price l’onorevole,
seppur ripudiata, appartenenza alla categoria, l’uomo che si faceva chiamare
Doyle godeva di uno status che sfiorava l’imbarazzo.
Cantastorie.
Una figura mitica come un drago e unica nella sua espressione.
Non era
sconosciuto ai presenti. Anni addietro, in un’imbarazzante occasione per la
Cacciatrice di Sunnydale, egli stesso si era presentato al consiglio, per
conferire e comunicare come l’universo avesse deciso al meglio per l’epilogo.
Morte di
Angelus per mano di Buffy. Fine del problema apocalisse.
Nessuno, già
allora, aveva considerato il vampiro biondo nell’ombra, quello che poi si
sarebbe adoperato per aiutarla a salvare il mondo. Ma, in quella stessa
occasione, il Cantastorie dagli occhi chiari aveva profetizzato senza perdersi
in preamboli.
“La prossima
volta che ci vedremo…” - aveva detto, con fierezza - “Sarà ancora per Angelus,
per Angel e per tutto ciò che lui rappresenta nel bene e nel male. Perché sarà
tramite lui che giungerà la nuova era.”
Tramite lui. Le
sue scelte. Il suo sangue.
Acathla era
stato solo l’inizio. Francis Allen Doyle lo sapeva. Il sangue di Angel non
avrebbe solo chiuso la porta dell’inferno. Il sangue di Angel sarebbe stato la
chiave della salvezza.
Ed ora, nel
fissarlo, il consiglio non fiatava. E sentiva, come non mai, il peso della
leggenda sulle proprie spalle e contro le proprie tempie.
Doyle fissò gli
anziani e non celò un sorriso, disciolse le braccia ancora incrociate, avanzò a
centro sala e si accese una sigaretta, preparandosi a fare ciò che sapeva far
meglio.
Il Cantastorie.
“Credo che ci
occorra un po’ di epica, a questo punto. Un tocco di poesia.” - comunicò, con
tranquillità - “E, per capire non possiamo iniziare da Edward l’immortale che
è, a conti fatti, l’epilogo di una lunga storia. Dobbiamo cominciare da uno dei
tanti inizi di questa storia. Ma, se non vi spiace, io comincerò dal mo
preferito… e il mio preferito è…”
1997, Sunnydale
Questa storia
inizia in un cimitero. Gente che corre, gente in pericolo.
Poi, come nelle
migliori saghe, dal buio appare l’eroe. L’eroe…
Forza
dell’abitudine, retaggio di centinaia di leggende, dare per scontato che il
protettore nel buio sia un uomo.
Questo è il
primo sbaglio.
Perché l’eroe
in questione è un’eroina.
Niente passato
traumatico, niente oscure motivazioni, niente tendenza alla solitudine.
È soltanto lei.
È soltanto la
Cacciatrice.
In una parola
si sintetizza tutto quello che c’è e non si vede.
Buffy Summers
si ritaglia uno spazio nella vita di Sunnnydale. Pochi la conoscono per quello
che realmente rappresenta. Bionda, appassionata di moda, propensa a mangiare
schifezze caloriche.
Parla talvolta
con rimpianto di un’epoca in cui poteva permettersi di essere frivola. Ha una
rivalità per nulla attenuata con la reginetta del liceo, Cordelia. In lei
probabilmente riconosce l’altra strada che avrebbe potuto percorrere, se il
destino non le avesse tirato un così buffo scherzo.
Cacciatrice.
Cacciatrice di vampiri. Di loro non sa nulla se non che vanno uccisi.
Distrutti.
La loro
esistenza è la causa della sua esistenza.
Non ci fossero
stati i vampiri, probabilmente non sarebbe servita neanche una Cacciatrice.
Esserlo sembra
una responsabilità di cui è meglio essere inconsapevoli. Quel qualcosa che
comprime le proprie ambizioni. Che preclude la strada che sembrava già
spianata.
Bella e di
animo leggero. Amata, felice… ignara.
Buffy abbandona
lungo la strada le sue ambizioni. Fonde disperatamente le sue passioni con i
suoi doveri. Impugna un rossetto ed una spada con la stessa abilità. Ed aldilà
dei suoi compiti, resta sempre una liceale intrappolata in qualcosa di troppo
vasto ed incomprensibile.
Come lei,
Willow. L’amica di sempre, quella che azzera i ricordi di un passato in cui non
c’è stata con le presenza discreta di ogni giorno. Capace , apparentemente
felice e completa, tra i suoi libri e le sue ambizioni di studiosa. Innamorata
da sempre dell’amico d’infanzia, Xander. Il primo a cadere innanzi alla
Cacciatrice, il primo a rinunciare a lei, scivolando verso un’altalena di amori
che rimpiange e ritiene sbagliati in egual misura. Willow, l’amicizia rovinata,
Cordelia, il tempo sprecato, Anya, il demone, la cosa più solida e labile allo
stesso tempo.
Un girotondo di
ragazze , rimpiangendo di non averne mai abbastanza.
Un incapace
dichiarato, ma sempre presente, notte dopo notte, a fianco di Buffy di Willow.
Capace di
parlare di una all’altra, scavando dentro un solco profondo, aprendo la via di
Willlow al desiderio di essere parte della grande vicenda in cui muove Buffy.
Dentro e contro
il destino.Un tema ricorrente.Per tutti loro.
Limitati
dall’essere semplicemente … normali. E di colpo non più.
Questo è Buffy.
Trasferita a
Sunnydale dalla città grande, insofferente allo studio, alla puntualità, alle
regole ed alle persone legate all’autorità. Insofferente alla malvagità.
Calamita per ogni forma di male, disperatamente alla ricerca di una vita
privata, in piedi sull’altalena precaria del destino.
Dentro e fuori
le profezie.
Destinata a
morire ed ancora capace di agire.
Quasi
incanalata nel suo destino ormai, quando giunge Angel.
Angel.
Di lui non sa
nulla se non che le piace.
Se non che ha
occhi scuri e profondi e sa più di quello che dice.
Le sorride
ironico. Finge di essere l‘altro se stesso, ogni volta che la incontra.
Una volta,
sull’altra.
La tiene
d’occhio e si compiace di ciò che vede… fino all’inevitabile…
“… questo è il
vostro Angel. Quello che ha attirato la vostra attenzione, se non erro. Colpa
mia, del resto.” - aggiunse Doyle, camminando avanti e indietro innanzi al
tavolo - “Era appena divenuto un mio problema, ed ero stato io a spedirlo a
Sunnydale, lo ricordo bene. Compresso nei sensi di colpa, schiacciato da una
missione che non capiva perché gli spettasse e irretito da quello che sarà,
alla resa dei conti, il grande amore della sua vita. Il primo grande amore
della sua vita.”
Scenerò e
spense l’ennesima sigaretta nel posacenere improvvisato che Methos gli porgeva.
E, nel farlo, alzò lo sguardo fuggevolmente.
Methos,
l’immortale, l’osservatore, l’amico di sempre, il padre.
L’essere che
ancora ora, nella profezia fino ai capelli, negava una propria personale
predestinazione. Del resto, era giunto alla fine del cammino con questi eroi
che presto, volenti o nolenti, lo avrebbero lasciato andare. Methos si
preparava a svanire nella nebbia, come suo solito. E altri cinquemila anni non
sarebbero bastati a tutti loro per rincontrarlo.
Ma da me
tornerai, ogni tanto, vero, papà? Lo farai almeno per me se non puoi farlo per
la leggenda?
“Non ci penso
proprio.”
“Eppure
dovresti.”
“Scordatelo,
Francis.” – replicò, implacabile, chiudendo la sacca e mettendosela sulla
spalla – “Non ho intenzione di rinunciare. Ci vediamo tra un paio di giorni.”
“Andiamo,
Methos, non è il momento per un week end di piacere.” – Doyle lo tallonò fuori
dalla camera. E Cordelia, vedendoli spuntare, abbassò la rivista e li seguì con
lo sguardo.
Methos, sul
passaggio, le sorrise. Era veramente una gran donna, le caviglie artisticamente
intrecciate, i capelli legati alti, in cima alla testa.. se non fosse stato per
quell’americanissimo chewin gum che masticava senza sosta…
“Ti verrà la
mascella quadrata.” – commentò, guardandola cimentarsi nell’ennesimo palloncino
rosa.
“Non gli
credere, principessa.” – si intromise Doyle, tornando poi a fronteggiare l’uomo
in partenza – “Se non l’hai notato c’è aria di guai in città, potrebbe servirci
parecchio aiuto nei prossimi giorni.”
Methos posò la
sacca e si voltò, fissandolo.
“Hai avuto una
visione dai tuoi?” – domandò a bruciapelo, piantandosi le mani sui fianchi –
“Qualcosa di tangibile su cui lavorare?”
Doyle si
interruppe, del tutto preso in contropiede.
“Non ancora,
ma…” – obbiettò.
“Niente ma. Se
succede telefonami.” – concluse, infilandosi il giaccone – “Cordy, buon fine
settimana.”
“Ciao, ciao, ci
vediamo quando torni.” – rispose lei, giuliva, tra una masticata e l’altra,
continuando imperterrita a sfogliare il giornale di moda – “Divertiti.”
Doyle le lanciò
un’occhiata tra il risentito e l’abbandonato. Poi si girò, sbuffando, verso
Methos.
“Francis,
ricordati si spegnere la luce e chiudere la porta, quando ve ne andate.” – si
sentì raccomandare, come se niente fosse.
E, d’un tratto,
si sentì depresso.
Come uno che
nessuno ascolta.
Doyle si voltò,
tornò verso il tavolo e allargò le braccia.
“Saltiamo
qualche particolare, miei signori.” - riprese - “Non credo che nessuno di voi
abbia interesse nel rimembrare alcune imbarazzanti sciocchezzuole, dal
cruciamentum di Buffy fino all’episodio che volete voi. I vostri fallimenti
sono deliziosi e per tutti i gusti, ormai. E non offendetevi per le mie
parole.”
Si era messo
una mano sul cuore, con aria innocente. E aveva indicato il soffitto, con un
dito.
“Sono loro che
lo dicono. Non io. E, del resto, di inizio in inizio, Angel è andato lontano.
Ha lasciato Sunnydale ed è venuto a Los Angeles. E ha fatto del nome di quella
vecchia cara metropoli un dato di fatto. LA, la città degli Angeli. E gli
Angeli, si sa hanno ali piene di luce, anche quando sono Angeli neri. Neri come
la notte e neri come i casi affrontati.”
Si sedette sul
profilo del tavolo, dando un’accelerata alle scandalizzate espressione,
spendendole dritte alla rabbia.
“Angel
investigation, siamo qui per aiutavi.” - sponsorizzò, con il miglior stile
insegnatogli da Cordelia - “E qui, Angel ha dato una casa, un senso e una vita
al sottoscritto, a Cordelia, a Wes e a se stesso. Non lo leggerete spesso nelle
storie su di lui, perché di solito premono il tasto su ben altri particolari,
anche più piccanti, volendo. Ma ciò che conta, in Angel, è lo scopo. Non tutti
lo hanno e non tutti sanno generarne uno per le persone che hanno a fianco.
Solo Angel, di
tante che ho conosciuto, ha saputo farlo. Io mi sono fatto ammazzare per Angel.
E so di cosa sto parlando, se ho saputo tornare persino indietro. Per la sua
vita e per l’amore che ha portato nella mia vita.”
Solo Doyle
poteva proteggere Angel.
Solo Doyle.
Ed era per
questo che era tornato. Aveva smosso terra e cielo, a partire da quando era
stato consapevole di quel pericolo.
Angel sarebbe
morto.
Il suo destino
era scritto.
Ma cosa può il
destino, se uno spirito irlandese prende in mano la situazione?
Nulla.
Nulla.
Ed Angel
sarebbe vissuto.
E Cordelia non
avrebbe dovuto piangere più.
E Doyle aveva
una nuova vita da vivere.
Ed in cuor suo,
sperava di essersela meritata. Perché mai, quel mondo tanto caotico ed
incomprensibile gli era sembrato più affascinante.
L’amore. Lo
abbiamo avuto in dono e lo abbiamo perso, lo abbiamo difeso, cantato, spezzato,
denigrato e ancora ricercato.
L’amore ha
guidato tanti nostri passi, in questi anni, in questi eventi.
E, ogni volta
che l’abbiamo sentito sfuggire e ci siamo sentiti spezzati, incapaci di
tenercelo stretto… abbiamo creato parole. Parole e canzoni, fino a sfinirci.
Quante ronde,
quante conversazioni… quante parole non dette… Angel gettò lo sguardo a quelle
lapidi. Mai più avrebbe riposato, appoggiato ad una di esse, con Buffy tra le
braccia. Non l'avrebbe fatto più nessuno.
Non ci sono
matrimoni in cielo, ma c'è l'amore.
Avrebbe tanto
desiderato credere.
Credere
realmente a quest'amore che poteva salvare tutto e tutti… ma che aveva ucciso
Buffy.
Ed uccideva,
giorno dopo giorno, chi amava. E chi era amato.
Angel voleva
vivere, disperatamente, non potendo strapparsi il cuore dal petto. Angel sapeva
di dover vivere. Non aveva bisogno di nulla, per sapere che avrebbe continuato
ad avanzare, anche se, in fondo a quel tunnel, non vedeva la luce.
L'avrebbe
fatto.
Perché Buffy
era morta per amore. E, per amore, loro sarebbero sopravvissuti.
Perché quella
era l'ultima volontà della Cacciatrice.
“Credi
realmente che esista un perché, Doyle?” – domandò.
“Certo.” –
rispose, dolcemente il demone, seguendo lo sguardo di Angel lungo i pendii
erbosi e le pietre abrase – “C’è sempre un perché, tutti lo inseguiamo, giorno
per giorno, cercando di ricongiungerci a lui. Siamo fatti per cercare. E
cercare di capire.”
“Come fai a
crederlo veramente…. Come fai a credere ancora in qualcosa…”
il mondo cade
in rovina. E su queste rovine, generazione dopo generazione, scorre il sangue
di una ragazza innocente, il cui perché è più grande di ogni altra cosa.
“Tu lo sai,
Angel. Tu sai quali sono i rischi che si corre ad avere una vocazione. Ad
essere predestinati. Buffy era parte del trascorrere di ogni cosa. Non sarebbe stata Buffy, se non avesse fatto
la cosa giusta.” – Doyle gli si affiancò, smovendo appena a terra, con la punta
del piede – “per il mondo, Angel. per questo mondo sarebbe stata disposta a
tutto. Ad uccidere te, a salvare Dawn e ad uccidere se stessa. E sapeva di
avere un buon motivo per fare ogni cosa.”
Angel annuì,
prima di scrutare nuovamente le ombre.
“Sai, uomo, c’è
un’altra cosa in cui credo…” – aggiunse, seguitando a parlare con il suo freddo
profilo – “Credo che nella vita solo un amore sia abbastanza grande da essere
eterno.
Che nella vita
nulla duri realmente, se non l'amore.”
L'amore che mai
le distanze hanno potuto spegnere.
L'amore che non
è sesso. E che non è fedeltà.
L'amore che non
può essere facile.
Ma che
ugualmente riempie il cuore e dona vita.
“L’amore,
Angel. nulla più. Non lo senti, realmente? Vuoi dirmi che non riesci a
percepirlo? Si muore per amore, Angel… credimi…”
Come poteva
parlare di se stesso, in quel modo. Angel scrutò le profondità azzurre, alla
caccia di quel segreto che gli permetteva di parlare così. Di parlare della
vita e di come si è pronti a spezzarla per qualcun altro.
Angel lo
guardava, muto, assorbendo ogni parola, crollando dentro quel vortice di
verità.
“Amore, uomo,
amore e null’altro. Non ho provato dolore quando sono svanito nella luce. Non
potevo, non potevo soffrire per una cosa tanto giusta. E lo rifarei, andrei
avanti a gabbare il disegno delle cose, semplicemente per amore.
Forse nel
destino reale sarebbe dovuta morire Dawn. Probabilmente Buffy sapeva. Sapeva
che il Consiglio aveva ragione.
Bastava uccidere
Dawn.
L’avresti
preferito?”
Angel scosse la
testa, mentre in testa gli rimbombavano le parole di rabbia di Spike.
“… per Buffy
non aveva importanza che fosse Dawn la predestinata. E se, per salvarla,
bastava porre un’altra vita sul piatto della bilancia…” – Doyle si interruppe,
per trarre conforto da un respiro – “Allora la Cacciatrice ha fatto la cosa più
giusta.”
C’era aria di
tempesta. Il cielo era coperto e soffiava un vento forte e aggressivo.
L’universo
stava accogliendo la Cacciatrice. La Cacciatrice era tornata alla terra su cui
si era sparso il suo sangue. Gli eventi, stravolti, tornavano al loro corso,
una volta ancora.
E, come un
fiume in piena, si rovesciavano nel mare infinito del fato. Annegando, con i
sogni ed i desideri di ognuno di loro.
“Fossi rimasto
a Sunnydale, sarebbe cambiato qualcosa?” – chiese Angel, alzando lo sguardo al
cielo cupo.
“E cosa
rispondeste…” - chiese uno degli osservatori. Era anziano, aggrappato al
proprio bastone, per nulla intimorito da quelle parole. Era vecchio. E la
vecchiaia rende coraggiosi.
“Non risposi.”
- replicò Doyle. E si accese un’altra sigaretta - “Ma Angel non aveva bisogno
una risposta. Angel sapeva. Aveva sempre saputo che non sarebbe stato il suo
amore per Buffy a cambiare l’universo. Non era lui il vampiro della
Cacciatrice.”
Scosse il
fiammifero, spegnendolo.
“No, fu solo un
dubbio, un dubbio comprensibile, quella volta. Ma una cosa è certa. Sapeva di
essersene andato da Sunnydale per un buon motivo e non ne dubitò mai. Quando vi
tornò, l’unica volta che volle spontaneamente tornarvi, nell’ottobre del 1999,
lo fece soltanto perché si trattava di
un motivo ancora migliore.”
" Che
fosse un nemico, o un coinquilino rompiscatole,
è sempre stato
uno della mia vita."
"Uno della
tua vita… è una ben strana definizione."
"La
migliore che si possa trovare."
[II]
“Non mi capite,
vero? Non mi sorprende. Voi siete uomini dai begli schemi, dagli eleganti
confini. Uomo e donna, bene e male, cattivi e buoni, amici o nemici, alleati e
traditori. Ma noi, i figli della zona d’ombra, non ci sentiamo di essere tanto
sofisticati. Noi siamo quelli che nella vita incontrano gente. E la gente non è
mai solo buona o solo cattiva, non è mai nella nostra vita solo per positività.
No. Voi potete
avere gli schemi. Noi ci limitiamo ad avere le persone della nostra vita.
Ed Angel, per
quelli della sua vita, farebbe tutto.
Ed è così che
la nostra storia ha ancora un nuovo invitante inizio.”
Quello
dell’ottobre del 1999 quando uno della sua vita… uno della sua vita... bussò
alla sua anima. E non volle mai più lasciarlo.
Erano stati
amici, padre e figlio, nemici, alleati ed infine di nuovo nemici.
Non sarebbero
mai potuti essere degli estranei.
Ed ora, quel
palpitare della loro anima in fondo al dolore, li rendeva fratelli.
Fratelli.
Fratelli di
sangue.
Sono successe
molte cose, in quei giorni. Io ero morto, ma le ricordo comunque. Si vede che
stavo da quelle parti. Spike non era propriamente in sé e c'erano ben poche
tracce per ricostruire l'accaduto, il ritorno inspiegabile di quell'anima
stropicciata.
Per un poco, ho
persino dubitato che le cose si aggiustassero. E credo che Angel la pensasse
come me, che non volesse nemmeno salvarlo.
Oh, si, di
questo sono certo. Angel lo avrebbe volentieri ammazzato, gli avrebbe risparmiato
la sofferenze e il peso di una vita di redenzione.
"Qui non
si tratta del sangue che non potrà più bere. Non temo il suo futuro. Ma conosco
il suo passato. L'hai visto? Io lo ridussi così, in un vicolo a Londra. Era
così, rannicchiato nello stesso modo in cui l'ho trovato stasera, quando gli ho
fatto bere il mio sangue per salvarlo dalla vita. Ma adesso… io non sono più
quello di allora. Gli ho portato via qualcosa allora… è passato troppo tempo
perché il riaverlo indietro non lo faccia soffrire."
“È un veterano,
il nostro Angel. E sono poche le cose che non sa del dolore di vedere volti di
vittime ogni volta che chiude gli occhi.”
“Un veterano?
Un carnefice, forse.”
“Si, certo. Un
carnefice. Come quel tizio con la falce in mano. La morte rende più intensa e
apprezzabile la vita, amici miei. Angel non fa eccezione alla regola. Spezzare
qualcosa e rimpiangerlo significa serbare un rispetto e una dedizione unica per
ciò che ancora resta intatto... ma questo è un bell'argomento da serate al
club. E noi, qui, dobbiamo parlare di ben altro.”
“Allora
proseguite...” - il parruccone sembrò ricordarsi con un attimo di ritardo a chi
si stava rivolgendo - “Per favore.”
“Spike,
dicevamo. Spezzato, disorientato e con un innato senso di dedizione nei
confronti del nostro vampiro bruno. Il vostro 'carnefice' per intenderci.
Credetemi…” - annuì, lasciando dondolare un piede e portando via un bicchiere
d’acqua non suo - “Angel non ha avuto vita facile con il bel William. Lo ha
educato, protetto e amato fin dall’attimo in cui lo ha portato via dalla cara,
vecchia, Sunnyhell. Lo ha portato con sé perché non c’era altro posto in cui
riusciva ad immaginarlo.
Un nuovo
inizio, dunque.
Un fratello
maggiore per William, un fratello minore per Liam.”
"Parlami,
Spike." - fece una pausa, domandandosi cosa gli sarebbe uscito dalle
labbra, se, per una volta, avesse buttato al vento tutti i segreti -
"Parlami."
L'avrebbe
implorato.
Avrebbe dato
l'anima.
Già. Avrebbe
dato l'anima.
"William."
Angel alzò la
testa di scatto.
Lo sguardo di
Spike era pieno di tormento. Ma la sua voce era ferma e salda, come Angel la
ricordava.
"William. Preferisco William. Lo pronunci
bene, per essere un irlandese."
Si interruppe,
girando appena la testa verso Wes. Ma l'osservatore scosse la propria
impercettibilmente.
“No, vai pure
avanti. Aspetto volentieri. E mi piace ascoltarti.” - Doyle sentì distintamente
la sua voce nella mente. E non commentò il piccolo abuso appena fatto delle
proprie doti meno accademiche. Wes non era cambiato solo per abitudini e
scelte... Wes si era spinto un poco oltre.
“Tuttavia..” -
proseguì dunque - “Tuttavia stiamo trascurando un particolare. Vedete, io credo
che l'amore basti sempre e spieghi tutto. Ma, voi e il cosmo, giusto per citare alcune categorie, anelate
sempre altre spiegazioni. E quindi, voglio ora portare alla vostra attenzione
un fotogramma.”
Angel sbatté le
palpebre.
Fratelli di
sangue.
Le mani…
Palmo contro
palmo…
Angel impugnò
lo stiletto con la sinistra; poi, allentando la prese della destra, inserì la
lama tra le due mani.
E la sfilò,
come estrarla da un fodero.
Un fodero di
carne.
E lo scagliò
lontano.
Lontano da
entrambi.
Spike, lo vide
sfuocarsi, poi, essere inghiottito dalle tenebre.
La gola gli si
strinse in un rantolo.
Immagini fulminee
gli balenavano a piena velocità nel cervello. Immagini di una vita non sua, di
un dolore che già sentiva in petto.
Un dolore della
stessa matrice, oltre i confini del tempo.
Le visioni
ruotavano sempre più veloci.
Lo facevano
impazzire.
Urlò forte, ma
qualcuno gli premette una mano sulla bocca.
Una mano che
sapeva di sangue.
Sangue potente,
sangue senza vita.
La luce che
sentiva dentro si espandeva anche fuori.
Energia che
lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue.
Il sangue che
si mischiava di nuovo.
Con la morte a
tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro triangolo
amoroso.
“Angel ha
sempre avuto una certa dose di intuito, su molte cose. Ma non c’è modo di
rendere, oggi, la portata di quella scelta e di quel legame.” - aggiunse,
riposando il bicchiere vuoto - “Quel contatto telepatico che non volevano
ammettere e credevano casuale si è creato in quell'attimo, tra quelle due mani
intrecciate. Era un modo di credere uno nell’altro senza frenarsi… un miraggio
d’umanità, si potrebbe definire, se volessimo pensare a loro come semplici
demoni. Ma io non ne sono mai stato capace. Erano esseri, esseri sperduti nel
tempo e ritrovatisi. Esseri dello stesso sangue e dallo stesso nome, separati perché
tanto si compisse. Così tanto…”
Sospirò. E si
voltò, ammiccando a Wes.
“Spiegalo tu.”
- domandò, ridanciano - “Io non amo parlare di questa parte.”
“Volentieri.” -
rispose Wes. Aveva atteso il suo turno, paziente, le mani ancora intrecciate, i
gomiti appoggiati al leggio - “Nel febbraio del 2000, dunque, Spike era orai
ufficialmente uno dei nostri. E noi eravamo sopravvissuti alla sua comparsa
senza particolari traumi. Anzi. Spike aveva portato un certo non so che tra di
noi. Conosceva Angel, lo conosceva bene, constatammo, con una certa sorpresa.
Conosceva Angel quasi quanto Angelus e, molte volte, questo particolare si
rivelò divertente oltre che utile. Spike sapeva aprire lo spiraglio sui misteri
del nostro vampiro con l’anima per antonomasia. E, poco dopo il suo arrivo,
tornò anche Doyle. Dalla morte. E per amore.”
"Cordy!Angel!"
- Wes lanciò tutte le sue valigie nell'ingresso e corse su dalle scale.
Frenando in cima - "D-Doyle?"
"Così
finalmente ci conosciamo…" - commentò il mezzo-demone, seduto sull'ultimo
gradino. Intento a giocherellare con un mazzo di carte - "E non nego che
per me sia un piacere…"
"Ma…come?"
Il cervello di
Wes stentava ad accettare tutte le informazioni con cui era stato bombardato
nelle ultime ore. Angel, avvelenato. Cordelia che lo chiamava nel cuore della
notte…e Doyle, tornato da chissà dove…
"Come? O
perché… qual è la domanda più interessante?" - lo canzonò blandamente -
"possiamo parlarne… ma io probabilmente non saprò darti nessuna delle due
risposte…"
"oppure
sarò io a non capirle." - replicò prontamente l'osservatore, lasciando che
i loro sguardi si incontrassero. Notando, per la prima volta, un sorriso
leggero e garbato, sul viso del suo interlocutore.
"Forse…"
- commentò, senza smettere di mischiare le carte - "Ma chi può dire…"
“Bravo, vero?”
- chiese il demone irlandese, chiamando a sé un applauso che la platea, con suo
grande disappunto non gli concesse - “Scusami, Wes. Vai pure avanti.”
“Vorrei
puntualizzare una cosa. Nessuno, a conti fatti, ha mai realmente appurato come
o perché l’anima di Spike sia tornata. Il diretto interessato non si è mai
sbottonato a riguardo. Ma, vedete, possiamo affermare con certezza che il ritorno dell’anima di Spike un
ennesimo input per il ritorno di
Doyle.”
Se non vi basta
l'affetto il desiderio di salvare la vita di Angel...
Se non vi basta
l'amore per Cordelia... o la passione per la vita...
allora tirate
una linea di unione tra l'anima di Spike e il respiro di Doyle. Andrà bene
comunque.
"Allora,
Cantastorie…" - Spike aveva uno sguardo fermo e profondo - " Con
quale messaggio sei arrivato, questa volta?"
"Nessun
messaggio. Avevo lasciato alcune cose in sospeso. E non potevo accettare la
morte di Angel. Tu saresti restato impassibile?"
"No. No.
Mai. Ma io sono Spike, e tu sei il suo custode."
"E' vero.
Ognuno ha il suo compito. Ed entrambi sappiamo come svolgerlo, direi."
"Tu
credi?"
"No,
Spike. Io non credo. Io so. È il vantaggio di essere un redivivo." - Doyle
alzò gli occhi al cielo - " Le mie fonti erano molto, molto, molto…
affidabili."
È Doyle, le sue
connessioni con l'esistenza sono infinite.
“Non ho
provocato io il ritorno dell'anima di Spike. Mi sono rallegrato molto quando è
successo, ma non sono stato io. Io sono un povero demone senza potere
decisionale. Ma…"
Doyle si fermò,
con aria birichina ed un dito sulle labbra.
Cordelia sostò
a fissarlo, incrociando le braccia. Le veniva tremendamente da ridere. E, in un
attimo, si ritrovò tenuta per il collo. Doyle aveva ricominciato a camminare e
parlare.
"Ma si potrebbe
dire che Spike ha a che fare con il mio ritorno."
"Che
cosa?"
"Io,
Cordelia, sono la terza opzione. Spike sarebbe dovuto morire, quella notte, a
Sunnydale. Ma Angel l'ha salvato. Ed ha segnato il suo destino. Ha scambiato il
suo con quello di Spike. Ed è qui che entro in gioco io."
"Tu hai
cambiato il destino di Angel."
"Esatto."
"Troppo
semplice."
"Come
scusa?"
Vero, Cordy.
Doyle ti aveva rifilato uan risposta troppo semplice. Ma è quello che succede
quando si afferra un filo singolo di ragnatela e non si vede l'arazzo sopra le
nostre teste. Può succedere a tutti...
“Non sapete la
motivazione del ritorno dell'anima del vampiro?” - si levò una voce, beffarda,
alle sue spalle - “Non lo avete scoperto?”
Wes non battè
cigliò. Ruotò solo di centottanta gradi, con tutta la sedia, fissando la
tribuna. E lo fece accavallando un braccio allo schienale e allungando le
gambe, come il peggiore dei bulli.
“Mi correggo.”
- disse, nel modo più educato che conosceva - “Nessuno a conti fatti, ha mai
realmente appurato come o perchè l'anima di Spike sia tornata. E questo perchè
non ce ne fregava un accidenti di niente. Quando ci è interessato, l'abbiamo
semplicemente capito.”
“E quindi?” -
insisette la voce dalla folla.
“E quindi non
offro spiegazioni a un pivellino senza incarico che non sa alzare il culo dalla
sedia per parlarmi.” - la sedia cigolò e ruotò di nuovo - “Andiamo avanti.”
“E parliamo di
Angel.” - consigliò Doyle.
“Veramente io
vorrei parlare di te. Se non ti spiace...”
“Di me? Forte.
Ma dopo, parliamo di Angel. Vi interessa il Flagello, vero?”
Una voce
rispose, dalla tribuna degli allievi. Era indubbiamente femminile. E
involontaria, potè dedurre Methos, dal silenzio imbarazzato successivo.
“Capita sempre
così quando nominiamo l'eroe oscuro, hai notato?” - scherzò il demone. E si
mise le mani a cono attorno alla bocca - “Tranquilla, ragazza senza nome, ti
racconteremo un sacco di cose di lui... anche della volta in cui cercava il
caffè sotto il lavandino della cucina.”
“Questo era
meglio se non lo dicevi...”
“E perchè...
dopotutto, è un uomo eccezionale proprio per quese cose.”
E tu lo sei
perchè l'hai sempre chiamato uomo. E l'hai sempre trattato come tale.
“Dovresti
pentirti di aver dato la vita per salvarmi… di aver sprecato le tue giornate
con me. Non sono l’eroe che pensavi… alla fine è venuto fuori.” – si era
fermato, dandogli le spalle. C’era un muro, tra loro, lo sentiva chiaramente.
“Levati dalla
testa questa puttanata del muro.”
Si voltò, senza
nascondere la sorpresa.
Doyle era in
piedi. Ed era… arrabbiato.
Ma,
soprattutto…
Oddio…
“Oddio?oddio un
corno, Angel! Non comportarti da paranoico! L’hai sempre saputo che tipo sono.
Sono un baro, un casinista e so mentire senza problemi. Credevi che sarei stato
tanto onesto da aspettare che mi dicessi queste cose? No, uomo, non se ne parla
nemmeno.
In questa casa
si è giocato un po’ troppo al gatto col topo, in attesa di crolli emotivi e
grandi confessioni.
Adesso mi
interessava sapere cosa ti passava per la testa e me lo sono preso! E se questo
gioco non ti piace… apri la bocca e parla.”
“Non l’ho
apprezzato, Doyle.” – replicò duro, incrociando le braccia.
“Io non
apprezzo la tua autocommiserazione Angel! E non apprezzo che tu metta in dubbio
la nostra amicizia per quella che ritengo una cazzata.
Credi che ai
miei occhi ciò che hai fatto a Drusilla sia peggio di quello che hai fatto a
tua sorella? Oppure a Spike? Lo credi veramente?”
Pazzesco… Angel
aveva fatto un passo indietro. Che espressione poteva avere per far arretrare
l’Angelo del buio?
“Credi che mi
importi più di quella folle che delle migliaia di innocenti che hai trucidato?
Credi che io non pensi mai a cosa hai probabilmente fatto alla zingara per
meritarti la maledizione?”
“Doyle…” –
balbettò. Il passato gli premeva tra le tempie e la voce di Doyle lo manovrava,
come solo il rimorso e la realtà erano capaci.
“Credi di
essere meno un eroe ai miei occhi. Per ogni goccia che sangue tuo che versi
adesso non tornerà nessuna di quelle vite! Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome. Ed
io sono fiero delle scelte che ho fatto, di tutte le scelte che ho fatto. Per
cui fammi il favore di non demolire la tua Redenzione e il mio Compito in un
colpo solo!”
c’era Faith
sulla porta. E, dietro di lei, c’era Cordelia. Spettinata, con solo una camicia
addosso e i piedi nudi. Doyle si voltò, dando le spalle a tutti loro e cercando
le sigarette.
“Sono calmo!” –
sbraitò – “Nessuna tragedia in atto!”
Wes interruppe
le proprie riflessioni e si ricompose, iniziando a parlare.
“Doyle, come di
certo sapete, è un Cantastorie. Vale la pena essere precisi sul fatto che non
si tratta di una carica onorifica, bensì di una predestinazione alla nascita.”
- spiegò, levandosi gli occhiali e pulendoli in un fazzoletto - “La sua
importanza non è mondiale, bensì cosmica. Per quanto non sia evidente e devi concedermi, amico mio, che non
sto mentendo, la sua purezza ha un che di sacro. E qualcosa di sacro del genere
non andrebbe toccato. Purtroppo per noi, parte di questo leggenda è ammettere
che questo scempio sia successo. Drusilla era un Cantastorie. E Angelus si è
preso il suo destino.”
Un mormorio
agitato sostituì quello scettico. Ma Wes non si lasciò intimorire.
“Già. Noi lo
abbiamo scoperto. Voi, immagino, lo abbiate sempre saputo. Perché ne parlo ora?
Perché tale scoperta ha cambiato un po’ la mia ottica degli eventi. E questo ci
riconduce a quello studio dei testi di cui si parlava prima e che ci ha
permesso di inizare a prevedere che qualcosa sarebbe successo... e che molto,
sotto i nostri occhi e addirittura prima delle nascita di buona parte di noi,
fosse già successo.”
“Ma andiamo con
ordine.”
“Si, con
ordine, ma nel limite del possibile. E quindi, al momento, direi che possiamo
parlare di Angel.”
“Bell'idea.
Contenta, fan del tenebroso?” - almeno sei più sincera di tutti gli altri...
qui aspettano solo di sapere di lui... ma non lo ammettono mai.
“Doyle, non
importunare la ragazza. Vuoi iniziare tu?”
“Riguardo
Angel? Ovvio che voglio. Lui del resto...” - comunicò, smagliante,
strofinandosi le mani - “E' una mia creatura. In tutto e per tutto. E, voglio
che lo sappiate da fonte certa, cioè io, sa benissimo di dovermi tutto.”
"Doyle,
Faith mi ha fatto notare che mi do da fare a proteggere tutti tranne te."
"E tu come
hai risposto?"
"Che
nessuno si preoccupa per il proprio Angelo custode."
“Adesso stai
esagerando.”
“Davvero? Ah,
già, sono inglesi. Non capiscono il mio senso dell'umorismo.”
“Si, e adesso
ci ammazzano.” - commentò Wes, una maschera di cera nel fissare i suoi
colleghi.
“Mai stato così
contento di essere una tempra coriacea.” - aggiunse Methos, seguendo la stessa
traiettoria visiva - “Ne uscirò vivo... ho gambe lunghe e veloci...”
“Ehi,
irlandese.” - urlò una voce dalla folla degli studenti - “ti decidi a parlare?”
Doyle si voltò
di scatto, fissando la moltitudine. Erano giovani, curati nel vestire e, con
una sola occhiata, divennero tutti pigmei.
Non era il modo
migliore per rivolgersi al Cantastorie dell'universo ma, forse, più brillante per farsi apprezzare, dicevano
gli occhi di Doyle quando si voltò per tornare al tavolo e sedersi. Non poteva
accettare le insubordinazioni ma non disdegnava di ammirarle, come sempre.
“Angel. Il fu
Angelus, Flagello d'Europa.” - scandì dunque, puntando una mano sul tavolo e
sedendosi di slancio - “Immagino che sappiate come è fatto, per cui tralascerò
prontamente descrizioni di occhi, addominali, capelli ingellati e predilezione
per il nero. Diciamo solo che il risultato finale è pregevole, un mix di
maschio e demone non discutibile. Potete ammirarlo in tutte le foto con
teleobbiettivo che siete riusciti a scattargli, o dal satellite che tenete
puntato sulla sua testa. Io, qui e ora, preferisco parlarvi di lui per come
l'ho conosciuto e apprezzato.
Non come
demone.
Non come eroe.
Ma come uomo.
Si, signori.
Angel, l'uomo.”
L'ho chiamato
così in ogni istante della nostra amicizia.
"Tu devi
rassegnarti all'evidenza, mio bel vampiro." - lo canzonò il Cantastorie,
nel guardarlo dall'alto, nel ridere, vedendolo sdraiato nel fango - "Non
andrai lontano, se resti nell'ombra. E sai perché? Perché non hai quel nome per
casualità."
"Vuoi
parlarmi del destino? Avevo questo nome già mentre massacravo e uccidevo, avevo
questo nome…"
Non voleva
dirlo. Non voleva dire la fonte del suo nome. Non poteva ricordare gli occhi…
"Oh, mio caro
eroe!" - il Cantastorie camminava in tondo -"Kathie vedeva molto
lontano…"
"Come puoi
sapere di lei! Non puoi capire, non mi conosci…"
"Ti
sbagli. Io ti conosco." - sussurrò, chinandosi verso di lui, squadrandolo
con quegli occhi enormi. Occhi mai visti - "Il destino ti ha riservato una
strada faticosa e bifronte. Una sbagliata, come il nome che avevi. Ed una
giusta, quella che stava racchiusa negli occhi di tua sorella, quella notte. Angel, non Angelus. Angel, il nome di chi protegge."
Gli sorrideva, illuminando
il buio della notte.
"Prendi la
mia mano, Angel, prendi la mia mano ed imbocca la tua strada, non rimandare più
la tua scelta. Là fuori, aldilà di questo vicolo buio, ci sono persone da
proteggere. Persone che sapranno riconoscerti appena ti vedranno, per quello
che sei. Persone che ti parleranno, con le parole di Kathie. Perché tu, nel
male e nel bene, sei il loro custode…"
Angel alzò lo
sguardo, fino ad incontrare quello del Cantastorie.
"Chi
sei."
"Te l'ho
detto…sono il Cantastorie…" - la sua mano era calda, invitante -
"Prendi la mia mano, uomo. Esci dall'oblio e vai. "
"E tu?
Verrai con me?"
"Uomo…"
- si lasciò andare ad una breve risata - "Tu non hai bisogno di essere
sorvegliato. Non c'è motivo perché io ti venga appresso. Io so che farai ciò
che devi: il resto non ha importanza."
"Ci
rivedremo?"
"Certo. e
ci racconteremo le nostre storie. Perché vedi… il mondo è vasto, e splendido.
Il mondo è fatto di luci e pochi, per questo motivo, sanno cosa si può annidare
nell'ombra. E le storie, strane, insulse o difficili da raccontare, portano la
mente verso questo buio che ci circonda."
"Per
capire che la luce non è mai fuggita?" - replicò Angel, con un'amarezza
senza limiti - "Cantastorie, saresti capace di dire sul serio una cosa del
genere?"
"Dire una
bugia, dire una verità… la luce e l'oscurità non sono forse relative? Come gli
sbagli. Ma io non ti mentirò, se è quello che temi. E non ti darò le risposte
che cerchi." - stava appoggiato ad una scala antincendio, con le mani in
tasca ed il cappello buttato indietro, a scoprirgli una fronte spaziosa ed un
viso perennemente giovane - "Ci rivedremo, Angel. Ed avremo tempo, per
raccontarci e capire."
"Cosa ti
fa credere…"
"Non sei
perfetto, Angel. Tu sbaglierai ancora e" - i suoi occhi ebbero un'esitazione
fatta d'ombra - "e pagherai. Pagherai come non puoi nemmeno immaginare. Ma
tutto ha un perché, anche quando ti sembrerà che nulla sia rimasto in piedi. E
saranno quei momenti di nulla che diverranno storia. Ed avranno senso solo
quando l' avrai raccontata a qualcuno."
Angel chinò il
capo. Quelle parole, all'inizio così strane e incomprensibili…
"Vattene,
uomo. Più starai lì fermo, più tempo passerà prima del nostro incontro." -
si scosse dalle sue considerazioni e gli passò a fianco - "Credimi… fuori
dal vicolo ti aspettano molte cose…"
Angel non si
voltò, si limitò ad ascoltare i passi che si allontanavano. E che si fermavano.
"Il tuo
primo compito è trovare la Cacciatrice. Cercala e tienila d'occhio. Devi darle
il tuo aiuto. Sei il suo Angelo, adesso."
Angel rimase
immobile, lasciando che il suo essere assorbisse l'informazione. Invece di
rifiutarla. Avrebbe voluto dire qualcosa. Ma, infine, seppe formulare una sola
domanda.
"Il suo
nome?"
"Buffy. Buffy Summers."
I lineamenti gli si erano addolciti. Povero Angel, con
il peso di un'anima e di un mondo intero sulle spalle. Nessuno aveva pensato
che sarebbe stato troppo, tutto assieme. Nemmeno Doyle aveva dubitato delle sue
forze, allora.
“Angel non era cosciente della sua forza di volontà.
Doveva essere la dote che meno lo aveva contraddistinto, in ogni fase della sua
esistenza. Un padre che lo aveva cercato di schiacciare, una donna che lo aveva
ucciso e snaturato, una zingara che lo aveva maledetto e, infine, un'anima che
lo aveva colpevolizzato.
No, Angel è stato molte volte una vittima della sua
esistenza. E Angelus ha sfruttato quelle doti naturali mai considerate, la
forza, l'empatia e l'intuizione, nel peggiore dei modi: per uccidere,
distruggere, cancellare.”
Angelus non sapeva cosa farsene di tutta quella
speranza e fragilità umana. E le ha gettate via, come cose inutili.
“Quando io andai a cercarlo, Angel era così,
disperato, perduto, annientato. Non era ancora Angel, in effetti, era qualcosa
in bilico tra le due fasi, indeciso, ancora troppo predatore o troppo debole,
tutto istinto e niente disciplina. È occorso molto tempo e molto tai chi perchè
trovasse un barlume di ragionevolezza. Ma avere una missione lo ha aiutato a
concentrarsi. E non conta che il desiderio di fare il bene sia venuto dopo, che
dapprincipio sia stata una cosa quasi meccanica.
Angel si è ricostruito e lo ha fatto per il motivo più
umano che esista.
Amore.
Voleva essere amato.
Voleva poter amare.”
Dopo Buffy, ha saputo restare in piedi con le sue
gambe. E, quando ha avuto Spike e Faith, ha compreso di poter aver qualcosa di
importante da trasmettere.
“Everybody needs somebody to love, cantavano I
Blues Brothers.” - sospirò, dondolando un piede, ancora seduto su quell'angolo
di tavolo che sembrava piacergli tanto - “Angel non è stato da meno. È stato
un uomo. E, come uomo, se ne è andato
da Sunnydale, è venuto ad LA e si è dato un nuovo scopo. E, con la forza di
volontà che aveva compreso di avere, ha imparato che poteva portare qualcosa di
ben più importante della salvezza.”
Tacque. E li fissò. Fissò la tribuna da cui erano
partite le frasi sarcastiche, con serietà.
Pendevano dalle sue labbra.
“Sapete cosa?” - domandò, gentilmente. Ma stranamente
pacato. Come un insegnante.
Alcuni cenni, alcuni sussurri. Alcune voci azzardate.
“La forza?”
“Il bene?”
“No.” - Doyle scosse la testa, con un sorriso lieve.
Il bene... il mondo andava avanti da
millenni e nessuno sapeva ancora cosa fosse il bene. Angel è in gamba, ma non
esageriamo - “No, ragazzi.”
Rialzò la testa. E la sua forza sembrò incorniciarlo.
“La speranza.” - replicò, nel silenzio - “Speranza.”
Per tutti noi. Per Cordelia, Wes, per me.
Per Faith.
Per Spike.
Oh, si, per Spike sopra ogni altro.
Perchè Spike aveva la luce dalla sua. E la vita.
Ma mai, prima di Angel e dell'Hyperion, aveva saputo
sperare.
***
“E' così,
dunque.” - sospirò uno degli anziani. Sedevano ad un tavolo rettangolare a qualche metro di distanza da quello
predisposto per i delegati della Angel Investigation - “E' un quadro molto affascinante
del Flagello. Ma lacunoso, oserei dire.”
Si sporse,
intrecciando le mani.
“Avete parlato
di Drusilla, mi sembra. Avete detto che è stata opera di Angelus e avete
esposto una teoria valida e sconvolgente. È grave pensare una cosa del genere e
tuttavia non tenerla presente nel descrivere l'uomo... o il demone.”
“E' grave non
sapere scindere gli eventi.” - rispose Wes, senza curarsi di interrompere
Doyle. Teneva gli occhi bassi, giocherellando con una matita - “La verità è che
Angel ed Angelus, e non mi stancherò mai di ripeterlo, sono due entità
divisibili. Angel ha un demone e un'anima. E l'anima è più potente dell'istinto
sanguinario. Angelus... Angelus è privo di anima, non c'è nulla che contrasti
la sua parte demoniaca. Equazione matematica.”
“Certo, certo.
Essenza demoniaca che tuttavia, per tua stessa ammissione, sussiste, in Angel.”
“Certo.” - alzò
gli occhi azzurri, diretto e letale nel ripetere la parola accondiscendente -
“Ma in catene. Angel sa quanto e come utilizzare il proprio istinto.”
“Non lo ha
fatto, nella battaglia che avete appena affrontato.”
“Errato.”
“Non credo
che...”
“Errato.” -
ripetè, come un colpo di frusta. E si alzò in piedi, per difendere le proprie
opinioni - “Angel non ha ceduto al demone e questo non è un processo alle sue
azioni. Vi stiamo dicendo chi sia, in cosa creda solo perchè, per una volta
tanto, non lo conosciate tramite i vostri biechi metodi di sorveglianza.”
“Westley, non
credo che...”
“Oh, lo so in
cosa credi, papà!” - ringhiò, deciso ed esemplare - “Lo so benissimo e,
non dubitare, che non mi è sfuggito nulla delle tue opere di 'contenimento eroe
disturbato'.”
Papà? Methos
alzò gli occhi verso l'uomo grigio di capelli. Aveva occhi azzurri e spenti,
l'aria autoritaria e solenne. Lo conosceva solo di vista, troppo in alto per
poterci parlare direttamente. Sicchè tu sei l'uomo del mistero...
Il figlio di
puttana che rema contro... adesso mi ricordo di te... eri quello con le
siringhe in mano, il giorno dell'incarico ufficiale. Il giorno in cui sono
divenuto osservatore di Faith al posto di Wes.
Methos fece
strada ad entrambi fino al bancone della cucina. E quando furono entrambi
vicini, posò la scatoletta sul ripiano lucido, poco lontano dal lavandino
cromato.
E la aprì. Al suo interno c’erano una coppia di
siringhe, diverse per particolari che né Faith né Doyle riuscirono a
identificare.
“Queste, Faith,
sono la garanzia che il Consiglio ritiene di avere.” – commentò – “la prima è
una soluzione, per una pratica che si definisce Cruciamentum. La seconda è un
potente sedativo molto simile al primo ma in grado di stenderti, nel caso io
dovessi decidere di portarti in Inghilterra contro la tua volontà.”
Le nocche di
Faith divennero bianche, nello stringere spasmodicamente il bordo del ripiano.
Gli occhi di Doyle erano enormi. E del tutto sbalorditi, nell’incontrare quelli
di Methos.
“Non credevi
mica che mi mandassero qui in veste di soprammobile.” – commentò, velenoso,
guardandolo dritto in faccia – “Hanno preso le loro precauzioni, come vedi. Se
non per un picolo particolare…”
Senza mezzi
termini, Methos aveva svuotato la siringa nel lavandino. Il getto trasparente
era uscito fulmineo, nella rapidità con cui lo stantuffo era stato premuto.
Piccoli schizzi avevano macchiato l’acciaio lucido, presto seguiti da altri di
un secondo liquido. Entrambe le
siringhe erano vuote, adesso. E Methos, aperto il rubinetto, le stava
nuovamente riempiendo.
Ma con acqua.
“Adesso sapete
entrambi che sono inoffensive.” – commentò – “Se mai un giorno ci ritroveremo
nei guai e costretti a usarle, Faith, mi appello alle tue capacità di
recitazione. Voglio che tu spieghi questo fatto anche a Wes.”
“Non puoi
dirglielo tu?” – domandò la ragazza, cercando di barricarsi dietro un fiacco
tono di sfida.
“Di me non si
fida, ma di te si. Crederà a quello che gli dirai. Siamo pratici, Faith. Questo
gesto è plateale e del tutto privo di reali garanzie, per te. Interpretalo come
preferisci. Ma non nasconderlo a Wes.”
Ma Wes non
l'aveva presa bene comunque, a quanto ne sapeva Methos. Ed ora, tutto sommato,
iniziava a capirlo. Dopotutto, doveva aver sempre saputo chi militasse nella
fascia radicale del consiglio e, a posteriori, non era difficile pensare che
Wes, quelle stesse siringhe, le avesse già una volta tirate sul pavimento,
inimicandosi del tutto lo stato maggiore degli osservatori.
“Westley, ti
invito a non rendere questa conversazione un fatto personale.” - stava dicendo
l'uomo, con voce d'acciaio - “Si sta discutendo solo sui punti di vista.”
“Perchè qui
avete solo questo a cui aggrapparvi. Un punto di vista.” - si intromise Methos,
con calma. E usando deliberatamente quel voi che probabilmente sarebbe stato
preso come una dichiarazione di guerra - “Qui è la sede dei punti di vista, del
fascicoli e dei cavilli. E avete anche abbastanza onestà da ammetterlo,
l'intelligenza non vi è mai mancata. Ma là, dall'altra parte dell'oceano e nel
pieno della mischia, tutto è una bomba ad orologeria. E l'obbiettivo finale non
è avere una visione ineccepibile e radicale, ma solo una consapevolezza lucida
delle proprie azioni. Angel ne è consapevole. Per il presente in cui agisce e
per il passato di Angelus che si porta appresso. Non lo vedrete mai alzare le
spalle al pensiero di Drusilla, non lo vedrete mai rinunciare ad un'azione
perchè sarebbe inutile. Angel sa accanirsi per salvare anche una candela che si
spegne.”
“Angel non
lascia mai andare nessuno. Nemmeno chi dovrebbe.” - aggiunse Wes, lasciandosi
andare contro lo schienale.
“Ti riferisci a
qualcuno in particolare?”
“No, signore.”
- replicò Wes. Angel ama ancora adesso suo padre - “Nessuno in particolare.”
“In tal caso,
se non avete nulla da aggiungere e i nostri punti di vista non possono
incontrarsi...” - il padre di Wes fece un gesto educato e non discutibile -
“Prego andate pure avanti. E parlateci dell'altro vampiro. Di Spike.”
“Tutto a suo
tempo.” - ribattè Doyle, per niente intimorito dalla piega degli eventi -
“Angel merita ancora un certo spazio e lo avrà... in barba ai punti di vista.
La sua storia è parte di quella di Spike quanto quella di Spike è parte della
sua. Non sono scindibili, non sono uno giutificabile e l'altro condannabile.
Anche se, non dubito, in questo momento desideriate farlo.”
“Non c'è una
preferenza. Abbiamo solo una visione... diciamo meno parziale.”
“Fate pure. È l'unica
cosa che vi resta da proclamare, ormai.” - il demone districò le dita
intrecciate e allargò le braccia, con aria conciliante - “Siamo qui perchè
meritate un ultimo resoconto, per gli annali. Voi ci state trattando come se
non sapessimo bene la lezione ma, vedete... io non prendo lezioni da nessuno.”
Sorrise,
tranquillo.
“Io, se volete,
posso darvi anche delle lezioni.” - specificò - “Non ho la saggezza del tempo
dalla mia parte.. ma ho il cosmo. E il futuro. E, mi spiace darvi un dolore,
anche qualche dogma interessante.
Angel è un
eroe.
Angel è l'eroe.
È il vampiro
con l'anima.
E tiene la
salvezza del mondo tra le mani un giorno si e uno no. Commenti?”
No. nessun
commento.
“Benissimo.” -
si alzò, infilando le mani in tasca - “In tal caso, vi parlerò di lui ancora un
poco, se non vi spiace.”
E voltò le
spalle al tavolo degli anziani, deliberatamente, fissando la tribuna laterale
degli allievi.
“Quando Angel
giunse a LA e ci ritrovammo, ad un tratto, a combattere gomito a gomito... ed
io ebbi modo di conoscerlo. Ed iniziare ad aprire uno spiraglio sull'uomo che
era... e che voleva diventare.”
“Ehi, uomo.” –
Doyle accese la luce senza tanti complimenti. Rimanendo deluso quando si rese
conto che Angel non era alla scrivania, intento a cercare di ricomporsi dopo
quella brutale intrusione.
Si guardò
intorno, strofinandosi pensosamente l’ombra della barba. La grande finestra gli
restituiva l’immagine di un ragazzotto trasandato con la camicia stropicciata.
“Ma sei davvero
così giovane?” – domandò al suo riflesso, vedendolo impegnato a lisciarsi la
maglietta per metà fuori dai pantaloni – “Dovresti avere i capelli grigi, a
questo punto, a forza di corrergli appresso…”
scosse la
testa. Ed il riflesso gli rispose con una rassegnata alzata di spalla. Indicandogli,
con lo sguardo, la porta socchiusa per il tetto.
“Ce ne vuole,
per trovarti…” – commentò, sbucandogli alle spalle – “Non è che, per caso, mi
hai visto arrivare e sei scappato?”
“Se lo facevo,
non mi trovavi.”
“toh… ma allora
parli! Vivi qui da ben una settimana e già mi parli. La città ti fa bene…”
“E’ solo una
città.. ne ho viste a migliaia…”
“Ma nessuna è
come questa, uomo.” – si sedette sul cornicione, con naturalezza… cercando di
non pensare alle sue vertigini. Fissando questo alto e bel vampiro che gli era
capitato tra capo e collo… un incontro deciso in chissà quale partita a carte
tra il destino e le stelle.
Aveva degli
occhi neri e profondi, come inchiostro.
Le luci
cadevano al loro interno, come lucciole. E vi affogavano.
“Nessuna è come
questa…” – ripetè, cercando di non farsi distrarre dalla sensazione che Angel
non lo stesse ascoltando.
“Nella notte,
le città sono tutte uguali.” – mormorò, interrompendo il monologo che Doyle
stava già preparando nella mente – “C’è il male, il desiderio... e il nulla.
Quando sei parte della notte, talvolta, quel nulla diventa insostenibile.
Faresti tutto per interromperlo…”
Oh, mio dio,
allora parla. Il pensiero gli sfrecciò rapidissimo nella testa provocandogli
una certa vergogna.
Era la prima
volta, veramente…
Quanto l’aveva
aspettata…
“E cosa accade,
quando provi a combattere il nulla?” – azzardò.
Angel accennò
una smorfia, un leggero sorriso di autoderisione.
“Distruggi.
Tutto ciò che ha un senso, tutto ciò che non puoi capire.” – replicò, conciso –
“Uccidi, massacri… oppure rimani intrappolato nella tua testa, senza riuscire
a…”
si era
interrotto. Con una breve alzata di spalle, come se non fosse poi così
importante.
“Era questo che
provava… Angelus?” – azzardò Doyle.
Angel si voltò
a fissarlo, come se solo ora si rendesse conto di non aver parlato solo a se
stesso. Quel buffo tizio, quel… Cantastorie… aveva un modo diretto e limpido
per porgli le domande. Lo guardava con occhi appena sgranati… c’era quasi la
luce in quegli occhi chiari. Brillavano…
“Angelus voleva
per sé ogni bellezza.” – mormorò, come se questo spiegasse tutto – “Voleva la
vita, l’incomprensibile… tutto.. e poi di nuovo da capo… solo una volta si è
sentito… totalmente appagato…”
La sua voce si
spense, per un attimo. Gli scivolò dentro i lineamenti, indurendoli.
“L’apice della
sua passione è ora il più buio dei miei incubi.” – sussurrò, a denti stretti –
“E ora andiamo. La città ci chiama.”
“Purtroppo non
abbiamo avuto molto tempo per goderci la reciproca compagnia.” - sospirò poi,
voltandosi e giocherellando con alcune relazioni di Wes. E lo fece per calere
un sorriso infelice, prima di tornare al propria arringa - “Io sono morto e
Angel è andato avanti senza di me ma, tuttavia, con un Cantastorie d'eccezione.
Cordelia Chase, la donna più bella che sia mai esistita. Mia moglie.”
[III]
Ecco. Questo
era saper fare gossip. Avessero avuto macchine fotografiche, sarebbero esplosi
i flash. Doyle, con un sorriso sessantaquattro denti, teneva una mano alzata e
con un dito dell'altra si indicava la fede.
“Ma tu
guardalo...”
“Cerca di
capirlo. È la sua luna di miele...” - lo difese Methos, divertito - “Visto che
i biglietti per Londra li pagavo io... credo che si siano visti l'ultima volta
in aeroporto... tra un impegno e l'altro...”
“Già. Come
sempre, ci siamo messi di impegno per invadere la sua privacy.” - sospirò Wes.
E gli sfuggì una risatina.
Methos si
voltò, interrogativo.
“Bhe?”
“Nulla,
nulla... mi è solo venuto in mente un episodio... tanto tempo fa...”
"Svelato
il mistero…"
"Adesso
che facciamo?"
"Violiamo
la privacy di Doyle e Cordelia." - rispose semplicemente Angel, girandosi
ed andando verso la porta - "Consiglio di guerra ragazzi…"
Era già a metà
delle scale. Non li aveva nemmeno aspettati.
Doyle girò la
testa a destra e poi a sinistra.
Poi di nuovo a
destra.
E un'altra
volta a sinistra.
Stava seduto al
centro del suo letto e si poteva supporre che, sotto il lenzuolo, fosse
vagamente nudo. Per seguire meglio quello che gli stavano spiegando, aveva
ripiegato le ginocchia e si era puntellato sui gomiti.
Girava la testa
a destra e poi a sinistra.
Aggrottando la
fronte.
Angel e Wes
stavano ai piedi del letto e parlavano quasi in contemporanea.
Rispondendosi a
vicenda.
Cordelia,
seduta a gambe accavallate al suo tavolino da toelette, avvolta in un corto
kimono rosa, tamburellava tristemente sul ripiano, tirando indietro i capelli
che, lasciati finalmente sciolti, continuavano a ricaderle sul viso.
La sua
espressione era vagamente annoiata. Ed il suo conforto erano le occhiate che
lei e Spike si scambiavano.
"Ti va
ancora bene…" - disse lui, per consolarla - "potevano sedersi per
spiegarlo meglio."
"Fatemi
capire." - li interruppe ad un tratto Doyle - "Tutte questi giri di
parole vi servono per farmi capire che volete organizzare una festa di
compleanno a Faith?"
"Bhe, in
effetti…" - Wes annuì, colto alla sprovvista - "Direi che quello è il
succo del discorso."
"Ottimo."
- rispose Doyle, sollevato - "Allora che ci vuole. Compratele i regali. Io
e Cordy andremo a prendere una torta ed organizzeremo il resto. Domani a mezzanotte?"
"sì, direi
che può andare." - aggiunse Angel.
"perfetto."
- Doyle riguardò allargando le braccia. E perdendo quasi il lenzuolo -
"Devo arguire anche che adesso vi leverete dalle palle?"
"Si…
certo…"
"perfetto.
E chiudete la porta."
Quando fu certo
che fossero tutti e tre abbastanza lontani e che Spike stesse dicendo ad
entrambi il fatto loro, frugò tra le coperte.
"Allora,
amore…" - disse, emergendo, più arruffato che mai, con una bottiglia e due
calici - "Stavamo dicendo?"
“Stavamo
dicendo?” - Doyle si era voltato verso di loro, con aria svanita - “Ho perso il
filo del discorso.”
“Hai detto
moglie. E tutto il suo nome. Non mi sorprende che tu abbia dimenticato il
resto.” - il brusio stava salendo di intensità. E Methos si infilò due dita in
bocca e fischiò, penetrante - “Se avete domande alzate le mani, per piacere.”
“Grazie, mister
Pierson.” - disse la signora arcigna seduta all'estremo del tavolo degli
anziani - “Il suo aiuto a ristabilire l'ordine è stato provvidenziale.”
“E' mio dovere
rendermi utile.” - rispose l'infame, posandosi una mano sul cuore - “Doyle, io
credo che vogliano sapere di Cordelia come Cantastorie, non del tuo
matrimonio.”
“Ma come! E io
che volevo mostrare anche le foto!”
“Mister...
mister Doyle.” - lo chiamò la stessa donna che aveva appena rimproverato Methos
- “In effetti il nostro collega ha ragione. Noi vorremmo sapere di come la
signorina Chase... la signora Doyle, mi perdoni, sia stata insignita di questa
dote.”
“Insignita? Oh,
no, lei non ha le idee chiare! Non è una carica onorifica, è una grandissima
fregatura! È una dote che ti prende da qui...” - si indicò il petto e risalì
con le mani - “E invade ogni cellula come una fiammata prima di arrivare al
cervello e divenire immagine. È questo, il potere delle visioni. E bisogna
avere cuore per gestirlo, per trasmetterlo e sopravviverne.”
Cuore.
E Cordelia lo
ha.
Cordelia è colei
che ha cuore.
“Se si ha
fiducia in una persona, non serve nulla per trasmetterle il nostro dono più
grande. Basta un semplice gesto, basta un bacio. Ed è questo che ho fatto.” -
aggiunse, con un sorriso. Uno dei suoi sorrisi - “Un bacio, nient'altro. E
Cordelia ha avuto da me tutto ciò che potevo donarle per aiutare Angel. Tutto.”
Sorrise,
allargò le braccia, prima di posarne una sul petto.
“In più,
potendo.” - aggiunse, scanzonato. E felice - “Le ho dato il mio cuore. Il mio
cuore, per sempre.”
"Non so
come sia successo. Un giorno mi sei divenuta indispensabile. Non potevo più
pensare a nulla, nulla senza di te. Sono morto, e c'eri ancora tu. Non avevo
più mente ma eri sempre tu. Tu. E' sempre stato più grande di me. È sempre
stata l'unica cosa che sapevo di poterti dare. L'unica cosa con cui potevo
competere a ciò che tu mi hai sempre dato. Ma nulla vale il tuo primo sorriso,
al mattino, quando mi alzo. Nulla vale quanto quel singolo gesto con cui mi
sistemi il collo della camicia.
Non ho trovato
ancora nulla di altrettanto grande da darti.
E ti darei
tutto, il mondo, la vita… ti darei tutto."
Cordelia si
vedeva riflessa nei suoi occhi chiari. Si vedeva, in ogni singola lacrima che
gli era scivolata dalle ciglia. E
sapeva che tutto, in Doyle era per lei. Troppo amore.
Amore per
riempire ben più di un'esistenza.
Ma chi erano
loro, per pensare di appartenere ad un singolo istante ed a un singolo momento
nell'universo? Perché avrebbero dovuto sentire la loro temporaneità, mentre si
lasciavano travolgere da tutto questo?
"Ti amo
anch'io, Doyle. E ti amo con la paura di non dirtelo mai abbastanza."
***
“E poi, quando
è tornato, si è ripreso tutto.” - uan voce asettica e nasale. Una voce che non
aveva mai detto parole d'amore se non con pacata cortesia, probabilmente.
“Si. Un poco
riduttivo ma è andata così. Ho ripreso tutto tranne il mio cuore.”
"Tu hai
cambiato il destino di Angel."
"Esatto."
"Troppo
semplice."
"Come
scusa?"
"E' troppo
semplice. Chi morirà al posto di Angel?" - il tono di Cordelia suonava
pieno di leggerezza. Chi, chi si sarebbe dovuto sacrificare?
"Io."
Il cuore le
divenne un pezzo di ghiaccio.
"Aspetta,
aspetta. Non come credi tu. Io non morirò, principessa. Il destino mi deve una
vita. Io sono già morto una volta. E benché sussista ancora un certo qual
margine di rischio per cause violente, non morirò di certo a breve
scadenza."
"Ed allora
come?"
"Tu mi
darai qualcosa che mi appartiene."
"Io non ho
niente di tuo, non…"
Si sbagliava.
Le bastò iniziare a negare per ricordarsi che possedeva qualcosa di Doyle.
Possedeva il suo dolore, la sua più grande paura. Doyle le aveva lasciato il
suo potere.
Le sue visioni.
Il dolore
lancinante che martellava le tempie riempiendogli la mente di urla e facce
contorte. Cordelia sapeva come potesse essere profondo il coinvolgimento con le
immagini.
Odiava avere
visioni. Ma odiava anche doverle sapere nella testa di Doyle.
"Sono
stato costretto, allora. Non avrei mai voluto, principessa. Ma ne andava della
vostra vita. E della vita di chissà quanti innocenti."
"Doyle,
no. Non puoi…"
"Sì che
posso. È il prezzo che devo pagare per restare. Quello e la memoria delle cose
che ho visto e sentito dall'altra parte. Non proprio tutto, ma parecchio."
Cordelia si
sentiva una pena infinita in fondo al cuore. Gli occhi di Doyle, dietro il
sorriso, erano tristi ma sereni.
"Sapere ed
essere in pace con il mondo non è come stare qui con te con la testa piena di
dolore. È molto, molto, molto peggio. Sono disposto a tutto per avere sere come
questa almeno tre volte la settimana. Diamine, non c'è paradiso abbastanza
felice per compensare la tua assenza."
"E quella
di Angel."
"Ovvio. Io
sento sempre la mancanza di Angel. È triste, cupo e tormentato. Tutti dovremmo
avere un avvilito pensieroso in qualche angolo di casa." - Doyle la cinse
con entrambe le braccia fino a sentire il suo peso sul petto -
"Restituiscimi il dolore, Cordy. È un prezzo che posso pagare."
Le sue labbra
si avvicinarono e si dischiusero. Cordelia lo sentiva tremare.
Ma lo baciò
ugualmente. Con amore. Tutto l'amore che aveva rimpianto di non avergli
trasmesso la prima volta.
Quando le loro
labbra si separarono, gli occhi di Doyle erano ancora chiusi. Un'espressione
strana gli brillava sul volto, come se un nuovo peso si fosse posato sulle sue
spalle, come se sentisse una voce che nessun altro poteva percepire.
Doyle era in
ascolto di qualcosa. Le sue palpebre vibravano appena. Tremava, e respirava
appena. Cordy l'abbracciò stretto, fino a quando non si sentì ricambiata, fino
quando non sentì la sua testa sulla spalla, il volto nel collo di pelliccia del
suo giaccone.
Una coppia
qualunque, all'angolo di una strada silenziosa.
Doyle si era
appoggiato al tavolo, le braccia conserte e gli occhi bassi. Ma sorrideva.
Sorrideva e
c'era lei, sempre lei in quel sorriso.
“Un bacio.
Anche quella volta è bastato un bacio solo.” - aggiunse, concludendo.
“Il ritorno di
Doyle faceva già parte dello schema che vi avevo preannunciato.” - la voce di
Wes spezzò la magia e diede respiro al demone e ai suoi pensieri -
“Probabilmente già allora eravamo avviati verso una risoluzone ma era presto
perchè lo comprendessimo. Talvolta succede. Presi da altri pensieri, dal
contingente, dalle situazioni... Combattevamo, giorno e notte e senza trovare
mai pace. Ma la nostra vita si stava costellando di eventi di grande e piccola
portata. Angel ci aveva trovati e riuniti sotto un'unica bandiera. Cordelia,
io, Spike.. gli sbandati di Angel e, non ultima, Faith.”
Il nominare la
Cacciatrice rinnegata provocò un certo sussulto nelle composte file degli
osservatori. E Wes attese che si calmassero. Negli anni, il nome di Faith era
stato spesso associato a quella reazione composta nelel sale del consiglio. Wes
ormai era abituato. Lo aveva sentito troppe volte.
E sapere che
quella sarebbe stata l'ultima gli piacque.
“Si, anche
Faith. Angel non l'avrebbe mai lasciata andare. E nemmeno io.”
"Scusami,
non me la sentivo di urlare." - sussurrò. Era rauca.
"Non
importa, piccola, non importa." - mormorò Angel chinandosi verso di lei e
protendendo le mani per toccarle il viso, un visino pallido e febbricitante. Faith
stava rannicchiata veramente in uno spazio ristretto ed Angel, con la sua mole,
sembrava inglobarla e proteggerla.
"Non
pensavo che mi avresti cercato."
"Cerco
sempre le cose preziose che ho perso."
Piano, per
quanto le sue forze le permettevano, Faith scivolò fuori dal suo nascondiglio.
Era ferita, malconcia.
Angel si sfilò
il cappotto e l'avvolse stretta. Già una volta aveva accolto così Faith,
stremata e piangente, tra le braccia, infondendole calore. Faith sembrava
giungere nella sua vita sempre preceduta da un acquazzone, come un dono piovuto
dal cielo.
Angel la
strinse e la sollevò da terra.
"Ce la
faccio a camminare."
"Non
importa." - sorrise Angel, nell'assestarla meglio tra le braccia.
"Mi
troveranno."
"Ti
sbagli. Troveranno me."
“Si...” - la
voce di suo padre passò come veleno sulle teste dei presenti - “Sappiamo della
tua predilezione per questa Cacciatrice... indipendentemente dall'etica che ti
era richiesta.”
“No.” - Wes
sorrise, divertito. E, negli occhi, sembrarono passare fiamme violacee - “Non
sapete un cazzo delle mie predilezioni. Né, tantomeno, della mia Faith.”
"Come stai
bene vestito così…" - commentò Faith, per spezzare il ghiaccio. Sperando
di tutto cuore che Wes ricambiasse il complimento.
"Ed io
sono felice di vedere che il vestito ti è piaciuto…"
"Oh, Wes,
non ho mai avuto niente del genere." - Faith camminò, fino quasi ad
appoggiarsi al suo petto - "io non potrò mai ringraziarti abbastanza per
tutto questo."
"Io non
potrò mai ringraziare te abbastanza, Faith." - rispose lui, seriamente -
"Perché hai saputo ricominciare a fidarti di me, dopo tutto quello che ti
avevo fatto…"
"Non sono
mai stata una brava ragazza, Wes." - Faith scosse la testa, adombrandosi -
"E mi sono pentita di molte cose. Ma non mi pentirò mai di ricambiare la
fiducia che tu hai nei miei confronti."
Wes le sorrise.
Aveva un'espressione dolce che Faith gli aveva visto ben poche volte, che gli
contornava gli occhi con leggerissime rughe.
Come se, in un'epoca lontana, avesse sorriso così tanto da imprimere
ogni espressione nella sua pelle.
Aveva degli
occhi chiari bellissimi. E comprensivi.
Faith lo
guardò, spaventata di colpo dall'adorazione che sentiva per lui. Nel suo
piccolo mondo, due erano i pianeti attorno a cui instancabilmente ruotava: Angel
e Wes.
Il suo Wes.
Quanta paura,
nel provare nuovamente un sentimento del genere. Quanta paura, a desiderare
nuovamente che fosse il suo osservatore.
Anche se era
una rinnegata.
E una poco di
buono.
Wes le stava
accarezzando una guancia, senza che nulla scalfisse la sua espressione.
"Hai
scordato di mettere gli orecchini…" - l'ammonì, facendola sorridere. Complice.
"Aiutami
tu…" - rispose, voltandosi ad afferrare i cerchietti che Cordelia le aveva
prestato.
Ma solo
prestato! Come si era più volte raccomandata.
E Wes lo fece.
Aggrottando la fronte, come aveva fatto meno di ventiquattro ore prima.
Impegnandosi, come se fosse una cosa astrusa e complicata.
"Grazie."
- mormorò educatamente Faith, quando finalmente sembrò aver terminato l'opera.
E, di tutta
riposta, Wes si chinò ancora. Per darle un bacio sulla guancia.
Un bacio in cui
cercò di condensare disperatamente tutto quello che Faith rappresentava per
lui.
"Buon
compleanno, piccola." - sussurrò.
“Wes.” - Doyle
si era voltato, fissandolo intensamente - “Non esagerare.”
“No.” - si
passò la mano sugli occhi, stanco - “Non intendo farlo.”
E ho detto
tutto quello che avevo da dire. Il resto sono affari miei.
***
“Voi ragazzi
permettete?” - domandò Methos, piegando la testa - “Pensate alle vostre
donzelle e io intanto mi occupo di loro, che ne dite?”
“Mica male come
idea.”
“Accomodati.”
“Prego, mister
Pierson.” - aggiunse uno degli ocsservatori, indicandogli il leggio - “Se pensa
di poter portare un po' di razionalità in questa faccenda...”
“Razionalità?”
- Methos stortò la bocca divertito. E comprensivo - “Se ci fosse stata della
razionalità in questi anni, oggi staremmo tutti qui per il torneo di bridge,
non di certo per valutare quanto il mondo sia cambiato. No, non illudetevi.
Quello che questi due vi stanno cercando di spiegare da ore è che non ci
sarebbe stato nulla non ci fosse stato il sentimento. E io, credetemi, sono
pienamente d'accordo.”
“Ti prego, non ricominciare!” – Methos si
alzò e aprì il pensile, cominciando a tirar fuori i piatti per la cena – “Parla
dei Coventry, se vuoi, ma non di tua madre e della sua solfa sul nostro
predestinato incontro. Sono sempre venuto in Irlanda e ho sempre amato le
rosse.”
“Dopo anni continui ad essere convinto
che sia stato un caso? Incontri un Cantastorie, quasi la sposi, ti sobbarchi
suo figlio che un paio di decenni dopo è un Cantastorie con una carriera di
tutto rispetto che ti procura una Cacciatrice da seguire, cosa che non ti
succedeva da… diciamo…”
“Millecentottantadue anni.”
“Davvero?”
“Davvero.” – Methos aprì un cassetto e
tirò fuori le posate – “Ma va’ avanti. Non avrai pace se non finirai lo
sproloquio…”
“Non una Cacciatrice a caso, ma quella
che cambierà gli eventi. E che vive con Angel, il vampiro con l’anima, l’eroe
delle profezie. E con Spike, l’uccisore delle Cacciatrici, colui che…”
“Fermati.” – Methos gli passò i piatti –
“E apparecchia. Non voglio sentire di nuovo la questione di Spike.
Risparmiamela.”
“Non vuoi sentirla perché sai che ho
ragione.” – ribatté l’irlandese, saltando giù dallo sgabello e facendo il
richiesto – “E perché ci porta dritti al punto. Edward e William devono
incontrarsi. E quello che abbiamo fatto è stato uno sbaglio di proporzioni
cosmiche.”
“Concordo sullo sbaglio, me ne frego del
cosmico.” – rispose l’uomo, serafico, porgendogli i bicchieri e buttando le
bistecche sulla griglia – “Non mi importa di aver sballato i calcoli
cabalistici tuoi e di Whydam-Price. Sono però sempre più in disaccordo con
Edward riguardo la sua scelta personale. Doveva dirlo a suo fratello.”
“Non è solo una questione affettiva,
Methos.”
“Sì che lo è.” – Methos interruppe
l’operazione di taglio dei pomodori e gli puntò il coltello in mezzo agli occhi
– “Perché su questo sono sempre stato d’accordo con tua madre. Prima vengono le
persone della nostra vita, poi tutte le altre beffe che la specie umana si è
inventata per credersi sopra le leggi di natura.”
Doyle, che stava approfittandone per
masticare un grissino, lo fissò, a bocca aperta.
“Edward non è una pedina nei vostri
giochi.” – dichiarò Methos, tornando a massacrare le sue verdure con furia –
“E’ solo un uomo che ha sbagliato per troppo amore.”
"Nessuno è
una pedina nell'esistenza. Può sentirsi tale ma può combattere, ribellarsi e,
soprattutto, non deve smettere di sentire. Vogliamo poi a posteriori rileggere
il tutto in una chiave filosofica? Si, si può fare. Ma, sul momento, non
importa. Non importa a nessuno. Perchè è con il cuore che si può fare qualcosa.
Non con il cervello. Né, tantomeno, con un libro e un satellite.”
Si voltò,
strizzando l'occhio a Wes e allungando la falcata per percorrere la prima fila
della tribuna.
“Wes ha saputo
unire i puntini per l'importanza che ha dato a Faith come donna e come
Cacciatrice. Doyle ha aiutato Angel non perchè fosse un paladino ma perchè era
un uomo che non voleva sentirsi tale. E Cordelia.. buon dio, se non l'avesse
sposata lui, l'avrei sposata io. Perchè certe persone...”
Reminiscenza.
Si interruppe. Alzò gli occhi. Ed Edward, dal fondo della sala, a lato della
porta, gli sorrise e gli fece un cenno. Aveva i capelli corti. E gli occhi
brillanti. Non sembrava più grande dei
cadetti seduti sei file più avanti.
Ehi,
Coventry... hai perso un sacco di frasi carine sul tuo conto.
“Perchè certe
persone.” - riprese, prontamente, sorridendo - “Sono nate per sorprenderci,
amarci e portarci dove dobbiamo andare. E questo era l'Hyperion, quando sono
arrivato: un posto dove le persone credevano una nell'altra. E, sopra ogni
altro... c'era ancora lui.”
In piedi,
davanti alla porta.
Uno sguardo
scuro e pacato.
Una bellezza
oscura.
Ed eccoti,
finalmente.
Sicchè tu
saresti l’eroe…
Methos si alzò,
pulendosi le mani, in modo studiato.
Angel ricambiò
lo sguardo. L’uomo non era ostile. Era serio, perfettamente chiuso in se
stesso. Non trapelava nulla, non una variazione cardiaca o respiratoria.
Nulla.
Sapeva di
fissare un vampiro.
Ma la cosa non
aveva nessun effetto su di lui.
Né fascino.
Né ripugnanza.
Eppure…
Per la prima
volta in vita sua, Angel si domandò come fosse il proprio, di sguardo.
“Si, sarete
stanchi di sentirvelo descrivere. Angel, Angel, Angel. .. credo che sia
qualcosa che sparge nell'aria. Delle spore. Non si può smettere di pensare a
lui. A meno che...” - sorrise e allargò le braccia, la sua miglior espressione
'che ci volete fare' - “A meno che non vi ritroviate davanti il piccolo
Coventry.”
La bocca di
Edward si allargò in una risata silenziosa. Ed egli incrociò le braccia e le
caviglie, seguitando ad ascoltare.
Tu che parli
bene di William... non me lo perderei per niente al mondo.
“Non giocare con me, Methos.”
“No, non giocare tu, moccioso!” - sbottò,
deciso - “Ti illustro la situazione, poi mi dici che ne pensi: da stamattina,
Edward è passato ininterrottamente dalla padella alla brace senza sosta.
Vampiri, tu, Angel, Drusilla, ancora vampiri, ancora tu, ancora Drusilla e, a
quanto sembra, di nuovo Angel. La vostra dannata stirpe plasmamaniaca lo sta
tormentando senza sosta mentre tu, unico conforto e debolezza di lord Coventry,
stai qui a frignare senza sosta. E quando non piagnucoli sembri uscito dal film
shining. Nel frattempo hanno cercato di ammazzare la tua fidanzata, il mio
figliastro, il sottoscritto e, ultimo per molti ma non nel cuore dei
bibliotecari del mondo, mister Whydam-Price. Tutto, sottolineo tutto, grazie a
te, che sei un pazzo nevrotico senza né arte né parte. Ok?”
Allargò le mani, guardandolo.
“Sono stato chiaro?” - domandò, in
maniera così convincente che Spike ebbe l'impressione di essere un dodicenne
indisciplinato. E, soprattutto che, in altri frangenti, avrebbe saputo
formulare un'identica esasperata arringa.
“Visto da qui, sei così. E, tu potessi
vederti da questa angolazione, la tua ironia avrebbe di che scatenarsi.” -
aggiunse, con petulanza, indicandolo - “Concludendo, non credo che mi interessi
quanto sei disastrato lì dentro... sarebbe solo gradito che tu prendessi una
decisione.”
“William the
bloody è...” - si interruppe, cercando le parole - “Una potenza della natura.
Una vera, incontrollabile potenza. Un metro e settanta di ossa, nicotina e
ironia. Lui è... è fantastico.” - si posò le mani sul petto, sorridendo – “e io
sono il suo più grande fan.”
“Ma sta dicendo
sul serio?” - azzardò Westley, fissandogli la schiena e la posa a gambe
leggermente divaricate. Methos non sapeva comprarsi maglioni che non fossero
almeno due taglie più della sua.
“Oh, si.” -
Doyle sorrideva, presissimo dall'arringa. Adorava l'oratoria di Methos. Aveva
passato tutta l'infanzia a guardarlo cercare di abbindolare sua madre, sempre
fatto con l'entusiasmo più genuino e adolescenziale che si potesse immaginare -
“Finchè lo dice ci crede...”
“Non sarebbe
'finchè ci crede lo dice' ?”
“No, con lui è
il contrario.”
“Ah, ecco.”
“Non ci posso
credere...” - annaspò Methos, fissandolo - “Tu lo preferivi morto...”
“Methos...”
“Taci,
William!” - la presa attorno ala gola aumentò, assieme alla rabbia - “Cosa!
Morto è meno indomito? Meno ingombrante? Importante?Oh, si, è così...”
Annuì,
spiritato. E spike sentì gli occhi trapassarlo e incenerirlo prima ancora della
verità che stava per essergli sputata in volto.
“Oh, si, è
così. Se edward resta morto, tu puoi andare avanti e dimenticare ciò che eri.
Bhe, sbagli, stupido ragazzo. Sbagli.
Stai violando
la prima regola dei penitenti, Spike. Provare sempre vergogna.”
“William...” -
methos si interruppe e corresse, alzando un dito - “Spike, come preferisce
essere chiamato, non è uno qualsiasi. Probabilmente non lo era nemmeno da vivo
ma, si sa, il mondo in cui viviamo non sempre riconosce il genio quando lo
incontra. L'intelligenza, la percettività e la certezza di dover inseguire
sempre le cose più grandi di noi non sono sempre caratteristiche facili da
apprezzare o con cui convivere. E, da questo rifiuto, da questa certezza che
hanno i nostri simili nel definirci stupidi nasce la disperazione. Si, la
disperazione.
E non è un
sentimento con cui si può sempre convivere. A volte passe e, a volte...” -
rallentò il passo, gettò un'occhiata ammaliante alla platea - “.. a volte fa
fare cose molto stupide. Come farsi vampirizzare.”
Non c'è nulla
che uccida come l'assenza d'amore.
E William,
William Coventry, sa cosa sia la
solitudine.
C'è qualcosa di
sbagliato nel lasciare. E nell'essere lasciati.
Qualcosa di
crudele.
E freddo.
Qualcosa che
rimane dentro, aspettando di risorgere, pugnalando e avvelenando ancora.
Anya era stata
lasciata da Xander. E Spike aveva lasciato Cecily.
La verità
semplice e paradossale, stava nel capovolgersi dei fatti.
Non era Spike
che aiutava Anya. Ma William.
E la rabbia da
cui era nato Spike.
Si lasciò
travolgere, perdendosi nella sincerità dei loro gesti, in quel essenziale
cercarsi, agitato e pulito. Inarcandosi, sotto le sue mani, rispondendo con la
stessa furia, disposta a tutto, pur di non vederlo svanire.
Senza amore.
E senza
soddisfazione.
Annullandosi,
nel conforto del nulla e nel dolore di entrambi che diveniva uno. Afferrandolo,
graffiandogli la pelle perché non le sfuggisse.
Fissandolo
negli occhi e domandandosi come anche l'azzurro più puro potesse incendiarsi in
quel modo.
Forse esisteva
un mondo in cui Spike era il principe che uccideva il drago e salvava la
principessa. Una principessa dai capelli biondi ed il cuore triste.
Forse esisteva
un mondo in cui un bacio bastava a risvegliare una fanciulla dal suo torpore.
Ma in un mondo come
il loro, tutto era solo una zona d'ombra.
Una zona
d'ombra, fatta di caos e incomprensibili verità, dove talvolta i demoni si
incontravano. E dai loro corpi morti e dai loro dolori sopiti sapevano ancora
far scaturire magia.
Aspettarono di
giungere ad un passo dalla fine, per chiudere gli occhi, in un tacito accordo.
Esorcizzando le proprie paure.
E fingendo, in
un' eterno istante, di essere qualcun altro.
Qualcuno di
umano. E semplicemente amato.
“Nel suo caso,
la vampirizzazione ha dato parecchi frutti insperati. Ha combattuto da demone
per il mondo, ha continuato a farlo con un'anima in carico. Ha saputo trovare
la vita anche dove gli altri non sapevano vederla e... sopra ogni cosa... ha
amato. Amato sopra ogni cosa.”
Ha amato Faith.
Amato Angel. Amato Edward... e non gli è mai sembrato abbastanza. Mai.
“Ma Spike non
amerebbe sapere che parlo della sua privacy. E quindi... Io posso solo
aggiungere una cosa: mi dispiace non lo abbiate conosciuto di persona. Avrebbe
cambiato le vostre vite.. e le avrebbe rese più interessanti. E' tutto.” -
concluse Methos, aprendo le mani strette tra loro - “Del resto, calcolando ciò
che alla fine vi interessa della situazione,
non credo che vi serva sapere altro di lui.”
Non condivido
le illusioni di Wes e Doyle. Io lo so che non cambierete. E so che qui stiamo
solo a perdere il nostro tempo, come tre veri cretini.
“Io non sono
d'accordo.”
Mi correggo.
Quattro cretini.
“Perfetto.” -
sospirò, alzando gli occhi al cielo. Il suo pubblico era perplesso per quell'interruzione,
mormorava, alcune teste si voltavano cercando la fonte di disturbo. Methos,
invece, non lo degnò nemmeno di un'occhiata, girò sui tacchi e si gettò in una
sedia lasciata libera.
“Adesso si che
ci ammazzano.” - borbottò, risentito, mentre Edward scavalcava una balaustra e
si prendeva il centro della scena.
Stupido
dandy...
[IV]
“Non penso che
esista una persona che può parlare di Spike meglio di me. A parte Angel si
intende.” - fu l'esordio. Sicuro e rilassato, una mano in tasca e l'altra sul
profilo del tavolo degli anziani - “Permettete?”
“E voi
sareste?”
“Coventry. Lord
Edward Simon Michael Henry...” - aggrottò le sopracciglia cercando di ricordare
l'ultimo - “Adam Coventry. Si, credo fosse Adam. Può chiamarmi Edward, se
vuole.”
L'osservatore
che aveva osato chiederglielo aveva appena perso la penna di mano. E questa,
rotolando, era finita dritta tra le dita di Eddy.
“Come, prego?”
“Coventry.
Servono anche i miei altri titoli?” - sorrise, piegando la testa e rendendo la
penna - “So che mi chiamate il pescatore d'oro. Lo apprezzo, grazie.”
Ecco. Edward
aveva appena ottenuto ciò che in tre non avevano saputo afferrare.
Un silenzio
ammutolito.
E
sconvolgentemente rispettoso.
“Ma come, come,
come...” - borbottò Methos, allungando le gambe - “Come ci riesce...”
“E come vuoi
che faccia... come fa anche Spike.” - e Spike gli somiglia... tanto...
"Ovvio. Ma
lui soffre per l'amore perduto. Non è
lui quello che si è fatto sfondare la cassa toracica per far rinsavire il suo
migliore amico."
Spike lo guardò
di traverso. Con un sorriso strano.
"Puoi
anche dire fratello, se vuoi."
"Sul
serio?"
"E' una
concessione che faccio solo a te, perché pronunci William come lui. E' perché
fratello è una parola con un bel suono." - Spike sorrise, permettendo alla
stanchezza di trasparire, posando la testa contro la parete. E chiudendo gli
occhi.
Era bello come
un cherubino, esangue. Il dolore gli segnava i lineamenti, passando ad ondate.
Aveva un aspetto fragile, che non rispecchiava la sua forza interiore.
Si trattò di un
istante. Poi Spike riaprì gli occhi e lo squadrò, con l'ironia di sempre.
"Mi stai
fissando…"
"Speravo
dormissi."
Spike rimase in
silenzio. Poi scosse la testa, con un gesto di rammaricato diniego.
"Spiacente
ho deluso le tue aspettative."
"Non solo
le mie." - Doyle fece un cenno con la testa - "Guarda lì."
Alle sue
spalle, in piedi, incorniciato dalla porta, era Angel.
"E poi
sono io quello che origlia…" - mormorò Spike, con un filo di voce.
"Non ha
bisogno di sentirtelo dire, per saperlo…" - gli rispose sottovoce Doyle,
chinandosi verso di lui, con un sorriso in fondo agli occhi - "ed anche
per lui ha un bel suono."
Angel... e
Spike. Doyle alzò gli occhi, improvvisamente serio.
Angel e
Spike... mi mancherà poterlo dire.
Respirò a fondo.
E Methos alzò un sopracciglio.
“Ehi, ok?”
“Si, tutto ok.
Ma sto pensando a quanto sono cambiate le cose... e in troppo poco tempo.”
“Non è stato
poco, Francis. È stato solo vissuto intensamente.” - sorrise, andando lontano
con lo sguardo - “E, come al solito, con Edward giunge la necessità di un
cambiamento. Cambia le persone e i fatti con la facilità con cui cambia le
spade.”
“Non rischi troppo a continuare a
cambiare?”
“Non rischio troppo a fidarmi di una cosa
datata?”
“E quindi...” -
concluse Wes, ondeggiando a destra e sinistra sulla sedia - “Ci prepariamo... a
cambiare registro.”
Ci siamo
intrattenuti nel territorio che conoscevamo troppo a lungo. È ora di raccontare
come sia finita. E andare avanti.
***
Nel frattempo,
Edward aveva finito di spargere fascino in giro per la sala. Qualcuno gli aveva
stretto la mano, qualcuno lo aveva solo fissato, tutti gli altri si erano domandati ceem dire qualcosa senza rompere
il silenzio.
Edward aveva
dato il suo meglio, rispolverando una mezza tonnellata di regole ammuffite dei
suoi tempo. La sua educazione, quella che permetteva a Spike di sembrare un
gentiluomo anche in trench, era innata come l'eleganza. Ma Edward, per
l'occasione, era quasi l'iperbole del galateo.
E stava, lo
dicevano i suoi occhi, per scatenarsi. In tutto e per tutto.
“Io avuto parte
nella faccenda e so che, presso questo consiglio, tenete in conto delle
testimonianze dirette.” - esordì dunque, restando in piedi davanti a loro.
Giocherellava con qualcosa, tra le dita, rigirava un portasigarette d'argento,
con lentezza, per il piacere di sentirlo scaldarsi - “Posso aiutarvi in qualche
modo?”
“In effetti
si.” - rispose l'anziana. Aveva inforcato gli occhiali e, con una gentilezza
ferrea che doveva essere sua tipica, si rivolgeva all'immortale - “Noi vorremmo
sapere il cosa, il come e il perchè degli eventi di Los Angeles del mese
passato. Finora ci è stato detto ben
poco.”
“Tutto a suo
tempo.” - rispose Edward, con la sua abituale morbidezza - “E sul poco
dissentisco. Ci sarebbe ancora molto da dire ma non rischieremmo di sforare nel
privato, oppure in informazioni che ci serviranno più avanti. Io,
personalmente, vorrei dirvi chi sia mio fratello prima che per voi diventi un
fenomeno da baraccone.”
Uno degli
osservatori sembrava intenzionato a interromperlo. Ma Edward aveva scritto in
faccia che non avrebbe concesso limitazioni al suo raggio d'azione. Come
sempre.
“No, prego.” -
disse, dunque, con il più bello dei sorrisi e una mano gentilmente alzata - “
Non vi tratterrò a lungo, siete ansiosi di sentire l'epilogo. Ma vi prego di
darmi la vostra attenzione per qualche minuto.”
“Quello che sto
per raccontarvi è la storia di due fratelli
che seppero
ritrovarsi e darsi un futuro comune.
Di William.”
- scandì, con
calma e con una pausa studiata ad arte -
“E di Angel.”
***
“Si possono
dire molte cose riguardo le anime e il sangue di LA. Ma, se ci si limita a
scavare e giungere al nocciolo della faccenda, si trova solo questo. William ed
Angel. E tutto il resto diviene un accessorio.” - mormorò. E le domande che
volevano fargli evaporarono - “Le vite si intrecciano, le emozioni divengono
funi e il mondo in piccolo sembra migliore anche quando si combatte. Ma al
centro, rimangono sempre loro. Spike ed Angel. Fratelli di sangue. Per sempre.”
"Guardami
William, guardami bene." - lo incitò Angel, senza lasciare la sua mano,
senza che le loro teste si allontanassero - "Io non ho niente da
rinfacciarti e niente da perdonarti. L'inferno è in terra, hai ragione. Ed
ognuno di noi ne porta una frazione sulle spalle, ogni giorno. Io sono qui,
perché tu hai bisogno di me. E tu sei qui perché io ho bisogno di te. E so che
non mi lasceresti mai."
Mai.
Mai.
Mai.
"Come due
fratelli." - aggiunse.
Spike sorrise,
afferrandolo forte con la mano libera. Afferrandolo, perché non gli sfuggisse.
"Come due
fratelli." - promise, in un soffio.
“Vorrei
parlarvi di entrambi a modo, se non vi spiace. Anche se sono, tecnicamente,
l'ultimo arrivato. So molte cose di Angel. Perchè l'ho conosciuto, lo ammiro e
perchè... bhe... parlo con mio fratello. E so, perchè come voi amo i libri,
molte cose sul Flagello d'Europa. Era qui prima di molti noi, ci sarà anche
dopo. E, per un colpo di fortuna, era con mio fratello in molte occasioni. Io
non sono stato altrettanto presente.”
"Ed è
giusto tutto questo?" - chiese Spike, più a se stesso che ad altri -
"Me lo sono chiesto così tante volte… cosa avevo di particolare per
ottenere questa immortalità? Perché io, Angel? perché… cosa c'era in me da
rendermi così adatto? E' ancora come allora… lui è morto… io sono
sopravvissuto. Avevamo le stesse probabilità…"
"Il caso,
il destino… in effetti l'unica cosa che possiamo scegliere è a quale delle due
forze votarci. Il caos. Oppure l'ordine. Uno dei due guida le nostre vite…
Doyle ti direbbe che è destino."
"E
Cordelia mi direbbe che è casualità. Lo so." - concluse Spike, allungando
le gambe - "Eppure quei due si completano, non credi?"
"E può
darsi che sia questa la risposta giusta. Unire la predestinazione alla
libertà." - commentò Angel. prima di tornare ad inoltrarsi nel discorso -
"Ma questo non da' mai una risposta alle nostre domande. Io ho ucciso mia
sorella. Tu hai perso un fratello. Ed entrambi li teniamo nascosti in un
passato in cui forse, non abbiamo rimorsi."
Era vero. Edward
apparteneva ad un periodo fatto di rimpianti e di pochi umani dispiaceri.
Pochi, leggeri da portare, rispetto a quelli dei suoi anni sfrenati. Dei suoi
anni al di fuori del logico, da predatore. Edward se ne era andato prima ancora
che cominciassero i massacri.
"Ho sempre
pensato che Edward…volevo credere che potesse vedermi, anche se non c'era più.
Ed ora , se veramente mi sbilancio a credere che esista qualcosa oltre la
morte… non posso far altro che pensare allo spettacolo che ho messo in piedi in
questi secoli. Diceva sempre che mi avrebbe appoggiato, qualunque fosse la mia
strada... ma ho difficoltà ad immaginarlo concorde con alcune mie scelte di
vita. L'avrei seguito in capo al mondo…" - Angel alzò gli occhi. E vide
Spike come era stato in quegli anni. Come, per molti aspetti, era ancora
adesso. Tenace, testardo, insofferente di ogni regola, troppo sincero per
essere diplomatico e tremendamente affilato nei suoi ragionamenti. Come se il
tempo l'avesse costretto ad essere il fratello maggiore di se stesso. Non riusciva ad immaginarlo capace di
accettare la guida di un altro con una fiducia del genere.
“Angel non si è
mai reso conto di quanto potere esercitasse su Spike. Lo ha consigliato,
protetto, esasperato con la sua calma. Ma non ha mai fatto uno sbaglio. L'unico
passo falso, probabilmente, l'ha compiuto per colpa mia. Ciò che so per certo,
tuttavia, è che Spike non sarebbe nulla senza di lui.” - pausa - “Angel ed io
non siamo la stessa persona. E non ci diamo il cambio in questa vita che Spike
gestisce come un ottovolante. Siamo solo noi, entrambi importanti, entrambi
amati. E nel reciproco rispetto degli spazi, senza nessuna tragedia.”
Rallentò,
sorridendo, senza smettere di parlare. Oddio, nessuna tragedia ora.
“Angel per
Spike è... ciò che Spike è per Angel. Se mi perdonate il gioco di parole, si
intende.”
"Edward
aveva un solo difetto… era perfetto." - riprese Spike. Sorridendo di
quell'affermazione.
"Un
difetto che hanno moltissimi fratelli maggiori." - ribattè Angel. E si
sorprese da solo con quell'affermazione. Prima ancora che Spike lo fissasse
passandolo da parte a parte.
Si alzò, quasi
di scatto e camminando, giunse ad un passo dal cortile illuminato.
Anche lui era
stato un fratello perfetto. Tra una sbornia e una litigata. Tra uno sbaglio ed
un altro ancora. Per Kathie nulla di tutto questo era importante. Non aveva mai
pensato di odiare suo padre per l'indifferenza che le mostrava…
"…Eppure
per Kathie tutto questo non aveva importanza. Odiava nostro padre per il male
che faceva a me." - confessò - "non le importava molto che non la
notasse."
"Perché
aveva te." - la voce di Spike lo fece sussultare. Era in piedi, un passo
dietro di lui - "Perché doveva desiderare altro? Tu probabilmente le davi
molto più di quanto potesse immaginare. E le volevi bene."
"Io
l'adoravo, William." - si voltò a guardarlo. E, senza volerlo, la sua
espressione si addolcì. Come allora. Come quando Kathie lo guardava ed
aspettava che parlasse - "E non ho dubbi sul fatto che tuo fratello Edward
stravedesse per te. Lo si legge nei tuoi occhi…"
Lo vide
sussultare. E fissarlo. E intravide quello che William era stato da vivo, in
una frazione di secondo. Vide svanire l'espressione forgiata dai secoli, il
cipiglio e la mascella volitiva. Vide il ragazzino biondo che era stato, il
ragazzino che aveva un'espressione troppo fragile per il carattere che
nascondeva.
Si voltò,
tornando a guardare il giardino assolato.
"Hai lo
sguardo di una persona che è stata amata, William. Sei uno che per amore
saresti capace a fare di tutto. A rischiare tutto. E non solo per l'amore di
una donna. Avresti veramente seguito tuo fratello in capo al mondo. Perché non
sarebbe mai stato capace di farti del male."
“Angel è...” -
alzò la testa, con un mezzo sorriso. E quell'aria tremendamente luminosa passò
sulla folla come un'ondata - “Angel è il buio, l'oscurità allo stato puro. Ma
non si può non volersi schierare al suo fianco quando parte per le sue
crociate. È sempre percepibile in lui una
disperata ricerca della scelta migliore e, allo stesso tempo, un'incertezza di
fondo. Fino a quando... fino a quando crederanno in me.”
Si interruppe,
forse per riflettere. Ma nessuno si intromise, di fronte a lui, alle sue
spalle. Ed Edward, per un attimo nella perplessità di aver detto troppo, sentì
la voce di Wes, pacata come sempre, dedicarsi al solito giochetto mentale.
“Vai avanti. È
ciò che vogliamo. Diamo loro la verità e difendiamola.”
Diamo loro la
verità. Basterà il tempo a farla divenire leggenda.
“La verità è
che... La fiducia è qualcosa di basilare nella vita.” - aggiunse, abbassando lo
sguardo. Assorto nelle proprie parole - “Non vorremmo mai essere feriti da chi
amiamo e abbiamo il terrore di ferire e perdere. Angel in questo non è diverso
dai suoi innocenti. Anche Angel sa cadere, non è il sicario senza cuore dei
vostri libri, non è l'uomo senza paure che impugna la spada delle storie che
verranno. Angel è la zona d'ombra, il grigio dove nascono e muoiono pressochè
tutti. È l'oscurità stessa a dargli il dono di comprendere la forza e la
preziosità della luce. E William...” - alzò le spalle. E sorrise. Aveva gli
occhi brillanti, lucidi - “Cosa credete che sia se non luce senza fine...”
"Willy…"
- Edward uscì in corridoio, finendo di annodarsi la vaporosa cravatta -
"Sei pronto?"
"Arrivo,
un attimo…" - come suo solito, William attraversò la soglia della sua
camera a testa china, finendo di pulirsi gli occhiali. E sbattendo
inevitabilmente contro Edward.
Dritto, con il
naso, nella cravatta di seta. Si scostò, strofinandosi la faccia ed Edward,
senza nemmeno pensarci, lo prese per le spalle.
"Stai
dritto." - l'ammonì, gentilmente, aggiustandogli anche il colletto -
"Alza il mento."
Poi fece un
passo indietro, incrociando le braccia, per squadrarlo.
William lo
guardava in attesa delle sua approvazione.
Sapeva di non
avere il portamento di Edward. Era più alto di lui ed i capelli, di un caldo
biondo, pur essendo ondulati, non ricadevano scomposti, incoronandolo come una
criniera.
Aveva gli occhi
profondi e grigi, come le pietre dello stagno, non cangianti, dall'azzurro a
varie sfumature in base agli stati d'animo.
E la sua
espressione stava cambiando.
Dal cipiglio
attento con cui si accertava che William non avesse un capello fuori posto, ad
un'espressione vagamente divertita.
"William…
puoi continuare a fissarmi… ma chiudi la bocca… sembri un tonno."
"Scusami."
- William sussultò, con aria colpevole - "Stavo solo facendo un bilancio.
Ogni volta che paragono una tua caratteristica ad una mia… viene fuori un
bilancio…"
"Ehi, Willy…"
- Edward si avvicinò - "Io darei qualunque cosa per il talento che hai.
Sei incredibile, sul serio. Dovresti credere in te. Vali più di quanto
pensi."
"Vorrei
assomigliarti di più." - ammise in un soffio.
Edward scosse
la testa, sorridendogli.
"Dai tempo
al tempo." - sussurrò, scompigliandoli quei capelli troppo indisciplinati.
Prima di guardarlo, ancora… ed aggiustargli gli occhiali sul naso - "E mi
metterai in ombra, prima di quanto immagini."
Si scostò da
lui, con un movimento scanzonato, e si incamminò verso le scale. Voltandosi,
per incitarlo a muoversi.
“Alcuni vi
diranno che è stata la mia assenza... altri che io sarei stato qualcosa di
diverso da ciò che sono. Ma non credo che niente di questo sia vero. Nel bene,
e soprattutto attraverso il male, verso se stesso e verso gli altri, William è
andato lontano. Molto più di quanto si potesse immaginare. E se bisogna puntare
un dito, in termini di presenza e assenza, in termini di importanza, allora
Angel è l'artefice della sua leggenda. Non sono io il fine ultimo della sua
ricerca. William voleva rifulgenza... e la rifulgenza è qualcosa che si
comprende solo volgendo dalle tenebre l'occhio verso il sole.”
Aveva sempre
parlato senza muoversi, la mano in tasca, l'oggetto d'argento nella mano destra,
senza stringere. Iconografico, come sempre, in ogni passaggio dalla sua vita.
Methos, con la
tempia appoggiata al pugno, sprofondato al suo posto, di lui vedeva solo la
schiena, diritta e fiera. E sentiva il cuore, inesorabile come il respiro.
Si, anche da lì
lo sentiva... sentiva i polmoni che bruciavano. E ne captava il dolore da quel
muoversi ininterrotto del portasigarette, ritmico per non ascoltare se stesso.
La verità è
spesso dolore. E il ricordo... il ricordo non offre mai pace.
A detta di Methos, Spike prendeva molto
seriamente la sua Redenzione. Non aveva esitazioni, faceva quel che doveva, con
una punta di cinismo in più rispetto a Angel. Non si trattava specificatamente
di non uccidere. Si trattava innanzitutto di non abusare del proprio potere.
Perché, senz’anima, quello era il primo autocontrollo che svaniva.
Il controllo del desiderio, in ogni sua
forma.
Ancora una volta, Edward ripercorse
mentalmente quella che doveva essere una caduta spirituale.
Il concetto non gli era del tutto estraneo.
I poeti che leggeva a sedici anni, i suoi
contemporanei, addirittura i coetanei dei suoi genitori, avevano coltivato
questo mito della caduta dal paradiso.
L’uomo intrappolato, l’uomo condannato
che si libera dal giogo e da’ sfogo ai suoi istinti.
E torna cacciatore.
Lupo tra i lupi.
Edward non aveva mai condiviso questo
elevarsi attraverso la dannazione. E William, di indole tranquilla, si era
spesso rapportato agli altri come un’anima sensibile: senza credere in sé, ma
nutrendo l’innocente certezza di capire e interpretare la realtà in modo
oggettivo.
Eppure si era dannato l’anima.
Aveva accettato questa sua dannazione.
Ingannato?
Tradito?
Consapevole?
No, non riusciva a immaginare in che
termini fosse giunta la sua scelta.
Di dolore?
Di vendetta?
Amore?
Perché no, amore…
Trattandosi di William, non se ne sarebbe
stupito poi molto. William aveva sempre creduto che per amore si può
morire…probabilmente l’aveva creduto sino all’ultimo.
E, con una certezza del genere, Edward
non riusciva a immaginarlo nuovamente sveglio e privo di anima.
Ti è rimasto il senso d’amore, da demone,
fratellino?
Credevi ancora in questo sentimento,
quando sei uscito da quella bara? Posso immaginarti senza morale, ma non senza
amore…
E senz’anima… non eri tu.
Ma un altro.
Ora, vampiro o no, saresti ancora tu.
Diverso, ma sempre tu.
Come puoi resistere, senza il sole…
Edward chiuse gli occhi, lasciando che il
sole del tramonto lo scaldasse, tingendolo d’oro. Vivere senza luce… forse era
vivere come senza aria.
Già, senz’aria… dopotutto ne so qualcosa…
Vivere senz’aria…
Edward poteva
apparire sereno nelle sue parole, ma non lo era stato nei confronti di Angel e
della natura di Spike, per molto tempo. L'assenza del fratello, le scelte, la
consapevolezza avevano scavato in lui. E quando era partito, lasciando suo
fratello a Angel, non lo aveva fatto solo per William, ma anche per se stesso.
E solo ora, con
quella signorilità che celava i tumulti e quella capacità di comprendere e
soppesare il giusto e lo sbagliato senza paura, Edward Coventry si riconfermava
ancora ciò che era sempre stato: leale, pulito, coraggioso. Soprattutto
coraggioso.
“E la tenebra,
la tenebra che avvolge e svela è Angel. Soltanto Angel.” - aggiunse Edward,
mentre il lieve calare della voce denunciava l'intenzione di tacere - “E avrà
sempre la mia stima, la mia gratitudine e la mia amicizia. E, se la mia spada
ha davvero un valore, anche quella.”
***
La sua occhiata
non sembrava fredda. Ma la donna, dal tavolo degli anziani, ebbe l'impressione
che la luce che sprigionavano fosse acciaio. Il padre di Wes, d'altro canto,
sembrava colpito e irritato dal non riuscire a smettere di fissarlo.
“Sappiamo molte
cose su suo fratello. Abbiamo seguito la sua storia passo dopo passo.” -
replicò, con calma, togliendosi gli occhiali e pulendoli. Come Wes, lo stesso
movimento rotatorio - “Non pensa sia il caso di dirci qualcosa di lei?”
Edward sorrise,
educatamente.
“Qualcosa di
che genere?” - domandò, con educazione – “Non penso di poter dire molto se non
che... sono un immortale. Solo il fratello di un eroe.”
“Ed un eroe, a
quanto si dice.”
“No, inesatto.”
- scosse la testa, senza rammarico - “Non sono niente del genere. Potevo,
dicono. Ma le cose sono andate diversamente. E io non me ne rammarico.”
“Non... non se
ne rammarica?”
“No. Perchè
dovrei? Il destino, se esiste, ha fatto un buon lavoro. Avete ottenuto qualcuno
di ben più importante di me. Avete Angel. Avete Spike. Non vi servo io.”
“Eppure...”
“Eppure
cosa...”
“Eppure ci
dicono che non siate stato un componente trascurabile negli eventi di LA...”
“Ah si?” Edward
sorrise e, con un dito abbassò il collo del maglione - “Vi state riferndo a
questo?”
La tribuna fu
percorsa da un brivido.
C'era una
cicatrice sulla gola di Edward. Ed era il segno di un morso.
“Oppure a questo.” - aggiunse, sollevando la manica,
un secondo segno, profondo come il primo – “Si, non si rimarginano e sono
veicoli magici. E per me hanno un significato speciale che non coincide con
quello che gli dareste voi.”
Lasciò ricadere
la manica e scosse la testa, fissando il padre di Wes dritto negli occhi, con
sfida.
“E non farete
degli immortali i vostri nuovi paladini, se è questo che state pensando.
Abbiamo altro di cui occuparci.”
“Non siamo così
manipolatori.”
“Si che lo
siete.” - si intromise Wes, con voce incolore - “E non penso che Edward si
lascerà abbindolare da voi per cui puoi smettere anche subito.”
Letale. Edward
si voltò, interrogativo. E Wes alzò gli occhi verso di lui.
“Tranquillo, è
mio padre.” - comunicò, laconico - “E non gli piaccio mai.”
“Oh, capisco.”
- Edward si voltò, fissando meglio l'uomo - “E non sa che sei un uomo in gamba,
immagino...”
Perfetto due
volte. Methos alzò gli occhi al cielo. Non solo si era presentato per difendere
il proprio fratellino, ma stava scattando il lui quel solito noiosissimo
desiderio di tutelare gli incompresi.
Anche se... a
pensarci bene...
“In effetti è
un peccato che non sappia che uomo sei.” - commentò, ad alta voce.
“Methos, no,
non lo fare.” - il pensiero gli era arrivato fulmineo nel cervello.
“Oh si che lo
faccio.” - rispose allegramente ad alta voce - “E' mio dovere difendere un
collega... come un fratello.”
“Mettiti una
mano sul cuore mentre lo dici, sarai più credibile.” - rispose la voce nella sua mente. Wes, di contro, fissandolo
dritto negli occhi stringeva le labbra come una morsa - “Non c'è motivo per
farlo, non serve a nulla.”
“Serve come
ogni altra parola detta.” – mormorò Doyle, con calma - “Mister Price,non credo
che lei e i suoi colleghi abbiate ben valutato Wes.”
“Westley ha
fatto ciò che riteneva opportuno.” - rispose l'uomo, implacabile - “Non stava
al consiglio appoggiarlo nelle sue scelte meno felici. Gli è stata offerta
l'opportunità di essere integrato nuovamente e ha rifiutato. Non credo che la
sua condotta sia argomento per queste sede.”
“Ma
davvero....” - edward piegò la testa verso Doyle, attendendo un cenno - “Eppure
io credo che in effetti, ci sia ancora qualcosa da dire e un ultimo
protagonista da presentare...”
Fece due passi
indietro lasciando campo a Doyle. Un Doyle deciso ad arrivare fino al tavolo
degli ostili senza colpo ferire.
“A detta di
molti,” - esordì, rapido, appoggiando le mani sul legno scuro - “Per essere un eroe bisogna avere certi requisiti e
dalla propria una tonnellata di predestinazioni. Uno di loro, uno di noi,
dicono i più pratici. Eppure ci sono parecchi 'di loro' che si credono da
questa parte della barricata, nemmeno da considerarsi qualcuno. Angel e William
lo sono stati, prima di essere vampiri, ad esempio. Ma non stiamo più parlando
dei nostri due ragazzi. Qui parliamo di uno di voi, giunto in America per i
canonici motivi per cui vi spediscono oltreoceano. Uno di voi, né più né meno.
Peccato che, amici miei, non lo fosse.”
Si voltò,
indicando Wes.
“Datemi il
piacere di presentarvi Westley Whydam Price.” - disse, con timbro cristallino.
E con un sorriso - “Un rinnegato per voi, una colonna per tutti noi. Un uomo
che non vi siete mai dati la pena di scoprire.”
Wes non disse
nulla. E non sorrise. Aveva gli occhi in un punto indefinito. E quelli di suo
padre a incenerirlo.
“Io sono il
sostituto di Wes.” - proseguì Methos - “Sono stato scelto da voi per occuparmi
della Cacciatrice, perchè mi avete ritenuto più idoneo. E io ho adempiuto al
mio dovere. Ma questo non ha fatto di me la pietra miliare di Faith, anzi...
ritengo che questa ragazza tanto criticata abbia avuto nei miei confronti un
autocontrollo esemplare.”
Wes sorrise,
divertito. Si, in effetti questo era
innegabile.
Anche quella notte, Faith portava avanti
la sua personale lotta contro il male. E Wes le teneva compagnia, sorbendosi
l’ennesima dose di lamentele riguardo al suo sostituto.
“Insomma, non solo se ne sta qui, a
tenermi d’occhio, ma se ne frega pure di me!” – Sbraitò, ignorando il fatto di
essersi appena contraddetta – “Un giorno c’è, un giorno se ne va, senza
preoccuparsi assolutamente di quello che può accadere. Non fa nulla per
aiutarci, non muove un dito per collaborare! Se ne sta comodamente sdraiato sul
divano ed è.. è un pezzo d’idiota, come tutta la sua razza!”
Si fermò, cercando di non sotterrarsi per
quello che aveva appena detto.
“Non ti preoccupare.” – replicò Wes,
venendo in soccorso al suo imbarazzo e caricando nel contempo la balestra –
“Presenti esclusi.”
Faith lo fissò di traverso, mentre
muoveva un passo verso la strettoia successiva. Qualunque cosa fosse successa a
Londra, Wes era cambiato. Aveva smesso di portare gli occhiali regolarmente ed
aveva perso l’abitudine a radersi in maniera maniacale. Era come..
americanizzato.
E questo, a Faith, non spiaceva per
niente. Se non per il piccolo senso di colpa che provava, di tanto in tanto, al
pensiero che Wes avesse rinunciato, per lei, ad essere osservatore. Per quanto
l’uomo si sforzasse a sottolineare come fosse stata una scelta dettata da molti
motivi, la Cacciatrice non poteva convincersi del tutto.
Era, per buona parte, colpa sua. Anzi,
iniziava a pensare di aver condizionato a tempo pieno la vita di Westley dal
loro primo incontro, fino alla sua definitiva destituzione.
Insomma, Faith si sentiva il vaso di
Pandora personale di Westley Whydam Price.
Adam Pierson compreso. Quell’esemplare di
osservatore venuto da chissà dove.
“Ti dona questo nuovo look.” – commentò,
cercando di essere incoraggiante e cambiando discorso – “Ho visto un paio di
stivali di coccodrillo che ti starebbero da dio…”
“E da quando guardi le vetrine?” –
domandò l’uomo, facendo scattare la sicura della balestra manesca e chinandosi,
per lasciarle visuale libera oltre l’angolo.
“Io no. Me lo
ha detto Cordelia. Credo il tuo nuovo look le piaccia.”
Wes sorrise,
senza dir nulla. Un mezzo sorriso, appena accennato. In effetti Cordelia aveva
manifestato una certa sorpresa per quel suo cambio di immagine. Ma da qui a
divenirne la curatrice…
“Lascia
perdere, Faith.” – rispose, in un sussurro, prendendo la mira – “Abbiamo altro
a cui pensare.”
“Quel posto era
già di qualcuno, nel cuore, per affetto e lealtà dimostrate. Wes ha portato
Faith fin dove doveva giungere, con la dedizione che voi stessi predicate e con
un amore che invece in pochi avete ritenuto basilare.”
Pochi, o
nessuno, pensò Wes. Rari come fenicotteri.
"Wes, Wes,
non si deve mai smettere di fantasticare. Non te l'ho detto sempre? Mantieni
pure il tuo decoro, ma la prossima volta che ci vediamo, devi dirmi qualcosa
del tipo… Helen, cara, sembri un fenicottero con quel vestito!"
E, con un
attimo di preveggenza, fredda come un soffio, Helen ebbe la netta impressione
che Westley fosse destinato a grandi cose. Non ad una biblioteca. Non ad una
Cacciatrice tra tante. Si trattò forse di una variazione di luce, oppure di un
dono nascosto. Ma, in quel singolo sguardo che si scambiarono, Helen varcò le
difese di Westley e il tempo.
Grandi cose.
Grandi cose nel
futuro di Whydam-Price.
Cose che il
Consiglio non avrebbe capito.
Realtà che Wes
avrebbe cercato disperatamente di ignorare.
Persone che
avrebbe combattuto.
Destino.
E non destino.
Niente era
scritto, ancora. Niente di tutto ciò per cui Wes aveva studiato e faticato.
Rispondendo
ancora una volta all'impulso ed al freddo che di colpo sentiva, Helen protese
una mano e gli accarezzò la guancia.
"Avrai la
tua occasione, Wes, te lo posso assicurare." - Helen sorrideva sempre a
Wes. Dal giorno in cui aveva capito che il ragazzo avrebbe goduto di quella
famigliarità senza mai raccontarla a nessuno. Senza mai giudicarla debolezza.
"E lei, la
Cacciatrice,com'è?" - azzardò. Non era certo si potesse parlarne.
"oh."
- Helen si illuminò, innanzi a quella domanda - "E' … splendida. Forte,
caparbia, sensibile… mi avevano detto che aveva un carattere difficile, ma non
è vero.
Bisogna solo
saperla capire. La sua vita è difficile…"
"Non
dimenticarlo Wes. Io ho insegnato per molti anni cosa è giusto dire ad una
Cacciatrice. Ma ora so che la cosa più importante è saperla ascoltare. Le sue
paure, le sue ambizioni, le strade che sa che le sono precluse e che la fanno
soffrire… ascoltare, Westley, ascoltare con il cuore. Non troverai in nessun
libro le spiegazioni per far funzionare l'anima di una Cacciatrice. Per
guiDarla bisogna semplicemente accompagnarla per la sua strada. Una Cacciatrice
incompresa smette di essere una Cacciatrice."
"E' una
ragazza minuta." - riprese, come se nulla li avesse interrotti - " ma
vorrei che tu la vedessi muoversi. Agile come un gatto, sembra fatta di
gomma…la mia Faith, la mia piccola Faith…"
"Faith? È
così che si chiama?" - un brivido lo colse… forse avrebbe dovuto prendere
la giacca…
"Faith.
Spero che un giorno tu possa conoscerla." - Helen annuì, perdendosi solo
per un istante nei suoi pensieri - "e' un peccato che il consiglio non
voglia realmente accettarla, solo perché si è attivata con un'irregolarità
gerarchica. È molto dotata. Senza contare che trascurarla potrebbe essere un
enorme sbaglio."
"Westley."
- dio, come era stanca, d'un tratto, la sua voce - "promettimi che un
giorno seguirai il tuo cuore. Abbandonerai gli schemi e le imposizioni e non
avrai paura di imboccare la tua strada."
La sua strada?
Di cosa stava parlando? Era un Osservatore, sapeva già qual era la sua strada…
"devi
promettermi che non dimenticherai questo giorno, che non dimenticherai che sei
nato per seguire la giustizia. Promettimi che amerai la tua Cacciatrice più del
tuo Ordine. Perché l'Ordine è effimero, innanzi ai pericoli che corre quella
ragazza. E tu devi amarla come una figlia. E l'amore, quello che la Cacciatrice
ha bisogno, mai lo troverai dentro ai tuoi libri…"
"Promettimelo."
- sussurrò ancora.
"te lo
prometto Helen." - replicò Wes.
Ed Helen
secondo un codice benedicente che non sembrava destinato a svanire, lo obbligò
a chinare il capo, per deporre un bacio su quella fronte, scrigno di sapienza.
Senza sapere
mai se le avesse creduto realmente.
L'ho fatto
Helen. Ho seguito il mio cuore e la mia Cacciatrice, fino alla fine. Ed è
andato tutto come sapevi. Il consiglio mi disprezza, mio padre mi tollera a
malapena. Ma non credo che mi importi più. Sono andato verso la giustizia, l'ho
fatto per le persone che amo. E ora, ora è tutto finito.
E la tua
Faith.. la tua Faith è volata oltre tutto questo.
***
Avrebbero
seguitato a parlare di lui. E lo avrebbero fatto con l'entusiasmo con cui si
erano slanciati in ogni monologo dall'inizio di quella estenuante seduta.
Solo che Wes
non era certo di poterlo tollerare. Conosceva per nome quasi tutti coloro che
sedevano in quella sala e, contrariamente a quanto si potesse pensare, non
desiderava rivalsa né perdono.
Voleva solo
finire.
Finire.
E senza
smentire se stesso.
Per tanto,
mentre ancora Doyle parlava, si alzò e lo raggiunse, posandogli una mano sulla
spalla.
“Diamo loro
quello che vogliono.” - disse, quando il demone voltò la testa verso di lui -
“Quelle sono le parole che vanno dette.”
Mosse lo
sguardo, cercò quello di suo padre. E si vide dentro i suoi occhi. I capelli
ribelli, lo sguardo azzurro in tempesta, la leggera barba. Restavano solo gli
occhiali, la leggera montatura più per abitudine che necessità e suo padre ebbe
l'impressione, ancora, che quegli occhi mandassero lampi viola.
“Dai loro gli
eroi in cui possono credere....” - aggiunse, con voce lontana - “Non quelli che
non desiderano vedere...”
Noi sappiamo
come è stato. Loro vogliono sapere come sia andata. Possiamo raccontarla con le
nostre parole, possiamo sfilacciare la nostra vita fino a renderla frammenti
piccoli con una spiegazione gestibile. Ma non torneremo indietro.
Non riavremo
più nulla di quel tempo, dell'Hyperion, dei biscotti al cioccolato e dei
fagiolini puliti sul tavolo della cucina. Non riavremo le nostre lotte nello
scantinato, il mio caminetto, il giradischi e la chitarra elettrica si Spike.
È fuggito via
tutto. Tutto. E questo nostra attendere ed esasperare... non ci permetterà di
restare fermi.
Andiamo avanti.
E diciamo loro come è finita. Erano anime e sangue. Lo sono state fino alla
fine.
Si voltò, verso
i ragazzi. E questi lo guardarono, con un rispetto e una passione che lo fecero
sorridere.
“Non lasciatevi
confondere.” - disse, con voce tranquilla. E sorrise - “Io non sono un eroe.”
Io sono solo un
guerriero.
E ho seguito il
mio destino, con il cuore.
Il resto... il
resto è polvere per le biblioteche.
SECONDA PARTE
[V]
“Si, credo che
abbia ragione.” - Methos si guardò l'orologio e rialzò la testa - “Ragazzi,
capisco la necessità di raccontare la vostra vita, ma credo sia il momento di
concludere.”
Si erano
voltato nella sua direzione. E Methos aveva annuito, convinto.
Lo sapete....
la storia non cambierà mentre attendiamo. È scritta.
“Raccontiamo
della battaglia di LA e andiamocene.”
“Non c'è più
nulla da fare qui.” - aggiunse Wes, tornando a sedersi al proprio posto. Non
c'è più nulla da salvare - “Doyle, mi spiace ma...”
“Lo so.” -
sorrise, tirato. Cominciava a sentire la stanchezza, la tensione degli utlimi
giorni - “Tocca a me iniziare. E, quindi, andiamo dritti al punto. Tutto è
cominciato... o finito, in base ai punti di vista il giorno in cui...”
LosAngeles
“Rispondo io!” – sospirò Angel,
recuperando il Cordless.
In effetti era
una cosa logica.
Da dove si
trovava, comodamente sdraiato sul divano dell’ingresso, impegnato a leggere
Rolling Stone, Spike non manifestava l’intenzione di alzarsi.
In cucina
Cordelia e Lorne che lavavano i piatti,
canticchiando una vecchia canzone di Marvin Gaye trasmessa alla radio, non
sembravano aver nemmeno sentito
l’apparecchio squillare.
La domenica
pomeriggio perfetta di Doyle implicava un sonnellino indisturbabile…
Ed una partita
a scacchi tra Cacciatrice ed Osservatore aveva la stessa sacralità.
Restava solo
lui.
Il paladino
della notte.
“Pronto?”
Gli bastò
sentire la sua voce per dimenticare la tranquillità dell’Hyperion.
Per dimenticare
il mondo intero, il libro che stava leggendo ed i giochi di luce del lampadario
che tanto lo distraevano.
“Buffy…”
La sua voce.
E tutti i
ricordi che conteneva.
Aveva detto il
suo nome per capacitarsi. Per ricordarsi che migliaia di emozioni andavano
tenute sotto controllo.
Per resistere
al suo cuore impazzito.
Finalmente
qualcuno aveva risposto.
Era ora, pensò
Spike, girando la pagina e continuando l’articolo.
E perdendo il
filo del discorso nell’attimo stesso in cui la porta dell’albergo si apriva.
Ritrovandosi
seduto e già preoccupato prima ancora di averne consapevolezza.
“Passami
Spike.”
“Buffy…” –
aggrottò la fronte. Doveva essere successo qualcosa…
“Angel, passami
Spike, ora!”
Non era certo
di aver capito. La sua bellissima Buffy era furente. E gli stava urlando di
muoversi.
Saltò in piedi
e corse nell’ingresso. Poco ci mancò che inciampasse nel tappeto.
“E’ …per te…” –
no, decisamente, il suo cervello era bersagliato da troppe emozioni.
Spike gli
strappò il telefono di mano senza neanche guardarlo.
“pronto…”
Le urla che lo
colpirono dritto al timpano lo obbligarono a scostare la cornetta con un salto.
“Tu sai dov’è! Dimmi che è lì, perchè io adesso ucciderò qualcuno, per cui
muoviti, dannato vampiro!…”
il seguito non
era molto lusinghiero.
Dopo tre
tentativi mal riusciti di prendere la parola, anche Spike perse le staffe. Ed
il Taci! che gli uscì dalla bocca fu tale da far convergere tutti i suoi
coinquilini con tempi da olimpiadi.
Ottenuto
finalmente l’agognato silenzio, Spike scostò il telefono e, coprendo il ricevitore
con una mano, ringhiò:
“Vuoi dirmi tu
cosa fai qui o me lo faccio spiegare da lei?”
Sulla porta,
con una valigia sui piedi ed uno zaino in spalla, stava Dawn.
London
“Come?” - Doyle
si voltò, sorpreso - “Oh, si certo, è cominciata davvvero così. Cosa vi
aspettavate? Un rombo di tuono, uno squillo di tromba? No, nessuna apocalisse
comincia in maniera epica. È solo dopo, quando tutto sembra perduto, che la
leggenda si manifesta con più buongusto.. e senso scenografico.”
“Allora
saltiamo alla parta basilare. Questo non ci interessa.”
“Ma dovrebbe.”
- si intromise Methos, senza battere ciglio - “Perchè è in quello che Doyle vi
sta raccontando da stamattina e in cui dovreste vedere il motivo per cui gli
eroi combattono. Tutta quella normalità, quel modo di essere e vivere è la
fonte della forza che smuove le montagne e cambia il destino.”
Si raddrizzò,
senza rinunciare alle braccia conserte. E i suoi anfibi slacciati, le gambe
secche nei jeans e la bocca enorme in movimento, sembrarono sottolineare il
concetto.
“La vita è ciò
che ci salva dal tempo. La vita.” - puntualizzò, deciso - “Quindi ascoltate con
attenzione. Ed empatizzate con Spike. Perchè, quel giorno si era davvero
beccato una bella patata bollente.”
LosAngeles
“Come sarebbe a
dire… scappata di casa?” – chiese garbatamente Angel, pochi minuti dopo,
incrociando le braccia. Stava in piedi nella sua cucina e Dawn, seduta al
bancone, stava banchettando con tutto ciò che Cordelia le aveva offerto.
Dall’altra
stanza, benché la porta a vetri fosse chiusa, si sentivano ancora le urla di
Spike. Appariva e riappariva nella loro visuale, camminando avanti e indietro.
Faith non lo
perdeva di vista nemmeno un secondo, puntellandosi la guancia ad un gomito.
Immergeva ritmicamente la bustina del the nel tazzone pieno d’acqua bollente.
Ogni tanto, il vampiro, girandosi, le rivolgeva uno sguardo esasperato, alzando
gli occhi al cielo e spalancando le braccia.
“Non dovremmo
salvarlo?” – domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Penso se la
sappia cavare…” – replicò Angel, senza smettere di fissare Dawn.
Senza sapere
che, alle sue spalle, Spike, a beneficio di tutti, stava facendo eloquenti
segni sul fatto che bisognava porre fine alle sue sofferenze.
Per
l’esattezza, oltre a digrignare i denti, stava facendo finta di tagliarsi la
gola.
“Capito
l’antifona.” – sospirò Doyle, alzandosi e girando attorno al tavolo.
“Scusami
Principessa.” – mormorò, sradicando dal muro la presa del telefono da cui
Cordelia stava origliando.
“Ma, ma Doyle…”
“Che c’è amore?
“ – le domandò, tenendo il cavo in mano e guardandola stranito – “E’ caduta la
linea?”
London
“Si.” -
interruppe Wes, sentendo un certo brusio levarsi - “E' quello che abbiamo fatto
spesso con voi. Permette di avere tempo per pensare la risposta.”
Stiracchiò le
braccia e gli occhi azzurri brillarono.
“Siamo
guerrieri, non pensatori.” - aggiunse, sornione.
E la platea non
dubitò di ciò che stava dicendo perchè, quando aveva alzato le braccia, tutti
avevano visto la fondina della pistola.
LosAngeles
La porta si
spalancò e uno Spike furente piombò dritto a centro stanza.
“Grazie.” –
disse sbrigativamente – “hai un paio di minuti prima che tua sorella richiami e
ricominci. Per cui ottimizza il tempo e dimmi perché diamine sei qui.”
“Scappata di
casa.” – commentò Angel, massaggiandosi in mezzo agli occhi come in preda ad un
incipiente mal di testa.
“Com…” – Spike
si voltò a guardarlo, stringendo tra le mani un telefono che aveva già
ricominciato a squillare. Rivoltandosi a fissare la sua pupilla, mentre Cordelia,
prontamente faceva ricadere la linea.
“Vedi, Cordy,
che impari in fretta?” – osservò Lorne, appoggiato al frigorifero.
Intanto
l’attenzione di Spike si era definitivamente fissata su Dawn. Ed il suo sguardo
doveva essere particolarmente eloquente, visto che la ragazzina già iniziava a
sembrare un po’ più sulle spine.
“Spike, dai,
non ti arrabbiare.” – commentò, stropicciando il tovagliolo con entrambe le
mani – “Ho i miei motivi, sul serio…”
“Se stai per
dirmi che tua sorella è una schiavista che non ti capisce…” – Spike le puntò un
dito contro – “E che casa tua è un inferno in cui ti obbligano a studiare ed
andare a letto presto, per quanto non mi senta di darti veramente torto, Dawn,
dovranno tenermi perché io….io…”
Non finì
nemmeno la frase. Il telefono riprese a squillare e lui rispose. Di riflesso e
pentendosene all’istante e tornando rapidamente da dov’era venuto.
E non c’era
dubbio sul fatto che a Buffy non serviva un telefono. Le sue parole si
diffondevano ugualmente, ben scandite, in tutta la cucina.
“Però, che
polmoni…” – commentò deliziato Lorne, riferendosi in parte anche a quelli che
Spike stava utilizzando al massimo, per sovrastare le urla della sua
interlocutrice.
Erano quasi al
capolinea.
“Ascoltami
bene!” – esplose definitivamente – “Dawn è qui, non le è successo niente ed io
sono stufo di sentirmi dire che è colpa mia che sono troppo permissivo. Per cui
chiudi quella bocca da gallina che ti ritrovi e lasciami andare a parlare con
tua sorella!”
A questa
esplosione seguirono alcune frasi incomprensibili ai presenti.
Buffy si era
inspiegabilmente calmata, ed il suo tono di voce era sceso a dei livelli
normali.
Come la sua
rabbia, si sperava.
Qualunque cosa
stesse dicendo, era udibile solo da Spike.
“Questo te lo
posso garantire.” – lo sentirono mormorare, prima di chiudere la chiamata. Con
un’occhiata che fece rabbrividire Dawn.
Studiatamente
pacato, Spike rientrò in cucina e si sedette di fronte a Dawn.
Doyle gli offrì
una sigaretta, Angel gli avvicinò il piatto con i resti della crostata mentre
Faith e Wes si contendevano il bollitore per versargli una tazza di the.
Di tutto, pur
di vedere la sua vena sul collo cominciare a sgonfiarsi.
“Adesso sono
calmo, Briciola.” – comunicò, con un tono che lasciava intendere ben altro – “E
prima che io mantenga la promessa che ho fatto a tua sorella e ti levi la prima
pelle, sarà meglio che mi spieghi perché sei dovuta scappare di casa… Angel
fermò dove sei!”
Non si era
nemmeno voltato. Angel aveva già una mano sulla maniglia e tutti i presenti
iniziavano già ad assieparsi dietro di lui. Una ritirata strategica dietro al
leader.
“Non pensi che
sia una conversazione privata?” – azzardò a nome di tutti, girando su se
stesso.
“Affatto.” – i
suoi occhi avevano una pericolosa sfumatura acciaio – “Sono certo che Dawn ha
motivazioni ragionevoli da esporci.”
Se Buffy
l’aveva realmente accusato di essere troppo permissivo, non sapeva bene come
girava il mondo.
Quello che
Spike stava mettendo in piedi era un implacabile processo alle ribellioni
adolescenziali.
Al suo
imperioso richiamo, per quanto recalcitranti, erano tutti tornati in cucina. E,
per quanto avessero finito di pranzare relativamente da poco, sentirono il
desiderio nervoso di masticare tutto il commestibile, mentre Cordelia si
incaricava di preparare del caffè fresco.
“Tu no.” –
ingiunse Spike, spingendo verso Dawn la bottiglia del latte – “Sei troppo
giovane.”
E la ragazzina,
con un lampo di rassegnazione, lasciò ricadere la mano.
Ormai iniziava
ad apparirle evidente che non l’avrebbe passata liscia.
“Fammi capire…
sei uscita con il pustoloso…”
“Skip. Si
chiama skip. E non è pustoloso.”
“fa lo stesso.
Sei uscita con Skip e sei andata ad una festa. Ma la gente che c’era non ti
piaceva. Per cui hai chiesto a Rick di riaccompagnarti a casa.”
“Giusto. Solo
che si chiama Eric e non Rick.”
“fa lo stesso.
Quindi, passando davanti ad una caffetteria, ti è venuta voglia di una
cioccolata. E vi siete fermati.”
“certo. Solo che lui ha fatto il cretino con la
cameriera ed io mi sono scocciata. Così abbiamo litigato e lui mi ha mollato…
senza nemmeno pagare il mio frappè.”
“Un vero
cafone.” – la voce di Spike grondava sarcasmo.
ed alle spalle
di Dawn, in piedi, Lorne e Doyle, per sdrammatizzare, tenevano il conto dei
ragazzi nominati.
“E qui ci
stava…”
“Donnie. Si
chiama Donald, ma Donnie è più carino.” – spiegò con naturalezza la ragazzina-
“Ha dei bei capelli biondi e…”
“D’accordo” -
taglio cortò Spike – “Il terzo è carino come gli altri due messi insieme.”
“Ma molto di
più.” – esclamò Dawn, spalancando bene gli occhi – “Solo che lui è… il quarto.”
“Briciola… il
pustoloso, Rick e Donnie.” – citò, enumerandoli sulle dita, come i due perfidi
che stava cercando di ignorare – “Al mio paese sono tre.”
“è vero. Ma
alla festa ho incontrato un certo Kris, della squadra di football.”
“Chissà perché
tanti giocatori di football si chiamano così…” – sospirò Cordelia, in preda a
qualche reminiscenza del liceo.
“Sai Cordy che
sei un mito ancora adesso al liceo?” – esclamò Dawn, prendendo la palla al
balzo – “Noi cheerleaders parliamo spesso di te.”
“Voi…” – Spike
la guardò sconvolto – “Mi stai dicendo che adesso fai anche la coniglietta?”
“coniglietta!”
– Cordelia saltò in piedi, indignata – “Come sarebbe a dire coniglietta!”
ci mancava solo
che Cordelia partisse per una crociata.
“Cordy…” – Wes
diede un colpo di tosse molto educato – “sarebbe meglio tralasciare, per il
momento…”
“Oh.” – ammise
lei, ricordandosi di colpo del contesto. E risedendosi con un tonfo – “In
effetti, ma è un discorso su cui sono molto sensibile!”
la via di fuga
stava rapidamente svanendo all’orizzonte. Dawn sentiva di nuovo gli occhi di
Spike puntati addosso.
“Siamo fermi a
Kris.” – riprese.
“Con lui non è
successo niente.” – si affrettò a spiegare la ragazzina.
Mossa
decisamente sbagliata.
“Devo arguire che
con gli altri sia successo qualcosa?” – mormorò Spike, mentre gli occhi gli
diventavano sottili come fessure.
E fu a questa
domanda che si risvegliò tutta la platea circostante.
“Wes
carissimo!” – Lorne gli tese le braccia e lo strinse in un cameratesco
abbraccio – “Lo sai che ho sempre desiderato sfogliare tutti i volumi della
Cambridge? È una vera necessità! Impellente! Dobbiamo assolutamente ovviare
questa mia lacuna!”
“Ma che
splendida idea!” – concordò Doyle, illuminandosi e saltando giù dal mobile –
“Anch’io voglio delucidazioni su… su… sull’aramaico antico!”
Faith li guardò
con una punta di disgusto, mentre spingevano il suo osservatore fuori dalla
stanza. Non che Wes sembrasse particolarmente seccato ma, tra tutti e tre, si
sarebbero potuti inventare una scusa meno zoppicante.
“Me ne vado.” –
comunicò, ricevendo l’occhiata di fuoco che si
meritava – “Le prediche sono molto noiose. Sono certa che in tv stiano
dando qualcosa di meglio.”
Solo Cordelia
ed Angel rimasero. Entrambi con dei buoni motivi per farlo.
Angel perché
Spike non l’avrebbe lasciato andare via facilmente. E Cordy perché i discorsi
che presagiva, non solo erano più comprensibili sentiti in loco che da dietro
una porta chiusa, ma andavano depurati di ogni intonazione razzista nei confronti
delle cheerleaders.
Era un dovere!
E Cordy, che di
strada ne aveva fatta parecchia da allora, non riusciva comunque a dimenticare
che prima di essere la Principessa di Doyle era stata la Regina del Sunnydale
High School.
London
“No, forse
stiamo esagerando. Tu che dici?”
“Si, in effetti
è possibile.” - Wes fissò la platea, divertito. Pendevano dalle labbra di
Doyle. E c'era persino un ragazzo in prima fila che teneva conto dei fidanzati
della Chiave. E, tanto per cambiare, il Cantastorie stava per bastonarli. E con
gusto.
“Allora mi
toccherà lasciar perdere il resto del resoconto.” - sospirò il Cantastorie, con
aria teatrale. E, rapidamente, sintetizzò il resto - “Comunque a quel punto,
Spike e Dawn hanno litigato e la situazione è degenerata. Punto.”
Wes pensò di
non aver mai visto gli osservatori
tanto delusi per un discorso abbreviato. E Doyle, con il suo solito cuore
tenero, si sentì una carogna.
“Ok.” -
sospirò, con un cenno della mano - “ok, ve ne racconto ancora un pezzetto...”
LosAngeles
Quando i passi
di Dawn sembrarono allontanarsi nell’ingresso, Spike si abbandonò ad un
sospiro. Ed una gamma di emozioni gli attraversò il viso.
“temo che tu
abbia esagerato…” – azzardò timidamente Cordelia.
“Temo anch’io.”
– ribattè lui, senza nemmeno alzare gli occhi.
“Non dobbiamo
seguirla?”
“Non se ne è
andata. È seduta sui gradini del portico….”
Non gli
chiesero nemmeno come facesse a saperlo. Appariva evidente quanto fosse
dispiaciuto dalla piega che aveva preso il discorso.
E quando si
alzò e lo sentirono salire le scale e sbattere la porta di camera sua, non
osarono fiatare.
Era la prima
volta che litigava con Dawn. Ed era una cosa che gli lasciava l’amaro in bocca.
Stava seduto
nel suo studio, con i piedi sulla scrivania. E rimuginava sulla situazione che
gli era sfuggita di mano.
Non era mai
stato un padre. E quello che aveva avuto, in un vita tanto lontana da essere
remota, si era rivelato un uomo mite che dai figli aveva avuto ben pochi
problemi.
Lui stesso, William, era sempre stato un
sognatore dedito alle biblioteche. Ed Edward, suo fratello… bhe, un figlio
perfetto.
Problemi
giovanili. Era sempre stato talmente estraniato dalla vita pratica da non
arrivare nemmeno a trovarsi in conflitto con i suoi genitori. E i conoscenti
gli mettevano soggezione, con il loro atteggiamento accondiscendente,
abbastanza da evitare ogni forma di divergenza.
“Rispettoso ad
un passo dall’essere stupido.” – si apostrofò, poco convinto.
Assorto com’era, non si accorse che c’era
qualcuno nella stanza, fino a quando non lo vide seduto sull’angolo del tavolo.
“E’ una
ragazzina, Spike. dovresti ricordartelo più spesso.” – mormorò Angel.
Non suonava
polemico. Era solo una constatazione molto garbata. Spike trattava Dawn come
un’adulta. E dimenticava come avesse appena compiuto sedici anni e desiderasse
essere solo una normale adolescente tra i suoi coetanei.
Angel ne sapeva
qualcosa di sedicenni sopravvalutate e logorate da ruoli troppo pesanti.
Il suo grande
amore rientrava paradossalmente in questa categoria.
Quando si erano
conosciuti, Buffy era solo questo: una bionda avventata e con il desiderio di
essere libera.
“So bene che è
giovane. Ma non ricordo abbastanza degli stati d’animo…” – replicò. Era passato
da una giovinezza tranquilla ad avere, come unici adulti di riferimento, tre
vampiri.
“Tu non sei suo
padre, Spike. Non devi nemmeno provare ad esserlo. Dawn ti vuole molto bene e
la tua opinione è molto importante per lei. Si vede già solo dal modo in cui ti
guarda.” – spiegò Angel, gentilmente – “Non è venuta qui per scappare da Buffy.
è venuta qui perché ha bisogno di te.”
“Ed io l’ho
aggredita...” – Spike si massaggiò la fronte – “Dannazione,che casino ho
combinato.”
“Non è così
grave. Avevi ragione, Dawn è ancora qui. Non è scappata di nuovo.” – sorrise –
“Ma tu questo lo sapevi già. La conosci bene…”
“Provi tu a
parlarci?” – domandò, alzandolo sguardo verso di lui.
Si appellava
alla sua saggezza. E non poteva fare a meno di sentirsi un ragazzino che ha
combinato un disastro a cui non sa rimediare.
“Ci provo.” – gli
sorrise, annuendo – “Tu, però, intanto, dovresti fare una cosa.”
“Sarebbe?”
“Chiama Buffy.
E dille che ci teniamo la sua bambina un paio di giorni.”
London
“E' questo è
stato l'inizio. Dawn.” - concluse, attraversando la sala e posando una mano
sullo schienale della sedia di Wes - “Prosegui tu? Ho la gola secca.”
“Certo.” - gli
cedette la sedia, nascondendo nell'incuranza la preoccupazione. Doyle aveva le
mani che tremavano e aveva esagerato, come suo solito.
“Li hai tenuti
d'occhio tutti con il pensiero?” - domandò, silenziosamente.
“No. Ho solo
studiato a lungo come farli saltare in aria senza uccidere pure noi.” - fu la
risposta, con la stessa tecnica telepatica - “Mi offri da bere?”
“Ovviamente.” -
rispose. E poi, ad alta voce, con naturalezza - “Scusami... si, proprio tu...
me la procuri una bottiglia di scotch?”
“Questo è
troppo.” - mormorò un uomo irato, alzandosi. E Wes non battè ciglio.
“Prego, allora
vada.” - disse, indicando la porta. Intanto non sarebbe mai più tornato né mai
più lo avrebbe rivisto - “Devo essere mancato parecchio dall'Inghilterra, se ha
fatto in tempo a venire meno la nostra secolare ospitalità, non crede?”
Il ragazzo
invitato a fornire da bere scattò in piedi e tornò di corsa con il richiesto.
Aveva scritto in faccia che non voleva perdersi una parola.
“La prego.”
- lo sentì sussurrare Wes, posando
bottiglia e bicchieri sul tavolo - “Beva a muso.”
Doyle,
l'interpellato, si lasciò sfuggire una risatina.
“Tu, figliolo,
farai carriera.” - rispose, di rimando, senza smettere di ridacchiare - “Di
solito quelli come te vengono mandati in posti scomodi e sperduti. E diventano
come lui.”
E lui era
indubbiamente Westley Whydam Price, con al sua mano in tasca e i suoi capelli
lunghi e scomposti, in piedi in centro alla sala.
Westley Whydam
Price. L'ultimo Osservatore nella storia del consiglio.
“Per chi non lo
sapesse...” - stava dicendo - “il nome Dawn significa Alba del giorno. E, lei
ovviamente, con la natura unica che si ritrova, non ama smentirsi...”
“Dawn è stata
progettata a tavolino dai monaci. E le mie conoscenze non possono competere con
le loro. Hanno creato Dawn come una scatola cinese, difficilmente può bastare
una vita per arrivare a capo del mistero. Il suo nome, in ogni caso, ha un bel
significato. Dawn sta per Alba del giorno. E simbolicamente, la chiave è il
potere di sciogliere o legare. Nella rappresentazione del Giudizio Universale,
poi, sarà una chiave a permettere di chiudere il diavolo in un abisso per mille
anni."
"Mi stai
dicendo che briciola avrà un posto in prima fila nell'apocalisse?"
"Geloso,
vampiro?" - domandò Faith - "La pupilla ti surclassa?"
"Tranquillo
William, con i tempi che corrono, lasceranno qualcosa da fare anche a
te..."
“Era destinata
a grandi cose e lo sapeva. E quel giorno, scappando da noi, aveva portato con
sé ben più di vestiti e rossetto. Dawn era l'alba tanto attesa... ma tutti i
suoi fidanzati e la sua carriera da cheerleader ci avevano indubbiamente
distratto...”
LosAngeles
Dawn si era
seduta con grazia, piegando le ginocchia e cingendole con entrambe le braccia.
La bocca, imbronciata, era sparita nel collo del maglioncino. E gli occhi,
all'insù, freddi per essere quelli di una sedicenne, si erano puntati in un
punto indefinito.
Talmente
indefinito che non lo vide arrivare.
“Ciao. - disse
l'uomo, femandosi innanzi a lei, entrando nella sua visuale solo con le gambe
lunghe - “Abiti qui?”
Dawn alzò gli
occhi, fissando il nuovo venuto.
Ommioddio.
Si alzò di
scatto, sistemandosi i capelli.
“Si, cioè no,
cioè sono in visita, ma sono di famiglia.” - proruppe, rapidissima. Mio dio,
perchè non aveva messo gli orecchini, quelli di Janis! Ommioddio, non era ben
truccata! - “si, diciamo di si, da stamattina... io abito qui!”
“Ah.” - Edward
le sorrise, divertito. E gli occhi gli brillarono – “Capisco.”
Lui capiva. Lei
non capiva più un accidente, imbambolata davanti all'apparizione.
Come.. come si
chiamavano tutti quei ragazzi con cui era uscita?
“Piacere,
Dawn.” - tese il braccio, rigida come uno stecco. Ma proprio ora aveva deciso
di assomigliare al peggio di sua sorella?
“Ciao, Dawn.” -
lo diceva con una lievissima inflessione. E aveva una mano meravigliosa,
meravigliosa! Dawn non l'avrebbe mollata, avesse potuto - “Sai se c'è Spike in
casa?”
“Si, lui è...”
- si ricordò di essere arrabbiata con il campiro. E incrociò le braccia,
cercando di sembrare sostenuta - “Credo sia di sopra, ma non lo so con
certezza. Abbiamo litigato.”
“Oh.” - il
ragazzo sembrava interessato, aveva sgranato leggermente gli occhi,
ascoltandola - “Mi spiace. È stato scortese?”
“Eccome.” -
rincarò lei, infervorandosi e lanciandosi in un monologo.
Edward,
impalato ai piedi della gradinata, con la sacca tenuta per i manici su una
spalla, strinse gli occhi, cercando di seguire il delirio adolescenziale. Forse
per indole paziente, forse per troppa educazione, non era certo di poterla
interrompere mentre si lamentava a gran voce di suo fratello.
E allora Spike
ha detto, e io ho detto, e Spike ha detto e io ho detto...
Si, insomma,
durante la sua assenza William era diventato un genitore responsabile e
rigido come suo padre. Impossibile dire
come fosse successo.
La ragazza
sembrava in preda a grandi sofferenze. E c'entravano un frappè, una sorella, un
conto da pagare e una frangetta venuta male. Tutti problemi che compromettevano
l'equilibrio del mondo, in effetti.
Magari William
e Angel si erano ritirati a vita privata... magari all'Hyperion si gestiva
anche una specie di centro raccolta giovani ragazze in difficoltà...
conoscendoli tutto era possibile, in effetti... si aggiustò i capelli,
sistemando un'altra volta gli occhiali da sole. E Dawn perse il filo del
discorso.
Edward era...
era... ommioddio!
“Dawn?” - la
chiamò una voce tranquilla, dall'interno. La porta di ingresso si era aperta,
ma l'ombra sembrava indecisa se uscire sotto il portico oppure no - “tutto ok?”
Ok? ok? Ma io
sono in paradiso!
Si voltò, per
rispondergli, mentre il vampiro finalmente si affacciava. E si fermava,
fissando Edward. Impalato come Dawn.
“Ciao zannuto.”
- l'immortale gli sorrise, smagliante – “Ti sono mancato?”
***
Edward, con in
suoi capelli, aveva lo stesso tormentato rapporto di Spike. Il vampiro passava
la sue giornate accertandosi di non averne nemmeno uno fuori posto. L’immortale
si ostinava a tirarli indietro, sentendoseli perennemente sugli occhi. E io
vorrei sapere, pensò Angel, da sotto il proprio indispensabile gel, perché non
vi rapate entrambi a zero.
Non un pensiero
particolarmente profondo ma, trovandosi innanzi Edward al suo meglio, tutto
denti e riccioli... Angel trattenne a stento un sospiro rassegnato e ricacciò
in fondo alla mente l'impressione che i guai fossero arrivati tutti assieme. E
gli fece un cenno di saluto.
“Non voglio
essere chiamato zannuto.” - comunicò, laconico.
“Anche io ti
amo.”
“Zannuto? Lui
sa cosa sei, cioè chi?”
Angel fissò
Dawn come se non sapesse di poterla trovare sotto al portico dove era andato a
cercarla.
“Bhe, certo che
lo sa. Lui è...”
“Dinamite.”
Dinamite?
“No, Edward,
non intendevo dire questo.” - replicò, guardandolo posare a terra la sacca con
gesti molto controllati - “Puoi definirti come vuoi, ma dinamite mi sembra
esagerato.”
“Angel.” -
gli scoccò un'occhiata penetrante che
sapeva di vetriolo - “Hai la dinamite lungo le colonne del portico e qui è
scatttato un timer. Che ne dici di far uscire tutti?”
“Cos...” - si
indurì, tornando a essere se stesso e movendo tre passi a ritroso - “Dawn,
fuori, dall'altro lato della strada, ora! E di corsa. Wes!”
La sua voce e
la sua figura svanirono nell'albergo. Ed Edward, con cautela, scostò una delle
foglie di palma per vedere meglio. No, non dinamite. Peggio. E poco importava
la definizione tecnica, seil risultato era destinato ad essere dei peggiori.
“Dawn, non ti
voglio dall'altro lato della strada. Ti voglio in fondo all'isolato.” - disse,
mentre Faith irrompeva sotto al portico- “Faith! C'è da muoversi e in fretta!
Cercali tutti e andatevene.”
Insinuò le
mani, cercando di arrivare alla scatola del detonatore. Chiuse gli occhi e le
dita divennero ferme. Quando li riaprì, aveva già in testa un quadro chiaro e
semplice di quello che, probabilmente, era l'innesco.
Faith stava correndo lungo il portico, contando
con rapidità le cariche.
“Hanno tutte il
timer.” - urlò, tornando indietro e scontrandosi quasi con Wes - “Spike, Angel,
le gallerie, subito!”
“Ci sono.” - in
serie, erano collegate in serie. E la
prima concedeva loro ancora ben poco. - “Wes, piacere di rivederti Wes,
vattene.”
Afferrò il
cavo, piegandolo e passando sotto la lama del coltello.
“Me ne vado se
ti muovi a fare altrettanto.” - rispose l'osservatore, piegandosi a fissare il
marchingegno successivo - “I timer sono sfasati...”
“Lo so.”
“...
detoneranno una ad una, a distanza di
quasi una decina di secondi una dall'altra...”
“So anche
questo, levati dalle palle! Tra poco qui ci sarà un botto!”
“Non penserai
davvero di farlo! Ma non è un film di serie C!”
“Eccome. Se lo
faccio. Corri! Ora!”
Uno strappo
deciso e il numero in rosso sembrò impazzire. Ma Wes era già oltre il cancello,
quando tutte le vetrate dell'Hyperion esplosero, con un unico terrificante
suono.
***
C'era polvere,
ovunque, ancora sollevata in nubi. Il lampadario dell'ingresso era crollato, le
porte e le pareti a vetri erano intelaiature vuote. Ma l'albergo era ancora in
piedi, senza scricchiolii eccessivamente inquietanti.
Edward aprì un
occhio. E respirò un talco impalpabile che lo fece starnutire.
“Polvere di
intonaco...” - borbottò - “Che schifo.”
“Si, anche io
ti amo.” - replicò una voce bassa e profonda. Ed Edward si rese conto di avere
la testa appoggiata sulla gamba di qualcuno. E aprì anche il secondo occhio.
“Will? Ciao.” -
mormorò. Era un angolo riparato, in penombra. Ed erano a terra, tra i
calcinacci e le macerie.
“Ciao anche a
te, Edward.” - gli sorrise, benevolo. E a Edward vennero i sudori freddi. Dalla
dinamite al tritolo - “Che cosa pensavi di fare?”
Indeciso sul da
farsi e consapevole che mentire era un ottimo modo per farlo andare in bestia,
Edward alzò un dito indicando il circostante.
“Questo.” -
precisò - “Se scollego la prima le altre non scattano.”
“Ma la prima
salta in anticipo.”
“Si, lo sapevo.
Ho un poligono di tiro. E mi occupo di esplosivi.”
“sono contento
per te, deve essere uno splendido lavoro. E, dimmi, quando hai deciso di farti
saltare in aria primo della fine del conto alla rovescia per salvare
l'albergo?” - si intromise Angel, piegandosi per entrare nella sua visuale. Era
integralmente imbiancato - “Eppure non
mi sembrava avessi tanto problemi a capire il concetto di priorità...”
“Ho deciso in
fretta.” - Edward si passò una mano sui capelli e sussultò. Doveva avere
un'enorme escoriazione in fronte – “E poi, non sono mica morto...”
“Si che lo
sei.”
“Ah. Allora
niente. Ho fatto male i conti, di solito sopravvivo.” - ammise, cercando di
mettersi seduto e sentendo la mano di William sostenergli la schiena -
“Grazie.”
“Fai bene a
ringraziarmi, perchè non ti ucciderò.”
“Anche io sono
contento di vederti oltre ogni dire.” - rispose Edward, baciandogli la fronte e
ignorando le giunture che esplodevano in un unico blocco doloroso. La pelle di
Spike sapeva di gesso, polvere e
spavento - “Che avete fatto per farvi minare?”
Lo aveva detto tendendo una mano a Angel per farsi
aiutare e alzarsi. Se William lo vedeva in piedi si sarebbe dato una calmata.
“State tutti
bene?” - aggiunse, barcollando ma restando comunque diritto - “Wes?”
“Tutto a posto.
Doyle e Cordy non c'erano e adesso sono al locale di Lorne... credo che Doyle
ci abbia visti in tecnicolor. Wes è con Dawn, fuori, e le mine sono state
scollegate tutte.” - si teneva a portata di braccio, per afferrarlo, nel caso
avesse oscillato ancora. Si sentiva le orecchie fischiare e Spike, seduto per
terra, si stava accendendo una sigaretta. Aveva la fronte e le mani spelate.
“Faith?”
“Nelle
gallerie.”
Angel era
nell'ingresso, quando le vetrate erano esplose. Era tornato indietro, di corsa,
forse intuendo che Edward avrebbe fatto come al solito qualcosa di molto
eroico. E il suono era giunto quasi contemporaneamente ai cocci. Aveva visto
Edward atterrare sul pavimento, non lontano dal punto in cui il lampadario si
era schiantato, con la testa e il viso coperti con le braccia.
E Spike era
apparso un istante dopo, correndo.
“Allora?” -
Edward si passò ancora la mano sui capelli e si piegò, posando le mani sulle
ginocchia - “Un'idea l'avrete...”
“Santo cielo.”
- Cordelia era sulla porta, a bocca spalancata. Come da abitudine, posò la
giacca su ciò che restava della poltroncina a lato dell'ingresso e questa franò
tristemente, sbriciolandosi - “Ma cosa avete combinato...”
“Noi?”
“Si, certo,
voi.” - scoccò un'occhiata ai ragazzi Coventry ed Angel, opportunamente, si
spostò - “Non appena vi abbiamo assieme, capitano queste cose, per cui, si,
voi.”
Spike la fissò,
allibito. Poi cominciò a ridacchiare, coprendosi gli occhi.
“Gattina, sono
quasi d'accordo con te.” - sospirò, scotendo la testa. Poi allungò una mano,
rifilando un colpetto sul bicipite di Edward - “Fratello, tu porti sfiga.”
***
Sfiga o non
sfiga, la situazione non sembrava delle migliori. E stava anche per peggiorare.
Un sonoro
'pop!' riempì l'aria, assieme a una nube violacea, seguita da una analoga verde
smeraldo.
“William,
dobbiamo parlarti.” - fu il coro che seguì. E due demoni, sotto i loro occhi,
si sistemarono i capelli e si aggiustarono i vestiti. Poi Anyanka puntualizzò -
“E anche con Angel, subito. Abbiamo un problema.”
“No, William.”
- fece eco Edward - “Sei tu che attiri i disastri.”
“Si, ha ragione
lui.” - concordò Angel.
“Si, difendilo
sempre. È biondo e tenero, piace tanto a tutti.” - Spike gli rifilò un'occhiata
rabbiosa - “Ragazze, siamo impegnati, non è il momento.”
“No, hanno
ragione.” - si intromise Cordelia - “Era quello che stavo cercando di dirti.
Abbiamo un problema. Doyle ha avuto una visione.”
“Adesso?” -
Angel la fissò, affranto - “Ma le alte sfere non hanno visto in che situazione
stiamo al momento?”
“William, devi
ascoltarmi ora...”
“No, Anya.” -
rispose Spike, puntandole addosso il solito dito incriminante – “Mi sembra
evidente che ora sono molto occupato. E concedo priorità alle visioni prima che
al sesso. E vale anche per te, Cec...”
Si bloccò e si
voltò.
Edward e
Halfrek si fissavano in perfetto silenzio. E lei, con il suo viso umano, il
viso di Cecily, non faceva altro che tormentarsi i riccioli, con un rossore
assurdo sulle guance. Aveva un'espressione, come dire... troppo timida?
Per Spike fu la
mazzata finale.
“Perfetto!
Edward Coventry nell'aria!” - ringhiò, sentendo che i lineamenti iniziavano ad
andare in ogni direzione mutante - “Eri innamorata di lui, scommetto...”
“No. Io ero
proprio innamorata di te.” - Cecily scosse la testa, tutta seria - “Ma sono
tanto felice di rivederlo.”
Edward le
sorrise. E, con un dito, le carezzò la guancia.
"Ti amavo,
William." - singhiozzò, alzando verso di lui quella bocca perfetta e
quegli occhi luminosi - "Solo che l'ho imparato tardi."
Anche il cuore
di un demone si può spezzare.
Gli era bastato
il tempo di un respiro per sussurrare questa verità. Eppure solo adesso
ricordava l'eterno buio che segue quel piccolo dolore.
E mentre tra le
braccia stringeva Cecily, Spike non poteva che piangere per tutto quel passato
perduto.
Quel passato
fatto di chiacchiere e risposte certe, così simile al presente.
Fatto di regole
che nessuno si prendeva la briga di violare e di piccole letali ipocrisie. I
loro corpi singhiozzavano all'unisono, di quel semplice ritrovarsi nato da
morte e vendetta.
Piangevano, per
i fuochi ormai estinti e per quelli che ancora divampavano.
Mi dispiace,
Cecily. Per tutto.
“Scusa.” -
disse, imbarazzato, quando i vampiri lo fissarono. E si infilò le mani in tasca
- “Dicevamo?”
“Lo conosci?” -
Anya le rifilò una gomitata - “Ci hai
fatto sesso? Me lo presenti, è libero?”
“No, non sono
libero.” - rispose lui automaticamente.
“Davvero?”
“William, non
hai detto che avevi il mondo di cui occuparti? Bhe, occupatene! E poi lo sapevi
che avevo una ragazza...”
“Si, ma ti sei
appena dichiarato impegnato, non avevo capito fosse una cosa seria!”
“Tacete,
tutti!” - ruggì Angel. E mosse due passi, per andare verso Wes, riapparso e
ancora impalato sulla soglia - “Se siete tutti qui con qualcosa di importante
da dire, ditelo! E mettiamo assieme le informazioni!”
“Grande Giove!”
All'unisono si
voltarono tutti verso l'ingresso.
Methos, con le
mani in tasca, contemplava la cupola con aria rapita.
“E ha retto?” -
domandò, allegramente - “Ah, non fanno più strutture come quelle di una volta!”
London
“Si, ho proprio
detto così.” - ammise, modesto. E si infilò le mani nelle tasche - “Capitemi,
ho una certa passione per le cose antiche e datate. Non c'è niente di meglio
della roba vecchia di qualche secolo... non sembra mai passare di moda....”
Una mano si
levò timidamente. E l'immortale le fece un gesto magnanimo, invitandola a
parlare.
“Ehm... Halfrek
e Anyanka?”
“Demoni, demoni
della vendetta. Amiche di vecchia data. Tra loro e di Spike.”
“E... se posso
permettermi la domanda... sono fissate con il sesso?”
“Ovviamente.
Molti demoni lo sono.”
Doyle si voltò
a fissarlo, Wes alzò gli occhi verso di lui.
E Methos
allargò le braccia.
“Che ho detto!
Hanno fatto sesso tutte due con Spike, no?”
"Fammi
capire… lui ti ha mollata e tu vieni qui… perché…"
"A dopo le
spiegazioni." - ringhiò, afferrandolo per la maglietta e aderendo
saldamente alle sue labbra - "saltiamo i preliminari, baciami
ancora…"
"Anya,
dannazione!" - urlò, con un salto indietro, levandole le mani di dosso nel
momento stesso in cui si rese conto che stava armeggiando con la sua camicetta
- "Se ho detto che devi spiegarmi, tu devi baciarmi…
spiegarmi!spie-gar-mi! E smettere di lasciare liberi i tuoi ormoni."
"Mi serve
il tuo aiuto, Spike. Voglio maledire Xander." - spiegò quieta, lasciando
che le ciglia nascondessero occhi dorati troppo sinceri - "Ma qualcuno
deve desiderarlo al mio posto…"
Adesso la
dinamica dei fatti era un po' più chiara. Spike la fissò, mentre si riprendeva,
alzando di scatto la testa.
"Qundi,
dimmi subito che vuoi Xander bollito e riprendiamo da dove abbiamo
interrotto!"
"E…
perché?"
"Cosa
perché?" - ripetè lei, senza capire.
"Perché
dovrei volere Xander maledetto e soprattutto cosa c'entra il sesso!" -
Spike iniziava a perdere la pazienza.
"Tu devi
maledire Xander perché sono un'innocente ferita… Perché alla Angel
Investigation fate così, aiutate gli innocenti in difficoltà… e quanto al
sesso, tu mi vuoi…"
“No, con Cecily
è un'altra storia. Diciamo solo che la ragazza è un problema sempre attuale, comunque, se si calcola che
è per lei che lui si è fatto vampirizzare.”
“Come, prego?”
“Non lo
sapevate? Ma scusate, che fate in questo consiglio al posto di leggere le
Cronache? Giocate a ramino?”
"Sul serio
Cecily parla ancora di me?" - domandò sovrappensiero. Dopotutto, era stata
lei a consigliare ad Anya di andare da lui. Dopotutto era lei che adesso gli
riempiva la mente, come allora.
Cecily… il
fantasma del passato che, tutto sommato, lo conosceva veramente troppo.
"Adesso un po' meno. Ti importa ancora di lei?"
"Non come
mi importava allora. Eravamo ragazzi. Ora lei è un demone. Ed io un vampiro.
William e Cecily sono svaniti da tempo. Trovo solo ironico che di quella vita
che mi sembrava perfetta, rimanga solo lei. E che il resto sia polvere."
Che strano,
rendersi conto solo ora… Cecily e William, uccisi dal dolore. E dalle ceneri
dei loro cuori, Halfrek e Spike.
"Anche lei
dice qualcosa del genere…" - la tequila iniziava decisamente a farle
girare la testa - "E dice anche che l'amavi tanto…"
"e su
questo ha perfettamente ragione. L'amavo decisamente troppo." - rise di
quel ricordo - "Ed abbiamo avuto un paio di notti decisamente
interessanti… io, lei e Dru…"
"Perché
non l'hai uccisa?"
Bella domanda.
Forse perché,
se si concentrava, poteva ancora vederla con gli occhi di allora. ricorDarla
con il vestito dal collo alto in pizzo che faceva risaltare i lunghi capelli
scuri e ricci. E gli occhi splendenti e alteri.
E soprattutto
ricordava il buco che gli aveva fatto nel cuore.
Fino
all'ultimo, quando l'aveva vista implorare per non essere lasciata. Per
divenire una creatura della notte. Per ottenere un'eternità insieme. La stessa
che da William aveva rifiutato, in un angolo poco illuminato del grande salotto
di casa.
"Cecily
non è mai stata stupida." - mormorò, come se questo spiegasse tutto -
"Ma era sensibile solo verso se stessa e la sua sensibilità. Volevo che
provasse sulla sua pelle le conseguenze delle sue scelte."
“Cecily
Darshwood era una gran donna.” - ammise, dopo un attimo. Edward aveva gli occhi
bassi, sulle braccia conserte - “E lo è stata fino alla fine.”
Rimase un
attimo in silenzio. Poi si riprese.
“Ma torniamo al
nostro problema... e alla trattativa sotto la meravigliosa cupola dell'albero.
È belle epoque, lo sapevate? Me-ra-vi-glio-sa!”
[VI]
“Dawn, tesoro,
ma sei una meraviglia!”
“Anya, avevo
così voglia di vederti, che bella sorpresa! Halfrek!”
“Oh, tesoro,
con questo colore addosso sei divina! Problemi con i ragazzi, ti serve una
mano? No, pensandoci bene no, mi ricordo l'ultima volta...”
“Angel, fai un
respiro profondo.”
“Io non
respiro, Methos.”
“E' ora di
imparare.”
“Oh, insomma!”
- la voce di Cordelia sembrò porre un limite alle chiacchiere - “Il mio uomo si
è appena fatto trapanare il cranio per questo pezzo d'eroe che tutela, volete
tacere e lasciarmi fare il mio dovere?”
Nessuna
obiezione. E Cordelia si voltò, decisa, verso Angel.
“Dobbiamo
andare dai poteri che sono.” - comunicò, svelta - “Prendi un gingillo in
cassaforte e muoviti.”
“Non ci vai
senza di me.” - si intromise Spike, a braccia conserte, subito al suo fianco.
“Tu resti qui
con tuo fratello.” - replicò Angel, aprendo il biglietto che Cordy gli porgeva.
Dentro, in quella terribile calligrafia che lo contraddistingueva, c'era solo
scritto 'Con la Chiave. Nessun altro.'
“Ma non se ne
parla nemmeno!”
“Hai detto
bene. Non se ne parla nemneno. Restate qua e sbrogliate i problemi delle
ragazze.”
“Angel!” - i
Coventry urlavano all'unisono. Ed erano seccanti.
“Non intendo
discutere.” - rispose il vampiro bruno, fissandoli entrambi - “Io sono il più
vecchio e si farà quello che dico io, senza commentare.”
Il più vecch...
si voltò, fissando Methos.
E questi gli
fece un cenno gentile della mano. Si stava intrattenendo con Anya e sembrava
molto soddisfatto.
“Fai pure,
vecchio. Noi gioventù ci terremo compagnia aspettando il tuo ritorno...”
Perfetto. Angel
girò di nuovo sui tacchi e fissò i due.
“Restate qui o
andate da Lorne, ma preparatevi. Faith
sta facendo un giro di ronda, per raccogliere informazioni. Sono certo che
finirà in una rissa prima di stasera.”
“Non ci devi
andare da solo.” - insistette Spike.
“No,infatti. Ci
vado con Dawn.”
La ragazzina,
impegnata a parlare di tacchi con Cecily si bloccò. E lo fissò, sbalordita.
“Te la senti?”
- domandò Angel, con gentilezza - “Credo che poss aservire la tua presenza...”
“Se porti lei è
qualcosa di grosso.” - mormorò Spike. E Angel si ritrovò a fissare i suoi occhi
- “Angel, cosa cazzo stai combinando.”
“Ancora non lo
so.” - so solo che lo sapremo presto. E non mi piacerà affatto.
***
London
“I poteri che
sono non gli dissero molto.” - spiegò Wes, poco dopo - “Si presero il suo più
bel Cezanne e gli fecero alcune
raccomandazioni. O, almeno, questo è quanto ci disse, allora, raggiungendoci al
Caritas, da Lorne. Ma io credo che sapesse più di quanto non volesse dire...”
Gli oracoli
avevano sorriso, quando erano entrati al tempio. E, con deferenza, si erano
inchinati a Dawn.
“Siamo felici
di rivederti, Chiave. Anche se tu non hai memoria della tua eternità.”
Dawn era
rimasta impalata, non sapendo se ricambiare l'inchino. Ed Angel le aveva posto
una mano sulla spalla, rassicurante. Non preoccupartene. Resteremo poco.
“So che
volevate parlarci.” - esordì, educatamente - “Vi ascoltiamo.”
“I tempi sono
maturi, Angel. Riteniamo che il destino della Cacciatrice stia per compiersi.”
“E' questo
dunque?” - la mascella di Angel si strinse, in un guizzo. Lo sapeva, lo sentiva
- “Lei sarà l'ultima...”
L'oracolo
annuì. E si rivolse a Dawn.
“Tua sorella
sarà libera, o chiave. Devi portarle questo messaggio.”
“Fantastico.” -
rispose Dawn scettica - “Starà a casa anche la notte... addio, libertà.”
Gli oracoli
finsero di non averla sentita. E proseguirono.
“La stirpe
delle cacciatrici sta per esaurirsi, a meno che non accada un miracolo.” -
specificò. Ed Angel involontariamente, sorrise, storto.
“I poteri che
sono credono nei miracoli?”
“Il miracolo è
ciò l'uomo compie al di sopra delle proprie forze e del proprio destino. Questo
attendiamo.”
“E Faith? Faith
dovrà compiere questo miracolo?” - chiede Dawn. E l'oracolo la fissò,
sorridendo. Angel seguendo quello sguardo, cominciò ad avere un atroce
sospetto.
“Dawn, non
credo si aspettino che il miracolo lo faccia Faith...” - spiegò, incerto. E
Dawn lo fissò come se avesse le antenne.
“Ma stai
scherzando, spero!”
“Non l'ho detto
io.. l'hanno detto loro...” - corresse Angel, restando impalato a braccia
conserte. Non bastava che tutto incombesse? Dovevano pure affidarsi a
un'adolescente ragazza pon pon con un sacco di fidanzati?
Bhe... Buffy
mandava avanti la baracca da anni... magari ci si poteva fidare anche di Dawn.
Oddio. Un
pensiero da Spike dentro la mia testa.
“Supponiamo che
Dawn voglia fare questo miracolo... in cosa consiste.” - era un azzardo come
domanda. Ma doveva tentare. Almeno tentare.
“La chiave può
fondere anche le forze opposte. Luce e ombra. La chiave doma le forze del
cosmo, non le viene chiesto altro che usare la propria natura.”
“Perfetto.” -
si massaggiò una tempia e si piegò verso Dawn - “Sai di cosa stia parlando?”
“Come no. Sono
più preparata in trigonometria a confronto. Io.. io non so niente della mia
forza!”
“Allora dovrai
imparare.” - rispose, in un sussurro - “O avremo qualcosa per cui piangere.”
“O qualcuno.”
specificò l'oracolo. E Angel ebbe l'impressione che l'occhiata dell'essere gli stesse strappando il cuore e, con
esso, anche l'anima.
“Da cosa
capisti che sapeva più di quanto diceva?”
“Perchè aveva
di nuovo quegli occhi....”
“Quali occhi?”
“Quelli da animale
braccato. Angel ha sempre sentito l'accelerata del destino, negli eventi.
Sapeva sempre con anticipo che sarebbe accaduto qualcosa e non in termini di
lotte, sangue o eventi. Non erano visioni le sue, ma semplici percezioni
dell'energia che variava. Angel sente. E credo che, in quelle ore, le sue
percezioni siano state al massimo. Era incontrollabile.”
“Si. Ma le
raccomandazioni? Cosa gli raccomandarono di fare?” - insistevano sul
particolare, con voracità. Non era da tutti i giorni scoprire cosa le alte
sfere potessero dire direttamente ai loro paladini.
E Wes sorrise
divertito, trovandoli per la prima volta davvero provinciali.
Siete ai
confini della leggenda... e vi credete comunque grandi...
“Gli dissero di
prepararsi. E che non sarebbe stata un'apocalisse per il mondo quanto per gli
equilibri del cosmo e del compiersi delle leggende.” - spiegò, con tranquillità
- “Alcune le sapevamo già, c'era stata una specie di fuga di notizie dal loro
schedario, nei mesi passati. Drusilla, l'ultima volta che la vedemmo viva, si
era particolarmente accanita sulla mente di Doyle. E, una volta scatenate le
visioni, doyle ne aveva avute anche alcune che non avrebbe dovuto avere.”
“Sei pronta,
Faith?” - domandò, tranquillo - “Sei la prescelta, il tempo ti ha atteso a
lungo.”
Faith lo
guardò, senza tradire emozione. E Doyle proseguì, la testa nella sua direzione,
la stessa voce da comunicato meteo.
“La fine non è
lontana, Faith. E, dopo sarete intrecciati per sempre. Non temere.” - spostò la
propria attenzione, cercò nuovamente lo sguardo di Methos - “Avrà ancora
bisogno della tua guida. Proteggi la tua vita per la sua.”
"Sapevamo
che Faith sarebbe stata l'ultima Cacciatrice. E che aveva buone probabilità di
sopravvivenza." - aggiunse, soprappensiero – "E, visto che la
speranza non ci bastava e non credevamo nelle nostre illustri fonti per
prevenire il problema, abbiamo deciso di cercarne un'altra... un'altra diciamo
meno ortodossa."
"Ora non
preoccupiamoci di nulla."
"Ma presto
dovremo." - replicò Cordelia, alzando la testa verso di lui – "o
sbaglio?"
Doyle la
contemplò, con un lampo serio negli occhi.
"No, non
sbagli." - replicò, scivolando con le dita da una ciocca al suo viso –
"L'evento verso cui avanziamo è la causa dei tuoi poteri e il fine ultimo.
Ma non devi averne paura. Non ne hai motivo."
"Davvero,
Doyle? Perchè io, qui dentro... qui dentro sento qualcosa di diverso."
"So cosa
provi, principessa. Ma devi fidarti di me. Avrò bisogno del tuo aiuto, nelle
prossime settimane, mi serviranno informazioni, informazioni particolari. E
credo che..." - respirò a fondo, cercando le parole – "E credo che tu
ed io potremo raccoglierne di più, se ci completeremo a vicenda."
Cordelia si era
raddrizzata, per vederlo in viso.
"Magia?"
- domandò soltanto, come rassegnata – "Ci faremo di funghi
allucinogeni?"
"Mi
piacerebbe in effetti. Non vedo un tramonto giallo e verde da una vita. Ma no,
non credo." - scosse la testa, fingendo di essere dispiaciuto. Ma aveva
gli occhi tristi e sciupavano le sue battute – "Tu puoi sentire, io posso
vedere. Cercheremo insieme e mi
aiuterai a capire. Andrà tutto come deve andare."
"Lo sai
con certezza?"
"No, non
lo sapevo. E così..." - disse Doyle, girando il bicchiere nelal mano
libera – "mi sono cercato un informatore ormai sopra le parti."
“Sei sicuro?” -
domandò Cordelia, strofinando un'altra volta le mani - “Non ci prenderemo un
fulmine?”
“No,
principessa. Magari una scossa, se Wes non misura bene gli ingredienti... ma un
fulmine no.”
“Confortante. E
perchè proprio Wes?”
“Perchè sono
l'ultimo completamente umano tra tutti noi.” - rispose l'osservator,e con
tranquillità. Tese la mano e il flacone a due metri di distanza gli volò dritto
in mano - “A parte queste novità, si intende...”
“Ah, certo,
s'intende... come cazzo ci riesci!”
“Principessa...
hai detto una parolaccia....”
“E dammi
torto!”
“Allenamento,
Cordelia. Solo allenamento. A forza di esorcizzare e fare incantesimi ne ho
imparati alcuni a memoria e sono diventati istintivi. La magia non deve
necessariamente venirti da dentro. È come sapere la fisica... o la geometria
applicata...”
“Non sati
progettando un ponte, Wes. Tu stai facendo volare gli oggetti! E poi?”
“E poi cosa?”
“Cos'altro
fai?”
“Parlo con il
pensiero.”
“Non ci credo.”
“Ah no?” - Wes
le sorrise. In perfetto silenzio - “E cosa stiamo facendo, allora, da due
minuti a questa parte?”
“E' vero?” -
domandò suo padre, guardandolo diversamente - “Pratichi la magia?”
Wes lo squadrò,
freddamente. E picchiò un dito sul tavolo. Doyle lasciò andare il proprio
bicchiere e questo, dolcemente, scivolò fino alla mano aperta dell'osservatore.
“Ogni tanto.” -
rispose Wes, gustandone un sorso e rispendendo il cristallo al legittimo
proprietario – “Ma solo per motivi davvero importanti...”
“Ok. Sono
pronto.” - si era alzato, pulendo le mani nel retro dei jeans e tendendo poi le
dita sul fuoco. Due parole in latino e le fiamme erano divenute argenteee - “Lo
controllo. Chi chiamiamo?”
“Drusilla.” -
rispose Doyle, di fronte alui abraccia
conserte, scrutandolo con attenzione - “Te la senti?”
Wes lo fissò,
intensamente. E il demone scosse la testa, con calma.
“Io credo sia
in pace.” - spiegò - “Almeno, così abbiamo percepito io e Cordy. Voglio parlare
con il Cantastorie, non con il vampiro.”
“Con Elizabeth,
quindi.”
“Si. È
possibile. Ma stai attento. Non voglio la ragazza che era. Voglio la sua anima
alla fine dei suoi giorni. Con la memoria degli eventi.”
“Non ti
prometto nulla.”
“Tranquillo. Se
sarà sbagliata, Cordelia se ne accorgerà. Respira, ora.”
“Funghi
allucinogeni?” - chiese, ridendo, mentre Doyle gettava qualcosa sul fuoco. Il
parco giochi era silenzioso, le altalene ondegggiavano appena.
“No, ho smesso
con quelli.” - replicò Doyle, sorridendo. Cordelia, seduta su una delle
altalene e infagottata in una giacca rosa, lo fissò con sospetto - “Ti
giuro,principessa, non prendo droghe del genere dagli anni ottanta.”
“E quanto anni
avevi negli anni ottanta?”
Doyle preferì
non rispondere.
“Perchè
Drusilla?”
“Perchè c'era
stata. E fin dall'inizio di ogni cosa.”
Wes inalò a
fondo. E, quando aprì gli occhi, le iridi sembrarono viola.
“Si, è lei.” -
ammise Cordelia, con gli occhi chiusi. La vastità di Drusilla si espandeva
nell'osservatore, ma come marea senza tumulti - “Poca follia al momento. Ma non
so per quanto.”
“Sarò veloce.”
- replicò Doyle, sempre a braccia conserte. Tutto gli permetteva di avere al
massimo quattro, cinque minuti. Aveva scelto apposta il parco. L'aura di Angel
e e Drusilal che vi aveno avuto molteplici coversazioni permeava ancora
l'intelaiatura delle altalene e la terra – “Drusilla, devo sapere cosa hai
fatto.”
“Ciò che era
mio compito.” - fu la risposta. Gli occhi di Wes lo fissarono, pacati. Ma erano viola, integralmente - “Ho portato
il guerriero della luce al suo destino.”
“Questo lo so.
Quando hai compreso che era Spike che volevi e non Edward?”
“No, fermi.” -
una mano si alzò, perentoria – “Cosa intendete con questo?”
“Cio che
abbiamo detto.” - rispose Methos, con calma - “Non vi è ignota la natura non
compiuta di Edward. E saprete che il suo Cantastorie, probabilmente, era
Drusilla. Facendo uno più uno, non è difficile chiedersi quando Dru abbia
capito che nulla si sarebbe risolto nella maniera prevista.”
“La sua scelta
è stata deviata dalla follia. Una volta vampirizzata, ha scelto William al
posto del fratello.”
“Così fosse,
Spike sarebbe ancora dannato. E lei non si sarebbe tanto accanita, in quanto
vampira fuori di testa, a voler vampirizzare anche Edward. Lo avrebbe solo
voluto morto.” - ribattè Methos, sorridendo – “Ma non è andata così. No, non ha
scelto Spike per uno sbaglio di valutazione... come del resto credeva anche
Spike...”
Si voltò verso
Wes.
“Noi ne abbiamo
parlato lungamente. E vi posso garantire che la nostra teoria regge... e
piuttosto bene....”
"Se Angel
non avesse dannato Drusilla.. se lei fosse stata un Cantastorie a tutti gli
effetti... chi sarebbe stato il prescelto?"
"Io
non..." - si interruppe. Oh, al diavolo! - "William. Sarebbe stato
comunque William. Lo ha trovato e dannato perchè non ha saputo fare
altro."
"Si, una
spiegazione avvincente. Il Cantastorie fallito ha trascinato con se l'eroe. Non
mi sorprende, una mente rigida come la tua non poteva produrre altro. Ma con un
piccolo irrilevante particolare: ti stai sbagliando." - Methos scosse la
testa, un mezzo sorriso – "Non lo trovi ironico, Wes? Drusilla è arrivata
molto vicina al suo guerriero della luce, ma io sono stato più veloce di lei.
Di quasi due anni."
Il guerriero
della luce non è Spike. È Edward.
È sempre stato
Edward.
"Stai
scherz... no, mi rifiuto di ascoltarti."
"Mi hai
chiesto una spiegazione, te la sto offrendo su un piatto d'argento. Vuoi
metterti proprio ora a saltare a conclusioni affrettate come un vero
cretino?"
Wes si
trattenne dal rifilargli un pugno. No, anzi, due.
Uno per la
visione del mondo che aveva.
E il secondo
per avergli dato del cretino.
Ma,
soprattutto, ribadì al suo cervello e alla sua mano, per la visione del mondo.
E di Spike.
"Allora
finisci di spiegarti." - sibilò, restando immobile.
"Edward
era il prescelto, credimi. Ne aveva le doti. Ma io credo che il caso sia stato
molto più potente di un calcolo matematico quasi perfetto e che Drusilla lo
abbia saputo girare a proprio favore." - si lasciò andare, rilassato,
accavallando le gambe – "Facciamo una piccola divagazione. Come ben sai,
io conoscevo piuttosto bene la madre di Doyle, Sinead."
"E con
ciò?"
"Era una
gran donna, ti sarebbe piaciuta. Conosceva Edward ed era della mia stessa
opinione: schifosamente prescelto. Sarebbe potuto, ma non è stato. Succede, a
volte. Ma Sinead diceva che le predestinazioni nel cosmo sono come i lanci di
sassi nello stagno. Non puoi sapere quanti rimbalzi farai, ma ciò a cui punti è
che siano sempre più che nel tiro precedente. Noi potevamo avere Edward... ma
abbiamo avuto Spike. E questo per merito di Drusilla."
Sorrise,
divertito.
"No, Wes,
Drusilla non ha sbagliato. Drusilla sapeva come lanciare il sasso molto più
lontano del previsto. Anche senza lucidità nella spiegazione e nell'atto ha
comunque visto, compreso, compiuto il suo dovere con i mezzi che aveva. E
lasciamelo dire, ha saputo contare piuttosto bene i rimbalzi."
Ha mosso le sue
pedine con maestria. Ci ha intrecciato,
nel tempo e nello spazio senza permettere a nessuno di deviare dalla propria
traiettoria.
Dal voltarsi a
fissare Angelus dritto in viso, fino al tagliare la gola a una Cacciatrice
insignificante in un liceo, Drusilla ha tessuto la propria rete... non senti i
fili avvilupparti?
Non sei
contento che sia morta, se pensi a questo arazzo cosmico che ha intessuto?
Wes si era
seduto, riflettendo. Aveva dimenticato la belligeranza, la propria teoria, la
sua fede nelle leggende e nel destino. Ed ora, con agghiacciante lucidità,
scomponeva ogni singolo frammento in altri più piccoli, facendo combaciare i
pezzi.
"Drusilla
sapeva? Ma sapeva... cosa."
"Non cosa,
Wes. Da quanto. Quando, Drusilla ha compreso cosa sarebbe successo? Quando
tutto è stato perduto? tra le braccia di Angelus? Oppure prima, quando ha avuto
in dono le visioni? È una domanda intrigante, non credi? Persino per uno come
me che non crede a tutte queste idiozie."
"Rispondi
solo a questa domanda, Price, mentre attendi che io mi decida a raccontarti la
prossima puntata: quando Drusilla ha cominciato a contare i rimbalzi per poter
portare William Coventry fino a qui?"
“E questa è la
teoria. Drusilla ha cominciato ad avere il dono della Vista ben prima della
venuta di Angelus. Drusilla vedeva con precisione il futuro di un eroe ma io
credo che, come ogni persona dotata di cuore, abbia saputo spostare lo sguardo
e ampliarlo. Cercava Edward... e ha intravvisto William.” - spiegò Edward, con
tranquillità, parlando di se in maniera quasi astratta. Si era scelto un angolo
del tavolo e si era appoggiato, l'aria pensierosa, il profilo assorto - “E'
appurato quanto fosse potente, se anche da folle ha continuato a parlare con le
stelle. Ed è probabile che, almeno in parte, abbia visto ben oltre i nostri decenni. Nei secoli.”
“Solo che le
teorie vanno confutate.” - accelerò Doyle, versandosi un'altra dose di scotch -
“E noi lo facemmo.”
“Questo lo so.
Quando hai compreso che era Spike che volevi e non Edward?”
Wes sorrise,
con aria composta e fredda. Un sorriso non suo.
“Credi che sia
stata così in gamba?”
“Credo che tu
non abbia tempo per le schermaglie verbali con me. Dimmi quando.”
“La notte prima
che Darla mi trovasse.”
“D'accordo. E
cosa hai deciso...”
“Non c'era
tempo. Dovevo solo farmi trovare. Del resto mi sarei preoccupata dopo.”
“Ma dopo,
dopo... dopo è venuta la follia. E non è andato tutto come doveva.” - replicò
Doyle. E Wes mosse gli occhi, abbassandoli, prima do voltarsi verso Cordelia.
“Mi crederai se
dirò che molti eventi non desideravo accadessero?” - domandò, rivolgendosi
direttamente a lei.
E Cordelia
annuì.
“Ti credo. Non
sei riuscita a controllarli tutti.” - rispose, cercando di restare calma.
Sangue, Wes aveva la mente piena di immagini strazianti - “La morte e la
distruzione non erano previsti dal tuo piano... tutti quegli anni di dannazione
tuoi e di William... la tua follia è stata una benedizione, a volte, vero?”
Wes annuì, con
una lacrima in lenta caduta.
Ma Cordelia
strinse gli occhi. E la fissò, mutando
di espressione, irrigidendosi.
“Drusilla.” -
domandò - “C'è qualcos'altro che hai fatto?”
“Non resta
molto tempo, Doyle. Chiedile altro.” - la voce di Wes eruppe, angosciata. Ma, al
battere di palpebre successivo, le iridi erano nuovamente viola.
“Darla ti ha
trovata e Angelus ti ha vampirizzato. E poi?”
“Dovevo solo
avere pazienza. Lo avrei incontrato, naturalmente. L'Antico avrebbe provveduto
al giovane leone.”
“E Edward?
Quanto è importante Edward nella vita di suo fratello.”
“E' luce. E
sangue.”
“Questo lo so,
ma ho bisogno di sapere altro.”
“Solo luce e
sangue, Doyle.” - scandì la voce femminile, solenne. Poi divenne roca, umana. E
Wes si piegò su se stesso vomitando anche l'anima.
“Non ritentammo
l'esperimento.” - ammise Doyle - “Si era rivelato pericoloso. E occorreva tempo
prima di ottenere nuovamente una congiunzione astrale favorevole che rendesse
il tutto meno faticoso per Wes. Ma quel giorno, quando cercarono di farci saltare
in aria, mi sarei volentieri preso a calci da solo per non aver cercato una
soluzione alternativa. E, per fortuna, arrivò Anya.”
LosAngeles
Angel era
sparito già da un pezzo quando, litigando, Spike ed Edward emersero al caritas.
Lorne andò loro incontro, a braccia spalancate.
“Amore.” -
disse, stringendosi al cuore Edward - “Io volevo conoscerti da almeno... da
almeno tre morti fa. Le tue, ovviamente.”
“Bhe, grazie.”
- rispose Edward, fissandolo con aria stranita. Verde. Molto verde. Verde
irlanda - “Piacere di conoscerla, signor...”
“Signor Lorne.”
“Chiamalo
Lorne.” - borbottò Spike, passando tra i due con aria repressa.
“Si, chiamami
Lorne. E dammi del tu. Vuoi da bere, bon bon?”
“Bon bon vuole
da bere e noi gli teniamo compagnia.” - commentò Doyle, seduto in fondo al
bancone. E fissò con aria svanita le due nubi che riempivano il locale - “Oh,
ciao principessa.”
“Wow, è stato!”
- Cordelia lasciò andare la manica di Anya - “E' stato wow! Lo sai fare anche
tu?”
“No. Solo
quando sono davvero ubriaco. Lorne, conosci le ragazze?” - chiese, indicandole
come se fosse normale vederle apparire - “Anya e Halfrek, signore del massacro
collettivo e individuale.”
“Si, sono
clienti abituali. Cosmopolitan bambine?”
“Ovviamente
Lornie caro. E qualche stuzzichino, sono affamata.” - Halfrek schioccò le dita
e mantello e scollatura scomparvero. Si sedette, inguainata nel suo canonico
tailleur violetto, accavallando le gambe - “William, tesoro, siete in un enorme
pasticcio.”
“Ascoltala.” -
fece eco Doyle, seduto dall'altro lato, con Cordelia a fianco - “Ha
perfettamente ragione.”
Beveva come una
spugna. Ed aveva occhi quasi bui.
“Mi interessa
di più sapere cosa hai visto.” - replicò il vampiro. Edward era alle sua
spalle, in piedi. Ed era una presenza rassicurante, anche in silenzio - “Hai
mandato tu Angel e la Chiave...”
“Si, sono stato
io.”
“E non puoi
dirmi nulla?” - insistette. E una mano, intanto, gli portò via il bicchiere. E
un bacio – “Ciao Faith, mi fa piacere vederti tutta intera.”
“Scommetto che
non hai avuto molto tempo per pensarmi.” - replicò la Cacciatrice, gettando
un'occhiata alla lunga fila di avventori - “Siamo aumentati di numero o
sbaglio? Mi giro un attimo e raduni le tue ex?”
Io, Drusilla,
Buffy e Anya… hai ragione, siamo già in quattro. Ma qualcosa mi dice che saremo
presto in cinque. Cuori, quadri, fiori e picche.
E la
prossima…Jolly o Asso pigliatutto?
“Ciao, asso
pigliatutto.” - la salutò Cecily, sorridendole e giocherellando con il proprio
drink - “Non ci hanno mai
presentate...”
“E questo dovrebbe
lasciarti intendere che non siamo amiche.” - replicò Faith, in maniera
decisamente educata - “Anya, alza il culo, devo parlare con Doyle. E voglio
sapere dove sia Wes.”
“Giusto. Dov'è
Wes?”
London.
Wes sorrise,
divertito.
“E dove
volevate che fossi?” - domandò – “A procurarmi qualche guaio...”
LosAngeles
Il parco giochi
era deserto e ormai cintato da quando, una notte, era apparso un enorme cerchio
bruciato al centro e la struttura delle altalene si era fusa in un unico
ammasso. L'amministrazione di quartiere non aveva saputo spiegarsi l'accaduto e
aveva preferito limitare la zona.
Methos,
ovviamente, non aveva apprezzato il dover scavalcare la recinzione, non tanto
per questioni etiche, quanto per la fatica e l'impegno necessari. Ma, quando
finalmente si era deciso ad accorciare le lamentele e allungare il passo, aveva
trovato Wes impegnato a comporrre un cerchio, renedere argentee delle fiamme e
buttare tanta polvere sul fuoco magico.
“Funghi
allucinogeni?” - aveva chiesto, sospettoso - “Ne avevo parecchi negli anni
ottanta, vecchi di un millennio. Ancora mi chiedo cosa ne ho fatto...”
“Ne parliamo
dopo.” - rispose Wes, inalando a fondo - “Fai le domande che ti ho scritto e
sbrighiamoci. E stai attento che sia lei.”
“Ma si, Price.
So come funziona una possessione. Avanti, parti per l'altro mondo.” - replicò,
sbrigativo, aprendo il foglietto - “Ciao, Dru.”
“Antico...”
Perfetto.
Sorrise, davanti agli occhi viola. È lei, la spostata.
“Credo che stia
accadendo qualcosa.” - disse, ripigando il foglio del questionario e
infilandolo in tasca. Sapeva benissimo cosa chiederle - “Dimmi quanto c'entri
tu in questa storia.”
“Cosa è
accaduto.”
“Davvero non lo
sai? Niente onniscienza dall'inferno degli spostati?” - si interruppe. E cambiò
tono - “Ti servono dei segni, vero? Non sai in che tempo siamo....”
“E' così. Il
mio William vive?”
“Si, è vivo.
LA, 2003. la sua anima è forte, il sangue si è riunito.”
“E la chiave è
giunta...”
“La chiave è
qui, da stamattina.”
“Lei è come
l'Alba.”
“Lo avevamo
intuito. Perchè è qui anche Edward.”
“Allora sta per
compiersi il destino. Temete la morte?”
“Dobbiamo?”
“Dovete.”
“Bene. Sono già
stufo di parlarti.” - repsirò a fondo, divenendo serio - “Drusilla, chi c'è
dietro tutto questo... è opera tua?”
“Avrò il suo
perdono?” - lo interruppe, disperata. Methos strinse gli occhi, fissando Wes.
Poteva vederla, vedeva Drusilla, in
traslucido.
“Non lo so,
Dru. Cosa dovrebbe perdonarti?”
“La sua morte.”
“La morte di
chi.”
“La sua. La
sua...”
“La morte di
chi, Dru!”
Wes rantolò. E
la voce di Drusilla sembrò sofferente.
“Sta soffrendo
troppo. Devo andare. Non c'è più...”
Wes era
crollato in ginocchio. Il fuoco si era spento.
London
“Insomma non
avevamo proceduto di molto nella nostra opera. Avevamo un nemico che ci voleva
morti, due demoni, una chiave, un Angelo in seduta presso gli oracoli, un
Cantastorie defunto e uno quasi ucciso dall'emicrania.” - enumerò Methos,
alzando le mani - “Il tutto senza contare i due immortali che se ne sarebbero
stati volentieri fuori dai guai a tagliar teste... su un altro continente
magari...”
“Cosa ti
accadde, Wes?” - domandò suo padre. E, se doveva esserci preoccupazione nella
sua voce, i presenti non lo capirono mai - “Dopo la possessione...”
“Quello che mi
capitava di solito. Lo stomaco sottosopra e parecchi antinevralgici.
Nient'altro.” – spiegò, alzandosi – “Mi sarei volentieri messo a letto, ma non
avevo tempo da perdere. Cordelia si era appropriata di un computer e di una
connessione per sopperire l'assenza di una biblioteca, mettendo asseme ciò che
avevo potuto vedere nella mente di Dru, mentre stanziava nella mia testa per
chiacchierare con Adam.”
“Cosa avevi
visto?”
“Nè più né meno
l'informazione che Drusilla non aveva saputo darci. Il nome del nostro
avversario. Il problema era che nessuno volesse credermi.”
LosAngeles
“Ti dico che
era lei!” - ripetè Wes, ancora una volta, levandosi lo straccio dalla fronte e
tirandolo in un angolo. Non si alzava a difendere le proprie opinioni solo perchè non ci riusciva - “Era
lei, maledizione!”
“Ma certo che
era lei.” - replicò Halfrek, composta come sempre sullo sgabello e al suo
secondo cosmopolitan - “lo abbiamo detto anche noi, ma non ha voluto
crederci...”
“Sentite!” - si
intromise Anya. Stava raccogliendo i cocci... i cocci di tutte le bottiglie che
Spike aveva distrutto lanciando i mobili del locale prima che Faith ed Edward
riuscissero a fermarlo - “La nostra fonte è attendibile, è davvero andata come
vi abbiamo detto. E Wes lo sta confermando, contenti?”
“Contenti un
corno!” - Spike sembrava fuori di sé. E non si riusciva a farlo smettere di
camminare. Fuori il sole era alto e lui era relegato senza sapere dove fossero
né Angel né Briciola. Ce n'era abbastanza per autoimpalettarsi - “Qualcuno ha
la minima idea di cosa significhi?”
“Significa che
è sempre la stessa storia, Will.” - sospirò Cecily, giocherellando con uno
stuzzicadenti e fissandolo concentrata - “Che le tue donne non amano essere
tradite lasciate o uccise.”
“Cecily, non è
il momento di farmi la paternale.”
“Lo so. Ma non
ho resistito. Concordi con me, Anya?”
“Non so.” -
disse la bionda svanita - “Io ho fatto solo sesso con William. E siamo stati
felici. Nessuna complicazione.”
“Ma davvero.” -
Edward sedeva sul bancone, con i piedi a penzoloni. E Faith, idrofoba, a
fianco, da tenere per un braccio -
“Un'avventura di una notte... senza prosecuzione...”
“Come?” - Anya
lo fissò stranita. Poi fissò Faith. E capì, senza ombra di dubbio - “Oh, certo,
non è significato nulla... mi ha usato. No, io ho usato lui.”
“Si, ci siamo
usati a vicenda!” - urlò Spike. E si pentì all'istante - “No, Anya, scusa, è
stato bello. Bellissimo. Indimenticabile.”
E sono sincero.
"Sai,
Anya…" - commentò il vampiro, finendo di aggiustarsi - "Pensavo che
sarei stato io ad andare via per primo… dopotutto…"
"Dopotutto
sei cattivo e insensibile…" - terminò Anya, ravviandosi i capelli -
"Lo so, lo so. Lo sanno tutti, direi. Solo che, se non mi alzavo, non ti
avrei più lasciato…"
Rimase ferma, a
riflettere sulla frase che aveva appena detto. E non si stupì, quando le dita di
Spike si intrecciarono con le sue.
Rimasero così,
senza guardarsi. Senza voltarsi, dandosi le spalle, come se non avessero nulla
da spartire. Eppure con le mani intrecciate. Mani che si erano trovate senza
bisogno di cercarsi.
"E'
triste…" - mormorò Anya, guardando fisso di fronte a lei. Si vedeva
riflessa nel parabrezza. E vedeva la sua mano, stringere il vuoto. E Spike non
c'era…
Spike non
c'era…
"Cosa,
Anya… cosa è triste…"
"La vita…
credo." - abbassò gli occhi, con un sorriso. Era una risposta scontata e
troppo generica, forse. Ma non aveva realmente importanza - "No, dai,
scherzo. È triste lasciarsi così… dopotutto, non è solo sesso. L'hai detto
tu…"
"Anya… ti
prego… non piangere." - sorrise, scotendo la testa. E asciugandosi gli
occhi.
"Io? Perché
io non posso e tu sì?" - ribattè, cercando di trattenersi. Non aveva
bisogno di voltarsi, per sapere che alle sue spalle c'era un demone che fingeva
di essere un duro. Era un demone anche lei… ed aveva molti modi per scoprirlo…
ma, in questo caso, le bastava solo il cuore - "Ma noi dobbiamo lasciarci,
non c'è motivo per essere tristi, non c'è motivo per piangere…"
Spike annuì,
stringendo i denti. Non c' era motivo per piangere. Era una sciocchezza. Non
aveva pianto per Buffy… ed ora non avrebbe pianto per se stesso.
"Grazie,
Spike…"
"E di
cosa? Di una notte di follie amorose? Figurati, sono la mia specialità…"
"Già…
grazie per l'amore e per tutto il resto. Mi hai dato più di quello che
credi…"
Le era mancata
la voce. E con essa il coraggio di andare avanti.
"Dove
andrai, adesso?"
"E dove
vuoi che vada… “
Anya gli
sorrise, timidamente. E raccolse alcuni cocci, prima di sparire nel retro.
“Mi spiace
interrompere le vostre questioni romantico amorose.” - disse Cordelia, dalla
postazione web. Methos, in piedi alle sue spalle, leggeva la schermata con aria
concentrata. E non lasciava presagire nulla di buono - “Ma è vero. È lei
sicuramente.”
“Cosa hai
trovato?”
“Nulla.”
“E quindi, come
fai a esserne certa?”
“Perchè ci ha
appena scritto una mail... e con tanto di fotografia.”
Voltò il pc,
per la gioia dei presenti.
La foto le
faceva onore. Era bellissima.
“Darla.” -
disse Angel, facendoli sobbalzare tutti - “E io che non volevo crederci...”
[VII]
London
“Darla.”
“si, Darla.”
“Darla, la
creatrice di Angelus.”
“Si, lei. Vuole
che lo ripetiamo ancora una volta? Magari qualcuno non l'ha ancora capito.”
La donna
avvampò. E sembrò risentirsi del commento. Methos non sembrò, invece,
manifestare senso di colpa.
“Le versioni a
quel punto coincidevano tutte.” - disse Wes, tornando per un attimo alla sua
natura di mediatore e obbligandoli a restare attenti - “Anya e Halfrek lo
avevano sentito dire tra le orde demoniache, Methos e Wes lo avevano estorto al
fantasma di Drusilla, Doyle l'aveva fuggevolmente vista in una visione ed
Angel... bhe, Angel si era beccato la canonica e sibillina premonizione
assolutamente inutile.”
“Guardati dalla
regina dalle molte vite, Angel.” - ordinò l'oracolo che fino ad allora aveva
taciuto - “Sarà lei la fonte di ogni male... e di ogni dolore...”
“La regina
dalle molte vite...” - ripetè Doyle, massaggiandosi la fronte con aria
rassegnata - “Come al solito parlare con gli oracoli era stato utile per tutto
tranne che per il richiesto. Ma Angel aveva comunque compreso, a quanto
sembrava, anche se si rifiutava di accettarlo. Purtroppo per lui, al caritas lo
attendeva solo la conferma ai suoi peggiori sospetti. In più, la ragazza ci
aveva scritto.”
“Giusto.” -
Methos sospirò - “Non dimentichiamo la lettera. Prima della lettera erano
serviti un immortale e una Cacciatrice per frenare un vampiro rabbioso. Dopo la
lettera, nessuno tentò nemmeno di bloccare Angel. Semplicemente, gli lasciammo
distruggere il locale. Fino al più piccolo frammento.”
LosAngeles
“E' quello che
sto cercando di dirti da ore.” - Anya parlava a Spike, a voce bassissima. E
Spike fissava Angel al computer, la bocca che diveniva sempre più stretta -
“Quando hai lasciato Drusilla, un'ultima volta, lei ha avuto il tempo di
desiderare. E al posto di volere la tua morte, ha preferito cercarsi una
vendicatrice.”
“Staremo
insieme, per sempre. Tu e lui, con me...”- implorò lei.
“Ci sono già
passato Drusilla, tu non sei divisibile tra due uomini. SCordatelo. E poi, a
dirla tutta...” - con le labbra avrebbe potuto incendiarla, con gli occhi lo
stava già facendo - “... penso di non avere più interessi nei tuoi confronti.”
Allargò le
dita, arretrando di un passo.
È un addio,
questo.
“Addio, Dru.
Non abbiamo più nulla da dirci.”
Drusilla si
strinse le mani e il segno della sconfitta le attraversò i lineamenti.
Si. Questo è il
nostro addio. Mi hai dimenticata.
“Non mi
volterai ancora le spalle.” - rantolò, afferrandolo con la braccia e
stringendolo in una morsa. Gli occhi divennero cangianti, i lineamenti mutarono
- “Non ti lascerò andare via... non tornerai da lui.. da lei... io ti ho
condotto fino a qui, io...”
Ed io posso
distruggerti, assieme al tuo destino, uccisore delel cacciatrici, amore mio.
“Lo ha fatto in
un battito di ciglia.” - gli spiegò con dolcezza Anya. E gli afferrò una mano.
Non le sorprese sentire Spike stringerla, in cerca di un appiglio - “Quando ha
compreso che non ti saresti più voltato, la follia ha preso definitivamente il
sopravvento. Eri tu, per non so quale motivo, a tenere a galla una forma di
coscienza.”
“Come lo
sai...”
“Sono un
demone, William. E potevo sentirlo.” - spiegò, con calma, anche se era ovvio e
semplice per entrambi - “Ti sei salvato per miracolo. E deve essere successo
quando Angel è intervenuto, il tempo deve aver rallentato e averle dato il tempo
di desiderare. Sapeva ciò che voleva, è stata molto precisa nella sua
richiesta.”
“Darla.”
“Si, è andata
così. E non una Darla qualsiasi, umana
e tutto il resto, come l'ultima volta. È la Darla dell'attimo dopo la sua
morte, quella che...”
“Quella che mi
vuole a pezzi.” - concluse Spike, con voce atona. Darla al suo peggio.
Quella armata
di gancio da macellaio.
“Siamo venute e
dirtelo non appena lo abbiamo saputo. Ma cosa abbia fatto Darla in questi mesi
resta un mistero.”
“E cosa volete
che abbia fatto. Si è preparata con cura. Vendicherà Drusilla portandomi via
tutto. E, nel frattempo si prenderà la rivincita su Angel. Comincerà da Faith.”
- mormorò, con voce piatta - “E poi, uno alla volta, cadremo tutti.”
E, in quel
mentre, Angel aveva fatto volare la prima sedia.
***
Non esistevano
molti modi per far veramente imbestialire Angel. Ma il migliore in assoluto,
quello sempre efficace, era minacciarlo. E, nella fattispecie, minacciare
qualcuno che amava.
“Salva il
computer.” - ringhò Spike, placcando il suo sire e volando con lui sul palco
del caritas - “Dopo voglio leggere anche io.”
Angel era
furioso. E, per quanto cercasse di reprimere gli istinti peggiori, Spike si
prese comunque un pugno. Ed ebbe anche il piacere di renderlo.
“No, non lo
fare.” - ordinò Methos, afferrando Edward per la cintura e poi sollevandolo,
con un braccio attorno alla vita - “Tu non immagini cosa sanno fare quei due
quando si comportano in questa maniera.”
Attorno, lo
scenario ricordava l'Hyperion. In mezzo al disastro, Lorne beveva direttamente
dallo shaker. Edward fece un respiro e Methos lo posò a terra, mentre una mano
con unghie laccate di viola gli sfiorava un braccio.
“Edward.” -
Cecily gli sorrise, smagliante - “Che ne dici se facciamo due parole? È tanto
che non ci vediamo.”
Tipico di
Cecily. Troppo aristocratica, capacissima di ignorare la confusione per non
venir meno al proprio buongusto. Ed Edward, in tutta coscienza, desiderava
poter fare altrettanto.
“Prego.” - le
disse, corrucciato, porgendole il braccio. Sul palco, Spike ed Angel
continuavano a menarsi. I restanti occupanti del caritas sembravano intenti a
raddrizzare almeno i mobili - “Io mi cerco una birra...”
***
Angel era
stufo. E parecchio. L'email di Darla, come se non bastasse il suo ritorno, era
una simpatica ciliegina sulla montagna di problemi, preoccupazioni e
premonizioni che già aveva.
A quanto
sembrava, Drusilla dava ancora il meglio di se stessa, pure da morta.
“Il destino di
William sta per compiersi.” - aggiunse Drusilla, alzando la testa. Il suo corpo
era scivolato a terra, il suo viso pallido era quasi nella polvere - “Non
potrai salvarlo un'altra volta, Angelo mio. Uccidimi. Uccidimi, perchè nel
futuro che si sta per scrivere non esiste un posto per me.”
“Dru...” -
strinse più forte la spada, sentendola scivolare. Non disarmato, non disarmato
innanzi a quell'orrore - “dimmi cosa vedi... amore...”
“Anime e sangue
vi hanno condotto fin qui.” - rispose, docile alla sua preghiera - “ora non vi
resta che combattere il destino, un'ultima volta.”
“Non è
abbastanza. Devi dirmi altro.”- deglutì, piegandosi sui talloni - “Devi dirmi
altro, se vuoi che io lo salvi.”
Tu lo vuoi,
quanto lo voglio io.
Ti prego,
Drusilla... aiutami a proteggere William.
La mano della
vampira gli strinse il maglione, afferrandosi ai punti lacerati dalle frecce.
Erano rimasti soli, ogni vampiro che l'avesse appoggiata era ormai polvere
nella polvere, sui loro vestiti, sotto i loro corpi.
Non c'era
nulla, non c'era battaglia.
Solo un
silenzio innaturale su una città sempre viva in cui l'oscurità sembrava non
esistere.
Solo silenzio.
E oscurità, l'ultima rimasta.
“Tennero fino alla fine... Nessuno li seppe piegare...” -
mugolò Drusilla, come una litania, raddrizzandosi lentamente, fino a
fronteggiarlo, in ginocchio. Gli occhi viola erano pieni di stelle, le labbra,
morbide, erano sulle sue - “Non dimenticare...”
Non dimenticarsi... e come poteva dimenticare!
E, come se tutto questo non bastasse... Faith.
Gli oracoli profetizzavano, Darla lo metteva addirittura per
iscritto.
"Mio carissimo Angelus,
penso che ti farà piacere sapere che godo di splendida
salute e non vedo l'ora di riabbracciarti. Sono in città da un po' di tempo e
mi dispiace sinceramente non essere ancora passata a trovarti. Ma, capirai, mi
sto facendo bella per te, come mio solito. Voglio che la mia entrata in scena
sia... come dire... esplosiva.
Immagino che lascerò molte vittime del mio fascino a terra.
Ma una donna desidera sentirsi potente e amata.. e io non sono da meno.
Oh, amore mio, non
vedo l'ora di abbracciarti. So che hai ancora con te il nostro piccolo Spike e
me ne rallegro, così non dovrò cercarlo per il mondo.
Spike ha ucciso Drusilla, Angelo mio. Ed io sono qui per una
precisa inequivocabile motivazione: voglio rendergli il favore. E con tutto il
dolore che posso provocargli.
Per tanto, rallegrati. Non prevedo di incenerirlo, almeno
per il momento. Voglio solo recidere, uno ad uno, tutti i tentacoli che è
riuscito a tendere nel mondo. Sentimenti, legami, amicizia... tutte quelle
sciocchezze umane che, da qualche tempo, interessano anche a te.
Sei stressato, Angelus. Io ti darò un po' di sollievo
sollevandoti da parecchie incombenze.
A partire dalla tua Cacciatrice. La tua piccola e deliziosa
Cacciatrice.
Sempre che non sia morta stamattina nel piccolo 'bum!'.
Poi sarà la volta del trasandato ragazzotto che ti ha
traviato e di quella smorfiosa di liceale invecchiata che frequenta. E non
dimentichiamoci l'osservatore che si crede un mago... ho molto apprezzato le
sue messe nere per chiacchierare con la mia piccola amata Drusilla.
Infine, amore mio, mi prenderò il tuo piccolo William.
Perchè ho sentito dire che è prezioso per le stelle.. e perchè voglio
infliggerti tutto il dolore che posso.
Lo renderò folle. Poi vorrò la sua vita.
E, infine, Angelo mio, saremo di nuovo solo tu ed io.
Insieme, per sempre.
Con immenso amore.
Tua Darla."
Si, considerò Cordelia rileggendola, c'è di che alterarsi.
Hai visto come mi ha chiamato?
"Mi ha chiamato ragazzotto." - commentò Doyle,
leggendo da sopra la sua spalla.
"Non ha nominato me." - aggiunse Methos –
"Non so se sentirmi offeso o rallegrarmi."
London
"Eravamo ad un punto morto." -
soispirò Doyle strofinandosi un occhio – "Potevamo tranquillamente
perderci in battute e risse, intanto non sapevamo dove fosse Darla e cosa fare
per arginare il disastro. Era riuscita a minarci il condominio senza che ce ne
accorgessimo, ci aveva messo nella condizione di essere persino convocati dai
miei capi e avvertiti dalle forze demoniache di zona... eppure continuavamo a brancolare.
Non un indizio, non un frammento a cui affidarci."
"E le visioni?" - domandò un
ragazzo, dalla prima fila, alzandosi in piedi – "Non potevano
aiutarvi?"
"Certo che potevano. Ma non ne
avevo. E questo non era un bene cosicchè..." - Doyle alzò le mani, in
segno di resa – "Giunsi alla stessa conclusione a cui sei giunto tu ora.
Ci servivano le visioni."
"E quindi?"
"E quindi me le procurai. La
peggiore idea mai avuta in vita mia."
“Concordo.” - borbottò Methos. E spalancò
gli occhi davanti all'occhiata scetticca del suo pubblico - “Davvero!”
“E che successe?”
“Bhe... mi ammazzai.”
***
“Non avevo
fatto bene i miei conti.” - aggiunse, modesto. Il ragazzo che si era alzato per
porgli la domanda era agghiacciato. E Doyle si sporse, cercando di consolarlo -
“Non mi sono suicidato, credimi, ho solo fatto un un bel disastro e...”
Il cellulare
vibrava. E Doyle si frugò tutte le tasche, cercandolo.
“Scusate.” -
disse, premendo il tasto e aprendo la chiamata - “E' mia moglie.”
“Quante volte
al giorno lo dice?” - chiese Edward, voltandosi verso Methos.
“Uh, ho smesso
di contarle...”
“Eddy, vuole
parlare con te.” - gli porse il cellualre - “Non trova Gucci a Piccadilly
Circus.... la aiuti per favore?”
Edward afferrò
il cellulare e si alzò. Methos ebbe l'impressione che stesse alzando gli occhi
al cielo.
“Non so quante
volte le ho spiegato la strada...” - lo sentirono borbottare, mentre usciva
dalla sala.
“Dicevamo? Si!”
- Doyle indicò i suoi fan con gli indici - “Parlavamo della mia morte.”
LosAngeles
Edward aveva
stappato due birre e si era seduto su uno sgabello. Cecily, seguendo il suo
sguardo, era tornata a fissare la rissa, contrariamente alle proprie speranze.
“C'è sempre
solo lui per te...” - sospirò, intenerita. E i loro occhi si incontrarono -
“Passano i secoli, cambiano i luoghi... le persone...”
“Le persone non
tanto.” - replicò l'immortale - “Solo qui dentro siamo almeno quattro che
frequentavamo lo stesso giro di amici.”
“Perchè il
mondo è più piccolo di quanto non sembri...”
“No, il mondo è
vasto. Sono le persone che non riescono mai a perdersi del tutto...”
“Sempre il
solito romantico. Edward, toglimi una curiorità.” - piegò la testa, verso di
lui, complice - “Lo sai che su di te girano delle belle storielle?”
Edward piegò la
testa, fissandola di sbieco. Come Spike.
“Storielle? Che
tipo di storielle.”
“Uff,
sciocchezze! Sciocchezze del tipo che tu sia un Guerriero della Luce che non si
è attivato, che Drusilla dovesse essere il tuo Cantastorie.. cose di questo
tipo.”
“Cose di questo
tip... Cecily, di cosa stai parlando! Drusilla.. la Dru di William!” - Edward
la fissò, spalancando gli occhi e sentendo il cervello azzerarsi - “Ma di cosa
stai blaterando!”
“Uh, nulla. Se
non ne sai nulla...” - aveva imbronciato la bocca - “sei il diretto
interessato, se non lo sai tu.. peccato, io ci credevo...”
“Scusami un
secondo.” - si alzò e, marciando rapido
verso il retro, afferrò sul passaggio il proprio personale multimillenario -
“Methuselah, mi è appena giunta una voce interessante all'orecchio?”
“Se Anya ti ha
detto dell'invito a cena non sapevo che fossi interessato.”
“Lascia perdere
Anya, dimmi cos'è questa storia del guerriero della luce.” - aveva le labbra
contratte, l'aria spiritata. E, Methos si rese conto che, come una coltellata,
stava provando paura - “Dimmi che non sono stato io che ho fatto incontrare
Spike e Drusilla.”
***
“Spike, Spike,
frena!”
Spike, che
aveva il pugno alzato e si preparava a rompergli il naso per un'altra volta, si
bloccò a mezza'asta.
“Ti sei
calmato? - domandò, senza battere ciglio, restando seduto sul suo stomaco -
“Flagello, non ci siamo, non puoi continuare così. Gli anni passano anche per
me.”
“No, gli anni
passano più per me.” - replicò Angel, senza degnarlo di un'occhiata - “Sono un
cretino. Un emerito cretino, William.”
“Lo so. Se ti
do ancora un pugno riuscirai a tenerlo a mente?”
“Il cellulare.”
“Ok. Ti
fracasso il cellulare.”
“Il cellulare
di Darla, William. Ho il numero.” - puntualizzò, armeggiando per raggiungere
l'apparecchio nella tasca dei pantaloni. Intanto Spike non accennava a scendere
dal suo stomaco - “Mi ha telefonato la notte in cui ti ha preso. E scommetto
che è ancora attivo.”
Lo squillo del
cellulare lo sorprese. E se un parte di sé gli urlava di lasciarlo suonare,
qualcosa nel suo essere lo spinse a rispondere. Dall'altra parte una suadente voce di donna, che egli non tardò
ad accomunare con uno splendido viso biondo.
"Allora,
amore mio, piaciuto il piccolo presente?"
"Darla."
- ringhiò Angel. La sua rabbia premeva, mozzandogli ogni parola coerente.
"Oh sì,
solo tu sai pronunciarlo, in quel modo." - sembrava una gattina che fa le
fusa - " e dimmi, non hai nostalgia dei vecchi tempi? Tutto quel sangue
rosso, così profumato, così denso…"
“Lei ti ha
chiamato e tu hai messo in memoria il numero? Ma non è romanticismo, è
necromania! Tu l'hai uccisa dopo quella telefonata! Ma che schifo!”
“Si, certo!
Intanto la mia necromania adesso ci da qualcosa su cui lavorare!” - Angel fece
partire la chiamata e tornò a posare la testa a terra.
“Tu sei
matto...”
Angel,
perentorio, gli fece il segno di tacere.
“Suona.” -
sillabò, con le labbra. E, dopo un attimo, sorrise - “Ciao bellissima... ti
sono mancato?”
***
Methos stava
facendo una cosa mai fatta prima: esitava a rispondergli. Ed edward iniziava a
sentire il desiderio di mettersi a urlare.
“Ok. Sono stato
io. Methos!” - ripetè, tentando di puntargli un dito contro, sembrare
minaccioso e ritrovandosi invece con le mani alle tempie, i pensieri sempre più
affilati nella mente - “Per favore, dimmi che non c'è una psico cazzata cosmica
su di me e su mio fratello.”
“Sei un
immortale come pochi ne esistono e lui è un vampiro con l'anima.” - rispose
l'uomo, guardandolo - “Credi sul serio che siate sempre stati due ragazzi
qualunque?”
Non prenderti
in giro. E non prendermi in giro.
“Edward, posso
dirti tutto ciò che vuoi. Ma tu respira a fondo, chiudi gli occhi e chiedi a te
stesso quanto sai di questa faccenda. Con l'istinto.”
“Me ne frego
del mio istinto. Voglio risposte, ora, subito.”
“Certo che scegli un bel momento per fare il
nevrastenico.” - methos si passò le mani sul viso, esasperato, poi le spalanco,
cercando le parole migliori - “Cosa ti hanno detto? Della tua natura eroica
mancata?”
“Tu lo sapevi!
E da quanto lo sai?”
“Lo so e basta.
E no, tecnicamente non hai fatto incontrare tu Drusilla e William. Dru ha
scelto lui indipendemente da te. Ed anche se questo sconvolgerà l'opinione
mondiale su di te, lo ha ritenuto un investimento migliore. Senza offesa.”
“Io non...” -
Edward respirò a fondo e chiuse gli occhi. Calmati e credigli. Credigli. Quando
riprese a parlare era controllato, ma gli occhi erano ancora chiusi - “Hai
sempre detto di non credere a niente del genere, che siamo padroni del nostro
destino. E ci siamo sempre trovati concordi. Ora salta fuori che potevo essere
un eroe e non lo sono perchè potrei essere qui per un buon motivo, che ho una
missione da compiere e tu...”
“Questo non lo
ha detto nessuno. Si parlava solo di ciò che non sei stato. Non di ciò che sei.” - replicò Methos,
incrociando le braccia. Stava succedendo. Volente o nolente, il suo istinto
prevaricava ancora. Come sempre.
Nessuno lo ha
detto. Ma tu lo sai comunque. Resti un prescelto anche ora.
Chiudi gli
occhi, Edward, contempla il tuo destino.
Chiudi gli
occhi. E dimentica il passato per sentire il presente.
“Lo senti,
vero?”
“Si, lo sento.
Ho un destino da compiere da quando ho incrociato la lama con Angel.” -
aggiunse riaprendo gli occhi - “O sbaglio?”
“Non sbagli.
Sei abbastanza egocentrico da volere quel posto in prima fila a tutti i costi.”
- lo sbeffeggiò, sempre con le braccia incrociate e l'espressione annoiata -
“Visto che, comunque, questa consapevolezza non ti basta, ti sintetizzo ciò che
so io, vuoi?”
“Secondo te?” -
edward lo avrebbe volentieri picchiato. Methos non sapeva fornirgli risposte
senza farle sembrare concessioni.
“Drusilla era
il cantastorie destinato a trovare te.” - Methos tagliò corto sul tono
sarcastico e sul desiderio di prenderlo a schiaffi. Coventry sapeva essere
indisponente oltre ogni dire - “Mentre si affannava, tra una visione e l'altra,
probabilmente, ha visto william. E, sempre probabilmente, ha fatto due più due.
Sapeva di poter raggiungere te, in qualche maniera, nel tempo. Oppure che,
nell'immediato, Angelus l'avrebbe trovata e che così lei sarebbe giunta a
William. Ha scelto in fretta e ha provocato qualche massacro di troppo, ma
l'importante era vincere la guerra, non ogni battaglia. Drusilla potrebbe
esserci arrivata molto vicina.”
Non so ancora
come. Posso intuirlo. Ma è presto, presto per dirlo.
“È possibile,
per quanto soffra a dirlo...” - aggiunse, martire, per sviare la conversazione
- “Che sapesse persino che io avrei trovato te. E che io ti avrei portato qui.”
Edward non lo
interrompeva. Lo fissava soltanto, in silenzio. E methos si ritrovò a pensare a
william che, con lo stesso sguardo, aspettava inconsapevole dalle sue labbra la
certezza del proprio destino.
Si raddrizzò, alzando la testa. E Spike
sentì un brivido, tangibile, incontrollabile. Era l'eternità divenuta carne,
era la storia della terra, degli uomini, del tempo passato diretto al futuro.
Era tutto questo, in un guscio trasandato chiamato Methos. E mai prima, mai
prima di allora, si era svelato in questa sua forma.
“Questo è il momento della tua scelta,
libera e umana, uccisore delle cacciatrici, William il sanguinario, sangue dei Coventry... Spike.” - e Spike suonò come
un tuono, nel silenzio - “Combatti per ciò che ami, ora, scegli come essere che
ama, odia, soffre. Scegli. E non voltarti più indietro.”
E Spike
respirò. Si, respirò, a fondo, come se aria giungesse ai suoi polmoni,
come se la vita gli passasse nelle vene senza frenarsi per la morte, per la
demonicità, per l'anima venduta all'inferno eppur tornata.
Si, sta per accadere qualcosa. E già si
libra su di noi.
Ascolta l'Antico, William, sussurrò
Angel, riempiendo la sua anima. Ascolta l'Antico e afferra la luce che ti è
stata sottratta.
Cerca Edward. Trova Edward. Salva Edward.
E non voltarti mai più indietro.
“Mai più.” - aggiunse Faith,
apparendogli, lattiginosa, evanescente, dietro le palpebre chiuse - “Perchè nel
domani saremo per sempre intrecciati. E per sempre a cavallo di luce e ombra.”
“Tu lo senti.” - fece eco Methos - “Tu lo
senti accadere. È come aria troppo fredda, è come un sorso di vita dalla coppa
di dio.
È la reminiscenza, Spike. È il dono del
sangue di Edward.
Compi il nostro destino. Riunisci il
sangue.
“Come te,
William non sa nulla di questa storia.” - aggiunse, spietato - “Non ci siamo
sentiti in dovere di informarlo. Deve scegliere liberamente e consapevolmente,
non perchè le persone di cui si fida
gli farciscono il cervello di interessanti stili di vita. Se vorrà, riuscirà.
Tu cerca di fare altrettanto.”
“Lo sapeva di
sicuro. Come vorrei prenderla a calci.” - concluse. E poi, in un ripensamento,
aggiunse sottovoce - “E vorrei prendere schiaffi anche te, Sinead Doyle.”
“Andiamo...
l'ho fatto per te...”
“Sinead, fammi
una torta, stirami il bucato... ma non trapanarti il cervello per farmi un
favore.”
“Tu non mi
apprezzi.”
“E' vero.” -
methos le porse un fazzoletto pulito e prese in consegna quello insanguinato.
Sinead se ne stava sdraiata al centro del letto, con aria decisamente
contrariata. Una cosa era avere mal di testa e visioni, un'altra sangue dal
naso e svenimento. Il suo amor proprio ne risentiva, quasi quanto il buonumore
di methos.
“Fatto per
me... per vedere cosa, poi... ho sbancato l'enalotto? In che anno?”
“No, niente del
genere. Però ho visto che ti invischierai ad altissimi liveli con gli eroi. Te
lo dico così cominci a pensare a cosa mettere in valigia. Hai circa dodici...
no, sedici, sedici anni.”
“Stai
scherzando, spero...”
“No, certo. Non
ho senso dell'umorismo. Comprati un bell'appartamento a LA, ti servirà di
sicuro. Potresti portarci la tua collezione di vini.” - si interruppe,
massaggiandosi una tempia con aria preoccupata - “No, quella sarebbe meglio di
no, ho visto un mare di cocci. Ah, appendi l'arazzo di Teodora dietro la
scrivania, ci starà benissimo.”
“Vuoi anche
dirmi il colore della cucina?”
“certo. Arancione.
Ma so già che la vorrai acciaio. Sei monotono sui colori. Grigio, grigio,
Methos si passò una mano sul viso, con sopportazione. Quando sinead faceva
così, il desiderio di strangolarla diveniva incontrollabile.
“Ah,
dimenticavo. Avverti Edward quando vai a vivere in america.”
“Scusami?”
“Edward. Edward
Coventry. Lui dovrà esserci. E' un prescelto.”
La polemica già
avviata gli morì sulle labbra. E methos la fissò sbalordito.
“Sinead...” -
brancolò.
“Cosa? Ho
dimenticato di dirtelo?” - si sedette, sollecita, sempre tenendo il fazzoletto
sul naso - “dunque, vediamo... devo averlo scoperto quando... no, quella volta
era suo fratello. Ah, si, deve essere stato... no, nemmeno quello, riguardava
una certa Principessa. Oddio. No, non mi ricordo quando l'ho scoperto. Vuoi
sapere il resto?”
“Il resto di
cosa! Non mi hai detto niente!” - methos la afferrò per le spalle e la sdraiò
di nuovo. Una sigaretta, come desidero una sigaretta - “Riparti dapprincipio,
prescelto di cosa!”
“Prescelto per
divenire un eroe. Ma non è successo.” - puntualizzò lei, porgendogli il
pacchetto e l'accendino - “E meno male perchè come immortale andrà parecchio
più lontano. Solo che, a quanto sembra, continua ad avere un compito nel
cosmo... qualcosa che riguarda del sangue, una ragazza e dei barbagianni
inglesi.”
“Barbagianni
inglesi?”
“Ma si, degli
inglesi. Ma quelli li ho ignorati nelle visioni. Perchè sono inglesi.”
“Ah, certo,
capisco. Anche edward è inglese, non potevi ignorare anche lui?”
“Conosci
qualcuno che riesca a ignorare Edward?”
“già.” - sbuffò
ancora fumo, seccato, e spense la sigaretta consumata solo a metà - “Va bene,
ha i requisiti per essere un prescelto, riccioli fluenti compresi. Ma io che
c'entro?”
“tu sei molto
potente. Sarai una bella connessione. Con la tua sola presenza metterai i pezzi
nei posto giusti della scacchiera.”
“Sono richiesto
di rappresentanza? Non devo fare altro? Allora se ne può parlare.”
“Ma quanto sei
pigro. Io ti parlo di conessioni cosmiche, esseri che devono incontrarsi,
fratelli che si riabbracciano e tu reagisci così? Dove è finito il tuo
romanticismo?”
“romanti –
che?”
E, di tutta
risposta, sinead gli aveva rifilato una spinta.
“Che stupido.”
- aggiunse, ridendo. Methos sorrideva, gli occhi stretti, al bocca allargata,
come suo solito. Si iluminava tutto mentre i lineamenti gli si riempivano di
linee del tempo. Troppi sorrisi, un millennio sull'altro, lo avevano scavato
con la morbidezza dell'acqua sulla roccia - “Methos, sono seria, non fare
così!”
“Così come?” -
ribattè lui, baciandola - “Così? Ma, se tu stai dicendo la verità, dovrò essere
molto serio tra quattordici anni... tanto vale ridere ora... e mettersi avanti
con il lavoro...”
Ridere... e
attendere... attendere un domani in cui non ci sei...
“Tu e William
vi siete persi, ma eravate destinati a ritrovarvi. E questo lo hai sempre
saputo. Lo credevi impossibile, ma era solo improbabile. Eddy, sei stato come
tuo solito melodrammatico nelle conclusioni.”
“Bel conforto.
Hai una vaga idea di ciò che devo fare? Devo chiedere ad Angel il vademecum
dell'eroe o improvviso?” - Edward gli rifilò un'occhiata obliqua. E methos si
sporse, fino ad afferrarlo per il collo e trascinarlo in un abbraccio.
“Lascia perdere
le cazzate da vecchie pergamene.” - sussurrò, stringendolo forte e sentendolo
ricambiare con la stessa preoccupazione - “Ogni cosa che farai, ogni scelta che
deciderai di compiere, ogni destino che inseguirai saranno frutto della tua
forza e delle tue certezze. E di nient'altro. Perchè tu sei Edward Coventry e,
in seimila anni di onorata esistenza, non ho visto nulla che possa
eguagliarti.”
London
“I nostri ritmi
vitali ci avrebbero permesso di portare avanti quella conversazione per anni
sui pro, i contro, le sfumature di concetto.” - aggiunse Methos con aria
svagata. Edward non era ancora riapparso, era il momento ideale per dire
qualcosa di magnifico - “Ma erano le vite delle persone che ci circondavano che
correvano troppo veloci, potevamo solo adeguarci e tornare successivamente
all'argomento. Ma la verità è che non l'abbiamo mai fatto. Non c'è mai più
stato bisogno di un chiarimento. Quando ci rivedemmo, con il tempo per sederci
e discutere, il destino di William si era già compiuto. Le parole erano ormai
obsolete. I fatti ci avevano ormai travolti. E a me è rimasto il riampianto di una
frase non detta.”
Respirò a
fondo, abbassando gli occhi
“Credo che una
volta Angel abbia detto che spike è la bellezza del guerriero con gli occhi del
poeta. La bellezza del guerriero con gli occhi del poeta...” - piegò la testa,
divertito – “Non ho mai saputo dire niente di altrettanto efficace per definire
edward. Ma quel giorno, quel giorno, mentre discutevamo e tutto precipitava
attorno a noi, ho solo pensato che edward fosse magnifico. Semplicemente
magnifico senza spiegazioni. E non ho avuto il tempo di dirglielo.”
Respirò a
fondo, rassegnato. E sorrise.
“Vai avanti,
piccolo irlandese.” - aggiunse, indicando con il mento Doyle - “Scommetto che
smani di raccontare quello che stavi facendo mentre io duellavo con Coventry.”
***
Los Angeles
“Doyle, io non
sono convinta.”
“Lo so.”
“Allora
fermati, non posso permettertelo.”
“Ci devo almeno
provare.”
“Possiamo
cercarla nei soliti posti che frequentava oppure...”
“Cordelia, no!
Non sto cercando Darla.” - le aveva posato le mani sulel braccia, per frenare
ogni forma di lamentela. Aveva la pelle fredda, il magazzino di Lorne non era
il posto più caldo e accogliente che esistesse ... e Doyle, senza pensare, le
carezzò la pelle, cercando di scaldarla - “Devo saperne di più su Spike e
Faith.”
“Su Spike e Faith?
Ma che c'entrano ora Spike e Faith! Darla li vuole morti ma non credo che...”
“Sta per
succedere quallcosa a quei due ragazzi, Cordy. Qualcosa di brutto.”
“Cos...” -
Cordelia si interruppe. E lo fissò negli occhi azzurri, enormi e disperati -
“Doyle, di cosa stai parlando!”
“La stirpe
delle cacciatrici sta per finire, Cordy. Faith è l'ultima. Con lei finirà la
discendenza.” - le mani del demone la strinsero, facendola sussultare - “Io
voglio essere certo che non muoia. E che, nel caso accada, Spike non la segua.”
Cordelia
sembrava paralizzata. Aveva gli occhi sbarrati e lo fissava, sconvolta.
“Ho bisogno del
tuo aiuto.” - la implorò - “Ti prego,
principessa.”
“Promettimi.” -
promettimi che non mi lascerai - “Promettimi che mi sposerai.”
Doyle rimase bloccato.
No, forse ho
capito male.
“Scusami?”
“Sposami.
Quando tutto questo sarà finito sposami.” - Cordelia sembrava invasata.
Dall'immobilismo all'iperattività - “Promettimi che avrò il vestito bianco, i
confetti e tutto il resto perchè non ne posso più di nient'altro che guai guai
guai. Ti prego!”
“Ehm.. ok.”
“Ok.. è ok.”
“Certo, è ok.”
- la afferrò, scoccandole un bacio sulla bocca- “Ok. Ti sposo. Mi aiuti
adesso?”
“C-certo.”
“Ti prometto
che dopo mi metto in ginocchio e mi dichiaro, va bene?”
“Sicuro. Ok, da
cosa cominciamo?”
London
“Per un soffio
non ho mantenuto la mia promessa.” - Doyle sorrise, dolce - “L'incantesimo che
dovevamo compiere non era più complesso di quello che usavamo su Wes per
contattare Drusilla. Solo che avevo trascurato la mia parte demoniaca e il
fatto di essere stato già una volta manipolato da Drusilla. Le cose non
andarono come dovevano. Ebbi la visione, certo. E anche in maniera dettagliata,
a quanto ho visto. Solo che, quando stramazzai a terra, lo feci per non
rialzarmi più.”
LosAngeles
“Vampiro?” -
Faith si avvicinò a Spike, guarandolo, interrogativa. Poco lontano, Angel
parlava al telefono, con aria incredibilmente rilassata - “Che succede?”
“Quello
là...” - spiegò, indicandolo -
“...parla con la sua ex. E fa il coglione.”
“Con Buffy? Ma
proprio adesso doveva decidersi a dichiararsi?”
“Non con
Buffy.” - Spike lo rifilò un'occhiata inceneritrice - “Con Darla.”
“Con Darla? Con
Darla! E come fa a parlare con Darla?”
“Necromania.”
“Necrocosa?”
“Lascia stare.”
- si raddrizzò, disgustato - “Vado fino a casa, ci servono delle armi. Vuoi
venire?”
“Non aspetti di
sapere il responso?”
“A che
pro... Darla non gli dirà dove si
trova.. ed Angel ricomincerà a spaccare i mobili. Torneremo per tempo...”
London
“Il quadro di
Spike era molto attendibile. In effetti, sarebbe andata proprio così. Solo
che... solo che, a metà della chiamata, io diedi il mio meglio. E Darla si
prese il telefono sul naso.”
LosAngeles
L'urlo di
Cordelia era stato raccapricciante. E Wes, correndo, aveva incrociato Edward e
Methos.
Al centro del
magazzino, c'era Doyle. Aveva gli occhi bianchi.
Con un brivido,
Wes lo rivide, come era stato già una volta.
“Doyle.” -
mormorò Methos, gettandosi in ginocchio e afferrandolo per le braccia. Lo
avrebbe scosso, non avesse avuto paura di sbriciolarlo - “respira a fondo. E
parlami.”
Doyle lo fissò,
gli occhi azzurri iridati di bianco. Le visioni distorcevano la visione del
reale, Methos era tutt'uno con le immagini in movimento.
“Drusilla lo
prende.” - spiegò, con voce stranamente piatta. E Spike ne ebbe così il terrore
che temette di non poter controllare lo stomaco, per la paura e il disgusto.
Doyle sembrava
un vegetale. Un vegetale dotato di voce senza anima.
Doyle. Senza
anima.
Represse un
conato. E vide Faith tenersi la gola, appoggiata al muro. Lo stesso identico
palpabile orrore.
Doyle, come un
oracolo, levò la testa verso di lui.
“Spike, la lama
entra, la lama esce.” - si inidcò un punto nel petto - “La bambola sta a
guardare.”
Istintivamente,
iniziò a recitare l'incantesimo con cui lo aveva già salvato in passato.
Ma Doyle
sorrise. E scosse la testa.
“Mi spiace, non
funzionerà.” - comunicò con una voce senza emozione, mentre alle spalle di Wes
giungevano anche Anya e Halfrek - “Sono andato oltre.”
Sorrise ancora.
E la vernice spray che stringeva tra le mani cadde, rotolando fino ai piedi di
Methos. E una lacrima scese sulla guancia.
“Mi dispiace.”
- disse soltanto, guardandolo. E scivolò a terra.
***
Aveva le
convulsioni. E Cordelia, piangeva, senza freni. Ma Cecily non lo soccorse
assieme agli altri. Come Dawn avanzò, in silenzio, fino alla parete.
C'era un
esagono stellato disegnato sul muro. E la vernice colava dai contorni, come
sangue.
“Ho già visto
quello schema...” - sussurrò la chiave - “... significa guai... guai
all'infinito...”
“Adesso
sappiamo come funziona la partita. Se abbiamo azzeccato il meccanismo, adesso
girerà più in fretta. Non si gioca mai una partita ad armi pari in una
situazione del genere. Perderemo il nostro vantaggio molto in fretta."
Non è la prima
volta che Doyle lo disegna. E allora abbiamo combattuto con la morte.
La morte di
Faith. Quella di Spike.
Faith e Spike.
Non può essere...
Si voltò,
cercandoli nella confusione. Ma non c'erano. Faith e Spike non erano corsi nel
magazzino. E non erano più al Caritas.
E, comprese con
Dawn con gelo sotto pelle, se ne erano andati per non tornare mai più.
London
“E come..
insomma...”
“Come sono
tornato?” - chiese Doyle gentilmente - “Alla solita maniera, con un miracolo.”
Si alzò, con
calma. E avanzò verso la prima fila, verso quei ragazzi che lo fissavano con
gli occhi sbarrati.
Tornato dalla
morte, così tante volte da aver perso il
conto.
“A volte basta
avere qualcuno che ci ama.” - spiegò, con dolcezza.
[VIII]
Tenendo Doyle fermo, Lorne cantava a
squarciagola, con una forza ed una profondità che sembravano non essere fatti
per l’ascolto umano.
Nell’istante stesso in cui la schiena di Doyle si era inarcata,
propagando un tremito lungo tutto il corpo, Cordelia si era lasciata sfuggire
un breve grido, prima di impegnarsi a bloccarlo. Le sue forze, la sua
disperazione, non erano state abbastanza.
E Lorne era intervenuto nel modo che gli
era più consono, lasciando che Methos si precipitasse al suo posto, assieme a Wes. Lentamente, al suono di
quella voce, Doyle sembrò calmarsi. Poi, ad un tratto, i suoi movimenti erano
cessati del tutto.
Inerte. Tutto in lui smise anche solo di
palpitare.
Cordelia si coprì la bocca, come se
volesse impedire all’aria di entrare. E guardò Lorne.
Lorne, che si abbandonava contro delle
casse di liquore.
Stravolto.
Annientato.
Annientato dalla consapevolezza. Ovunque
fosse , Doyle era lontano.
Troppo lontano per essere raggiunto.
Girò la testa, reprimendo la
disperazione. E vide Angel, incorniciato dalla porta.
Lo vide e seppe che ad Angel non c’era
bisogno di dire nulla.
Doyle era
morto. E nessuno di loro era giunto in tempo.
***
No, ti prego, ti prego Doyle.
Tutto ciò che in lei era sempre stato
furia combattiva diventava disperazione.
“Doyle, Doyle no, no, no, Doyle….” –
gridava, con la voce fatta di singhiozzi, contorcendosi, cercando di sfuggire
alla presa di Angel, picchiandolo con forza sulle braccia, mentre queste,
implacabili, la stringevano.
Angel la teneva, sentendo quelle urla quasi
disumane penetrargli nell’anima. La strinse più forte, ancora, sollevandola
quasi da terra, piegandosi, per inglobarla, appoggiando, disperato, il viso su
quella schiena, avvelenandosi lentamente con quel battito impazzito.
No,no,no.
Angel non lasciarlo andare, non possono
scegliere che finisca in questa maniera.
Doyle, Doyle ti prego, no!
Non possiamo... non possiamo averlo
permesso!
Forse dell'essere, non... Non potete
scegliere!
Urla.
Le urla erano troppo. Wes fu presto a
fianco di Cordy. Piangeva, irrefrenabilmente, chinando la testa, mentre Angel,
ormai impotente innanzi al disastro, allentava la presa. L’ affidò a Wes e
questi l’accolse tra le braccia, stringendola forte, ancora e ancora. Rimase un
istante, in ginocchio, lo sguardo perso e schiantato.
Il cuore di Doyle era fermo. Angel non lo
sentiva, non sentiva nulla. Svanito, svanito un'altra volta, nella maniera più
assurda che si potesse immaginare.
Che vuoi farci, uomo... ho fantasia, non
sono una persona pratica.
Eppure il suo profilo era immobile. E gli
occhi erano chiusi, per sempre.
"Amici miei… così va meglio,
decisamente. Amici miei, dicevo. Io
probabilmente non riuscirò a rendere a parole quale sia la mia gioia ad essere
tra voi. Una volta ho detto a Principessa che non c'era paradiso che fosse
paragonabile all'essere tra le persone che si amano. Non mi pentirò mai di
questa mia idea. È forse la più grande
verità che potessi inventarmi. Sono
tornato per un buon motivo. Sì, certo,
lo sapete tutti. Sono tornato per salvare Angel, perché se qualcuno non lo
tiene d'occhio, finirà con l'incasinare anche le poche cose tranquille che
esistono nell'universo. Ma soprattutto
sono tornato per amore. E per amicizia.
Sono tornato
per tutto questo, perché faccio parte di questa terra caotica su cui
camminiamo.
E quando sono
qui, amici miei, la mia unica paura è di non dare a tutti voi quello che voi
donate a me, in ogni giorno di questa strana vita.
Non aspettatevi
grandi rivelazioni. Non ne ho nessuna.
Questo siamo
noi, potete credermi. Siamo persone che sanno amare. E per quel vecchio
concetto che afferma che l'amore fa girare il mondo… bhe, signori, tirate le
somme di quanto ne scorre qui dentro. E portatevelo dentro. Sempre.”
Mentre la voce di Lorne si levava pura e
profonda. Ancora. E sapeva di disperazione.
"A Doyle!
E all'amore!"
Ed in quel
silenzio, ognuno di loro levò il calice. E brindò alla capacità di amare,
ancora. E ancora. E ancora.
A Doyle. A
Doyle che non sa aprire bocca senza forzare le nostre anime.
A Doyle che è
capace di scegliere la terra ed i suoi dannati, chiudendosi alle spalle le
porte del paradiso.
A Doyle. E al
mondo in cui sa parlare della nostra vita.
E delle nostre
anime.
A Doyle. Per
Doyle.
“No, non se ne
parla.” - disse soltanto. Fermo, immobile, le braccia abbandonate contro i
fianchi. Girò la testa fissando Wes sopra la spalla di Cordelia - “Non se ne
parla, Wes.”
Non lo lascerò
andare. Mai.
Wes lo fissò,
per un momento eterno. Poi le sue labbra inziarono a muoversi,lentamente, senza
formulare un suono. E Angel annuì.
Magia. Magia
allo stato puro.
Alzando gli
occhi, l'osservatore cercò Anyanka. E Anya, in piedi, alle spalle di Edward,
semplicemente portò la mano al ciondolo smeraldo.
“Sii forte.” -
disse soltanto, nella mente dell'osservatore - “Perchè stai per sacrificare il
tuo cuore.”
***
Methos, aveva
la testa tra le mani. E la alzò di scatto, quando sentì quella forza.
Boccheggiò, si preparò a interromperli. E si fermò.
Riavere
indietro Doyle. Riaverlo indietro... il suo piccolo Francis...
"Sarai
anche amico mio?" - chiese il bambino.
E Methos si
girò, per guardarlo. Indagando dentro di lui, quanto fosse profonda e disperata
quella richiesta. Quegli occhi. Non erano occhi adatti al viso di un bambino.
Troppe cose si riflettevano e troppe ne erano assorbite.
Troppo azzurro.
Troppo puro.
Occhi che ora
raccoglievano ogni più piccolo frammento dell'espressione dell'uomo. Francis
aggrottò le sopracciglia, imbronciandosi. Quell'uomo lo stava studiando e gli
stava dedicando un'attenzione che mai nessuno gli aveva rivolto.
E mai nessuno,
per le strade del quartiere, gli aveva trasmesso quel senso di coscienza. Erano
semplici sensazioni, per un bambino come lui, come il freddo, o la fame, la
paura e l'affetto.
"Sarai mio
amico?" - insistette. Di colpo la risposta era divenuta necessità.
Per entrambi.
"Certo."
- Methos gli sorrise, annuendo - "Per me sarà un onore."
Chiuse gli
occhi, combattuto, respirò a fondo. Cosa... cosa fare...
“Per te non è nulla, vero?” – domandò,
senza intonazione – “Quante ne hai viste di queste cose… quello che dici è per
farmi sentire meglio, anche tu… ma per te non significano nulla, tu non conosci
la morte.. e il nulla che segue…”
Methos si irrigidì, sentendo come una
lama penetrargli nel respiro. Rimase immobile, con quell’accusa crudele tra le
braccia. Fermo.
“L’eternità pesa su di me, Francis.” –
sussurrò, senza respingerlo.. senza smettere di tenerlo contro il suo corpo –
“Ed ora pesa anche su di te che la desideravi per Sinead. Io l’ho avuta in
dono, tu la senti irraggiungibile. Ma questo non rende diverso il nostro
dolore… l’abbiamo persa entrambi.”
Doyle sentì le mani dell’uomo sfiorargli
la schiena e intiepidirgli la pelle nel portar via il velo dell’acqua. Restò in
silenzio, in quell’abbraccio che sembrava aver perso la sua forza protettiva e
il suo profumo di casa. Non c’era il tempo, tra quelle braccia, c’era il vuoto
dell’assenza di cambiamento in quel cuore. Avrebbe voluto divincolarsi e
fuggire da quel buio… eppure si ritrovò a rannicchiarsi ancor di più contro di
lui.
Lo sentì ricambiare, sfiorargli la fronte
con il respiro e chiuse gli occhi, stordito. La sua mente si aprì, lentamente,
a quell’uomo così poco propenso a spiegarsi. Le sue emozioni fluirono, senza il
dolore delle visioni a cui non era ancora abituato. Percepì soltanto il suo
animo, il suo dolore sordo.. e la solitudine.
Una solitudine infinita…
Una paura oltre i limiti della fine,
sepolta sotto mille incertezze ormai fondate.
Respirò a fondo il suo profumo e ascoltò
il suo cuore che non smetteva di battere. Il cuore di Methos batteva anche se
lui desiderava sentirlo fermo. Come
batteva quello di Doyle.
Io ho te, pensò… ma tu non hai nessuno…
Le braccia di Francis si mossero e Methos
attese di vederlo allontanarsi, ferito.
Poi le sentì stringerlo, forte,
aggrappandosi alla sua schiena.
“Ti voglio bene, Methos…” – sussurrò, con
voce soffocata dal dolore e dalla paura – “Ti voglio tanto bene… papà…”
E Methos chiuse gli occhi, su quella
parola che mai aveva sentito e su quelle lacrime che adesso potevano
condividere.
No. c'è solo
una cosa da fare.
“Edward.” - lo
afferrò per un braccio, stringendo -
“Qualunque cosa accada, non muoverti. Non... muoverti. Per favore.”
Quando alzò la
testa, seguendo le parole pronunciate da Wes, una densa nebbia madreperla
cominciò a
sorgere dal fondo del magazzino.
E l'osservatore
gli sorrise prima di chiudere gli occhi e sprofondare nella litania.
Magia. Lo
sapevo.
London
“Non state
descrivendo un miracolo. Questa è magia di ultimo livello. La più pericolosa. È
proibita!”
“Errato.” -
rispose Wes con aria annoiata. Quante discussioni, quante continue
recriminazioni. La sua vita ne era piena - “Doyle è stato altamente tecnico
quando ha parlato di un miracolo. C'erano molte forze in ballo, le abbiamo usate
tutte. Ma non saremmo riusciti non avessimo voluto... non saremmo riusciti in
nulla, se non lo avessimo amato così tanto....”
LosAngeles
Le labbra di
Wes mormorarono ancora qualcosa. Poi tacquero.
E, per un lungo
istante, nulla accadde.
Poi la terra tremò.
Le casse del magazzino si rovesciarono. E Anya sentì un brivido salire dalle
profondità della terra. Un gemito, mentre le porte tra i mondi si spalancavano.
“Vai.” - disse
soltanto, cercando di non pensare all'angoscia che le dava quel comando. Ed Angel
si alzò, correndo verso uno squarcio di luce sempre più ampio.
***
Quando svanì nel bagliore, Wes corse
urlando con tutto il fiato che aveva nei polmoni. E l’avrebbe seguito, se Anya
non fosse stata più veloce di lui. Lo vide correre, con la coda dell’occhio.
Correre. E nell’attimo in cui si rese conto di dover scegliere per entrambi, si
gettò in avanti.
E lo afferrò per la vita.
Wes cercò di liberarsi, ma Anya aumentò
la presa con la magia, bloccandolo a terra. Scalciava. La sua voce saliva alta.
“Lasciami, dannazione, dannazione,
lasciami!”
Sembrava non poter smettere mai.
Angel. La sua vita per quella di Doyle.
Sacrificare il proprio cuore aveva
adesso, un significato ben preciso.
Angel non sarebbe tornato.
Oppure sarebbe tornato il suo guscio, mentre
la sua anima, sulla bilancia, sarebbe stata abbastanza per quella di Doyle. Uno
dei due, uno solo.
Ovunque fosse, la battaglia di Doyle era
iniziata. E Angel l’aveva raggiunto.
Non più una lotta contro il tempo.
Una lotta dentro.
Dentro all’eternità.
Con una sola
certezza.
Angel non sarebbe tornato senza la sua
anima.
***
"E se
fosse tutto senza un perché?"
"Il perché
non cambia ciò che faremo, Spike. Si scelgono le azioni, non i ruoli…." -
Doyle si girò e gli sorrise - "Almeno, nel nostro caso, dobbiamo stare al
gioco…"
Doyle. Spike si
fermò, di colpo. E si voltò, preoccupato, verso la Cacciatrice.
“Che succede?”
“E' Doyle.” -
rispose. E un'ombra gli passò ancora negli occhi un dolore alncinante alla
testa lo obbligò ad appoggiarsi al muro - “Ed Angel.”
Si piegò su se
stesso, ansimando, la mano sul petto. Gli avevano strappato il cuore, lo
sentiva, angel era di nuovo il vuoto della notte in cui era scomparso... una
notte, tanto tempo fa... tanto tanto tanto tempo fa...
"William,
posso farti una domanda?"
"Angel, lo
sai che i nostri problemi sono cominciati proprio con questa frase?"
"Mi hai
sentito morire quando Buffy mi ha ammazzato?"
"Sì"
- infine rispose - "Ti ho sentito."
La strada era
deserta.
Ma è logico.
Stanotte si
combatte per il mondo…
La Cacciatrice
contro il grande Angelus, della stirpe del Maestro.
Il Terrore del
vecchio mondo contro una ragazzetta bionda e insulsa.
Con spina
dorsale. E forza.
Non
disprezzabile, tutto sommato. Che vampiro potrebbe essere…
Drusilla dormiva,
rannicchiata sotto il suo braccio. Ancora non sapeva quanto fossero già lontani
da Sunnydale.
Dove stessero
andando?
Avrebbe potuto
chiederlo alle stelle.
E, in
quell'istante, mentre la radio perdeva il segnale, il mondo sembrò avere uno
scarto.
La terra
sussultò, perché tutti sapessero. Sapessero che non erano finiti nel pulviscolo
stellare.
Ma per Spike e
Dru si trattò di ben altro.
Il cuore di
Spike divenne ghiaccio. E Dru si svegliò, sbarrando gli occhi. Brancolò e Spike
la trattenne, perchè non fuggisse lontano, incontro alla luce.
Il cielo
conobbe un arcobaleno, ma i loro occhi videro solo il nero della scomparsa.
Spike si
appoggiò al volante e chiuse gli occhi. Li chiuse, picchiando colpi regolari.
La litania di
Drusilla gli mozzava il respiro.
Scese dalla
macchina ed accese una sigaretta. Poco lontano nel deserto, soffiava il vento.
E Spike lo prese a calci, con rabbia.
Urlò.
Ed il suo
dolore divenne un fischio nel buio.
Pestò i piedi,
colpì il paraurti.
E gli
sfrecciarono nella mente i poeti inglesi della sua giovinezza.
Un ricordo,
vecchi versi e parole ormai scardinate dal loro contesto. Urlò ancora e lanciò
lontano la brace ancora rossa. Drusilla
lo cinse alle spalle. Posò il capo sulla sua schiena, ascoltò il battito
disperato del suo cuore. Del Cucciolo ormai orfano di un idolo.
Ma le stelle
già le sussurravano un nuovo segreto.
"E' stato
brutto."
Ma preferì non
aggiungere altro.
No, non c'è
null'altro da dire.
“Dobbiamo
tornare indietro.” - sussurrò soltanto, sentendo la morsa comprimergli la gola.
“Io non credo.”
- disse un'ombra sbarrando loro la strada. E una seconda chiuse l'altro lato
della galleria - “Credo proprio che resterete qui.. per sempre.”
Erano in
trappola.
***
London
“Il tempo era cessato. Restava solo
un’atmosfera vischiosa e dolciastra. Quasi lo spazio fosse diventato miele,
impediva loro di muoversi. Il cuore di Cordelia era una ferita, come uno spazio
vuoto ormai colmo di dolore. Tutto attorno, nessuno osava parlare. Eppure...
c'era una luce. No, i nostri occhi non ci tradivano. Una luce dentro un
bagliore. Wes…, mi sussurrò Cordy, aggrappandosi al suo braccio e sbirciando
oltre. Wes, guarda.”
Si interruppe. E fu Methos a proseguire,
con lo stesso tono di voce.
“Una luce. Una piccola sfera danzante.
Una fiamma fredda, in un suono fatto di tintinnii. Una luce, verso Doyle. Una piccola luce danzante, sopra al petto di
Doyle. Lorne, saltato nuovamente in piedi, la fissò, mentre baluginava,
soffermandosi sullo sguardo di Cordy. La luce, la luce sembrava guardarle
dentro, con una sfumatura azzurra e cristallina.” - sorrise, alzando gli occhi
al soffitto. Cos le lacrime sarebbero tornate dentro, da qualche parte - “E
Cordelia ricambiava lo sguardo di una forma senza occhi, una forma appagata che
si voltava verso Lorne, che orbitava fino a lui, abbassandosi, fino sfiorargli
la mano, quasi fosse un gattino fremente di fusa. Lorne alzò la mano e la luce,
senza toccarlo, girò attorno alle lunghe dita.”
Alzò le dita, quasi teatrale. Ma nessuno
osò fare un commento.
“Lentamente, la piccola sfera danzò verso
l’alto, fino al soffitto. Ondeggiando, seguendo un valzer leggero, mentre gli
sguardi di tutti coloro che la seguivano come un corteo. Poi, la luce scattò.
In picchiata, come un lampo, nel petto di Doyle, facendolo sobbalzare e
schiantare nuovamente. Le sue membra aderirono nuovamente al pavimento, come
una cosa inanimata e morbida poi, sotto i loro sguardi, riacquistarono vigore.
Non si trattò di forza, nè di resistenza, fu come se muscoli avvizziti si gonfiassero
di sangue, tornando turgidi.”
Un colore, un’ombra… Nessuno sapeva dire
cosa fosse.
Una cosa sola era certa.
Su quel pavimento, tra cocci e
confusione,il petto di Doyle si alzò aritmicamente, impegnandosi in un respiro
flebile quanto insperato.
“Lo sentiste? Vi sentiste tornare dalla
morte?” - domandò allora uno dei più coraggiosi.
“Non esattamente.” - ammise Doyle -
“Ricordo solo che aprii gli occhi e, come la mia anima, cercai il viso di
Principessa. Non potevo sapere che avevamo appena barattato la mia vita con
qualcosa di più eminente.”
Il silenzio in sala divenne ghiaccio. E
tutti lo respirarono, in atesa che qualcuno parlasse. E chiedesse.
“E così... il Flagello d'Europa...”
“No, no.” - Wes scosse la testa,
rassicurante - “Il flagello ha tante risorse, anche se per un attimo abbiamo
pensato tutti che le avesse esaurite in un ultimo eroico sacrificio. Purtroppo
per lui, le battaglie da combattere erano ancora molte. Sono ancora molte. E
così, come già una volta dall'inferno...”
“E senza magia?”
“Andiamo, ad Angel non serve la magia.” -
li interruppe Edward. Era in sala, nuovamente contro la porta, intenzionato a
non tornare più al centro - “Gli basta un pizzico di iniziativa personale e, se
è possibile, se il caso lo permette, una luce guida.”
Sorrise, gentilmente. Poi, mentre methos
alzava gli occhi al cielo, Edward si
indicò con un pollice, con vera spacconeria. E
nessuna modestia.
***
LosAngeles
Una luce, una luce ancora, una luce che,
sorta da un respiro, si alzò sotto il loro sguardi annichiliti.
L’anima fuoriusciva dal petto di Doyle e
dolcemente l’abbandonava. Cordy protese le mani, istintivamente, per
comprimerla, ribatterla in quel corpo sofferente. Ma Lorne la fermò,
prontamente. Le afferrò il polso e la trattenne.
“No, aspetta. È Doyle, devi credere in
lui.” - disse, anche se suonava assurdo dopo l'accaduto. Credi in lui. E Doyle
le afferrò le dita, la guardò, scotendo appena
la testa, parlando con tutto il suo essere senza parole.
Devi fidarti di me. Solo io posso
difenderlo.
La luce si levò alta e ripercorse il suo
cammino, sopra le loro teste mentre Edward, come un sonnambulo, si girava, per
seguirla, almeno con lo sguardo.
La luce si spostò leggiadramente, fino ad
abbassarsi ancora, di fronte a lui.
E l'immortale, che davanti a poche cose
era arretrato nella sua vita, retrocedette. Camminò a ritroso, fino ad essere
al centro dello stanzone. E si fermò, quando la luce, iniziò a girargli
intorno, curiosa.
Edward, con lentezza, alzò le dita. E
sembrò comprendere.
“Non sono William.” - disse, scandendo le
parole - “Ma il suo sangue scorre in me. Tengo a te, fratello. Torna indietro.”
Torna per William. Torna per me. Ascolta
il mio sangue, percepisci il mio battito.
Ritorna. Torna alla luce e per la luce.
Io ti dono la mia reminescenza.
La luce fremette, si espanse,
obbligandoli a chiudere gli occhi. E scattò improvvisa, come un proiettile,
scompigliandogli i capelli, nello sfiorargli la guancia e le lacrime. Si, le
lacrime. Dritta verso il bersaglio, laddove, fino a pochi istanti prima, era
stato il Portale.
E il portale si riaprì, per una frazione
del suo spazio, ma dall’incontro con la piccola luce, scaturì una
fiammata, un disco bianco, come
un’esplosione, che si propagò, riempiendo lo spazio di bagliore.
Passò loro attraverso, colpendoli,
lasciando che si coprissero disperatamente almeno il viso, senza lasciare
ferite sui loro corpi. E quando il bagliore scomparve, nel riassorbirsi verso
il fulcro, si delineò, stesa sul pavimento, una forma, una figura umana dagli
abiti stracciati e sanguinanti, un’anima stravolta, così provata da essere
percepibile da tutti loro.
Una fisionomia di puro e captabile
sentimento.
Rimasero impietriti, mentre Angel,
puntellandosi a stento, si rialzava, fino a trovarsi in ginocchio. Tremando.
***
“Halfrek, dobbiamo fare qualcosa.” -
ripetè per l'ennesima volta Dawn, correndo in direzione dell'Hyperion – “Devono
essere andati a casa a prendere le armi, Angel stava parlando al cellulare con
qualcuno e, dopo, Faith e Spike sono spariti. Chiamali ancora, chiamali!”
“Ai cellulari non rispondono.” - ripetè per l'ennesima volta il demone. La loro
conversazione era come congelata su quei due ritornelli - “E io non riesco a
sentirlo, Dawn. Non sento Spike da nessuna parte.”
E' svanito. Svanito.
“Non può essere andato lontano, cacchio!”
- iniziava a sentir cedere i nervi, iniziava a pensare che era ora di
telefonare a sua sorella - “Halfrek, concentrati ancora!”
“No, calmiamoci.” - la afferrò per un
braccio e se la tirò vicino - “Così è inutile e pericoloso. Vieni con me.”
E insieme scomparvero in una nube
violacea.
***
Li tenevano per le braccia, li frenavano
come potevano. E, dannazione, ci riuscivano.
Spike si divincolava, ringhiando, ma un
ennesimo colpo al torace, piegandolo in due, lo stravolse tanto da farlo
tornare ai lineamenti umani. E il suo aggressore ne approfittò per un secondo
attacco.
E un terzo.
Il sussulto al suo fianco, simile a un
gorgolio, gli fece intuire come Faith
stesse subendo lo stesso trattamento.
Poi, mentre voltava la testa nel
tentativo di vederla, una mano gli afferrò il mento obbligandolo a rialzare la
testa.
“Passerotto, per cortesia.” - disse la
voce del coltello, un coltello che gli segnava il viso dalla tempia al mento
con decisione - “O mi vedrò costretta a essere meno educata con la tua
fidanzatina... non vorrai mica che pensi che la nostra famiglia non conosce
l'educazione...”
“Puttana.” - rispose spike, senza perdere
tempo in convenevoli. E il gemito di faith lo fece pentire all'istante della
propria volgarità.
“Appunto.” - confermò darla. E il
coltello ancora sporco del sangue di Faith gli percorse le labbra - “Era
proprio quello che ti chiedevo di non fare....”
“Che cosa...” - si trattenne, mordendosi
le labbra. Il battito di Faith era... serviva tempo. Ingoiando bile, mutò tono
- “In cosa posso esserti utile, Darla?”
“Meglio. Decisamente meglio.” - la
vampira annuì, stando al gioco, il pugnale ancora tra le mani minute e nervose
- “Adesso non posso illustrarti la situazione, sono attesa altrove. Ma sono
felice che tu sia collaborativo. Del resto... Chi meglio di te può aiutarmi a
uccidere Angel?”
sorrise, dolce. E, per un suo cenno,
spike e faith vennero trascinati via.
Poco dopo, con un dolore lancinante,
spike sentì scendere le tenebre.
E, nello stesso istante, come una fiamma
in fondo a un tunnel, come una piccola trascurabile luce, sentì nuovamente
Angel.
Andrà tutto bene, sussurrò, prima di
sprofondare, andrà tutto bene, ora.
Angel mi troverà. Angel ci troverà.
E, nell'agghiacciante urlo di Faith, perse
coscienza del circostante.
***
Non bastò un attimo per capirlo.
Edward mosse qualche passo, prima di
fermarsi.
Un’allucinazione. Uno
scherzo.Nient’altro.
Poi, in un frammento di tempo, gli
sfrecciarono innanzi immagini sconnesse, immagini di quell’ultimo anno passato,
a ritroso, indietro, fino alla propria morte, in un vicolo londinese, con una
pallottola in corpo. E, questa memoria lo percorse, come una lama.
Io dovevo essere qui. Ora.
Angel si alzò, con movimento liquido. E,
con una spinta gentile, lo obbligò a restare seduto, inginocchiandosi di
fronte. L'immortale lo fissò, in silenzio. E Angel gli sembrò calmo e forte.
“Respira, con lentezza.” - sussurrò il
vampiro. I polmoni di Edward si stavano contraendo di nuovo, senza motivo -
“Sai perchè ti stia succedendo?”
Edward annuì.
“E' il monito del destino.” - rispose
soltanto, sottovoce - “la morte mi attendeva. E non è riuscita a prendermi...”
Dovevo morire.
Ma qualcosa è cambiato.
Ed ora, per la prima volta, ho paura di
questo futuro scritto da una mano che non fosse divina.
Ogni mio passo, ogni mio pensiero... qui,
ora.
La
mia reminiscenza.
Le fine di ogni mio terrore.
“Ma ora combatti, perché il mio sangue
che hai versato reclama questo diritto. Se non combatti per la tua vita, allora
combatti per la tua missione.”
“Dove vuoi arrivare…” – gli sussurrò
Angel, al loro ennesimo incontrarsi – “Non vuoi morire e non vuoi uccidermi.
Dove vuoi giungere, in questa tua impresa…”
Qui. Volevo giungere fino a qui.
Si voltò, cercando conferma. E Methos,
Methos che piangeva senza calmarsi, a singhiozzi scomposti, semplicemente
annuì. Annuì e cercò di sorridergli.
Tu non sei la dannazione di William. Non
sei il vendicatore contro Angel.
Tu sei la loro salvezza.
Lacrime. Edward. E sangue.
Edward si girò su se stesso, afferrando
un vecchio telo di copertura, scotendolo dalla polvere. E forse fu quella lana
ruvida, posta a forza nella sua mano, che lo riscosse del tutto, dandogli
chiarezza. Corse fino a cadergli in ginocchio di fronte, quasi scivolando sul
pavimento.
Poi restò fermo, non osando toccarlo,
mentre Angel alzava lo sguardo verso di lui.
Con occhi neri, senza pupilla.
Con occhi che, nell’incrociarsi con i
suoi, tornarono vivi e brucianti di quel buio.
Lentamente Edward gli passò un braccio attorno
al collo e lo avvolse.
Angel era seduto a terra, una mano sul
ginocchio, come chi tenta di rialzarsi, ma l'immortale non si curò di quel
desiderio e lo avvolse solo strettamente, serrando i lembi con le mani.
E fu allora che quell’anima dannata gli sorrise,
con un sorriso da monello.
Un sorriso irriverente, nei confronti
delle lacrime che riempivano gli occhi di entrambi.
“Sei un immortale” - Mormorò Angel, senza
interrompere la pressione della spada sul suo collo. Guardandolo sorridere, in
una beffarda conferma. E poi dischiudere le labbra. E rispondergli.
“Al fianco hanno ancora le spade, in mano
i loro archi neri. Ma se hanno staccate le teste i cuori non ebber domati; Furono
più che valenti: da morti restano sempre guerrieri.”
Da morti restano sempre guerrieri. Non
dimenticarlo. E loro ti trarranno fuori dal paese delle ombre. È così, Dru?
Davvero?
Angel era tornato.
Edward gli sorrise, poi iniziò a ridere
sommessamente, mentre lo attirava verso il petto, stringendoselo contro, a
occhi chiusi. Lui, la coperta e le sue escoriazioni. Angel, sorprendentemente,
ricambiò l’abbraccio, afferrandogli il maglione con entrambe le mani,
scotendogli il torace con le risate che non riusciva a trattenere.
Sei la luce, la luce per cui combattere,
la luce a cui voglio tornare. Spike non ha fatto altro, per tuttal al vita che
indicarmi questo cammino. Fino alla luce. Per lab luce.
Attraverso la luce.
Anche con la mia oscurità.
Quando, alzando lo sguardo verso
un’ombra, vide Wes, gli tese una mano.
Una mano fredda e tremante. Ma forte,
concreta.
Una mano da stringere con forza.
Da amico ad amico.
Una stretta di mano che diceva molto, per
il cuore di un compito Osservatore non avvezzo ai sentimentalismi.
London
“Domande?” - chiese Wes, a quel punto,
quasi per provocare.
“Molte.” - replicò un ragazzino, in prima
fila. Ed Edward piegò la testa nella sua direzione, sorprendendosi nello
scoprirsi fissato.
Aveva i capelli biondi, scompigliati e
sembrava William. Il William dei sedici anni, con troppi sogni e troppe
domande.
William, che sentiva di poter andare
lontano ma non sapeva dove.
“Sul serio?” – si era appoggiato al
davanzale su cui il fratello stava seduto – “Eppure non sono convinto.”
“No, sul serio.” – scosse la testa, con
calma – “Non intendo pensarci… o crucciarmi. Significherebbe dargli
un’importanza che non merita.”
“Interessante come teoria.”
“Funziona.” – una lieve alzata di spalle
che lo fece sembrare ancora piu' giovane – “Nella vita bisogna tenersi strette
le cose, ad oltranza… ma solo se ne vale la pena. E quando qualcosa va storto,
come ora… pensarci significa dargli importanza, rendere tutto basilare.
Ma, se una cosa e' sbagliata…non e'
niente…”
Si interruppe, come se avesse perso il
filo del discorso.
“Mettiamola cosi', Edward.” – concluse –
“Combattiamo con forza per cio' che amiamo… e combattiamo con ancora piu' forza
cio' che non avremmo voluto perdere. Il resto non ha nessuna importanza.”
“Possiamo provare a rispondere. Scegli un
domanda.” - aggiunse, con lentezza. Non
ho fatto altro che cercare risposte per entrambi, per il mio fratellino
- “Ti chiarirò le idee, se ne sarò capace.”
“E' vero?” - insistette il ragazzo,
ignorando i presenti, ignorando le parole di Wes, quelle di Methos in
sottofondo. Era il ragazzo che aveva portato lo scotch a Doyle. Ed ora guardava
Edward apertamente, con rispetto - “Siete luce allo stato puro? Così potente?”
“Lo è.” - sussurrò Methos, guardandolo,
con affetto - “Lo è sempre stato.”
Edward non rispose, non negò, ma attraversò la sala con passo
sciolto, lungo. E si piegò sui talloni innanzi al ragazzo.
“Ascoltami bene. La luce non è mai in
noi.” - rispose, con calma - “Se esiste, non è mai visibile e noi la
ricerchiamo all'infinito negli altri. È questa la nostra forza, il credere che
negli altri esista qualcosa di eterno da salvare. Angel era l'eternità per me,
l'eterno ribellarsi al buio per giungere a uno scopo ultimo. Se l' ho fatto non
è stato per la luce che portavo in me... ma per la luce che da sempre scaturisce
da mio fratello. E per quella che angel nasconde e crede di nona vere.”
Nulla dovrebbe mai spegnere la luminosità
di chi corre al proprio destino.
Uomo, vampiro, dannazione o redenzione.
“Si impara a fatica.” - aggiunse,
guardando il ragazzo e rialzandosi - “Non chiederti se possiedi la luce,
chiediti se puoi trovarla in chi ti circonda. E se sei in grado di difenderla.”
Io l'ho fatto. E non ho più motivo di
voltarmi indietro con un singolo rimpianto.
Tutti tacevano. Le domande, le molteplici
domande evaporavano in quella singola risposta. Si, Edward era luce, luce come
sempre, si ripetè testrdamente Methos. Ed il resto, innanzi a lui,
semplicemente si annullava.
“Ho capito.” - replicò il ragazzo,
annuendo. E strinse gli occhi, con attenzione - “Mi perdoni per l'interruzione.
Potete proseguire, per favore?”
***
Los Angeles
Edward non l’avrebbe più lasciato andare
se, ad un tratto, non si fosse sentito
sussurrare in un orecchio.
“Aiutami.”
E senza pensarci due volte, lo afferrò e
lo mise in piedi.
Angel gli puntò le mani sul petto,
riempiendo nuovamente lo sguardo di fermezza, facendo sparire, nello sforzo,
ogni segno di dolore che poteva trasmettere.
“Ce la faccio da solo.” – aggiunse,
lasciando scivolare la coperta e dirigendosi, barcollante, verso Doyle,
lasciandosi andare sul pavimento, vicino alle gambe di Cordelia, mentre questa
lo guardava con occhi sbarrati.
Doyle, giaceva con il volto nella sua
direzione.
Si protese fino a toccargli il cuore. Una
mano, per sentire il battito.
E Doyle aprì gli occhi, i suoi occhi
azzurri.
“Ciao uomo…” – mormorò, abbozzando un
sorriso. E sembrò giusto a tutti che fossero le prime parole dopo il ritorno.
“Forse dovresti salutare Principessa,
prima…”
“L'altra volta ho slautato lei per
prima... Ma se si china, potrei anche baciarla… senza… visioni…”
Cordelia non se lo fece ripetere. Lo
baciò più e più volte, afferrandogli il mento con la mano, prima voltarsi.
Guardandolo con un’adorazione che, in tempi migliori, le avrebbero tutti
maliziosamente rinfacciato.
“traanquilla.” - sospirò il demone,
stremato - “ti sposo davvero.”
poi
si mosse, protendendo le dita verso Angel e questi le afferrò, senza osare
stringerle.
“Hai dato loro quel che volevano?” –
mormorò ancora, con un filo di voce.
“Certo. Nulla di più…” – annuì Angel.
“Avevo paura di non ritrovarti qui…”
“Confidavi poco nelle mie capacità.”
E Doyle si protese ancora la mano fino ad
accarezzargli il volto, sostando a lungo, con il palmo sulla sua guancia,
raccogliendo le lacrime.
“Stai piangendo, Angel?” – mormorò,
stentando a tenere gli occhi aperti. Sorridendo.
“Mi hanno detto che può succedere…”
- rispose l’altro, con una risata che
forse era più simile ad un singhiozzo.
“Agli uomini è giusto che capiti.” –
concordò Doyle, passandogli il pollice sotto l’occhio.
“Non lo sono più da molto tempo…” –
sussurrò il vampiro, mente quella mano sempre più calda tornava a giacere a
terra.
“Bugiardo…” - replicò l'altro mentre, con
un ultimo sorriso, sprofondava in un sonno senza sogni.
London
“Perchè uomo?”
“Perchè lo è. È un uomo. E come tale, ha il mio rispetto.”
“Credevo che voi rispettaste anche i
demoni....”
“Io rispetto tutto ciò che vive.. e anche
buona parte del mondo inanimato. Ma rispetto Angel ancora di più per quella
dose di imperfezione. Sarebbe potuto cadere... e invece continua ad
arrampicarsi con tenacia, fino alle stelle. E non voglio mai che dimentichi di
essere un uomo. Un uomo tra gli uomini. E oserei anche aggiungere che, nel mio
cuore uomo è sinonimo di amico.”
***
“Ok, ci siamo.” - esclamò Halfrek mentre,
in un turbine, riapparivano all'Hyperion - “Tu cerca di sopra. Io mi occupo del
resto. Ci serviranno delle armi.”
“A te no, Cecily.” - replicò Darla,
apparendo sotto l'arco e giocherellando con un pugnale - “Forse alla piccola
chiave potrebbero, visto che è così sciocca...”
Il pugnale ruotò su se stesso, fulmineo.
E Halfrek, con un sussulto, lo vide sporgere dal proprio stomaco.
“No.” - urlò Dawn, tornando indietro. E
Halfrek, il volto di Cecily stravolto dal dolore, franò a terra, con un singhiozzo.
“Perfetto.” - Darla si era avvicinata e
le aveva strappato il ciondolo. La ferita, già in rimarginazione, aveva smesso
di richiudersi e il sangue aveva continuato a sgorgare. Attorno, dalle macerie
dell'albergo, stavano emergendo decine di vampiri - “Portatele via. A Spike
farà piacere avere un poco di compagnia... mentre attende la morte...”
London
“Ebbene si.” - ammise Methos, tornando ad
allungare le gambe e a incrociare le mani - “Dopo mesi e mesi di preparazione e
speculazione, eravamo così presi dalla tragedia di Doyle che ci perdemmo tutti
questi passaggi. E quando ce ne rendemmo conto... bhe, era troppo tardi. E non
potevamo più tornare indeitro.”
Come ora.
“Anteponeste i sentimenti alla ragione.”
- mormorò un anziano, con un velato tono di accusa. E Wes annuì, impassibile.
“Si, avevamo altro a cui pensare, come
sempre. Avevamo da occuparci uno dell'altro. E, per quanto anche io abbia
desiderato fino alla sfinimento che le cose non andassero come in effetti sono
andate, non significa che mi penta di ciò che ho fatto. E delle priorità che ho
scelto.”
Avevo un compito. E l'ho portato a
termine.
Angel girò il capo e fissò Cordelia. E
quando questa gli cinse il collo con entrambe le braccia, si lasciò trascinare,
fino a posare il capo sulla sua spalla, seppellendo il viso tra i suoi capelli
e ricambiando, ad occhi chiusi, quell’attimo di calore.
Poi abbandonò quel muto dialogo a
malincuore. Fu costretto a farlo, alzandosi e uscendo dalla stanza. Perché,
crollasse il mondo, aveva solo bisogno di trovare un posto dove rannicchiarsi
almeno per un istante. E non si stupì di sentire Wes alle proprie spalle,
pronto a cingergli la vita ed aiutarlo a stare in piedi, con quella sua
incapacità a lasciarlo cadere.
Salirono la rampa di scale. Lentamente,
senza parlarsi.
Quando giunsero in camera di Lorne, Angel
si lasciò scivolare sul letto e poi, con un capogiro, fino a terra, sedendosi,
con la schiena appoggiata al legno duro dell'intelaiatura.
“Non devo cedere.” - disse soltanto,
restando fermo, in attesa di forze che non sembravano voler tornare. Con lo
sguardo seguì Wes che entrava in bagno e sentì l’acqua scorrere, con un suono
cristallino. Buttò la testa indietro, chiudendo gli occhi e riaprendoli, nel
sentire una fresca pressione, sulla tempia.
“Sanguini…” – mormorò semplicemente Wes,
pulendo la ferita con una angolo dell’asciugamano bagnato mentre Angel,
riacquistando un po’ di vigore, rialzava la testa e lo fissava. Lo guardava,
come per imprimerselo nella memoria, nel pulsare che provava fino dentro la
testa, mentre i flash della battaglia combattuta lo riassalivano, facendolo
tremare.
Wes posò l’asciugamano e si chinò,
cominciando lentamente a slacciargli le scarpe.
“Devi calmarti...” - disse soltanto, con
dolcezza.
E interruppe il lavoro solo per stringere
a sé quei singhiozzi e quel freddo.
I minuti passarono, fatti di frasi
tronche e intermittenti.
Poi Angel si ritrovò nel letto, con Wes
che gli rimboccava le coperte, osservando, talvolta, preoccupato, quello
sguardo perso.Angel, sdraiato su un fianco, sbatteva le palpebre, come per
scacciare tremende immagini. Indietro nei ricordi. E poi dentro il presente,
fino ad essere nuovamente nel suo letto, a sbattere le palpebre per la luce
troppo forte della lampada.
LosAngeles
“Westley…” – chiamò.
“Sono qui.” – rispose l’altro, sommesso.
“C’era Faith che urlava. Credo… credo che
sia stata lei a riportarmi indietro.”
No, Faith non c'era. E Wes aggrottò le
sopracciglia, mentre Angel seguitava a parlare.
“Doveva esserti molto vicina. C’era la
tua forza, intorno a lei. O era... era quella di William. Io credo… hai fatto
bene a fermarla. Hanno detto qualcosa… su di lei. Hanno detto che oggi è stata
la causa. Che domani sarà il mezzo. Io… non so cosa significhi.”
Era indifeso.
Forse delirava. Giaceva in quel letto, tremando come una foglia, aggredito da
qualcosa che sembrava divorarlo dall'interno. E non c’era nulla in lui che
lasciasse intendere come avesse vinto una battaglia dentro una via senza
uscita.
Wes sospirò,
piegando la testa e guardandolo sprofondare in un sonno senza sogni. Era stato
pronto a sentirsi male, terribilmente. Invcece il dolore aveva colpito Angel. E
in uno dei moenti peggiori che si potessero immaginare.
Chissà se
qualcuno stava ancora lavorando sul problema Darla, oppure...
Ma che importava!
Avevano rischiato in maniera avventata mentre inseguivano un nemico fantasma,
come dei folli. Non c'era nulla da aggiungere a riguardo.
E Darla...
prima o poi Darla avrebbe fatto una nuova mossa. E, come per la dinamite, loro
avrebbero trovato il modo di scamparla.
“Ciao Wes…” – disse Edward giungendogli
alle spalle - “come vanno le cose?”
“Potrebbero andare meglio… ma ci vuole
tempo.” – rispose, tornando con la mente a quel pianto disperato e
apparentemente irrefrenabile - “ti fermi per un poco? Voglio scendere a vedere
come stia Doyle.”
“Certo.” – sorrise, rispondendogli – “Non
ti preoccupare...”
***
Angel lo guardò, perplesso.
“Edward?”
“In persona.” - replicò l'immortale,
essenziale come Spike, tamponando appena il taglio sulla fronte - “Sanguini
ancora...”
“Attento.” – replicò Angel, tirando
indietro la testa, con un’espressione seria. Lo terrorizzava ciò che avrebbe
potuto fargli il suo sangue. Potrei renderlo uno di noi, come Drusilla... come
Dru... cosa voleva Drusilla da lui...
C'è qualcosa che.. che non riesco a
ricordare...
“Stai tranquillo…non mi capiterà niente
per un graffietto del genere.” – rispose sottovoce Edward, continuando piano la
sua opera - “Ho passato cose peggiori...”
“Immagino... raccontamene una...”
Edward sorrise, guardandolo.
“dormi... parleremo un'altra volta.” -
replicò, posando il panno sul comodino - “io resto nei paraggi, per sorvegliare
la situazione finchè non ti riprendi.”
“non auguro a nessuno il mio ruolo.
Lascia le cose come stanno e... e fatti una birra.”
“E' un consiglio degno di mio fratello.”
“Lo so. Io vivo con tuo fratello...
Edward, ascolta...”
“Ti ascolto.”
“Grazie. Per avermi salvato.”
“lo sapevi che prima o poi lo avrei
fatto. Mi hai salvato così tante volte da quando ti conosco...” - piegò un ginocchio,fissandolo
dritto negli occhi. Angel li aveva aperti. Ed erano di quell'oscurità calda che
Edwrad aveva sempre ammirato in lui. Buio, il buio denso - “angel, non so come
ci sono riuscito. Ma lo rifarei, per cento e cento voltee ancora.”
Sei troppo prezioso. Per l'universo, per
le persone che ti circondano... per ognuno di noi sei indispensabile.
“Hai notizie di Spike?”
“Non si trova. Né lui né Faith.” - ammise
Edward, sottovoce - “evono essere tornati all'Hyperion, saranno qui a
momenti...”
Momenti, minuti... vorrei tanto
saperlo...
Angel annuì. E lentamente, si abbandonò,
chiudendo gli occhi. Edward, guardandolo, sentì una domanda salire spontanea.
“William, dove cazzo sei finito...”
***
“Stai bene?” - domandò Spike, alzandole
il mento.
“Si, ho solo male ovunque.” - ammise
Faith, restando rannicchiata contro al suo petto - “E siamo decisamente nei
guai....”
“Si, temo di si.” - le sorrise, con una
smorfia, cercando di celare il dolore che provava alle costole. Si stavano
rinsaldando, una ad una. Ed era un processo estenuante.
“Riesci a percepire di nuovo Angel?”
“Si. E lo sente anche lei, Darla.”
“Sicuro?”
“Ha smesso di urlare e distruggere
mobili. Significa che si è calmata.” - commentò, alzando gli occhi verso la
grata. Era un pozzo, un vecchio pozzo sotto una cantina. E, sopra, Darla aveva
arredato un piccolo accuratissimo appartamento.
Faith non trattenne una risatina.
“Allora è un vizio che avete tutti in
famiglia..” - lo sfottè - “Anche Drusilla spaccava mobili per rabbia?”
“Temo di si.” - sorrise, stando al gioco
- “Deve essere qualcosa nel sangue di Angel... abbiamo preso tutti da lui
questa brutta abitudine...”
“Già.” - Faith sorrise. E Spike la
abbracciò più stretta - “Perchè ci ha lasciato assieme...”
“Perchè vuole che la separazione ci
faccia più male.” - replicò, baciandola la tempia, lo zigomo - “Ma non
succederà... non ti porterà via da me.”
“Lo so.” - sospirò Faith, chiudendo gli
occhi. E Spike appoggiò la testa al muro, fissando l'oscurità.
Attende, amore mio. Attende che tu muoia
tra le mie braccia.
Angel, ti prego.. trovami. Trovami ora.
***
Doveva essersi appisolato, perchè un
colpo lo svegliò di soprassalto.
“Angel.” – sussultò, scattando a sedere
sul letto.
“Non è niente.” – mormorò lui, stringendo
il testile del letto, con una mano.
“Così niente?” – replicò, afferrandolo
per un polso e cercando di insinuare la propria mano nella sua.
“Edward, no.” – Angel si voltò a
fissarla. Aveva la fronte imperlata di sudore e le pupille dilatate.
“Tu stai male. Vado a chiamare Wes.”
“No, no. Va’ via. Non voglio… farti del
male.” – Angel scosse la testa, deglutendo , mentre i lineamenti gli si
stravolgevano, bloccati da un’immane volontà - “Non riesco quasi a
controllarmi. Va via, per piacere. Vattene.”
Era prostrato dalla sofferenza. E se non
fosse stato per la sua lotta interiore, Edward non si sarebbe mai mosso.
rapidamente si chinò e gli baciò la
fronte. O, almeno, desiderò farlo.
Nel locale, seduto a terra a gambe
incrociate, c’era Methos. Parlava con Cordelia, nuovamente al computer, anche
se con un'aria incredibilmente tirata.
Doyle dormiva, su un divano. Anya
camminava nervosamente avanti e indietro, ma Edward notò a malapena come Methos
stesse ripetutamente selezionando numeri sul cellulare, nel chinarsi per
parlargli.
“Methos, Angel mi ha mandato via.”
Non sembrava una recriminazione. E Methos
lo fissò, attento.
“vai avanti.” - disse, abbassando il
cellulare. Da più di un'ora né Spike né Faith rispondevano ad una chiamata , ma
non sembrava il momento per informare Edward del fatto. Era già abbastanza
fuori di sé così, senza coscienza del tempo trascorso.
“Ha detto che rischiava di farmi del
male… che non riusciva a controllarsi.” – si scostò i capelli dal viso e si
accorse di colpo, di aver freddo, mentre Wes compariva alle sue spalle, dal
magazzino, con la stessa preoccupazione nello sguardo.
“Contraccolpo.” – mormorò, alla nuca di
Edward – “Le sue forze si stanno esaurendo del tutto… e la sua parte demoniaca
prende il sopravvento.”
“Allora non deve restare solo.” - fu la
risposta dell'immortale. E le sue incertezze scomparvero, come se non fossero
mai esistite.
Era già a metà della scala, quando una
sensazione lo colpì, attraversandogli i polmoni e mozzandogli il fiato.
no. wes si sta sbagliando.
Incespicò a ncora e chiuse gli occhi,
respirando a fondo.
Istinto. Con l'istinto lo hai salvato già
una volta. Fallo di nuovo.
Mayuri. Mayuri morta tra le sue braccia.
Si impose di restare calmo, ma l'immagine lo colpì ancora. Sepolti vivi per il
terremoto, l'aria che finiva. E il risvegliarsi da solo.
Methos li aveva trovati troppo tardi.
Troppo tardi.
Con un ultimo colpo la parete crollò,
sollevando una nube rossastra.
Methos non aspettò nemmeno che si
diradasse, infilandosi nello spazio. Il soffitto aveva retto e lo spazio
risultava ancora agibile con poche difficoltà. Methos, tallonato da Damodar,
percorse le poche decine di metri della galleria, quasi correndo, fino a quando
non lo colpì, indescrivibile ma sempre nitido, l’odore di morte.
Imprecò, sottovoce, accelerando il passo.
Reminiscenza, di nuovo.
E ancora, nell’attimo in cui la torcia li
illuminò.
Abbracciati, rannicchiati uno sull’altro.
Occhi chiusi per sempre.
E occhi azzurri, sbarrati su quello
scenario di desolazione.
Methos si bloccò. Edward piangeva. I
singhiozzi lo scotevano, mentre ancora seppelliva il viso in quei capelli che
ormai sapevano solo della polvere che vi si posava. Stringeva un corpo rigido,
probabilmente da ore.
E Mayuri riposava con la testa sulla sua
spalla. La luce rossastra delle torce non l’avrebbe più svegliata. La sua voce
non si sarebbe più levata limpida sulle sponde del Gange.
Mayuri se ne era andata.
Ed Edward, morto con lei, viveva ancora.
Alla fine era successo. Methos l’aveva
dolcemente messo in guardia, giorno per giorno. Abbracciare la morte, vedere la
propria ragione di vita sfiorire, e svanire.
E poi, come nel peggiore degli
incubi,addormentarsi insieme.. e svegliarsi soli.
Io la amavo. Ma lei è morta comunque.
Il collo sembrava bruciargli. Vi appoggiò le dita, sentendo
pulsare la cicatrice, il marchio di Spike, il segno di possesso.
Ed ebbe l'impressione che fosse fuoco,
fuoco nella mente. Poi una voce.
“Edward...”
“William...” - gemette, senza riuscire a
calmare il dolore, la mano sulla cicatrice del morso.
“Mi serve il tuo aiuto... cerca Angel...
devi dire a Angel di trovarmi... di trovarci...”
Al piano di sotto, il rumore di cocci lo
costrinse a tornare indietro, correndo a precipizio giù dalle scale. Cordelia
era a terra, tra le braccia di Methos. E si teneva la testa.
“Ha le visioni.” - Wes era senza parole,
il suo sguardo correva da Doyle a Cordelia - “Le visioni, di nuovo....”
“Non importa.” - Cordelia sbattè le
palpebre, trattenendo le lacrime - “Meglio nella mia testa che nella sua.”
Li guardò, afferrandoli con tutta la forza
che aveva, per le braccia, per i vestiti.
“Edward, chiama Angel. Chiamalo. Faith...
Faith è in pericolo.”
***
Il letto di Lorne era un enorme groviglio
di coperte. Ed in mezzo, in preda a qualcosa che poteva somigliare a violenti
crampi, stava Angel, rannicchiato, in posizione fetale, le braccia a nascondere
il viso. La battaglia, vinta in una frazione di secondo per il cuore umano,
sembrava non essere ancora cessata. Angel sussultava, senza cedere.
Come se qualcosa dentro di lui bruciasse
urlando.
L’anima era tornata, dopo essersi
staccata dal corpo.
“Vattene.” – lo sentì ringhiare. E per
quanto si sentisse stringere il cuore, Edward decise di essere incurante. Si
chinò su di lui, iniziando a districargli le coperte, cercando di non
travolgerlo con la propria urgenza.
“Devi ascoltarmi.”
“Vattene Edward.” – lo sentì ancora
mormorare.
“No.”
“Vattene…”
“La risposta è ancora no.” - E sarà
sempre no.
Edward protese la mano e la posò sul suo
pugno serrato.
Vattene….
No. Angel si girò, sprofondando ancora nel
materasso, con occhi che mandavano lampi, esasperato.
“Ti ho chiesto di uscire da questa
stanza, dannazione.”
“Ed io ti ho detto che non lo farò.” –
replicò deciso Edward.
“Ne sei veramente così certo che non ti
farò del male? Il fatto che tu sia un
immortale non fa di te un eroe invincibile…”
“Me ne andrò…” – rispose l’altro
ignorando gli insulti e alzando la voce per sovrastarli – “Solo se uscirai
anche tu da questa stanza e verrai con me.”
“No.”
Il resto era irripetibile. Poi Edward lo
afferrò per i polsi e, ignorando l’urlo di dolore che gli sfuggì dalle labbra,
lo mise a sedere, con una forza che Angel non si sarebbe mai aspettato da lui.
“Muoviti, Angel. William ha bisogno di
noi, ora. Non è il demone, è lui, ti sta chiamando, continua a chiamarti.
Concentrati.” - Edward si comportava duramente, nello strattonarlo e
trascinarlo, fino a ritrovarselo di fronte, in piedi, cercando di ignorare il
suo sguardo e la verità che esprimeva - “Puoi farcela. Sei passato da tante
catastrofi peggiori, nella tua vita. Sei un sopravvissuto. Resta in piedi,
adesso, ascolta... tu sai dove sia…”
“Ti prego.” - aggiunse, disperato - “Non
possiamo lasciarli morire...”
Chiudi gli occhi...
“No, non posso.” - no, non li chiuderò
mai più, mai... soprattutto per amore.
“Fallo, Angel, chiudi gli occhi e
trovali. Trovali, ora!”
Non chiudere
gli occhi, Spike.
Non chiudere
gli occhi, Spike…
Chiudi gli occhi, Angel, chiudi gli
occhi. Per Spike. Chiudi gli occhi, fai ammenda con il passato, salva la
cacciatrice, salva il ragazzo che hai dannato. Salvali.
Doyle...
Salvali, uomo. Chiudi gli occhi e
trovali. Ora.
Angel annuì, inumidendosi le labbra. E
strinse le palpebre. Forte.
Angel, perché
ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…
Non... non sono
perfetto.
"Io non
ricordo bene. Mi ricordo un sacco di sensazioni e visioni non mie. C'era di
tutto, episodi che non potevo avere visto e poi, c'era quello…"
"Quello
cosa?"
"L'anello.
Quel tuo anello con il cuore e le mani…"
Trovami, angel.
Trovami.
"Angel… mi
lasci il tuo anello?"
"Te lo
rendo, poi. Ma se mi perdo di nuovo, penso potrà guidarmi."
William...
"Cosa
vedi, Doyle?"
"Vedo che
li hai uniti. E che mai nessuno potrà più separarli…"
Trovami.
Trovaci.
Angel.
Strinse forte
gli occhi e lo cercò, nella mente.
Angel. Di lui
era rimasto solo il nome.
Di lui doveva
ricordare il viso, gli occhi.
L'amore.
L'amore di
Angel.
Il Claddagh…
dov'era il suo Claddagh?
"Cuore,
mani, corona…Sotto questa luna di nulla mi pento…"
"Di nulla
mi pento. Di nulla serbo il ricordo… cuore, mani, corona.
Il mio sangue,
il tuo sangue."
Il mio sangue.
Il tuo sangue.
E, nel buio,
spike alzò una mano, portando il Claddagh fino al viso.
Brillava,
flebile, come una speranza.
TERZA PARTE
[IX]
“Cosa hai
visto, cosa, cosa cosa....” - ripetè Wes, comprimendosi le tempie con le mani.
Davanti a lui, sulla parete, l'esagono incombeva, inquietante. Meticolosamente,
Doyle aveva disegnato ogni linea, il poligono, la stella all'interno, le linee
intersecanti che passavano dal centro. Tutto e, a parte quella S che vi
dominava, non c'era nessun altro segno che lasciasse intendere a cosa si stesse
riferendo.
Si voltò e, in
preda alla rabbia, lanciò la prima cosa che gli passò sotto mano.
“Non possiamo
perderli ora, dopo tutto quello...” - l'urlo si spezzò in un singhiozzo di frustrazione - “Dopo tutto quello che
abbiamo vissuto.”
Si dominò. Gli
occhi, chiusi, divennero viola. Poi di nuovo azzurri. Ma Wes, riflesso in uno
dei vetri opachi, li vide.
E sentì un
brivido.
“Ma certo.” -
mormorò. Si avvicinò rapidamente alla finestra, pulendo nervosamente la
superficie con le mani, con la manica della camicia.
E, quando la
superficie gli sembrò nuovamente riflettente, chiuse gli occhi e respirò a
fondo.
Eccoli, di
nuovo. Viola come ametiste. Poteva quasi sentirla, come miele, dentro al suo
corpo.
“Ci siamo.” -
disse, trionfante. Respirò ancora e una mano lo obbligò a voltarsi.
“Non farlo
un'altra volta.” - ansimò Angel, guardandolo. Poteva essere in un bagno di
sudore e con una stretta non proprio certa delle dita, ma era certamente lui...
non Angelus.
“Non sto
facendo nulla.”
“Si,invece. Non
lasciare che ti strisci nella mente, non puoi batterla.”
“Non.. io
non...”
“Si che lo sai,
Wes.” - tagliò corto Angel - “Io l'ho sentita mentre salvavamo Doyle. E adesso
tu mi ci fai parlare, siamo d'accordo? A me non serve un incantesimo perchè
risponda.”
Wes esitò poi
annuì, con lentezza. E si sedette sulla cassa più vicina.
“Sei pronto?” -
domandò Angel, infilandosi la maglia che aveva tra le mani.
“Quando sei
pronto tu.” - replicò, con tensione nella voce. E, quando riaprì gli occhi dopo
un attimo, le iridi erano completamente
viola.
“Lo sapevo che
ci saremmo rivisti, Angelo mio...”
London
“Eri
posseduto.”
“Si, papà. Lo
ero. E lo sapevo alla perfezione.”
“E lo sei
ancora?”
“No.”
“Ne sei certo?”
“Lo sono.”
Suo padre non
gli credeva. Come sempre. E già voltava la testa verso Doyle, in attesa di
conferma.
“La sua mente è
pulita.” - rispose il demone alla tacita domanda - “Se ne è andata quando tutto
si è compiuto.”
Soppesò il
silenzio un attimo, prima di porre una domanda.
“Si preoccupa
perchè vede il riflesso viola?”
Un cenno quasi
impercettibile del capo. Ma Wes lo fissò ugualmente, sbalordito. Suo padre
aveva il labbro inferiore che tremava.
“Non abbia paura.”
- lo calmò educatamente Doyle - “Il riflesso viola è solo un effetto
collaterale del potere. Ne scorre molto nelle sue vene. È solo sangue
demoniaco, in minima dose. Gli ha donato un maggior resistenza e,
probabilmente, una vita più lunga. Null'altro.”
Si girò,
guardando Wes.
“Non poteva
essere altrimenti, a forza di correrci dietro...”
***
LosAngeles
“Non c'è tempo,
Drusilla.” - disse Angel rapidamente - “Devi aiutarmi, Faith sta morendo.”
Faith sta
morendo. È questo che Spike continua a dire nella mia mente e in quella di
Edward.
Non riuscivo a
sentirlo.
Devi aiutarmi.
Tu lo sai che la ama, che la ama come mai nessuna.
Fallo per lui,
Dru.
Perchè è
William. Il nostro William.
“Devo
trovarli.”
“Non so dove
siano.” - rispose la voce femminile, dalle labbra di Wes - “Non lo so, Angel,
te lo giuro. Io non posso più prevedere il futuro!”
Angel si posò
le mani sulle tempie, cercando di calmarsi. Si, aveva ragione Methos, era ora
di imparare a respirare a fondo.
“Drusilla,
dimmi ciò che puoi. Qualsiasi cosa. Qualsiasi.”
La voce tacque.
Poi Wes si alzò, andando verso l'enorme graffito, verso l'esagono. Mosse la
mano e le scritte cominciarono ad emergere dal muro stesso.
“Non il dove,
posso rispondere al come... solo al come di qualcosa che l'universo già prevede
e attende...”
Alle sue
spalle, rapido, Angel divorava le informazioni.
C'era Spike in
mezzo all'esagono. E, attorno, ai vertici, secondo un ordine che non sembrava
casuale, tutti loro: Faith, Cordelia, Angel, Wes, Edward e Doyle. Altre linee
apparivano e svanivano, attraversando ogni punto. Cerchi concentrici attorno
all'esagono, in perenne rotazione attraverso gli angoli. E linee a comporre una
stella all'interno.
“No, non una
stella.” - disse la voce di Wes, la voce di sempre - “Due triangoli intersecati.
Due. Io, Cordy e Doyle. Tu, Edward e Faith.”
“E Edward?
Quanto è importante Edward nella vita di suo fratello.”
“E' luce. E
sangue.”
“Questo lo so,
ma ho bisogno di sapere altro.”
“Solo luce e
sangue, Doyle.”
Luce e Buio. Io
ed Edward. E Faith è ... Faith è il nesso d'amore.
Cuore, mani,
corona. Amore, rispetto, fedeltà. Luce, buio, potere.
Spike, Spike al
centro.
Angel si
strinse più forte le tempie, un fotogramma gli attraversò al mente.
Una gabbia, un
vampiro disperato, un coltello. Due mani sanguinanti.
Si fissò il
palmo della mano. La ferita di Sunnydale era aperta, lacerata.
Energia che
lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue. Il sangue che si mischiava di nuovo. Con la
morte a tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro
triangolo amoroso.
Come una donna
al vertice di un triangolo. Come una donna.
Faith era il
vertice. La Cacciatrice.
Di improvviso
dai vertici del loro triangolo la vernice si sciolse e tre nuove linee corsero
lungo l'intonaco, fino a congiungersi sulla S di Spike.
Non più un
triangolo. Ma una piramide. Una piramide vista dall'alto.
Oggi Faith è la
causa. Domani sarà il mezzo.
“Comprendi,
ora, Angel?” - domandò Drusilla, voltandosi verso di lui - “Comprendi davvero?”
“Si, Dru. Ho
compreso.” - annuì, con lentezza. E Drusilla, negli occhi di Wes, sorrise,
prima di svanire per sempre.
***
“E' buffo...” -
commentò Darla, guardandola - “Tu hai gli occhi viola come Dru, la mia Dru...”
Cecily, con le
labbra pallide e l'aria sofferente, la fissò con sufficienza.
“Questa
dimostra quello che ho sempre detto. Io sono l'unica e inimitabile...” -
sibilò, dall'angolo in cui era stata gettata - “Non di certo la nevrastenica
fissata con le stelle.”
Darla sorrise.
E Cecily sentì il calcio sfondarle le costole.
“Parla, parla
finchè puoi.” - sospirò, sedendosi alla propria scrivania - “Ma cerca di
restare viva, mentre aspettiamo William.”
“Will....
William...”
“Si, proprio
lui. A quanto sembra, la Cacciatrice respira ancora, per cui penso che abbia un
poco di tempo da dedicarti.” - si abbandonò contro lo schienale, giocando con
una penna - “Sai, era recalcitrante a
lasciarla ma, alla prima goccia di sangue della Chiave nel pozzo ha
prontamente cambiato idea. È un ragazzo coscienzioso...”
“Lo è sempre
stato...” - sussurrò Cecily, chiudendo gli occhi.
"Stasera
avrei dato qualunque cosa per essere Anya. Volevo dirti anche questo."
Lo vide
irrigidirsi e voltarsi, con una lentezza impressionante. E si sentì trapassare
da occhi come fessure, letali come pugnali.
"Avrei
dato di tutto, per essere lei." - ripetè, per cercare la forza di
proseguire - "E ci sono momenti in cui desidero tornare indietro, ed
essere diversa e riavere te. Ma so che sarebbe sbagliato. Perché ora so che
avevi ragione, William.
Con i miei
sbagli ho veramente creato una luce nel buio."
“Tu non potrai
torcergli nemmeno un capello...” - aggiunse, sentendo le parole divenire sempre
più faticose, nemmeno la forza di aprire gli occhi - “Non è fatto per gente
come te...”
***
“Calmati.”
“Calmarmi non
fa parte dei programmi per la serata.” - replicò Edward, allacciandosi la spada
alla schiena e afferrando quella di Angel per portargliela - “Io la farò a
pezzi, te lo posso garantire. Se solo ha... se solo ha torto un capello a
Faith...”
“Edward,
ragiona.” - lo aveva afferrato per un braccio - “Potrebbe essere un bene...”
Di tutta
risposta, Edward lo colpì. E lo spedì dentro una poltrona.
“Vuoi...
ripetere?” - ruggì, sovrastandolo, mentre si puliva il sangue dalla bocca.
“Ragiona,
idiota.” - ribattè Methos, sputando sangue e bile - “Tu sai benissimo in che
senso l'ho detto!”
Edward rimase
interdetto. E si dominò dal rifilargli un altro pugno.
“Sei diventato
sordo o cosa?” - stava aggiungendo l'immortale. E, con uno scatto fu in piedi,
pronto a rifilargli una spinta per ristabilire la distanza - “Ragiona, Edward.
Ne abbiamo già discusso, fallo con l'istinto e non con il cuore, pezzo di
imbecille che non sei altro. Tu l'hai sentita, dal primo istante che l'hai
vista.”
L'hai sentita.
“Tu puoi
sentirla. E sai che avevo i miei buoni motivi per accettare l'incarico del
consiglio.” - insistette - “Sotto la sua natura di predatrice, tu l'hai
perfettamente sentita.”
Edward rimase
immobile, i pugni stretti, gli occhi in tempesta.
“Io tenterò
comunque di salvarla.” - sibilò soltanto, freddamente.
“Non saresti
tu, non tentassi.” - ribattè Methos, per niente intimorito - “Ma ricorda quello
che ho detto.. quando sarà il momento di decidere... chiediti cosa sia davvero
giusto.”
Non importa
quanto ti faccia soffrire.
Non importa
quanto lontano tu possa vedere.
Perchè non è il
futuro che plasma la leggenda e salva la vita.
È il presente,
il tempo presente in cui levi la spada.
“Io l'ho
fatto.” - aggiunse, spietato - “Tu sei qui per questa mia scelta. Non
dimenticarlo.”
Tu, qui, oggi,
per me. E perchè io ti ho ucciso.
Oggi Faith è la
causa. Domani sarà il mezzo.
***
London
“E ora, mentre
i nostri eroi si preparano alla battaglia.” - Wes sorrise interrompendo la
narrazione - “Vorrei precisare un piccolo particolare.”
Attorno stavano
già esplodendo le domande. Ma Wes alzò una mano e ottenne un silenzio perfetto.
A quanto sembrava, essere posseduti da un Cantastorie impazzito migliorava lo
status. Ipotizzare che fosse divenuto immortale o almeno di lunga vita, poi...
Adesso avete
qualcosa di cui essere invidiosi... finalmente...
Li fissò tutti,
movendo solo lo sguardo. Poi sorrise ancora.
“Allora, chi
vuole sapere dell'anima di Spike?”
***
Darla strattonò
ancora il coltello. Poi, incontrando l'articolazione del gomito, sfilò la lama.
E si applicò
per lacerare l'altro braccio. Poi soddisfatta, battè le mani deliziata. E si
leccò le dità. Voracemente.
"Mio
piccolo William… il tuo sapore è come lo ricordavo. Forte, caldo. La mia Dru ha
buon gusto. Ed Angelus… Angelus non è stato tirchio, ad elargirti forza. Sei
una delizia…" - aggiunse ridendo - "per il palato…"
Lo stavano
legando. Il sangue gli scorreva copioso lungo il torace, mentre lo sollevavano
da terra, strattonandolo per i polsi.
Darla, con un
nuovo lampo di follia, si accostò ancora, posando le labbra sui tessuti
impregnati. Uno dei suoi scagnozzi, ridendo e scherzando, in mezzo ai suoi, le
porse un bicchiere. Un bicchiere… Un
calice veloce a riempirsi, sotto quella cascata.
“Quando Spike
mi raccontò questo particolare, dopo che Darla e Dru lo avevano catturato e
dissanguato, ammetto che non ci diedi un particolare peso. A mio avviso,
semplicemente, era stata una nuova forma di tortura. Non la associai alla
questione dei marchi sul corpo di Spike e non mi preoccupai che avesse un
senso. Poi dovetti rivedere la mia opinione. Quando si profilò la teoria che vi
abbiamo illustrato prima, quella riguardo all'opera a vasto raggio di Drusilla
sul futuro di Spike, mi sentii in dovere di rivalutare qualche episodio. E
questo fu uno dei primi che mi vennero in mente.
Darla aveva
bevuto il sangue di Spike, per pura tortura, come pensavo io. Ma, su probabile
suggerimento di Drusilla, da una coppa. Ovvero, ancora una volta, nessuno aveva
morso Spike. Interessante, non credete? In oltre cento anni, nemmeno un segno
dei denti a parte quello di iniziazione.
Ho
schematizzato molto a riguardo, ma la risposta è sempre la stessa: l'unico
morso sul corpo di Spike è opera di Drusilla. L'unico. Angel non ha mai bevuto
il suo sangue e Darla non ha avuto interesse a farlo fino a quel giorno, un
paio di anni fa. Perchè questo? La risposta a mio avviso sta nella potenza del
sangue dei Coventry. Drusilla lo sapeva e si è ben guardata dal lasciare che
altri lo scoprissero e ne abusassero.
Spike ha bevuto
da Edward. Ed è stato male, decisamente male, a parte la battuta riferita alla
somiglianza con il sangue delle cacciatrici. Ma, del resto, quel morso sul
corpo del fratello era indispensabile. Ci torneremo più avanti.
Per ora vi
voglio attenti solo sulla bella famigliola. Darla morde e si fa mordere da
Angelus. Angelus morde e si fa mordere da Drusilla. Drusilla, non appena ha
l'occasione, morde William, ma non si fa mordere. E William riserva il bel
trattamento al nostro flagello.”
Obbedendo ad un
istinto forte come una sfida, si era lacerato una mano, imponendola sulla bocca
di quello sconosciuto. Attendendo l'istintivo succhiare del neonato. La mano
che gli aveva sfiorato la guancia, per capire e portare nella morte il segreto,
era scivolata appena, impigliandosi nel colletto della giacca. O aggrappandosi.
Le sua dita
scosse da un tremito nervoso, irritavano Angelus.
Il corpo del
ragazzo biondo, quasi morto eppur forte, sembrava riacquistare durezza. I suoi occhi,
ancora spalancati, andavano perdendo la limpida sfumatura. Verso qualcosa di
complesso ed impuro. La forza con cui si nutriva, indeboliva Angelus e lo
rendeva furioso.
Scattò in
piedi, ma il cucciolo non restò adorante ai suoi piedi.
Lo seguì, nel
rialzarsi, lo fronteggiò, abbandonando la mano ed il prezioso elisir.
Cercando.
Cercando la
fonte.
La vena
pulsante del collo.
Da aprire con i
propri denti.
Lasciando ad
Angelus la sorpresa di quel corpo sul proprio, a terra, nel fango da cui si
erano rialzati.
Del sangue che
non smetteva di abbandonarlo.
Dell'inizio
della sfida.
“Dopo di
che...” - proseguì Wes, avvicinandosi alla lavagna - “Arriviamo ai giorni
nostri. Darla muore e risorge e sapete chi la vampirizza? Drusilla. Morde e si
fa mordere da Darla. E, otteniamo, dunque, un triangolo: Darla, Dru, Angelus. E
se, invece, cerchiamo una piramide? guardate chi sta al centro... proprio lui.
Il nostro bel ragazzo biondo.”
Wes si
tamburellò con il gessetto sulla mano. Fare il saccente lo metteva di ottimo
umore.
“Non capite,
vero?” - domandò, retoricamente - “Un triangolo, signori. E una piramide, di
nuovo. Con una donna la vertice. E la donna altri non è che Drusilla, la nostra
manipolatrice di professione, il nesso d'amore. Un solo morso sul corpo di
Spike, per preservarlo da eccessive contaminazioni maligne. Solo lei ha bevuto
il suo sangue per evitare intuizioni scomode in un ambiente dominato dai demoni
e, infine, lei di persona ha chiuso il triangolo attorno al suo principe
biondo... il suo principe biondo. Perchè questo?”
Allungò una
mano, calcando sui contorni del triangolo.
“Perchè così
facendo, avrebbe ottenuto un duplice scopo: alla vampirizzazione di Darla,
l'anima di Spike sarebbe tornata nel suo corpo.”
***
LosAngeles
“Topolino...” -
sospirò Darla, vedendolo entrare. Aveva le catene ai polsi, come un galeotto
qualsiasi - “Hai fatto il cattivo, immagino...”
“Come mio
solito, Darla.” - sorrise, piegando la testa. Non esisteva tumefazione che
potesse realmente deturparlo - “Allora, il castigo della tua compagnia sarà
lungo? Perchè vorrei tornare nel pozzo...”
“Si, immagino,
dalla tua piccola e dolce Cacciatrice. Sanguina ancora come si deve o dobbiamo
aiutarla?” - sorrise, sollecita - “Tutto il meglio per la tua amante.”
Spike voltò la
testa, disgustato. E la sua espressione, da seccata divenne orripilata.
“Oh, si.” -
Darla indicò con la penna Cecily, ormai riversa in un lago di sangue - “Un pensierino per rallegrarti la
giornata... la ragazza che ti ha respinto, pensavo potesse farti piacere.
Mentre aspettiamo che Faith smetta di respirare, si intende.”
“No, no...” -
sapeva che gli uomini che lo tenevano non l'avrebbero fermato. Darla godeva
morbosamente di quella sua umanità, dalla prima volta che si erano fissati. Ma
a William, a ciò che restava di William in spike, non sembrava importare. Si
mosse, sollevandola da terra, passandole la catena intorno al corpo, per
sorreggerla con entrambe le braccia - “Cecil...”
"Sono
bella come mi ricordavi?"
"Anche di
più."
Non gli
rispose. Era esangue, la testa mollemente all'indietro. E Spike posò la fronte
alle sue labbra. Erano quasi fredde.
Ti prego,
Cecily, ti prego...
"Porti
ancora gelsomini tra i capelli?"
"E tu?
Porti ancora quei buffi occhiali rotondi?"
“Ti prego,
non darle la soddisfazione di vederti
piangere...”
“Cecily!” - La
chiamò, alzando la testa di scatto.
“Chiamami
Halfrek... ti aiuterà a restare
lucido.”
“Sai benissimo
che non lo farò...” - scosse la testa, tenace, la fronte ancora alla sua bocca.
E cecily sorrise, quanto sentì la sua pelle gelida contro le labbra.
“Sei uno
stupido sognatore, William. Ora come allora...” - replicò, carezzandolo con le
parole e i ricordi.
"William…
tu non vuoi sapere se ti ho mai amato?"
"Certo che
mi hai amato." - commentò lui, con un lampo di rabbia gelida negli occhi -
"Io sono l'amante che ti ha reso quello che sei, spezzandoti il cuore.
Occhio per occhio, Cecily…"
E cuore per
cuore…
"Ti
sbagli." - sorrise lei - "Non sto parlando del vampiro che mi
lacerava le vesti e mi violentava fino a farmi impazzire. Non sto parlando del
mio carnefice. Ma del ragazzo che ho ucciso."
“Andrà tutto
bene...”
“Non è vero.
Nulla è andato bene, nulla. Tu demone, io demone. Nessuna felicità per troppo,
troppo tempo. Oh, Will, vorrei tanto tornare indietro.. a casa mia...”
Mi manca tanto
la mia casa.. i miei amici.... la mia vita. La ricordi William la ricordi la
nostra vita?
Mi manca
Carrol.. mi mancano le cavalcate... mi manca Edward che ride sdraiato al
lago...
Mi manchi tu.
Mi sei mancato tanto in questa mia eterna solitudine.
“Lo vorrei
tanto anche io.” - sentiva il battito disperato, guardava la sua gola nuda,
senza un ciondolo a separarla dalla morte. E sentiva gli occhi, gli occhi fare
male come il cuore - “Tornare indietro e vederti ancora salire la scala... quel
tuo stupido ventaglio, tutti quei sorrisi... ti prego, Cecily... ti prego non
andartene...”
non saremo mai
più giovani ma... ma non lasciarmi solo...
“Temo sia di
nuovo... troppo tardi...”
“Cecily...”
“E' stato solo
caos tra di noi. Ed eclisse... lo sapevamo entrambi...”
"Entropia,
Cecily. Null'altro che entropia. Null'altro che il caos dominante." -
ribattè, sfiorandole le labbra e dando forma ai suoi pensieri- "La forza
incalcolabile che tutto domina. La forza per cui ci incontriamo e non ci
incontriamo mai."
"Ed
allora…" - replicò, scivolando dentro un bacio - "un brindisi
all'entropia…"
“Grazie... per
essere stato qui... con... me.”
“...”
"Ti amavo,
William. Solo che l'ho imparato tardi."
Cecily...
Cecily non lasciarmi solo...
***
Anya si fermò.
E si posò una mano all'altezza dello stomaco. Quando Angel si voltò nella sua
direzione, semplicemente alzò un dito, intimandogli di aspettare. E si voltò,
vomitando, appoggiata contro a un muro.
Angel tornò
indietro, le chiavi della macchina strette tra le dita. Anya respirava in
maniera concitata e.. furibonda.
“E' morta.” -
sibilò soltanto, raddrizzandosi -”Quella puttana ha ucciso Halfrek.”
Angel ne fu
raggelato. Il cuore di Edward, alle sue spalle, sembrò contrarsi per non espandersi
mai più.
“Se ha
Halfrek...” - mormorò Wes - “Allora ha anche Dawn.”
Stiamo
convergendo tutti dove dobbiamo essere, dunque.
E, un attimo
dopo, si vergognò di quel pensiero tanto cinico.
“Il posto è
esatto, come nella visione di Cordelia.” - stava dicendo Anya. E una nebbia
smeraldo già la circondava - “Spicciatevi. Ci penso io a tenere occupata quella
cagna fino al vostro arrivo.”
***
Spike tardava a
rialzarsi. E darla, che manteneva un'innata e crudele gentilezza, gli si
accucciò a fianco, guardandolo, di sotto in su.
Spike aveva gli
occhi chiusi. E piangeva, immobile, tenendo Cecily scompostamente tra le
braccia, i polsi ammanettati dietro la nuce, per sostenerla, per tenerla contro
al petto.
“Povero
piccolo...” - sussurrò, con dolcezza - “Il primo amore non si dimentica mai...
la giovinezza, i momenti spensierati alla luce delel candele... il tempo che
scorre...”
si alzò, un
movimento composto delle mani contro le ginocchia.
“Non so perchè
tu ed Angel ne siate così ossessionati.” - sospirò, rammaricata - “scegliete
ragazze più giovani, vi innamorate di ciò che non dura... deve essere una crisi
vampirica della mezza età... o magari è l'anima che vi invecchia... che vi fa
sentire così schiavi della memoria...”
spiek riaprì
con lentezza gli occhi. Non riusciva a calmarsi e sapeva di doverlo fare. Ma
darla, paradossalmente, non stava mentendo.
Piangeva per
cecily ma, soprattutto, piangeva per quel qualcosa che con lei, nel bene e nel
male, era rimasto vivo. Piangeva perchè era tutto ciò che restava di casa sua,
della vita che avrebbe desiderato, di ciò che si era lasciato alle spalle.
Cecily, come
lui, come edward, aveva sofferto la lontananza e la malinconia. Cecily aveva
serbato nel cuore e negli occhi l'amore per il proibito ormai perduto, per
l'eleganza e la compostezza, la passioen per quelle regole rigide e raffinate
che avevano stretto con corsetti e sparati le loro esistenze.
Avevano
abbandonato tutto, erano andati lontano, erano andati oltre.
E non sarebbe
dovuto andare così.
Non sarebbe
dovuta finire così.
"Sul serio
volevi diventare famoso da giovane?"
"Non
famoso." - puntualizzò distrattamente il vampiro - "solo ricordato in
un libro, magari come scrittore, oppure dai miei…" - avrebbe concluso con
figli se di colpo non si fosse reso conto di quello che stava dicendo.
Faith.
Non pensare al
passato. Faith.
Non dimenticare
faith.
Lentamente
lasciò scivolare Cecily a terra, senza un bacio, un muto addio. E, mentre si
voltava, i lineamenti si distorsero in un'unica maschera di rabbia.
“Bentornato.” -
commentò darla, compiaciuta, da dietro la scrivania. Due vampiri già gli
sbarravano il passo. Ed erano cenere prima ancora di reagire, per essere
sostituiti da altri due. E da altri ancora.
“Non giungerai
a nulla né, tantomeno, a me.” - sospirò darla, guardandolo, mentre lo
schiacciavano a terra - “Io non sono roba per te, passerotto. Tu sei qui perchè
mi annoio attendendo Angelus. E giocherò con te fino a quando no mi stancherò.”
Spike ringhiò.
E un anfibio gli premette sulla guancia, scavandolo.
“Adesso mi
occuperò di faith... la stanno preparando ora.” - aggiunse, alzandosi e avvicinandosi. Di nuovo accoccolata a terra, le braccia ad abbracciare le gambe
piegate - “Non penso che durerà a lungo, ma ssarà intenso e piacevole...
cercherò di protralo il più possibile. Poi sarà il turno della piccola
Summers... ha l'odore di sua sorella ovunque, mi occuperò personalmente di
farle riavere il corpo, in memoria dei bei tempi di Sunnydale. E poi... non
so...”
sospirò
aancora. E spike repressse un urlo, mentre un coltello gli penetrava nella mano
inchiodandolo a terra.
“Poi, no so.” -
ripetè, svanita, darla, leccando la lama e ripiantandola nel polso - “Sei
dolce, passerotto, come ti ricordavo. Hai un sapore inconfondibile.”
di nuovola lama
che si fila, di nuovo la lama che cala, inesorabile.
Faith. Spike si
morse le labbra, deciso. Faith ha bisogno di te. Pensa.
“Forse,
potendo, giocherò persino con quello splendido esemplare di tuo fratello.” - un
sussurro, lunga la lama del coltello che già gli incideva la pelle in un
complicato arabesco - “Drusilla parlava tanto di lui... nelle notti
d'estate...”
London
I discorsi
ormai si sovrapponevano istericamente. Ma gli ascoltatori sembravano non avere
problemi a connettere e valutare la situazione. Per tanto, Wes deviò con
abilità un'altra volta e si preparò psicologicamente a tirare una seconda
mazzata intellettuale ai suoi stimati colleghi.
“Torniamo
all'anima di Spike, dunque. I tempi coincidono.” - aggiunse. Aveva interrotto
la spiegazione in attesa di domande. Lo aveva atteso solo un prolungato,
densissimo silenzio di attenzione - “Darla è stata vampirizzata lo stesso
giorno in cui è tornata l'anima di Spike. E i racconti di Spike a riguardo
lasciano sempre intendere che sia stato un ritorno senza chiarezza e senza
testimoni... questo perchè la mandante era lontana.”
“Questa
spiegazione è un castello di carte. Da quando un chiudersi di un anello di
sangue genera un'anima!”
“Non era un
cerchio qualsiasi. La risposta sta nell'unicità della situazione. Drusilla non
ha fatto altro che intrecciare le linee di sangue per ottenere un veicolo
magico sempre più potente. Ha dissanguato Angel a Sunnydale per rinforzare se
stessa, in previsione degli eventi futuri. I soli segni che Spike può vantare
sono di Angel e sono tutti attivi. Quando l'anello di sangue si è chiuso, si è creata una connessione potente.
E i segni si sono attivati. Solo che, a quel punto, Angel aveva qualcosa che le
altre non avevano: un'anima.”
“Posso
percepire William, non Spike. Non è nella demonicità la nostra telepatia. È
sempre stata nell’essere ciò che siamo. Nell’anima."
Già,
nell'anima.
E il contatto,
la connessione, la predestinazione, sono scaturite da questa semplice realtà.
Angel, il
vampiro con l'anima, ha rigenerato Spike.
E le cicatrici,
le loro cicatrici gemelle, sfiorandosi, sembrarono sprigionare calore.
Non sul corpo.
Nel sangue e nell'anima è il nostro marchio.
“E' questo che
Drusilla sapeva. Sapeva che attraverso la dannazione, Spike sarebbe giunto fino
a Angel. E, quindi, a Faith. Perchè Faith è una sua creatura.” - aggiunse
Methos, dando a Wes un po' di respiro - “Drusilla ha ucciso Rhonda perchè, tramite lei, Angel e Spike potessero
reclamarla.”
“Io uccisi la
Cacciatrice… io le squarciai la gola e leccai la sua calda essenza. Nessuno può
interrompere un legame di sangue…” – Drusilla avanzò verso di loro,
ondeggiando, come una marionetta dai fili recisi – “E se non volete credere a
me, crederete all’uomo dagli occhi trasparenti…”
“Lei non è tua.
Sarà per sempre mia…” – sussurrò Spike– “Mia, finchè avrò vita per esprimere ed
espiare. Mia. Tu l’hai legata a me, Dru, non a te stessa…”
“L'assenza dei
marchi, poi, oggi più che mai ha un valore. Nessun vampiro, nessuno in
assoluto, può rivendicare un'autorità su William. William è libero, libero da
ogni obbligo se non quelli verso Angel. Per amore, non di certo per casta.”
La folla
borbottava. Ma non c'era da sorprendersene. Dopotutto, non restavano molte
spallate da dare alla loro fede nel calcolo profetico e perfetto.
“E, quindi, ad
un passo dal concludere, penso che non restino molti dubbi. Vi avevo avvertito,
sarei tornato a parlarvi solo del sangue del Flagello. E così ho fatto.” - sospirò Doyle, scoprendo
tristemente quanto fosse vuota la bottiglia di scotch - “Drusilla non ha sempre
giocato pulito e, soprattutto, non ha sempre avuto il controllo della propria
mente. Giocava una partita con il tempo, con la propria natura e lo faceva del
tutto priva di un'anima, appigliandosi, probabilmente, al proprio istinto
primordiale. Ha sbagliato molte cose e il sentiero su cui ha posto William
Coventry non sarà mai perdonabile o giustificabile. E sarà per Spike, il
protettore degli uomini, una macchia indelebile. Ma il risultato, il risultato
finale è stato davvero ciò che Drusilla aveva immaginato. Un miracolo. E sopra
ogni possibile aspettativa.”
“E, ancora una
volta, come nel caso del flagello...” - commentò uno degli anziani - “...la
vostra ricostruzione pecca di parzialità. Questo vostro eroe, Spike, che ora
state proclamando cosÌ vittima degli eventi, ha ucciso e sgozzato ben due, se
non tre cacciatrici. Non sono omicidi figli dell'ingordigia, questi, bensì di
un freddo calcolo matematico. Non mi
sembra poi così schiavo dell'istinto...”
“No, affatto.”
- Doyle scosse la testa, amichevole - “Ma lasciate che a rispondere siano le
parole dello stesso spike: Lezione numero due. Fa domande precise. Vuoi
sapere come ho vinto? La domanda non è come ho vinto, ma piuttosto come loro
hanno perso."
"E c'è
differenza?" - chiese il suo aguzzino, arcigno, ricalcando senza saperlo,
le parole di Buffy.
"C'è un
enorme differenza…" - rispose Doyle, senza dilungarsi in particolari- “E,
difatti, come è finita? Che Spike ama una Cacciatrice. Amore e morte, non
aspettevi che un vampiro abbia la razionalità per scinderli. Ha amato le
cacciatriciieri e oggi ama una Cacciatrice. Fin troppo. E vi posso assicurare
che, nella situazione in cui ci siamo trovati, è stato bene che Spike avesse
tanto sangue di Cacciatrice, di eroe e di immortale in corpo. Soprattutto per
l'universo.”
[X]
Quando Spike
rinvenne, era legato. Le braccia, stese e bloccate, dolorosamente, gli donarono
lucidità, con la stessa rapidità con cui l'orrore si fece strada in lui
nell'abbassare lo sguardo.
A terra c'era
faith. E il vestito rosso che indossava, lungo e di seta, la rendeva ancora più
pallida.
L'odore del
tessuto fine mischiato al sangue lo colpì, provocandogli un'ondata di nausea.
Poco oltre, legata maldestramente e con una tumefazione che le chiudeva un
occhio e anneriva parte del viso, c'era dawn.
Tese i muscoli,
in un disperato tentativo di liberarsi. E faith apr gli occhi, guardandolo.
“Ciao piccola.”
- sussurrò, vcercando di sorriderel.
E la bocca di
faith si inarcò lievemente ironica.
Ma chi vuoi
prendere in giro, stupido.
Siamo fottuti.
E lo sappiamo bene.
“Cacciatrice e
Vampiro...” - ridacchiò la voce di darla, mentre la donna emergeva dalle ombre
- “E' quasi iconografico. Abbiamo la seta, il
sangue, le catene... E', come dire... perverso...”
Spike la
ignorò. Faith lo guardava, senza parlare, senza poter parlare. Aveva una lunga
fila di segni microscopici sulla gola. Tagli precisi, fini. E il sangue, come
un lungo nastro, si dipanava sulla pelle, macchiandola.
“Tranquillo,
non l'ho morsa. È una piccola
cacciatrice velenosa, non intendo sporcarmi con lei. Ma quel collo così nudo... non trovi sia un
ornamento perfetto? Il angue della sua stirpe la adorna... guarda come
luccica...”
strinse i
pugni, le catene cigolarono nuovamente. E darla seppe di avere tra le dita uan
mano vincente.
“Drusilla
parlava tanto di un momento del genere.” - sospirò, nostalgica, sedendosi su un
gradino - “Diceva che eri il suo principe, ricordi? Il mio william, il mio
william è fatto per volare, ha ali...”
Dondolò
lievemente. E spike alzò la testa, fissandola. Bellissima, come sempre.
“E il sangue
delle cacciatrici è per lui il più dolce dei nettari. William non vive senza le
cacciatrici... guardala, William... guarda come è bella...”
Guardala.
Guardala negli occhi.
“E' il mio dono
per te... un sacrificio innazi al tuo altare.”
Non le credere.
Spike abbassò
gli occhi. E faith, in un battito di ciglia, fu di nuovo nelal sua mente.
Informe e calda, incredibilmente viva.
“Non lasciare
che ti spezzi. Non credere che questo dovesse accadere. È solo successo. Vai
avanti. Vai avanti e non voltarti.”
“faith, no.
Andrà...”
“Risparmia le
cazzate. Lo sai benissimo come funziona. Il dovere di una cacciatrice è farsi
ammazzare.”
“Non... non tu.
Tu non puoi morire.”
Faith non
rispose. E, quando i suoi occhi si chiusero, Spike semplicemente, chiuse i
propri.
"Tutto
ok?" - domandò Faith. La musica si levava ancora alta. Ma per loro aveva
ricominciato ad esistere solo da qualche secondo.
"Meglio
dell'ultima volta che mi è successo…" - ribattè lui - "Per lo meno non
siamo franati a terra…"
"Immagina
la scena." - rise lei - "Aggrovigliati in tutta questa seta. Oddio,
avresti potuto strapparmi il vestito!"
Eri vestita di
seta, come ora. E io... io avevo appena capito che ti amavo.
"Oh, sì,
hai corso un tremendo pericolo…" - l'apostrofò - "Ma del resto ci sei
abituata…"
"Ovvio. Io
sono la cacciatrice." - ribattè lei con naturalezza.
"Oh, lo so, Faith. Lo so."
E lei lo
guardò, come l'aveva guardato quel giorno, nel carpirgli il segreto.
Fin dentro le
iridi. Fino a capire.
Ora era lei che
aveva la sua vita tra le mani.
"Sei
morto, vampiro." - sussurrò, mentre le labbra si inarcavano in un sorriso
di consapevolezza. Mentre Spike ricambiava la sfida, con lo stesso lampo negli
occhi.
No, ti sbagli,
faith. Non ero mai stato così vivo. Mai. Perchè lo sapevo, ormai, sapevo che
eri tu che avevo atteso, di generazione in generazione, di cacciatrice in
cacciatrice.
Nulla avrebbe
potuto negare la realtà dei fatti.
Lei era la
Cacciatrice. E tra le sue braccia stringeva l'Uccisore. Facendolo sentire al
sicuro.
Senza che paura
alcuna sorgesse dal suo cuore.
Tu, faith. Tu
eri l'obbiettivo finale della mia ricerza. E da te mi sarei fatto uccidere.
Spike non
parlava. La sua bocca si era increspata in un sorriso. Un sorriso molto triste.
Un sorriso che più volte gli era apparso sui lineamenti, in quella lunga
giornata di attesa.
"Spike…"
- lo sussurrò, prima ancora di sapere cosa dirgli. Prima ancora di rendersi
conto che avrebbe ricambiato, con la stessa dolcezza negli occhi.
Prima ancora di
capire che avrebbe dovuto avere forza per entrambi.
"La musica
è finita." - bisbigliò, voltandosi con una sorprendente naturalezza e
bilanciando il peso di entrambi sulle sue gambe - "Tienimi abbracciata,
fai finta di niente e comportati da idiota, come tuo solito."
“Faith...” -
sussurrò, come una preghiera. Cacciatrice...
Le labbra di
Faith, in risposta, si inarcarono nel suo nome.
Ma senza un suono. E senza un respiro.
La musica è davvero finita, amore mio. Io non riesco più a sentirla.
***
“Anya fu di
parola. Quando arrivammo, il massacro era già in atto. Ma di Darla nemmeno
l'ombra. Anya, dal centro di una confusione in cui arti strappati e
decapitazioni erano ricorrenti, ci urlò di proseguire, di cercarla fuori da
quella cripta che sembrava un salotto. E noi, senza discutere, obbedimmo. Anche
perchè presto fu evidente che ci sarebbe bastato correr dietro ad Edward ed
Angel. L'odore di sangue di Spike era davvero troppo forte per non essere
percepibile a Angel e Coventry, con gli occhi iniettati in quel modo, avrebbe
saputo trovare suo fratello anche in Patagonia.”
LosAngeles
Era una sale
enorme. Una vecchia sala riunioni, probabilmente, uno di quegli enormi spazi
adibiti alle feste degli anni settanta, gradinate, colonne di cemento e
tendaggi pesanti. Solo un tocco vampirico in più, per le catene e il sangue. Ma
null'altro di rilevante da notarsi, se non Spike, legato per i polsi,
incatenato in cima ad un piccolo podio.
O, almeno,
questa fu la prima immagine che Dawn registrò, risvegliandosi. La seconda,
agghiacciante, la figura ai piedi di Spike.
Faith.
Faith.
Sembrava
disposta ad arte, la mano lievemente distesa verso Spike, la testa reclinata
nella sua direzione. L'avevano magistralmente cambiata d'abito, vestendola di
rosso, un lungo e affusolato vestito rosso che la carezzava e ne delineava la
figura sottile e morbida.
Spike la
fissava, come ipnotizzato. E non un movimento, non compiva un singolo movimento
per liberarsi.
Agghiacciato.
Spezzato. Del tutto.
“Spike...” - lo
chiamò Dawn. E poi, sempre più forte, scotendo le catene che la bloccavano. Il
vampiro che la sorvegliava le rifilò un malrovescio, ma a Dawn non importò. Era
intenzionata a continuare a chiamarlo, fino a vederlo sollevare la testa.
Nulla.
Non succedeva
nulla. Spike aveva occhi solo per Faith. Per Faith.
Una volta
aperte le danze non ti fermeresti mai.
Perchè nessuna,
nessuna era mai stata come lei.
“Triste, vero?”
- domandò una voce, dal buio. E Darla emerse, vestita di un azzurro tenue e
morbido - “Un'altra tua donna che ti lascia... la tua Cacciatrice...”
Ti svegli ogni
mattina con l'interrogativo che ti ronza nel cervello.
oggi sarà il
giorno della mia morte?
La morte ti sta
alle costole e, prima o poi, ti piomberà addosso.
“L'hai cercata
ovunque, l'hai annusata, respirata. Le hai dato la vita e la morte. Non ti è
mai importanto che volto avessero, come si chiamassero. Le trovavi tutte
bellissime. E poi.. poi è giunta questa. Questa insignificante ragazza
bruna...”
Una parte di te
lo vorrebbe, per mettere fine alla paura e all'incertezza.
Perché sei
innamorata della morte.
La morte è un
opera d'arte, la modelli con le tue mani,
giorno dopo
giorno, fino all'ultimo respiro.
“Non Buffy, no.
A lei non hai potuto nemmeno ambire. C'era già il tuo grande idolo tra le
sue cosce. Il tuo bell'Angelus ti ha
portato via la preda più appetitosa... chissà che problema per te
accettarlo...”
Ah, quel senso
di pace. Parte di te lo vuole disperatamente.
Come sarà?
Dove ti
porterà?
“Senti il suo
cuore... ascolta... no, non sento quasi più nulla... ah, no, eccolo.”
Ora lo vedrai…
Ecco il
segreto:
non è nei pugni
che non hai dato...
“Ancora un
battito...”
o nei calci che non hai sferrato...
“Ancora uno...”
Loro lo hanno
voluto.
“Strano, non
sento più nulla...”
Ogni
Cacciatrice desidera la morte.
Anche tu… si,
anche tu.
“Ssss... c'è
troppa confusione... troppa...”
L' unica
ragione per cui duri da tanto tempo è perché hai ancora legami sulla terra…
Ma stai solo
rimandando l'inevitabile.
“No, aspetta.
Non è la confusione...”
Presto o tardi,
vorrai morire.
ed in quel
momento, nel momento in cui lo vorrai,
io sarò lì per
te, a tutti i costi, io mi godrò il giorno speciale.
“E' solo silenzio...”
Ti amo. Ti ho sempre amato.
“Oh, quanto mi dispiace.” - sospirò Darla. E Spike, gettando la testa
indietro, eruppe un urlo che non aveva niente di umano.
***
Angel fece leva con le braccia. Ed il
demone, colpito in pieno petto dal calcio, cadde rumorosamente dai tre gradini.
Rideva. Rideva dei loro grotteschi sforzi di liberarsi della sua ingombrante
presenza all'ingresso della sala.
E stava ancora ridendo quando l'urlo
lacerò le stelle e il cielo.
Angel, afferrato a una catena da
lampadario, sollevando i piedi per darsi slancio, ondeggiò pericolosamente.
“Cosa pensi di fare?” – gli chiese,
colpendolo in pieno viso. Colpendolo di nuovo – “Pensi sul serio di potermi
fermare?”
Il cuore gli si strinse. Ed egli mollò la
presa. Methos, con prontezza, fermò con la spada il fendente che stava per
calare su di lui. E sentì i peli delle braccia rizzarsi per l'orrore.
No, non poteva essere successo. Non con
loro così vicini.
Con solo una porta, una porta in mezzo.
Sentì Edward urlare. Lo guardò gettare
indietro la testa con un ululato identico a quello del fratello. Era furioso e,
probabilmente, come Angel sentiva il dolore di Spike scivolare fin nelle
fondamenta dell'edificio.
Faith, la mia Faith...
"E' bello,
non trovi?" - la voce di Faith si era fatta pastosa, lenta nelle parole.
Angel chinò la testa, fino a intravederla, con gli occhi chiusi.
"Che cosa
è bello?" - sussurrò, scostandole i capelli dal viso.
"Essere
protetti. Come me e… Spike." - sospirò, e si addormentò del tutto.
"Hai
ragione bambina. È bello." - sorrise Angel nel baciarla dolcemente.
Non vi ho protetto. Non ho protetto
nessuno dei due.
Si rialzò, con un ruggito. E Methos
lasciò andare la propria spada, mentre Angel l'afferrava. E colpiva, colpiva,
colpiva.
Con un calcio aprì la porta, il sangue
ancora sul volto mutato, sulle mani.
Dietro di lui Methos ed Edward.
Ma Spike non lo vide. Spike, negli occhi,
non aveva più nulla. Nemmeno l'anima.
Darla si voltò, sorridendo, andando loro
incontro. Angel vide Dawn, il coltetto puntato alla sua gola e di istinto,
lanciò la spada. Il vampiro finì in cenere.
Edward deviò, liberandola, ma Angel
proseguì la sua corsa verso Spike, verso Faith. La spada tornò nelle mani di
Methos ed egli sfilò a fianco di Darla senza vederla, senza curarsene.
Di fronte a lui, un ringhio selvaggio e
null'altro, c'era Spike, ancora legato, ancora innanzi al corpo di Faith.
E Faith... Faith non c'era più.
Angel lo percepi come una coltellata.
"Angel.
Spike ha ragione."
"Ragione
su cosa?"
"Sul fatto
che tu non ci vedrai mai cresciuti."
Non ho fatto in
tempo a vederti cresciuta. Ti ho persa prima.
In un attimo fu su Spike, a liberargli le
mani. Methos di stava occupando di chiunque volesse mettersi in mezzo. E
Darla... Darla semplicemente guardava.
“Guardami.” - mormorò Spike. Ed Angel alzò lo sguardo, fissandolo. I
loro visi… se Spike avesse respirato, il tepore lo avrebbe colpito alle labbra.
Il veleno che sentiva diffondersi in ogni cellula, il dolore che strisciava, di
fondo, annientandolo, gli rimase intrappolato nella mente. E, quando parlò,
Angel lo fece solo con il cuore, come una notte, in un’altra vita ancora.
“Io sono qui. Perché tu hai bisogno di
me.”
Spike si divincolò, senza riconoscerlo
realmente. E, una volta libero, lo colpì.
“Tu non mi hai trovato. Lei è morta.”
Un altro colpo raggiunse Angel in pieno
viso, senza riuscire a spezzare la sua certezza.
“Come due fratelli.” - ripetè,
incespicando. Non arretrava, non poteva. Alle spalle c'era Faith. Solo Faith.
Un altro pugno.
“Hai ragione.” - ammise - “Puoi farmi
sputare sangue. Ma non menzogne. Io non ti ho trovato, ma... ora... sono...
Qui. Io salverò almeno te, devo provarci. Devo.”
Io... io posso riuscire.
Negli occhi di Spike si era accesa la
follia. Lo colpì, ripetutamente, ma Angel, in ogni respiro mozzato dalla
violenza, lo fissò ancora. E ancora.
Darla rideva, nessuno la faceva smettere.
Angel aveva altro a cui pensare. E si lasciò colpire, parando, senza mai attaccare, senza mai arretrare, fino a quando
non vide la lacrima.
Tu mi hai salvato William. Io ogni attimo
ogni attimo che abbiamo condiviso, tu sei stato tutto per me. Tutto. Tu.. tu
sei la mia redenzione. E la luce per cui arranco, ogni giorno, sei tu, per me.
Non credevo nella rifulgenza. Poi ho avuto te.
Si, una lacrima.
Una, singola, fatta per disegnargli
ancora il profilo dello zigomo.
Lo vide portarsi le mani alle tempie,
piegarsi per il dolore mentre, con i lineamenti stravolti, colpiva la prima
cosa sotto mano. E spezzava, con rabbia, il collo del demone alle sue spalle.
Per riportarsi ancora le mani alle
tempie.
Ed Angel comprese che quella fitta,
dritta al cervello era la fitta della consapevolezza.
Una goccia strisciante, fin dentro lo
spirito.
Se ne è andata, se ne è andata per
sempre. Un'eternità. Un'eternità senza di lei.
Non sento più la musica...
Quando Spike rialzò la testa, l’anima che
sembrava perduta si riaffacciò nel suo sguardo.
Ed Angel si sorprese ad urlare. Urlare.
“Tu devi combatterlo William. Combatti il
demone, combattilo. Devi ricordare, dannazione, non è possibile che sia tutto
svanito.” – urlò, strattonando ancora le catene che aveva ai polsi – “Vedo la
tua anima. Io la vedo, la vedo nei tuoi occhi, come tu vedi la mia. È ancora in
te, smetti, smettila ora.”
Non lasciare che il demone ti divori.
Guardarmi. Guardami, will. Guardami, fratello.
La risata di Darla non era più udibile,
ma Angel sentiva i propri singhiozzi. E quelli di Spike.
“Ti voglio bene William, ti voglio bene.”
darla sent una coltellata al cuore innazi
a quelle parole. E la risata le si mozzò sulle labbra.
Tu devi amare me. E nessun altro.
“Adesso basta.” - sibilò. E, al suo
ordine, i balestrieri apparvero alle balconate superiori e, nel prendere la
mira, scelsero la schiena del flagello come primo trofeo.
“Guardami.” - pregò ancora Angel.
“Ti vedo.” - annaspò Spike. E la pietra
inbvase i suoi occhi, indurendoli, irraggiandoli di acciaio - “Ti vedo,
fratello.”
Ti vedo. Sento il tuo sangue ribollire.
Sento il tuo corpo.
Come sempre, sento il tuo corpo.
All'improvviso
si sentì pericolosamente sull'orlo di un abisso. Barcollò, cercando di
resistere e poi, arresosi, attese l'impatto col pavimento.
Due braccia
forti lo cinsero,si tesero per trattenerlo in piedi e poi infine sollevarlo,
come se non pesasse nulla.
Era quello il
tepore della pace. Spike ne fu colpito, scosso.
Si rannicchiò, per
istinto, aggrappandosi, ricambiando la presa, con le braccia strette attorno al
collo, il viso seppellito su quella spalla solida. Lo fece consapevolmente,
perché voleva farlo, fregandosene delle conseguenze, sperando in una reazione
che non fosse rifiuto.
I ricordi lo
colpirono, violenti, ricordi dei giorni di dolore che non sapeva di poter
avere.
I suoi ricordi
erano Angel. Angel e la sua forza, il suo silenzio. Angel che lo tratteneva,
Angel che gli teneva una mano tra i capelli quando piangeva nel sonno.
Angel,
semplicemente, con le sue contraddizioni.
Angel,che non
gli avrebbe mai permesso di cadere.
Non sei arrivato in tempo. Ma sei
arrivato, come sempre.
E io non ti deluderò, mai.
“Voglio vendetta.” - disse ancora, i loro
volti nuovamente vicini, gli occhi infiammati di anima, dolore e furia.
“Prendila, allora.” - rispose Angel - “Io
resterò con lei fino a quando non tornerai.”
***
Accadde in un attimo. Spike, con una
falcata, saltò i tre gradini. Ed Angel lo vide allargare le braccia. Vide le
frecce sfondargli il torace, in una traiettoria perfetta, bucandogli i polmoni,
laddove, agli occhi dell’arciere, fino a pochi attimi prima, stava il cuore di
un altro vampiro.
Una spinta.
Una semplice spinta, per scambiarsi di
posto.
Prima di ruotare su se stesso, le braccia
sempre spalancate.
Un’altra freccia incoccata pronta a
colpirlo si fece largo nella visuale di Angel.
Una freccia che si fermò a mezz'aria
prima di ricadere a terra.
Dawn aveva entrambe le mani alzate innazi
al viso. E urlava.
“Non chiedermi come ho fatto!” - gridava,
nel rispedire al mittente i dardi, mentre Edward ne approfittava per
allontanarsi in direzione di Angel - “Ma non smetto!”
In quel mentre, percorrendo di volata la
sala, Wes scivolò con la moto di fronte
a Spike.
Aveva mollato il manubrio, ed impugnava
le pistole, con entrambe le mani.
Ai piedi della scalinata. Sdraiato,
protetto come da uno scudo invisibile che si sovrapponeva aquello creato da
dawn, i colpi a ripetizione.
“Fatelo.” -
urlò, senza rialzarsi, senza osare voltarsi e vederla - “Fatelo ora.”
“No. non
adesso. Non è tempo.” - urlò angel, alzandosi di scatto - “Prima.. prima la
vendetta. Non la porteremo nella nuova era.”
C'era edward,
edward stava correndo. E aveva consapevolezza negli occhi. Impossibile dire
cosa stesse realmente vedendo. Ma Angel poteva
sentirlo, senza tentennamenti.
Tu sai che devi
compiere qualcosa.
Hai salvato me.
E ora salverai lui.
Spike era
caduto, senza più la forza di strapparsi le aste dal corpo. Angel, afferrandolo
per la vita, lo portò al riparo sul rialzo.
“Resta qui.” -
disse, afferandogli il viso con le mani – “Resta qui e andrà tutto bene.”
“No, Darla...”
“Vado io da
lei, William.” - sussurrò, stringendo la spada.
“Angel, non...
Cecily, Faith...”
“Lo so. Ma non
mi accadrà nulla. Te lo giuro.” - gli occhi gli brillarono di oscurità. E Spike
annuì, piegando la testa, scosso da singhiozzi che non poteva più controllare.
La sacca non
era ancora caduta sul sentiero, ma Spike era già di fronte a Faith, in cima
alla breve gradinata. E prima che lei
potesse dire qualcosa, o appena rendersene conto, la baciò, afferrandola per le
braccia.
La baciò con
forza e possesso. E lei, sorprendentemente, ricambiò, infiammandosi su quelle
labbra gelide e umide. Quando si
separarono, trovandosi ancora abbracciati e ansimanti, Spike le sorrise, e alzò
la testa.
“Guarda lì.” –
mormorò – “Vischio.”
E Faith con la
paura nel cuore per quel bacio rubato, gli sorrise. E annuì.
Avrebbero avuto
tempo. Adesso ne erano certi.
E' stato poco. Troppo
poco.
"Cosa
vedi, Doyle?"
"Vedo che
li hai uniti. E che mai nessuno potrà più separarli…"
***
“Darla.”
Era un ruggito.
Un ruggito.
E Darla
correva, percorreva il corridoio in cerca di una via di fuga. Eppure, ovunque
si combatteva. Tutti colore che aveva raccolto, la corte e l'esercito,
giacevano ovunque, accasciati. Non erano che dieci guerrieri e stavano mietendo
vittime come nessun altro prima di loro. E non esisteva posto in cui Angelus
non l'avrebbe stanata, nessuno.
Incespicò,
cadde, si rialzò di corsa.
Si voltò,
nervosamente.
Ed egli planò
su di lei, senza pietà.
La spada le
lacerò il vestito e la pelle. Gridò, ostentando piacere, ma un secondo colpo le
mozzò la parola, come se potesse toglierle il fiato. Con orrore, senti la lama
inciderle la gola con una profondità eccessiva. Rantolò, portando le mani alte,
verso il viso. Ed Angel colpi di nuovo, deturpandola.
Non poteva più
gridare. Poteva solo sussultare, schiacciata dal suo peso, dalla sua furia.
Nessuna ultima
danza, nessun elegante e passionale addio. Nulla.
Solo violenza.
Violenza demoniaca.
Darla era
bella.
Senza paura.
"Mio
bellissimo Angelus…"
Darla lo
inebriava, con il suo profumo, la sua morbidezza, la sua essenza. Il velluto
gli scivolava sui pantaloni mentre Darla lo avvolgeva in un morbido abbraccio,
sussurrandogli nell'orecchio, fissando la Cacciatrice sulla soglia.
Angel non aveva
bisogno di guardarla. La vedeva, si lasciava avvolgere senza un movimento.
Era il loro
ultimo abbraccio.
Chinò il capo,
per sussurrarle in un orecchio. Non voleva che Faith sentisse.
"Saremo
legati per sempre, Darla. Sarai sempre la mia Regina…"
I loro palmi si
incontrarono, dita contro dita.
Angelus voleva
ballare, ballare con lei. Era venuto a lei dispensando morte e distruzione,
conducendo come dono una Cacciatrice forte e rinnegata.
Darla danzava.
Danzava con
lui.
Danzava per
lui.
Danzava
accettando la sua sconfitta per dono, danzava mentre il sangue di Spike ancora
gli impregnava i vestiti. Profumato. Eccitante.
Danzava,
seppellendo il viso laddove Spike aveva piantato i denti.
Danzava,
respirando l'aroma di quel sangue maschile, lo stesso, di due corpi differenti.
Alzò lo
sguardo, lo immerse in quello di Angel, si saziò delle lacrime che ancora gli
scendevano sul volto, scandendo il ritmo.
Chiuse gli
occhi, si lasciò sommergere da una marea incontrollabile.
Ed Angel alzò
lo sguardo a Faith. Un lampo fuggevole fatto di silenzio.
"Sarai
sempre la mia Regina…" - sussurrò ancora.
E lasciò
scivolare a terra il velluto rosso, quando il paletto di Faith si bloccò a
pochi millimetri dal suo petto.
Rimase a
fissare la polvere, mentre con leggero movimento si depositava a terra.
"Lunga
vita alla Regina."
“Torna
all'inferno che ti meriti.” - mormorò, infine - “E restaci.”
Darla non sentì
altro. E il suo corpo divenne polvere mentre la testa ancora rotolava lontano.
***
London
“La morte di
Darla disperse gli ultimi facinorosi. E
noi ci trovammo di colpo disoccupati.” Doyle si indicò, con aria sorpesa
- “Perchè, credevate mi perdessi lo spettacolo? Ero nelle retrovie e non corro
veloce. Alla sala sono arrivato molto dopo, in effetti. E, quando giunsi...
quando giunsi mi dispiacque non essermene stato a casa.”
Pausa.
“Per qualche
minuto, insomma. Per qualche minuto mi dispiacque proprio!”
***
LosAngeles
“Ehi.”
C'era Edward.
Spike se ne rese conto quando sentì il proprio corpo inglobato dalle sue
braccia. E si appoggiò di peso al torace, mentre Edward lo obbligava ad
alzarsi.
“Vieni con me,
muoviti. William, muoviti, c'è ancora una speranza.”
Cosa? No,
Edward, ti sbagli. C'è solo morte. Morte.
Era una
cacciatrice. L amorte era il suo unico amore. La morte era il suo unico
destino.
“Non ci siamo
ancora.” - urlò Methos. Era chino su Faith, assieme a Wes - “Ho bisogno di
Angel, cercatemi Angel!”
Non teneva una
mano sul corpo di Faith per cercarle un battito, non si agitava per salvarle la
vita. Le teneva solo le dita strette tra le proprie, senza smettere di
guardarle il viso.
“Andiamo,
andiamo, andiamo...” - si voltò versò Spike, posandogli una mano sul collo, di
violenza - “Ricordi quel giorno, will? Il giorno in cui avresti dovuto
scegliere? Lo ricordi?”
“Questo è il momento della tua scelta,
libera e umana, uccisore delle cacciatrici, William il sanguinario, sangue dei Coventry... Spike.” - e Spike suonò come
un tuono, nel silenzio - “Combatti per ciò che ami, ora, scegli cme essere che
ama, odia, soffre. Scegli. E non voltarti più indietro.”
Ascolta l'Antico, William, sussurrò
Angel, riempiendo la sua anima. Ascolta l'Antico e afferra la luce che ti è
stata sottratta.
E non voltarti mai più indietro.
“Mai più.” - aggiunse Faith,
apparendogli, lattiginosa, evanescente, dietro le palpebre chiuse - “Perchè nel
domani saremo per sempre intrecciati. E per sempre a cavallo di luce e ombra.”
“Tu lo senti.” - fece eco Methos - “Tu lo
senti accadere. È come aria troppo fredda, è come un sorso di vita dalla coppa
di dio."
È la reminiscenza, Spike.
È il dono del sangue di Edward.
E compi il tuo destino.
Compi il nostro.
Come un automa, Spike annuì. Non aveva
parole, non sentiva di possedere altre parole.
"Allora scegli per tutti noi."
- ingiunse Methos, deciso – "E fai ciò per cui sei giunto fino a qui in
questa via di dolore."
La mano di Faith, tra le sue, ebbe uno
spasmo.
***
Si inarcò cercando aria, gli occhi
sbarrati, il cuore che ripartiva violentemente. Edward, come Methos, sentì
l'aria risucchiata dai polmoni e temette che le gambe gli giocassero un brutto
scherzo.
Reminiscenza.
Reminiscenza.
Lei è... è una di noi.
“Ragiona, Edward.
E fallo con l'istinto e non con il cuore, pezzo di imbecille che non sei altro.
Tu l'hai sentita. L'hai sentita.Tu puoi.” - insistette - “Sotto la sua natura
di predatrice, tu l'hai perfettamente sentita.”
I nostri mondi
si toccano e si sovrappongono.
Ora comprendo,
comprendo fino in fondo.
Il grande amore
di mio fratello. Le cacciatrici. E tutta la stirpe che, in lei, abbraccia
l'eternità.
E l'eternità...
l'eternità appartiene a me. Nella luce.
Si piegò,
cominciando ad arrotolarsi le maniche, a slacciarsi il colletto. E si voltò,
cercando Angel, guardandolo apparire dal buio. Senza controllarsi, gli sorrise,
di sfida.
Angel girò impercettibilmente la testa. E
i due si fissarono. Poi Angel, con un sorriso arrossato dal sangue, tornò ai
suoi lineamenti di sempre.
“La prossima volta ti bacio.” – lo
sfotté, sottovoce, prima di voltarsi.
“Provaci!”
“Spike!” la
voce di Wes era carica di urgenza, mentre raccoglieva Faith tra le braccia, una
Faith ancora impegnata a rantolare e tossire, senza consapevolezza e nel
terrore - “Devi marchiarla. Mordila. Ti serve il suo sangue.”
C'era una
campana, lenti rintocchi scanditi. Mezzanotte.
Oggi Faith è la
causa. Domani sarà il mezzo.
Gli occhi di
Spike, dilatati per la sorpresa e l'incapacità di capire, si riempirono di
orrore. Ed egli scosse le testa, cercando di arretrare.
“No, io, no...”
“William.” - la
voce di Edward schioccò come una frusta. C'era Angel che lo raggiungeva, alle
spalle - “ascoltami. È un'immortale, è una di noi, io ho sentito la reminiscenza.
Tu non le farai del male, non le farai nulla...”
“Edward...
Edward non chiedetemelo.”
“Ascoltami.” -
Angel aveva lasciato cadere la spada e spike gli aveva afferrato il collo,
stringendo disperato.
“Tu lo puoi
capire, angel, non lasciare che io la morda.” - non lo aveva detto, ma Angel lo
sentì comunque. Era una mente piena di paura, confusa, un corpo che tremava
contro il suo.
“Tu devi
farlo.” - rispose, tenendolo stretto e incrociando gli occhi di edward. Solo un
cenno per capirsi, e l'immortale si voltò verso la Cacciatrice - “Lei non vuole
essere la Cacciatrice per l'eternità, Spike. Non incatenarla a questa missione,
lasciala libera. Lasciala andare.”
Faith e Spike.
Spike e Faith.
Si inseguivano
e si univano. Come se, da un momento all'altro, i loro corpi dovessero
fondersi, scivolare uno nell'altro. Senza che almeno uno prevalesse.
Faith era la
Cacciatrice che non si piegava innanzi
all'Uccisore.
“No, angel. Non
me lo chiedere...”
“Devi credere
in te, william, credi in ciò che senti. Queso ruolo ti appartiene, ti
appartiene di diritto. Tu sei colui che le conosce, l'unico che sa stregarle e
ucciderle. Le conosci come te stesso... prendi per te la loro natura, dai uno
scopo vero al loro istinto.”
La sua maestria
era pari solo alle parole che gli osservatori avevano sprecato su di lui. Non
c'era metafora o termine che fosse puro diletto letterario.
Semplici
relazioni, rapporti su un giovane vampiro biondo dal nome altisonante. William the Bloody. Spike.
Semplicemente spike. Più che un chiodo, una lama troppo affilata.
C'era qualcosa
in lui che si esprimeva soltanto nel confronto diretto con le cacciatrici. Nel
corpo a corpo. Spike aveva fuso le capacità del suo sire con un'eleganza ed un
entusiasmo per la lotta che andavano ben oltre quello che i presenti riuscivano
a concepire.
Spike era la
lotta. Anima e sangue. Mai come ora più simile ad una Cacciatrice.
Sei ciò
l'universo attende, ciò che Drusilla ha portato fin qui, attraverso il buio,
perchè potessi tornare alla luce.
Combatti per la
luce. E non voltarti più indietro. Mai più.
Tu sei nato per
questo, William, lo hai sempre sentito.
“Io non sono
stato presente alle due uccisioni che ti hanno reso famoso. Ma penso di sapere
che cosa vedono le cacciatrici; il loro sbaglio sta nel lasciarsi sorprendere
dalla tua motivazione. Non cadono innanzi alla brutalità ed alla violenza,
rimangono sorprese dall'obbiettivo che consegui. Sono le prescelte, il più
delle volte ci massacrano perché sono educate a farlo. Non combattono con noi,
combattono contro loro stesse. Ma, in te, vedono la stessa cosa che ho visto io
quando ti ho vampirizzato.”
Le cacciatrici
ti appartengono, la stirpe ha solo atteso la tua venuta, generazione dopo
generazione. Tu hai portato la morte, tra loro... ma loro non hanno mai smesso
di amarti.
"Nell'altra
mia vita sono stato un pazzo ed un assassino. Ma anch'io sapevo riconoscere il
talento. Tu volevi il potere che potevo darti. E per me l'importante era
concedertelo, per poi umiliarti e spezzarti. Ma non ci sono mai riuscito. E non
perché mi è mancato il tempo. Non ci potevo riuscire. Sei molto in gamba,
William. E lo eri già da vivo."
Tu sei giunto
fin qui come vampiro, come uomo, come eroe.
Tu sai cosa
siano le tenebre e sai difendere la luce.
“Salva Faith.
Mordila, poni il tuo marchio. E liberala.”
***
"Combatti
e polverizzi i miei simili ogni notte. Ti hanno detto che è giusto, ti hanno
spiegato il modo per farlo. Ti hanno detto che lo puoi fare. Anche senza un
perché. Sei la prescelta. Qualcosa, nel tuo dannato bagaglio genetico, ti dice
che è la cosa migliore da farsi. E tu lo credi…"
Angel... angel
resta con me, ancora un istante. Ancora un attimo, prima di scegliere.
“Tu sei
pronto?” - domandò Angel, voltandosi verso Edward. E il vampiro gli offr il
polso, la mano aperta in segno di resa.
“Qualche parola
che devo dire?” - domandò, incolore, guardandolo con sfida.
“Digli che gli
vuoi bene.” - replicò Angel, afferrandolo e attirandolo più vicino a William -
“non ha mai avuto bisogno di altro.”
E deve
ricordarselo, mentre il tuo sangue gli corre in gola.
“Ancora un
istante, ancora uno...” - sussurrò Spike. C'erano edward e angel, le loro voci.
Ma erano lontane.
Esiste solo
Faith. Pensa a Faith. Faith.
Faith ha
adempiuto il suo compito e pagato per tutta la vita. Ora è immortale, non posso
lasciare che il consiglio la prenda e la schiacci, non posso lasciare che si
dilani verso due mete egualmente
importanti. Io la conosco e la amo, non voglio che corra sola incontro a tutti
questi nemici....
"Quanti
vampiri riconoscono le tue doti?"
"Sempre
troppo pochi."
"Puoi
ucciderci a centinaia, a migliaia di migliaia, insieme a tutte le legioni
infernali… ma a noi basterebbe che uno, solo uno, prima o poi, ottenesse quello
che vorrebbero tutti…"
"E che
cosa sarebbe?"
"Sarebbe…"
- le aveva sfiorato il collo con le labbra - " un giorno speciale…"
La sua natura è
stata la causa di ogni mia passione... ora è il mezzo per cui afferro il mio
destino.
“Per tutti i
vampiri la parola Cacciatrice è sinonimo di puro terrore. Ma io non mi
nascondo. anzi, vado a cercarla. se puoi divertirti con la morte e la gloria
cosa c'è di meglio…"
Bevi dalla
coppa, William. Bevi. E cambia gli eventi.
“La stirpe si
spezzerebbe, rimarrebbe solo lei. Non segregarla nella sua missione fino alla fine
dei tempi, liberala. Liberala. E prendi il suo posto.”
Io sono più
forte di lei.
Lo sono sempre
stato. Ed è questo il mio destino.
"Essendo
un vampiro, non ho niente da temere…
Ho un solo
obbiettivo…
e quello sei
tu."
[XI]
London
“Poi accadde. Un
attimo prima Spike non connetteva nemmeno, un attimo dopo stringeva Faith tra
le braccia, i denti e il volto affondato nel suo corpo, sul suo seno. Io e
Methos ci allontanammo. Non potevamo restare o saremmo stati travolti dalla
potenza di ciò che stava per accadere. Solo Dawn avanzò, mentre tutti noi
arretravamo. Era splendida. Credo abbia compreso cosa fare nell'attimo stesso
in cui Spike ha compiuto la scelta. Dopotutto, questa era l'ennesima
connessione dell'esistenza che doveva avere un senso: il vampiro e la chiave,
così inspiegabilmente uniti. Dopo, non
si è sentita in dovere di spiegare niente a nessuno.”
Wes si passò
una mano sugli occhi. E, come sempre, posò gli occhiali sul tavolo.
Los Angeles
“Lasciala a
me.” - sussurrò Edward, afferrando Faith tra le braccia. E, sempre
stringendola, tese il braccio verso di lui, senza paura - “lo hai già fatto,
per istinto. Ripeti il gesto.”
marchiami. Io
ti accetto per ciò che sei.
E tu sei
William, mio fratello, il portatore di luce.
I denti di
Spike furono precisi. Edwrad li sent penetrare e, nello stesso istante, la mano
di Angel gli strinse il collo in maniera rassicurante e forte.
“Non te ne
andare.”
“Non me ne
vado.” - replicò Angel, guardandolo dritto negli occhi. E non erano parole
udibili, se non nella mente. Non me ne vado.
Come te, anche
io dovevo essere qui, ora.
Per te.
Per Faith.
Per lui.
Per lui, per
l'ultima volta.
London
“Spike si era
nutrito di Faith e rinnovato il suo legame con Angel ed Edward sempre tramite
il sangue. E fu come aveva disegnato Doyle e predetto Drusilla. Dalla luce di
Edward, dall'ombra di Angel e dalla natura di Faith, Spike rinacque. E lo fece
per amore, puro e semplice amore.”
Wes sorrise,
abbassando lo sguardo.
“La stirpe si è
consegnata a lui, senza paura e senza rimpianto. Le cacciatrici hanno
abbandonato la notte, i vampiri si sono nutriti di luce. E l'eternità...
l'eternità ha fatto e farà il resto.”
Pausa. Poi un
colpetto sfrontato alla fronte, coem se una cosa importante lo avesse colpito.
“Ah, fossi in voi,
cambierei la dicitura dei files. Non è più William il sanguinario.” -
puntualizzò, chiudendo la penna con uno scatto e alzandosi.
“E sarebbe?” -
lo provocò una voce spazientita.
“William...” -
ribattè, senza scomporsi - “...Il cacciatore dagli occhi azzurri.”
***
"E'
tutto." - comunicò Doyle, laconico, alzandosi – "Noi andiamo. Statemi
bene."
"Un
momento. Non credo che sia tutto."
"Lei dice?
E cosa vorrebbe d'altro, mi scusi? Abbiamo una stirpe che si è conclusa, una
Cacciatrice divenuta immortale e libera da ogni obbligo, cosa che dovrebbe
farvi felici, visti che sono cinque anni che cercate di ammazzarla, e un
Cacciatore che si occuperà della notte per i secoli a venire." - si mise
le mani in tasca e sorrise -
"Siete liberi. Non avete più obblighi, doveri.. potete andare in
pensione oppure a lavorare in un fast food se vi piacere. È finita. In tutto e
per tutto."
"Non credo
proprio. Rimangono dei quesiti aperti."
"Spara. Ti
ascolto. Sono qui per risponderti."
"Chi aiuta
il cacciatore? Gli occorrerà un osservatore."
"A
Spike?" - Wes spalancò gli occhi e scoppiò a ridere – "Spike sa dove
trovare metà dei libri del creato senza battere ciglio... e l'altra metà non gli serve perchè l'ha già
letta! Non abbiamo nessuno di tanto competente da mettergli alle costole."
Gettò
un'occchiata di traverso a Methos. E si sentì in dovere di rifilargli una
stoccata, per mantenere la media oraria.
"Anche
perchè dovrebbe essere immortale. E qui dentro non sono ben accetti."
Methos,
semplicemente, lo ignorò. Con molta signorilità.
Tanto non mi
freghi. Non intendo sobbarcarmi un altro Coventry per nessuna predestinazione.
Perchè io non
credo alla predestinazione. Non esiste il destino.
"E Faith?
Dove si trova?"
"Dove
vuole. È libera. Libera per il mondo con una spada. Potete provare a cercarla
per archiviarne le avventure, ma è piuttosto bravina a volatilizzarsi..."
"Tuttavia,
Edward Coventry potrebbe..." - l'uomo si voltò verso la porta, cercandolo.
La porta ondeggiava dolcemente, aprendo uno spiraglio verso il corridoio –
"Dove è finito?"
"Me lo
chiedo sempre anche io. La nostra eternità assieme è un eterno Bad Day." -
sospirò Methos raccogliendo alcuni appunti di Wes e lanciandoli direttamente
nel cestino della spazzatura – "E pensare che sono il suo
osservatore..."
"E il
flagello? Immaginiamo sia a LA..."
“Immaginate
male. L'Hyperion è stato raso al suolo, in quanto struttura pericolante. Ed
Angel non ama cercarsi nuovi domicili, ha una certa avversione per i contratti.
A quel punto preferisce cambiare direttamente città... al momento sta vagliando
alcune interessanti alternative.”
“Ma il suo
Cantastorie saprà come rintracciarlo, immagino.”
“Il suo di
sicuro. Peccato che io e mia moglie.. perchè vi ho detto che sono sposato,
vero? Io e mia moglie, dicevo, siamo entrambi i messaggeri per Angel e al
momento siamo qui in viaggio di nozze. E ci resteremo un bel, bel, bel po'. È
un posto carino per essere così inglese... stiamo in una pensioncina
meravigliosa, ce l'ha suggerita Wes. Passi a prendere il the... la zia di Wes è
fantastica.”
”Mia.. mia
sorella?” - per una volta tanto sembrava aver perso il suo proverbiale
controllo.
“Oh, si, venga
a trovarla. A quanto dice non vi vedete da vent'anni.. e per un motivo stupido
come un'eredità... rinunciare a dei muffins così buoni...”
“E spike?”
doyle rimase
immobile. Poi, con lentezza, piegò la testa.
“Cosa vuole
sapere.... ancora...”
Cosa, oltre al
suo cuore, al suo amore e al suo eroismo. Cosa.
“Dicono non sia
sopravvissuto. E che voi stiate architettando una nuova brillante trovata per
far svanire la Cacciatrice nel buio.”
“Ah.” - gli
occhi di doyle divennero metallici ed egli si protese, appoggiando le mani sul
tavolo, mentre wes gli si avvicinava, con calma - “Dicono così...”
Si piegò, con
estenuante lentezza. E scandì bene la propria domanda, con movimenti netti
delle labbra.
“E chi lo
dice?”
“Dicono che sia
morto. Che sia morta anche lei. E che voi siate...”
“Siate
disperati?” - lo interruppe doyle, con letale gentilezza. L'anziano iniziò a
temere di aver fatto un passo falso. Alle sue spalle, le vetrate vibravano,
come un diapason - “Distrutti da
dolore? Annientati dallo sbaglio di calcolo? Oppure... dei manipolatori della
realtà?”
“S-si... Si, è
così...”
Iniziava a non
poterne più. Era stanco, forse ubriaco, esasperato. E quella mezza cartuccia di
essere umano, innanzi a lui, non demordeva nella sua ossessionante ricerca
dell'inganno.
“Sarebbe più
facile, vero?” - insistette, furibondo - “Saremmo più facili da capire se
fossimo come voi... se strumentalizzassimo i nostri sentimenti per ottenere
inganni... schifosissimi raggiri di potere.”
“Francis, stai
esagerando.”
“No, Methos,
non sto esagerando.” - sibilò, deciso, piegando la testa - “Stanno scherzando
sui miei dolori e sulla nostra disperazione. E io non lo accetto.”
Non lo accetto.
Dicono non sia
sopravvissuto?
Sono degli
stupidi.
È vivo. Ma per
esserlo, è tornato dalla morte, ancora una volta.
Non scherzate
sull'accaduto. Perchè per noi è stato un incubo.
“Cosa vi
sarebbe piaciuto?” - sibilò. E le ampie vetrate vibrarono ancora, come uno
scampanellio - “Magari avremmo dovuto cominciare con tono melodrammatico,
magari così... spike era morto, era morto da più di un mese...”
Perchè no...
per un poco è stato persino vero.
Spike era
morto. Il mese più lungo della loro esistenza. Doyle schiacciò pensoso il
mozzicone con la punta della scarpa e, distrattamente, constatò quanto fossero
consumati i suoi mocassini. Come allora… come gli erano stupidamente apparsi
quel giorno, mentre correva, ed i polmoni sembravano sfondargli la cassa
toracica, ed il cuore gli batteva così forte da assordarlo.
Un mese. Un
solo mese. E le stelle avevano ancora la stessa luce….
Le luci della
costa si riflettevano nei suoi occhi chiari, alzati verso il cielo. Il mare si
infrangeva a brevi onde sugli scogli. Gli spruzzi si levavano alti e ricadevano
a terra, sospinti dal vento battente. Abbandonavano il mare, piccole semplici
gocce… e si schiantavano al suolo, perdendosi, nella polvere.
Doyle scosse la
testa, irritato da quei pensieri confusi e dalla propria rabbia.
“E poi?” - li
provocò ancora, senza concedersi un respiro - “Come prosegue questa storia?”
Mosse un passo
e tornò ad appoggiarsi alla Desoto. Chissà se spike sarebbe stato lieto di
saperla ormai sua. Probabilmente no, tanto ne era geloso.
Probabilmente
avrebbe preferito saperla ferma, da contemplare, in garage,o forse no.
Doyle non
poteva saperlo. Ma sapeva che mai più avrebbe rinunciato a quella macchina
caotica. Ogni volta che saliva, non poteva fare a meno di sorridere tristemente
per quel piccolo gioco di chiave che Spike chiamava il suo segreto e di come
urlasse imbestialito ad ogni curva tagliata, quasi non potesse resistere allo
stress di essere in balia di un irlandese.
Era un ricordo
dal sapore dolce. E Doyle si perdeva un po’ nel suono di quel motore, senza
smettere mai di domandarsi dove fosse rimasta intrappolata quella piccola
informazione che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi.
Eppure nulla.
Non un’immagine, non una singola parola.
Era silenzio,
puro, agghiacciante e semplice. Spike se ne era andato ed era rimasto solo
silenzio. E solitudine. Un vuoto troppo grande da colmare. Un vuoto, come un
attimo senza conversazione a tavola. L’attimo che solo lui sapeva riempire con
una battuta. Una battuta che ora nessuno voleva più neanche provare ad
immaginare.
Un assordante
silenzio.
Doyle, con una
spossatezza che non era tipica della sua indole, era stanco di provare dolore.
Stanco. Stanco delle lacrime che Cordelia versava ogni notte, posandogli il
capo sul petto. Stanco, per Faith che passava ore sdraiata sul tetto e per Wes,
che suonava accordi di chitarra lenti e innaturali, seduto tra i suoi libri.
Stanco… per Angel… per Edward... Stanco, stanco di non riuscire a sollevarli
dai loro dolori, di non riuscire ad addossarsi quel peso.
Perché, proprio
ora, finalmente, sarebbero potuti andare avanti. Ma non volevano.
Erano
invischiati in qualcosa che non potevano accettare. Erano invischiati nella
vita.
Come ora,
constatò Doyle, tornando al presente. Dannazione, non sapeva nemmeno perché
avesse accettato quel compito. Il sole stava calando, rosso, rapidamente, come
in ogni giorno normale.
Solo che non
era un giorno qualunque.
Era un altro
senza spike.
Un altro giorno
in cui spike non avrebbe camminato impaziente nell’ingresso.
Un altro giorno
che non avrebbe contemplato con quegli occhi penetranti che l’avevano guidato
per quasi due secoli.
“Ironia…” –
mormorò, con gli occhi pieni di stelle – “Polvere e tempo…”
Non sapete cosa
abbia provato... cosa abbiamo...
“Oh, andiamo!
Vecchi miei, dovreste iniziare a rassegnarvi per la sconfitta.” - disse
l'immortale, insinuandosi tra lui e il tavolo - “Signori, quello che state
facendo è molto, molto stupido. Provocate lui e irritate me. Volete la verità?
Lo abbiamo creduto morto, volevamo l credeste morto, è davvero morto. Scegliete
la versione che preferite... Tutto purchè voi non rompiate i coglioni.”
Più nemmeno un
mormorio. Il consiglio, forse, iniziava a metabolizzare al propria sconfitta.
Oppure si rassegnava a non riuscire a ribattere prontamente. E methos ne fu
compiaciuto, malignamente.
“Si, dicono sia
morto. Lo hanno detto. Io non sono nessuno e non intendo smentire.” - aggiunse,
con un'alzata di spalle - “Perchè non ha piu' nessuna importanza. Se Spike è
sopravvissuto, lo ha fatto nel migliore dei modi. Certo, potrebbe averci
lasciato nell'incertezza per qualche tempo... essersela presa comoda... ma, con
una ragazza come Dawn dalla sua parte...”
Ancora. Dawn e
null’altro. Dawn ha salvato Spike e ne è stata la custode. Lo ha salvato dalla
luce con la luce. Ed il mistero che si
nasconde dentro questa azione non era altro che quello di sempre, legato alla
sua forza ed alla sua creazione.
L’aveva detto,
quel giorno, come ogni altro. Ma nessuno aveva avuto il suo potere da
esprimere, assieme.
“Io non posso
vivere senza di lui.” - mormorò Methos, piegando la testa indietro - “Così ha
detto la chiave. Io non posso vivere senza di lui. E la sua voce...”
La sua voce è
stata quella dell'universo, una preghiera e un ordine senza confini, fino agli
estremi del cosmo. Io non posso vivere senza di lui, non posso.
Il suo sangue.
La sua anima.
Il suo cuore.
La sua luce e
la sua ombra.
Ora. E per
sempre.
“Ora e per
sempre.” - aggiunse, in un sussurro, Wes, fissando un punto imprecisato, prima
di riportare la propria attenzione sui suoi pari - “Conoscendovi, non credo che
vi importi di rispettare lo stato d'animo che è seguito il rituale. Per cui
fatevi gli affari vostri. E noi ce ne andiamo.”
“Veramente...”
“Dicono che
spike sia morto. Dicono sia vivo.” - cantilenò, restando appoggiato al proprio
tavolo, le caviglie incrociate e l'aria di chi non ammette repliche - “Dicono
che faith sia ancora faith. Dicono che sia un'immortale. Ma niente significa
niente. E tutto è leggenda. Per voi. E
limitatevi a quanto vi abbiamo detto. Perchè siete fuori dai giochi.”
“Guardate che
vi capisco.” - si intromise l'immortale, sollecito, tagliando corto - “Non è
facile, dopo millenni, essere costretti a cambiare stile di vita. Ma guardatevi
attorno. È un mondo splendido, pieno di insidie, di pericoli e di gente che sa
reagire. Cosa importa se queste ragazze sono o non sono cacciatrici, se ogni
giorno devono affrontare miriadi di problemi. Quanta importanza può avere chi è
stato buono o cattivo se oggi vive nel più giusto dei modi.”
E non sapete
cosa si prova, qui, tra noi.
“Dicono sia
morto? Lo è stato. Dicono sia vivo. Lo è.” - doyle alzò le spalle, sembrando
nuovamente calmo - “Limitatevi al tempo presente e vedrete cambiare il
mondo sotto ai vostri occhi. Non è nel passato o nel futuro la vostra felicità.
La felicità di nessuno è rintracciabile in questa maniera. Se vi guardate
avanti, o indietro, troverete solo la strada che avete percorso e che dovretee
percorrere. No, la felicità è l'attimo inafferrabile di oggi, nulla più.”
La felicità è
un istante. Un istante inaspettato. E cancella i dolori, come se non fossero
mai esistiti.
“Dawnie, ciao.”
– Doyle spense la sigaretta e si avviò verso di lei, con le mani in tasca –
“Buffy… non mi sarei mai aspettato di vedervi qui… problemi?”
dalla macchina
era scesa anche la Cacciatrice. I capelli più corti e l’aria tranquilla non
addolcivano la sua espressione. Buffy, dopo tutto quello che aveva visto,
vissuto e compreso, aveva perso gli occhi grandi e luminosi che Angel aveva
tanto amato. E per quanto calmo, lo sguardo che volgeva lontano era fatto delle
stesse ombre dell’orizzonte.
“No, nessuno.”
– Dawn scosse i capelli – “Come stai, Doyle?”
“Bene, grazie.”
– Doyle inclinò un po’ la testa– “Ma non penso che tu sia venuta qui solo per i
preliminari…”
dawn lo fissò,
in silenzio. Aveva un sorriso dolce ed un po’ enigmatico. E questo, per Doyle,
fu come una scossa. Per un attimo, per un singolo attimo…
uno scherzo, un
gioco di luce… di Luce...
“Doyle… sono venuta restituirvi una cosa.” – mormorò, indicando
la macchina – “Guarda tu stesso.”
Nell’attimo
stesso in cui posò gli occhi sul sedile posteriore, credette di sentirsi
esplodere il cuore. Si afferrò al finestrino aperto, per sporgersi e guardare
meglio.
“Era con me,
non potevo dirvelo. Era pericoloso, lo cercavano in troppi.” – sussurrò Dawn,
avvicinandosi – “Aspettavo solo che stesse meglio, per riportarlo a casa.”
Doyle non osava
voltarsi. Un singolo battito di ciglia e quello che stava vedendo sarebbe svanito.
Come i sogni. Come i miraggi.
“Perché non lo
svegli…” – mormorò Dawn – “Gli sei mancato molto.”
Sorrise, con
gli occhi, con la bocca. E gli uomini che aveva di fronte compresero che
esisteva un'altra felicità non ammessa, in un tempo presente. Quella dentro al
cuore.
Su quel sedile,
avvolto in una coperta, dormiva un corpo. Un corpo privo di respiro, adagiato
su un fianco, le mani, appena serrate, vicine al viso lo facevano apparire
ancora più giovane e indifeso. Doyle si chinò verso di lui, posandogli una mano
sui capelli. Lentamente.
Incontrò la sua
pelle gelida, scostando appena la coperta per arrivare a vederlo in viso,
scoprì dei segni di dolore, anche se il sonno era profondo, lasciò che il suo
cervello si perdesse nell’immensità che aveva di fronte, senza chiedere
spiegazione alcuna. Guidò la sua mano, fino a stringere quelle lunghe dita da
pianista, insinuandosi lungo il palmo ed osservando il leggero tremito delle
palpebre che provocava.
Con un sorriso.
Un sorriso che
gli venne dal cuore quando, in punta di labbra, si perse in un sussurro.
“Ragazzino…”
C’era Doyle. E
non era un sogno. Spike dischiuse gli occhi, cercando di metterlo a fuoco.
C’era Doyle,
sentiva la sua mano. C’era Doyle che gli sorrideva e non era un’allucinazione…
Gli sorrise,
alzando appena la testa.
Con lo sguardo
assonnato e l’espressione da monello.
Chiudendo gli
occhi nuovamente in un sospiro soddisfatto, prima di riaprirli.
Sprofondando
appena, nella coperta che ancora lo copriva.
Lo stava
toccando, con mano leggera. Anche se non era completamente sveglio, poteva
percepire il movimento con cui lo sfiorava,per prendere coscienza e accertarsi
delle sue condizioni.
Lo lasciò fare,
senza muoversi, aspettando, godendo di quel tepore che gli stava donando. E,
infine, aprì la bocca.
“Soddisfatta la
tua curiosità?”
Aveva occhi
stanchi, ma limpidi. Senza muoversi. E Doyle, paralizzato, stringeva ancora la
coperta nella mano. La coperta che gli stava rimboccando.
Nella sua mente
si fece strada quella voce e quel sarcasmo.
Un’ironia
lentamente sorse sui suoi lineamenti. Lo contemplò, in silenzio, senza trovare
nessuna battuta per ribattere. Lasciandosi assorbire da quella voce che non
pensava di poter più risentire, quella voce che talvolta rimbombava nel
corridoio dei ricordi, che lo apostrofava, irriverente e sottile…
“Portami a
casa, cantastorie. Portami a casa da coloro che amo.”
“No. Potrei
soddisfare la vostra cuoriosità. Ma non lo farò.” - scosse la testa, con
lentezza, ricacciando il ricordo in fondo alla mente - “Questo non lo
capireste.”
In un altro
tempo forse, in un'altra leggenda. Domani, forse. Domani chissà.
Il padre di Wes
lo squadrò, soppesandolo. E doyle ebbe l'impressione che stesse intuendo il non
detto.
Forse ci
rivedremo. Forse tornerai, Cantastorie. Un giorno forse tornerai.
E sarà ancora
per il sangue del Flagello.
“Westley.” -
mormorò, infine, senza lasciare gli occhi di Doyle -”Tu che intenzioni hai?”
Nessuna
risposta.
E Methos si
voltò, guardando l'osservatore.
“E' tuo padre,
Wes.” - disse, dolcemente - “Pensaci.”
Se non vorrai
venire via, noi capiremo.
“No, non
intendo pensarci.”
Proprio perchè
è mio padre voglio andarmene da qui.
E doyle gli
fece un cenno, impercettibile.
“Siete voi la
mia famiglia.” - disse la voce, in fondo alla sua mente - “Non ne esiste
un'altra.”
“Allora
andiamo. Gli altri ci aspettano.”
Quando Doyle
uscì, Methos e Wes semplicemente lo seguirono.
***
Il sala la
confusione tardò a salire di intensità. E, nel silenzio ancora percepibile, si
senti inequivocabile lo scatto di un accendino.
“Non si può
fumare qui.” - mormorò uno degli anziani - “Spegnete subito quello zippo.”
“Non è uno
zippo.” - rispose una voce profonda dagli spalti più alti - “E' un Dupont. E,
comunque, mi scusi... Io e la mia ragazza leviamo subito il disturbo.”
***
London, London
Eye, poco prima del tramonto.
“E poi
questo... e anche questo... e quest'altro ancora. Ti piace?”
“Principessa..
piacermi mi piace tutto ma non l'hai comprato con la mia carta di credito,
vero? Perchè io non posseggo una carta di credito!”
“E allora ha
detto 'mi scusi, io e la mia ragazza leviamo il disturbo' e ce ne siamo andati!
Non si sono accorti di niente... beati imbecilli.”
“Stai parlando
male dei miei colleghi?”
“Non sono i
tuoi colleghi. Sono quelli di Methos tu se stato radiato, no? E comunque,
domattina ti radieranno di nuovo, tanto per stare sicuro. Quel giochino con gli
occhi proprio non piace.”
“Però dovresti
pensarci... dopotutto è tuo padre...”
“Te l'ho già
detto. Proprio perchè è mio padre preferisco non pensarci.”
“Ciao.” -
sospirò Spike, affiancandolo - “Invidiabile questa posizione... fuori
dall'occhio del ciclone.”
“Come al
solito.” - sospirò Angel. Era al riparo, sotto un vecchio passaggio in mattoni.
Gli altri, seduti sui muri del tamigi, non sembravano averlo notato. O forse,
come al solito, rispettavano la sua abitudine al buio e al silenzio - “Come
stai? Divertito in aula?”
“Fantastici. Ci
sarebbe da discutere su alcune violazioni della privacy, ma mi mostrerò
magnanimo.”
“Te ne siamo
grati. Dove sei stato? Ho visto Faith arrivare da sola.”
“Ho portato
Cecily a casa. Il roseto esiste ancora. E anche la spalliera di gelsomino..” -
sospirò Spike, accendendosi una sigaretta - “starà bene, li sotto... è un bel
posto. C'era anche Anya. Ha detto che se ne va per un poco, si cerca un'altra
dimensione.”
“Soluzione
invidiabile.” - sospirò Angel. Restando appoggiato con la spalla al muro. Cordelia si era voltata nella loro
direzione, salutando. Poi era tornata ai prorpi acquisti - “Faith cosa ha
deciso?”
“Parte. Ci
separiamo per un poco. Edward la porterà a vedere il mondo e le insegnerà, nel
frattempo, a impugnare una spada.”
“Credevo lo
avrebbe fatto Methos...”
“Methos con la
spada sa giusto sbucciare egregiamente le carote. No, la mia donna ha una bella
testa, voglio che la tenga ben attaccata al resto, soprattutto ora che si è
fatta bionda. Se devo proprio lasciarla andare, preferisco non saperla in giro
con pigmalione. Ed Edward sa quello che fa... ”
“Lo so, lo so.”
- Angel sorrise, divertito - “E' prerogativa dei fratelli maggiori...”
“E proprio
vero.” - concordò Spike e gli sorrise, piegando la testa - “Ci stiamo separando
o sbaglio? Wes mi ha detto che resta qui, a Londra... almeno per un poco...”
“Vuole tagliare
i ponti con il passato definitivamente, a quanto pare. E ha delle faccende di
cui occuparsi. Ma io spero che cambi idea... - fissò l'osservatore, sdraiato
sul muro, strafottente, un braccio dietro la testa - “Mi piace questa sua
versione eroe tenebroso, ma si ha una sola vita e io vorrei che...”
“Cosa
vorresti... questa è la vita che si è scelto. Non ne esiste un'altra che
vuole...”
“Forse. O forse
no.” - Angel lasciò vagare lo sguardo alla vastità luminosa - “é un gran bel
posto... per rimettere radici... fossi in lui ci penserei. Bene.”
“E' la sua patria,
flagello. La sua città. Non smette un secondo di pensarci.”
“Già... la sua
patria...”
“E, a proposito
di patria, cosa hai deciso? Approfitti del viaggio di Doyle per rivedere
l'Irlanda o torni a LosAngeles con me?”
“Nessuna delle
due cose. Non tornerò mai in Irlanda e, quanto alla cara vecchia città degli
angeli... no, anche lei mi ha stancato.” - alzò gli occhi, fingendo incuranza.
Ricominciare da solo fa parte della vita, ancora... - “Magari me ne andrò sulla
costa orientale.. a trovare una certa poliziotta...”
“Ma davvero...”
- spike stette al gioco, cercando di ignorare la fitta al cuore.
Senza faith,
senza angel. Senza doyle e senza cordy. Senza wes.
Solo. Solo con
la propria missione.
L' unica
ragione per cui duri da tanto tempo è perché hai ancora legami sulla terra…
Ma stai solo
rimandando l'inevitabile.
Ogni
Cacciatrice desidera la morte.
Anche tu… si,
anche tu.
Ed io... io ora
sono le mie parole.
“Si. In effetti
ho sognato Dru. Ha detto qualcosa sul non rinunciare alla purezza.. e visto che
la parola kate significa purezza...”
“Capisco, se lo
dice Dru ci proviamo.” - rise, piegando la testa. Non sembrava uno con il peso
dell'universo sulle spalle. Era ancora solo William, sempre e solo William.
Ed Angel lo
guardò, assorto. Sei così giovane... ancora così giovane...
“Te la caverai
senza di me?” - domandò, posandogli una mano sulla guancia. Avrebbe dovuto dire
senza di noi, ma non gli riuscì.
Non ci riuscì.
“Perchè io sarò
perso, senza di te.” - aggiunse, con la voce che tremava.
Ho provato. Ho
provato cosa significa perderti. E ne ho paura.
Spike si era
mosso. Non era stato veloce, né brusco. Come se le forze lo sostenessero solo
per compiere movimenti lenti e fluidi, gli era scivolato addosso, cingendogli
il collo con le braccia, aggredendolo quasi con la sua fisicità, con quei
muscoli tesi e quel corpo che forse tremava impercettibilmente. Piano. Eppure inaspettato.
Un abbraccio
creato apposta per riempirgli il cuore, fino a farlo traboccare in lacrime.
Lo strinse,
chiudendo gli occhi in un attimo di vertigine, domandandosi cosa potesse avere
fatto un semplice vampiro con l'anima sempre a caccia di Redenzione, per
godere, ancora una volta, di un miracolo del genere.
Non se ne
sarebbe più andato. Quando sentì Angel arrendersi e ricambiare l’abbraccio,
Spike seppe di essere a casa. Perchè
casa era angel, angel, ovunque. Non pianse, ma scivolò, si adagiò un po’ di
più, percependo, con un attimo di sorpresa, il profumo dolce delle sue lacrime
e il calore del suo sorriso.
“Ci proverò. Ma
tu mi cercherai, vero?”
“Non smetterò
mai di farlo, lo sai.”
“Ok. Allora me
la caverò finchè non ci rivedremo. Ti voglio bene, Angel. Per una volta,
lasciatelo dire.”
Angel sorrise.
E la mano ricadde, risparendo in tasca.
“Ti voglio bene
anche io, William. Te ne ho sempre voluto. E te ne vorrò sempre.”
Oh, si, sarebbe
rimasto così in eterno... Se non avesse avuto un sano orgoglio. E se non fosse
stato Angel a stringerlo, Angel che decisamente lo conosceva troppo.
“Visto che ti
stai già pentendo di tutte queste smancerie…” – gli sussurrò il demone,
concedendosi il lusso di posargli le labbra alla tempia – “Devo lasciarti
andare?”
Adesso si che
avrebbe volentieri pianto. Ed invece annuì, appena, sentendosi afferrare un po’
più forte e, dopo un attimo, di nuovo
libero.
“Hai una
sigaretta da offrirmi?” – domandò speranzoso di spezzare quel pathos. Angel
aveva gli occhi pieni di lacrime. E stirò un sorriso, rivelando quanto fosse
divenuto ancora più magro e spigoloso.
“Non mi hai
detto cosa farai ora...” - mormorò angel, impacciato, porgendogli il richiesto.
E spike si accese la sigaretta proteggendola con entrambe le mani, la mascella
tesa, per riuscire a calmarsi.
“Pensò che
caccerò.” - ammise, dopo aver a lungo riflettuto. Caccerò i vampiri e
combatterò il male - “Non sono ai tuoi
livelli...”
Allungò una
mano, rifilandogli un colpetto sul bicipite. Ed Angel vide il claddagh, il
claddagh al suo dito.
“... ma sono
bravo.”
“Non ne dubito.
Ma stai lontano dai guai, per favore.”
“Guai di che
tipo? Apocalissi? Draghi? Naaa, quelli sono per gli eroi! A proposito, non ti
piacerebbe affrontare un drago, Angel? Sarebbe un vero colpo promozionale alla
tua leggenda. Soprattutto ora che ti rubo la scena così a tempo pieno...””
“Certo che mi
piacerebbe. Eccome. Un drago... Ma, se lo facessi, sarebbe tutta un'altra
storia... non sarebbe più la nostra.”
“Si, è vero.
Ah, angel...”
“Dimmi.”
“Il giorno che
affronterai quel drago.. perchè intanto lo sappiamo che lo farai... chiamami. E
io sarò al tuo fianco.”
“Sei mio
fratello, william. Ero certo che non mi avresti lasciato solo.”
L'aria si era
riempita di particelle di luce. E, presto, sarebbe stato buio. Seduta sul
muretto, Faith guardava nella loro direzione. Cambiata, cambiata per sempre ma
ancora Faith. E Spike le fece un cenno di saluto. E un sorriso.
“Il sole sta
calando.”- aggiunse, impaziente di correre a baciarla - “Pronto a raggiungere
gli altri?”
“Tra un
attimo.”
“Senza fretta.
Ti aspetto.”
“No, William.”
- Angel scosse la testa, posandogli una mano al centro delle scapole - “Tu vai
già ora. E io resto qui...”
Resto qui a
guardarti.
La spinta era
bastata per farlo emergere dalla tenebra. Il sole morente gli aveva illuminato
i capelli cenere e gli occhi azzurri.
Dicono sia
vivo, dicono sia morto.... dicono sia cambiato... forse è solo leggenda.
William, figlio
del giorno e della notte.
Non più un
uomo, non più un vampiro.
Un ibrido,
avrebbero detto i cinici. Un ibrido con l'immortalità dentro le vene.
Una splendida
creatura, pensava Angel ogni volta che lo vedeva in piena luce.
"Non sarai
mai più un innocente, William.
Non potrai mai
più ignorare l'oscurità che esiste sulla terra.
Volente o
nolente, ne fai parte.
Ma adesso sei
nuovamente vivo.
E non hai
motivo di rimpiangere il vampiro che eri. Perché…
è meglio il sapore
di un bacio che lo schiocco di un collo che si spezza."
I capelli
divenivano oro. Gli occhi erano pietre trasparenti.
Di nuovo nella
luminosità, di nuovo la rifulgenza. Angel sorrise.
Questa luce ti
accoglie perchè ti ha rimpianto, per troppo tempo.
Questa luce ti
abbraccia, perchè tu le appartieni.
Sorrise
guardandolo dritto negli occhi.
“Angel... non
ti fai mai soffrire tutto questo?”
“No, William.
E' tutto ciò che volevo. Tutto.”
Volevo vedere
le tue ali. E ora so per certo che sono piene di luce.
[epilogo]
Tramonto.
La città degli
Angeli.
Un uomo biondo,
in cima ad un grattacielo.
Ha gli occhi
chiusi, attende di sentir svanire il calore del sole.
E ne respira
l'essenza, come sempre.
Quando
dischiude le palpebre, gli occhi appaiono azzurri. E sono pietra che non si
spezza.
New York.
Un essere bruno
all'ombra di una pensilina.
Con gli occhi
chiusi, si domanda come sia il sole sulla pelle.
Si scrocchia le
dita, con calma. Ed è pronto.
Pronto, come
sempre, nel'aggiustarsi la giacca e avanzare con l'ombra.
Un passo dietro
la linea del sole che cala, assieme al buio.
Cina
L'alba è rossa
e oro.
Capelli mossi
dal vento fermati con le dita, la spada stretta nella destra.
Il mondo le
appartiene. Per sempre.
Alle sue
spalle, riccioli biondi e occhiali da sole.
Fischietta,
giocherellando con la propria arma, la obbliga a voltarsi.
Il sole lo
infiamma. Ed egli sembra oro al nascere del giorno.
Londra
Luci di una
bilioteca che si spengono, una ad una.
Una mano
raddrizza gli ultimi volumi.
Posa l'ultimo
libro letto con attenzione.
Recuperando la
giacca, ripone l'automatica nella fondina.
E i suoi occhi
azzurri ridono, divertiti, tingendosi di viola.
Irlanda
Una casa tranquilla, di pietra. I gemelli
giocano al centro del letto.
E lui cinge lei per la vita, il mento
sulla sua spalla, gli occhi azzurri persi al presente.
Pastiglie per il mal di testa, per
entrambi. Ma un bicchiere solo, per un sorso d'acqua.
Poi sarà ora di vestirsi. E andare. O
Adam e Sinead faranno tardi all'asilo.
Ovunque.
Un posto come
tanti, per godersi la vita.
Un maglione
sdrucito, una tazza di caffè, un piede a penzoloni nel vuoto.
Un buon libro
appoggiato sul muro.
E la vita così,
per un altro millennio.
Un sospiro. Un
lieve battito di ciglia.
Il sole
tramonta, la luce perde di intensità.
Il sole sorge,
inonda di luce il mondo.
Un pensiero
fuggevole.
Lo sguardo
all'orizzonte.
E un sorriso.
Dolce, storto, luminoso, malinconico.
Un bacio.
Un pensiero.
La vita e la
morte, come sempre.
E la battaglia.
“Si comincia.
E, mi raccomando, restate tutti vivi fino a domani.”
And I still
hold your hand in mine.
In mine when I'm asleep.
And I will bear my soul in time,
When I'm kneeling at your feet.
“Goodbye my
lover” (J.Blunt)
E tengo ancora
la tua mano tra le mie/Tra le mie, quando dormo
E sopporterò la mia anima nel tempo/Quando mi inginocchierò ai tuoi piedi.
(JamesBlunt -
GoodbyeMyLover)
FINE
(6 dicembre
2008)