King of the Sky

(part 3)

 

Di MargotJ

 

Spoiler per: prima stagione di Torchwood. Le frasi in corsivo sono tratte dagli episodi 1x10-13.

Pairing: Jack/Ianto slash

Rating: NC17, Slash, Romance (?)

Timeline: post 1x10, Out of Time

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’ autrice: ultimo atto. Mi sono parecchio divertita e parecchio messa alla prova. Sarebbe lungo da spiegare ma, credetemi, non è stato semplice. E non sono certa di ciò che ho fatto. Risponderò a me stessa con il tempo :)

 

A seguito di spiacevoli episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il mio sito, Vs. Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi . Grazie, MJ

 

Ianto si affacciò dall’ufficio, sentendo lo scatto di sicurezza del cancello. E Jack irruppe nella base, con passo deciso. Rimase immobile, a cavallo della soglia, guardandolo venirgli incontro. Gli occhi spiritati, la mascella tesa, la falcata lunga, rapida. Furibondo. O disperato.

 

Io sono nato nel futuro e appartengo al passato, anche io vivo fuori dal tempo.

 

Si levò il cappotto camminando, lo gettò a terra. E la fondina con la pistola seguì la stessa sorte.

Quando lo raggiunse, investendolo e afferrandolo per le braccia, anche la camicia era slacciata, per buona parte. Un chiaro invito, per Ianto, a continuare l’opera. O forse un ordine.

Ma Ianto, educato come suo solito, non si fece pregare.

I vestiti di Jack puzzavano di fumo, di acre, di monossido di carbonio. Poco importava. Li sfilò dal suo corpo, uno ad uno, arretrando. Rispose all’attacco con la stessa impazienza, baciando, resistendo quanto bastava da renderlo ancora più deciso, impaziente. Gli afferrò la pelle nuda, piantando le unghie e sentì il fuoco iniziare a bruciarlo dall’interno, come una fitta, come un uragano.

 

Aspetteremo. Sorgerà il sole, faremo colazione, passeggeremo...

 

Non gli chiese nulla. Forse non gli importava.

O forse sapeva che Jack non avrebbe risposto, se non in quella maniera.

Jack parlava solo con il corpo e con lo sguardo, senza trovare mai parole per esprimersi.

Jack non doveva spiegazioni a nessuno.

 

Si, un nuovo giorno.

 

Ora, senza spiegare, si limitava a baciarlo, afferrargli il viso, spingerlo con impazienza.

E Ianto, quando lo seppe, lo sentì, nudo.. semplicemente terminò l’opera, spogliando se stesso.

Perché Jack lo voleva. Ma si stava prendendo solo la sua bocca, il suo viso, con le labbra, con le dita. E le sue mani, le sue guance... erano bagnate.

 

Chi sei, Jack?

Chi sei tu?

 

“Ianto.” - un ringhio basso, deciso, sulla sua gola, sulla sua bocca, sulle sue palpebre, sulla fronte. E poi giù, ancora la bocca, il petto, il ventre, la rabbia e l’impazienza, la solitudine e la disperazione.

 

E i vestiti che, finalmente, scivolavano sulla pelle, mentre Ianto impattava contro la parete.

Con le scapole. E poi con il viso.

 

Un uomo, come te, fuori dal tempo. 

 

E non restò che chiudere gli occhi.

E sussurrare solo il suo nome.

 

Solo. E spaventato.

***

 

If I could fly

Like the king of the sky

Could not tumble nor fall

I would picture it all

If I could fly

See the world through my eyes

Would not stumble nor fail

I could ravage my jail

If I could fly

 

(Helloween - If I Could Fly)

 

Se potessi volare/Come il re del cielo/Non poter ruzzolare ne cadere/vorrei disegnare tutto questo

Se potessi volare/Guardare il mondo attraverso i miei occhi/non inciamperei e non fallirei/potrei devastare la mia prigione/se potessi volare

 

 

E come lo sopporti?

Devo sopportarlo. Devo farlo. Non ho altra scelta.

 

“Va meglio?” - domandò Ianto, sottovoce. E la sua voce, assorta e modulata, non seppe di ironia.

Erano a terra, sul pavimento nudo. Intrecciati. E Jack, con gli occhi sbarrati, posava il viso sul suo petto, mozzandogli il fiato.

 

Ma io si. Io posso scegliere. Se vuoi aiutarmi, lasciami andare con dignità.

 

Jack non gli rispose. Nessuna sorpresa. Il calore, il sudore, il respiro esasperato di entrambi si mischiavano alla luce giallastra della scrivania, agli scatti metallici dei macchinari in funzione.

E Ianto non provava freddo, perché il corpo di Jack era rovente, percorso di una forma di elettricità che sembrava risucchiarlo verso il silenzio.

Non aveva parole. Non ne avrebbe pronunciate.

Ma le ciglia sfiorarono il petto di Ianto, nel chiudersi improvviso degli occhi. E le spalle si strinsero, per un brivido. Jack bruciava, provando freddo, tra le sue braccia, per quanto lo stringesse. Anche i suoi capelli sapevano di monossido, di morte. Ma Ianto, come per i vestiti, ritenne che ci fosse qualcosa più importante delle spiegazioni. Si piegò, dunque, posando le labbra su quella nuca ermetica, in cui i pensieri restavano intrappolati.

“E’ morto, vero?” - domandò soltanto, osando.

“Si.” - Jack rispose, senza intonazione - “E’ morto.”

 

Era un uomo come me. Un uomo fuori dal tempo. Non ce l’ha fatta. Ha potuto scegliere.

 

Ianto lo ascoltò respirare più profondamente.

Poi tirarsi su, a forza di braccia, per guardarlo.

Jack lo fissava. Ed aveva un’espressione che non avrebbe mai saputo afferrare.

Forse lo vedeva. Ma, si domandò Ianto, cosa stava realmente vedendo?

 

E io soffrirò... ma sorriderò, agitando la coda.

E, non appena volterai le spalle, farò in modo di non sbagliare più. Perché io voglio morire.

 

Lasciò che Jack si alzasse, allontanandosi, sparendo verso la sua stanza. E si rivestì, almeno in parte, raccogliendo i propri vestiti e quelli di Jack, piegandoli, accuratamente.

In lontananza, il rumore dell’acqua scrosciante nella doccia era un invito alla solitudine. Inequivocabile.

 

Forse se ne sarebbe dovuto andare. Ma non lo fece.

Restò, in silenzio.

 

E, quando vide la luce spegnersi, si sedette in ufficio. E attese, di guardia, l’alba.

 

***

 

Non ne fecero mai realmente parola. Non era nel loro stile.

Sarebbe suonato intimo, complice.

 

Non avrebbe avuto nessun senso.

 

Ma la mattina dopo, svegliandosi, Ianto lo aveva visto seduto alla scrivania, a pochi passi. Normale, tranquillo, le mani su alcuni incartamenti. Assolutamente incurante della sua presenza. E, quando si era mosso, sulla poltrona su cui aveva dormito, Jack si era alzato, avvicinandosi.

 

Senza una parola, gli aveva offerto il proprio caffè.

 

“Non è come il tuo. Ma è forte.” - aveva mormorato, prima di piegarsi, sedersi sui talloni per essere alla sua altezza - “Occorre che io mi scusi, per ieri sera?”

“No. Sto bene.” - Ianto portò la tazza alle labbra, gli occhi nei suoi - “E tu?”

Jack aveva solo sorriso. Enigmatico.

 

Solo. E spaventato.

 

“Vattene a casa.” - aveva detto. Ma la mano con cui era scivolato sul suo ginocchio, aveva detto molto di più.

 

Qualcosa si muove nel buio e sta venendo, Jack Harkness... sta venendo da te.

 

***

 

Essere intrappolato nel 1941 aveva solo peggiorato le cose. Il silenzio che Jack si portava dentro si era esteso, amplificato, alimentandosi con la tensione che Owen creava con al sua stessa presenza.

Torchwood era divenuta una bomba ad orologeria emotiva, ingestibile.

Conflitti, paure, incomprensioni. E la frattura, come una vibrazione, sotto i loro piedi.

 

Jack lo sapeva. Sapeva da tempo che sarebbe accaduto.

Ma non l’aveva detto.

 

La fessura non andava toccata. Con la fessura non si deve giocare. Lo aveva ordinato ad oltranza, lo aveva ripetuto fino a nausearli. Ed Owen gli aveva disubbidito, deliberatamente.

Anche se Jack era il suo capitano.

 

Quella fessura ha preso la mia donna e il mio capitano. Perciò, se morirò cercando di aprirla, allora sarò morto facendo il mio dovere.

 

E Ianto, che non era nessuno, con nessun potere, aveva cercato in tutti i modi di fermarlo.

Perché il capitano, il suo capitano...

 

Devi lasciar andare diane, come io ho fatto con lisa.

Tu non puoi paragonarti a me. Sei soltanto un maggiordomo.

Sono molto di più, invece.

 

Fece il giro delle sale, riflettendo, spegnendo le luci, una ad una. Era come se la base si stesse riempiendo di echi, di rumori indistinti, di assurdi giochi di luce. Allucinazioni, forse. Stanchezza, probabilmente.

Ma Ianto sentiva la tensione come una morsa, allo stomaco.

 

Si, nei tuoi sogni, Ianto. Nei tuoi tristi sogni, in cui sei il suo amante part-time

 

Accadrà. Inutile illudersi. Accadrà qualcosa.

 

Scese le scale con lentezza e percorse gli ambienti inferiori, fino alla stanza di Jack. E bussò, sulla porta aperta.

Jack era sdraiato sul letto, gli occhi al soffitto, come sempre. Rifletteva, ricordava, le braccia alzate sopra la testa, a torso nudo. E, a quel suono educato, di richiesta, si voltò, interrogativo.

“Ti spiace?” - domandò soltanto. E Jack scosse la testa, intuendo.

 

Resta, Ianto. Resta.

 

“Nessun problema.”- rispose, lasciando che si spogliasse, con lentezza. Gli piaceva il modo che aveva di levarsi i vestiti, quasi solenne. Li piegava, li posava uno sull’altro, con calma, come se godesse del contatto con la stoffa, dei riflessi, dei colori.

Uno alla volta.

E, quando fu a torso nudo, Jack la vide. Una lunga ombra viola, sul fianco. Un segno, quasi nero, esteso. E comprese che la lentezza, quella lentezza che in Ianto era arte, celava abilmente la difficoltà di movimento. E il dolore.

Si alzò, sedendo ai piedi del letto.

“Cosa è successo?” - domandò. E i suoi occhi spiegarono a Ianto a cosa si riferisse.

“Non è nulla.” - rispose, arrotolando la cintura e posandola sul mobile, vicino ai gemelli, respirando il meno possibile - “Owen mi ha solo dato un calcio. Cose che capitano, facendo a pugni.”

“Fammi vedere.”

 

Jack, improvvisamente vicino. E la sua mano, leggera, su quella zona fatta di una fitta allo stato puro, gli provocò un brivido.

“E’ una costola rotta.”

“Probabile.”

“Dovresti farti vedere....”

“Da chi... da Owen?” - Ianto sorrise, in una linea sottile, lieve - “Andiamo, Jack... io gli ho sparato...”

 

Jack ha bisogno di me.

 

Lo so. Jack lo fissò, dritto negli occhi. Lo so. E mi spaventa che tu l’abbia fatto.

 

Se qualcuno cerca di fermarmi, io gli sparo.

Chi fa queste minacce deve essere preparato a metterle in pratica.

 

“Dovevo provarci, Jack. Dovevo provare a fermarlo...”

 

Se mi disobbedisci ora, io ti sparo davvero.

 

Non l’avresti fatto, quella sera, per Lisa. Era scritto nel tuo sguardo, un’emozione in superficie, per una volta in vita tua. Non l’avresti fatto. Ma, per me...

 

Non gli avresti mai sparato...

Ah no?

 

Si protese, baciandolo. Sulla bocca. Poi, a sorpresa, sulla fronte.

 

Scusa, se ti ho trascinato in questa storia. Io avrò cura di te.

 

Perdonami. Perdonami per ogni cosa.

 

“Mi dispiace.” - disse soltanto.

E Ianto sentì, in quelle due parole, il dolore del mondo.

 

***

 

“C’erano davvero?” - domandò, poco dopo.

Giacevano, vicini. E non ricercavano altro.

Solo la vicinanza, nella loro personale oscurità.

“Cosa...” - Jack gli teneva un braccio sul petto, abbandonato. E Ianto poteva sentire la sua mano coprirgli la spalla, racchiuderla, come in una coppa. Un contatto, lontano dalla costola, il surrogato di un abbraccio che non potevano concedersi del tutto.

“Gli angeli che ballavano al Ritz...”

“Si. C’erano davvero.”

 

Capitano Jack Harkness. 133° squadrone.

 

“Cosa è successo...”

“Nulla. Nulla di incredibile. Era solo un ballo.”

 

Un ballo soltanto. Uno solo. L’ultimo.

 

“Jack.”

“Non è nulla, Ianto.”

 

Nulla.

 

“Credi ancora che io sia un dio del cielo?”

 

La sua voce, nel buio, era velluto.

“Tu lo sei, Jack.” - replicò, cercò di muoversi, voltarsi, ma la mano di Jack lo obbligò a restare fermo. Imperiosa, eppure stranamente...

 

Non cedere. Non cedere, ora.

 

“Ti sbagli.”  - la sua risata era amara, come la notte che li circondava - “Non sono io il capitano Harkness, re dei cieli... io sono solo... una maschera... un impostore, con il nome di un eroe.”

 

Al capitano Jack.

 

Al capitano...

 

Le loro mani si cercarono. E si trovarono, come le loro labbra.

“Tu sei Jack Harkness.” - soffiò Ianto, su quella bocca possessiva - “L’unico che io abbia mai conosciuto. E io ti seguirei, fino alla fine dell’universo, se fosse necessario. E oltre.”

 

E oltre. Ma so che tu, Jack, tu mi lascerai indietro. Senza un addio.

 

“Cambierà tutto.” - rispose Jack, in un sussurro - “Cambierà tutto, molto presto.”

 

È sarà.. sarà la fine. La fine dei giorni.

 

Sarebbe orgoglioso di averti dato il suo nome. Perché tu, ora, stai salvando il mondo.

 

***

 

I re dei cieli non muoiono mai.

 

Ma Jack era sul piano metallico, in obitorio. Ed era freddo, bianco, morto.

 

Morto perché aveva dovuto salvarli.

Morto perché non avevano saputo fidarsi di lui.

Morto, perché i fantasmi avevano avuto troppo valore rispetto alla sua voce, alla sua volontà, alla sua ostinata e incomprensibile rabbia.

 

Jack, che ogni giorno aveva dato vita alle loro paure, quanto e peggio della fessura.

Jack, che era rimasto immobile mentre lo tradivano. E se ne andavano.

 

 “Il tuo spirito di contraddizione...” - mormorò Ianto, posando il certificato di morte - “... è irraggiungibile.”

 

Lo avevano ammazzato. E lui, testardo come suo solito, era tornato indietro.

Per ammazzarsi con le proprie mani.

 

Alzò la testa, cercando di dominarsi. E si voltò. Di fronte a loro, la targhetta indicava il nome di lisa. Nessuno avrebbe badato a quella simmetria. Ma Ianto sapeva. Ianto, guardiano dei morti e dei vivi, aveva scelto. Perché, dopotutto, amore e odio sono veramente come guanti... e sono sempre in coppia...

Rise, piegando la testa. E si sedette, fissando il corpo, il profilo e l’assoluta assenza di sonno profondo che gli aveva sempre invidiato. Era... vuoto.

“Dannazione, Jack.” - aggiunse, abbassando lo sguardo. E si rese conto che il mondo era sfocato, soffuso - “Non intendevo questo, quando dicevo che mi avresti lasciato.”

 

Volevo odiarti. Odiarti.

Non volevo piangerti.

 

“Ed ora mi manchi.” - aggiunse, cercando di controllare la voce, senza riuscirci - “Mi mancano le tue braccia, le tua mani, quel modo che avevi...”

 

Quel modo che avevi di farmi sempre del male.

Mi mancano i tuoi occhi.

Mi manca la tua bocca, quella tua dannata bocca con cui tutto è cominciato.

Mi manca quel tuo non amarmi che odiavo.

Mi manca il tuo silenzio.

 

“Dannazione, Jack.” - mormorò, ancora, le mani sulle ginocchia, la testa china.

Piegò le spalle, cercando di non tremare. E si alzò, le mani sui fianchi, respirando a fondo.

 

Ma tutto, tutto parlava di Jack. Tutto urlava di Jack. E il silenzio, giusto o sbagliato, era perduto.

Chiuse gli occhi, respirò ancora.

Si ricompose.

 

E, quando fu il momento, cedette il passo a Gwen.

 

***

 

Se ne era andato.

Jack era svanito. Nessuna sorpresa.

Nessuna.

 

Nemmeno la morte frena Jack Harkness. Figuriamoci l’amore.

 

Che gli altri si illudessero pure, fino a domattina... Ma Jack non sarebbe tornato.

E Ianto non aveva bisogno di attendere per avere conferma.

Spense le luci e si versò da bere.

Attraversò l’oscurità e si sedette nell’ufficio, le mani sugli incartamenti. Profumo di Jack, ovunque.

 

Aveva creato il silenzio. Nel silenzio, era svanito. E, nel silenzio, Ianto alzò il bicchiere.

 

Al capitano. Al re del cielo e al suo volo, fino alla fine dell’universo.

 

If I could fly

See the world through my eyes

Would not stumble nor fail

To the heavens I sail

 

Se potessi volare/Guardare il mondo attraverso i miei occhi/non inciamperei e non fallirei/volerei verso paradisi

 

(09 febbraio 2008)