King of the Sky

(part 2)

 

Di MargotJ

 

Spoiler per: prima stagione di Torchwood. Le frasi in corsivo sono tratte dagli episodi 1x06, 07, 08.

Pairing: Jack/Ianto slash

Rating: NC17, Slash, Romance (?)

Timeline: post 1x06, Countrycide

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’ autrice: come al solito, il non visto. decisamente più narrativa, continuata, rispetto alle altre fic. E sono consapevole di come prema sull’acceleratore nella resa psicologica dei personaggi. Ma non riesco a concepirla diversa E un po’ mi dispiace.

 

A seguito di spiacevoli episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il mio sito, Vs. Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi . Grazie, MJ

 

Era finita come doveva finire. Li avevano arrestati tutti, posto fine a un massacro tra tanti, soltanto perché qualcuno ne aveva sentito parlare. Senza gloria e senza unicità.

Casualità. Un lieto fine per casualità.

 

Jack aveva guidato fino a Cardiff senza volere il cambio. Seduti dietro, stretti e provati, Gwen, Ianto, Tosh. Al suo fianco, un Owen stranamente silenzioso.

Odio la campagna, aveva mormorato, salutando l’ultimo cartello alle porte della città. E Jack aveva concordato, in cuor suo. Non c’era stato nulla da amare, in quella campagna.

Alzò gli occhi verso lo specchietto, per l’ennesima volta. Gwen era pallida, Tosh le teneva la testa sulla spalla, fissando un punto indefinito. Ianto, appoggiato al finestrino, aveva l’espressione stranamente corrucciata. E, con gli occhi chiusi, non sembrava lui. Non del tutto.

Owen gli gettò un’occhiata storta, notando il movimento. Poi si voltò, indicandoli uno a uno.

“Colpo di fucile a piombo, lieve trauma da sequestro, commozione cerebrale da corpo contundente.” - elencò, tornando poi a fissare la strada - “Non c’è niente da vedere.”

“Un ospedale su quattro ruote.” - commentò Jack, con una bella risata.

“Certo. E il dottore abita lì. Fammi scendere.” - aggiunse Owen, slacciandosi la cintura e voltandosi di nuovo - “Gwen, sveglia. Ti do un passaggio fino a casa. Tosh? Ianto?”

Le ragazze si riscossero, districandosi, accettando con tono assonnato, frasi brevi. Ianto, non appena il sedile fu sgombro, si sdraiò, senza rispondere.

Owen lo fissò, indecifrabile. Poi gli schioccò le dita sotto al naso, obbligandolo a spalancare gli occhi. Gli controllò le pupille, gli sentì il polso e lasciò che le ragazze saltellassero infreddolite sul marciapiede, aspettandolo.

“Letto o pronto soccorso?” - chiese Jack, restando appeso al volante e, suo malgrado, voltato a seguire la scena.

“Letto.” - commentò Ianto, tornando a chiudere gli occhi, con il tono di sempre - “Per favore.”

“E letto sia.” - Owen alzò gli occhi - “Jack?”

 

Cosa ti aspetti... che lo porti nel mio?

 

“Nessun problema.” - rispose il capitano Harkness - “Me ne occupo io.”

“Jack.” - mormorò la voce, dal sedile posteriore, non appena ebbe messo in moto - “Non credo di aver parlato del mio letto...”

“Chissà perché...” - replico Jack, svoltando e alzando gli occhi - “...lo avevo intuito.”

 

Nel riflesso dello specchietto, Ianto stava sorridendo.

 

***

So here I am

In solitude I stand

I've got dreams inside

I need to realize

My faith has grown

No fear of the unknown

No more

No more

 

(Helloween - If I Could Fly)

 

 

Ma sono qui/tutto solo/ho dei sogni dentro me/ho bisogno di realizzarli/la mia fede é cresciuta/non ho paura dell'ignoto/non piu/non piu

 

Viviamo in una società di predatori. Tutti abbiamo un raccolto da fare e tutti siamo pronti a sbranarci uno con l’altro, se la situazione lo richiede. Il caso appena seguito non era poi così originale, dunque, a pensarci, considerò Jack, restando sdraiato, le braccia distese sopra la testa.

Ci divoriamo a vicenda. Senza nessuna pietà.

 

E, alla fine, valutò, fissando il soffitto cemento della propria camera da letto, scarnificati e spezzati, ci arrendiamo. E diveniamo cibo per i vermi.

Interessante prospettiva. Per gli altri. Io e i vermi non sembriamo compatibili.

 

“Niente male.” - commentò Ianto, nudo, barcollando e tornando a gettarsi sul letto - “Davvero niente male. Grazie, capitano Harkness.”

“Di niente... soldato Jones.” - rise Jack - “Riposo...”

“Davvero?” - Ianto sbadigliò, coprendo la bocca con una mano e tormentandosi poi le palpebre con un unico gesto liquido - “Riposo?”

Jack rotolò sul fianco e, appoggiata la tempia al pugno chiuso, lo fissò. La tumefazione stava divenendo scura a lato del viso, più visibili i segni dei colpi con cui lo avevano tramortito.

Violacei, come quelli che aveva sul corpo... e che non erano dovuti alla colluttazione... ma alla lotta con lui.

“Vuoi?” - domandò, serio. Ianto aveva ciglia lunghe, arcuate, bionde - “Vuoi restare?”

 

Ianto voltò la testa. Nessuna risposta in quel gesto. La linea del viso era sparita lungo quella delle lenzuola stropicciate su cui giaceva, delle coperte, dei vestiti rimasti impigliati. Gli occhi, calmi, si erano levati verso i suoi, senza manifestare nulla. Sorpresa, ironia... nulla.

 

Cosa pensi, quando divieni silenzio...

 

“Hai vagamente l’idea di ciò che...” - esordì, compassato.

“So benissimo cosa ho detto.” - lo zittì Jack, una finta incuranza nello spalancare gli occhi. Poi sorrise, irresistibile - “Dopotutto, ho detto al medico che mi sarei occupato io di metterti a letto.”

“Attenzione, signore... Queste sono molestie...”

E Jack lo baciò. Inaspettato, come sempre.

“No. Queste sono molestie.” - rotolò su se stesso e, con un colpo, spense la luce - “Buonanotte.”

 

Cibo... siamo solo cibo per le fauci delle belve.

 

Se restò sveglio, non lo diede a vedere. E Ianto si sentì solo, nel continuare a fissare il soffitto.

 

***

La testa faceva male. Ianto aveva l’impressione che si riempisse di spilli, di continuo, svegliandolo.

Spalancava gli occhi, cambiava posizione, ripiombava in un sonno agitato.

A notte fonda, Jack si rassegnò a dovergli cedere il letto completamente. Non tollerava più di esser preso a calci ed era, per una volta, tristemente consapevole di non poterglieli restituire. Quindi si sedette nella poltrona di pelle, nell’angolo della stanza, un libro tra le mani. Non sarebbe riuscito a dormire, nemmeno se fosse andato a caccia di una branda o di un divano. Si lasciò andare contro lo schienale, senza aprire il libro. E allungò le gambe, intrecciando le caviglie. Tanto valeva restare. E guardare.

 

Prede e predatori. Resta a vedere chi mangia chi, valutò, tornando alle riflessioni di poco prima.

Mangiare, vivere, morire... divorare...

 

Da quella angolazione, Ianto non sembrava un predatore. Era più simile a una preda, una preda nuda, un braccio disteso verso il pavimento, il collo inarcato, quasi innaturale. Nemmeno l’ematoma distorceva le linee pulite del viso, gettando ombre errate.

 

La mia preda, valutò, con cinismo, il capitano Harkness. La mia inafferrabile, indomata preda.

 

Un attimo. Poi di nuovo il girarsi impaziente tra le lenzuola, in cerca una posizione differente.

Ho dormito con tanta gente, considerò Jack, piegando la testa e seguendo il movimento, mai nessuno è rimasto così composto in così tante manovre.

 

Forme di vita non umane incluse?

 

Poche illusioni. Ianto non si sarebbe mai lasciato piegare. Nascondeva ogni palpito dietro l’espressione distaccata, nel modo indagatorio con cui carezzava il circostante. Lo aveva fatto con Gwen poche ora prima. Per l’importanza di un bacio.

 

“Tocca a me, giusto? Io con Lisa.”

 

Una frase per imbarazzare Gwen. Una frase per dire a Jack che non era nulla.

 

“Ianto mi dispiace.”

“Ti dispiace che è morta o che ne ho parlato?”

 

Inaspettato, rapido nel colpire e celare la mano.

Un mezzo sorriso per gelare tutti gli altri.

 

“È che... non ci ho pensato...”

“Te ne eri dimenticata.”

 

Aveva giocato, tranquillo. E aveva vinto per abbandono.

Solo Jack era rimasto, mentre gli altri si allontanavano. Solo Jack, che era la vittima designata. Jack, che aveva ricambiato la sua occhiata, senza battere ciglio.

Ianto sapeva giocare. E stava imparando dal migliore.

Restava solo da scoprire quale fosse la sua puntata.

 

Un bacio. Importa davvero così tanto a chi appartengono le labbra che lo ricevono?

È importante di chi siano quelle che lo donano?

 

Quanto è importante, si domandò ancora Jack, tormentandosi il labbro inferiore, quanto...

E Ianto si mosse, ancora.

 

***

 

Lo osservò allungare le braccia, estendersi fino a mettere in risalto la muscolatura della spalla, del braccio verso il posto lasciato libero. E stringere le lenzuola con un pugno.

Lenzuola ormai non più calde.

Ianto si levò di scatto, fissando la propria mano stretta alle coperte, come se una consapevolezza assurda e inaspettata lo avesse svegliato, con crudeltà.

 

Jack, da dove si trovava, vide nitidamente la cassa toracica in piena dilatazione, le spalle di colpo dure, contratte. Vide le labbra aprirsi, senza che ne uscisse un suono.

Ma riconoscendone il movimento. L’inequivocabile parola di sconfitta. E di piacere.

Jack, diceva quella bocca.

 

Jack.

 

E Jack sentì il sangue gelarsi nelle vene e ogni frase morire nel silenzio, quel silenzio che portava il suo nome.  Dopo, come se il letto fosse in fiamme, Ianto scattò in piedi, una mano contro il muro per restare diritto, l’aria spiritata.

Alzò gli occhi, ansimando. C’era Jack, in piedi. Fermo, un libro a terra, dimenticato. Lo fissò, come se fosse un fantasma, come se non esistesse motivo per cui potesse essere in quella stanza, in quel momento. Poi, i pugni divennero mani distese. Il collo, le spalle, tutto sembrò rilassarsi.

 

E l’uomo che aveva di fronte, nudo, furioso, non spaventato, pensò Jack, furioso come un leone in gabbia,  tornò ad essere Ianto. Ianto, la preda nuda al centro del letto.

 

“Scusami.” - disse soltanto. Null’altro. Scusami - “Un... un incubo.”

 

E, un attimo dopo, raccolti i propri vestiti, se ne era andato.

Jack si risedette, come un automa. Raccolse il libro, le spalle nuovamente contro lo schienale. Si concesse un respiro, profondo. E la menzogna di Ianto gli girò ancora una volta nella mente.

 

Scusami, un incubo. Un incubo.

“Tocca a me, giusto? Io con lisa.”

 

Non era stato il sogno. Era stata la realtà.

Una realtà in cui si svegliava solo. E Jack non c’era.

 

***

 

Forse, dopotutto, si poteva parlare di visione sfalsata. Di filtro di percezione. Non riuscire a vedere, non cogliere l’ovvio se non con la coda nell’occhio.

 

Forse si poteva parlare di stupidità.

Forse si poteva iniziare a pensare di avere un problema.

E di non essere intenzionati a risolverlo.

 

Forse, dopotutto, le prede non erano poi indifese. Forse, le prede avevano scoperto che i predatori vivono del proprio senso di onnipotenza. E ne avevano fatto un’arma.

Dopotutto, in un ieri non molto lontano, nel mezzo di un’odiosa campagna, il cibo si era ribellato.

Le prede sono fuggite e i predatori sono diventati carne da macello, pensò Jack. Casualità?

 

Rimase in piedi, innanzi alla vetrata, le mani in tasca, lo sguardo sulla base. Ognuno era impegnato nelle proprie attività. E Toshiko, con un vestito a fiori che le lasciava scoperte le ginocchia, stava salendo le scale, per raggiungerlo.

Non aveva detto molto dalla morte di Mary e dalla distruzione del ciondolo. Aveva l’assurda pacatezza delle persone che sanno di avere fatto la cosa giusta e non si rimproverano per altro. E Jack si voltò, sorridendo, accettando il foglio di dati e le spiegazioni a riguardo.

Quando annuì e le rese il foglio, istintivamente libero, tornò a fissare la base. E Ianto, che la percorreva a lunghi passi, con una tazza in mano. Una scena normale, quasi banale. Il passo incurante, il fisico ben celato dalla giacca su misura, il nodo ben stretto della cravatta, l’espressione lievemente assente.

E Tosh, da dietro la montatura leggera degli occhiali, seguì il suo sguardo.

 

Ci sono cose che è meglio non sapere...

 

Fino a Ianto.

E poi di ritorno a Jack, agli occhi eccessivamente chiari.

“Jack, io...” - si tolse gli occhiali, chiudendoli e giocherellandoci - “c’è una cosa che devo.. che ho sentito...”

Jack si voltò, dedicandole attenzione. Era gentile con lei, in maniera fraterna, ben diversa da quella che aveva nei confronti di Gwen. Ma Tosh era intimamente grata di quelle poche attenzioni. Perché quell’uomo, il capitano Harkness, la spaventava, per migliaia di sfumature. E per l’oscurità che, certe volte, trasudava dalle sue azioni.

Jack era una presenza. E, quando lo aveva a fianco, talvolta, Tosh non si sentiva protetta. Ma soffocata.

 

“Perché non leggevo i tuoi pensieri...”

“Non lo so, però sentivo che tentavi di scavarmi dentro”.

“Ma non trovavo niente... come se fossi... non lo so, morto...”

 

“Ianto non...” - si interruppe, cercando le parole nel guardare nuovamente oltre la vetrata - “Lo so che è sbagliato, che non dovrei, ma...”

“Toshiko.” - Jack lo scandì, perché la voce del comando non si perdesse - “Cosa hai letto nella mente di Ianto?”

“Nulla.” - frettolosa nel rispondere. Una confessione in piena regola. E su un segreto che, non si sorprese Jack, dovevano sapere tutti - “Nulla che c’entri con il Torchwood ma... ma si tratta di lui.”

 

Chissà se arriverà mai il momento in cui sentirò più niente...

 

“Sta nascondendo qualcosa?” - chiese. Serio, professionale. Un capo, con il sospetto del tradimento.

Sentendosi tale. E null’altro.

 

Il dolore è costante, come se avessi lo stomaco pieno di topi...

 

“Solo se stesso.” - Tosh abbassò lo sguardo. Gwen allungava la mano e afferrava il caffè. Senza voltarsi - “E’ come se volesse essere invisibile... e ci sta riuscendo.”

 

Mi sembra di avere solo questo, adesso, non c’è una parte di me che non senta dolore.

 

“Ha il cuore spezzato.” - aggiunse, dopo un attimo. E, come se la frase fosse stata eccessiva, si rimise gli occhiali e afferrò le pratiche. Jack non la trattenne, immobile, assorto in chissà quali pensieri.

 

Ha il cuore spezzato.

E sono stato io.

 

***

 

E’ tutta colpa tua Jack, tu mi hai voluto con te.

 

La voce di Suzie non lo abbandonava. Come la sua risata.

Istintivamente, Jack serrò ancora la mano, quasi stringesse il calcio della pistola. E ripensò all’obitorio, a Suzie, già sul piano metallico, a Ianto che compilava i fogli per l’ibernazione.

Chissà se aveva un nome anche per quelle scartoffie...

Era bravo a inventare nuovi nomi... e soprannomi. Del resto, un re del cielo...

Dopo il guanto della resurrezione, il pugnale della vita.. la pistola che stordisce... le parole della fine? Oppure l’epilogo ad inchiostro?

 

Non aveva fatto in tempo a chiederlo, a scherzarci sopra. Tutta colpa di un cronometro. E di un mezzo sorriso, appena accennato.

 

Bhe, ci pensi bene. Ci si potrebbero fare molte cose.

Ah si, ne ho già mente un paio.

La lista è lunga.

 

Oh, si. Una lunga lista. Una lista che aveva richiesto buona parte della notte. E il cronometro si era perso, assieme ai vestiti, tutto attorno al letto.

 

“Le ossessioni e le passioni, sono come i guanti...” - mormorò - “Vanno sempre in coppia.”

Si stiracchiò e, quando lasciò ricadere le braccia, sentì la propria mano posarsi in un’altra.

“Paragone appropriato, signore.” - commentò Ianto. E il suo pollice percorse il palmo della mano di Jack, tracciando una scia fresca, fino alle dita - “Come la vita e la morte...”

“Direi che, di questi tempi, la vita e la morte tendono a mischiarsi più del dovuto...”

“Come l’odio e il sesso...” - Jack si voltò di scatto. E Ianto sostenne l’occhiata - “...signore.”

 

Sdraiati uno a fianco dell’altro. I visi voltati, uno verso l’altro. Gli occhi, dentro agli occhi. E quelle due mani, intrecciate, tra di loro.

 

Poi Jack sorrise, di scherno. E gli occhi gli brillarono.

 

E’ tutta colpa tua Jack, tu mi hai voluto con te.

 

“Forse.” - replicò, allungandosi verso di lui, verso la sua bocca - “Ma non ci vedo niente di male... Ianto...”

 

Ianto non si ritrasse dal bacio. E non gli lasciò andare la mano.

Avanti... fine dei giochi. Scopriamo le carte.

 

“Vuoi dire basta?” - mormorò, incurante, incombendo su di lui, il viso tanto vicino da sembrare ancora un bacio - “Vuoi finirla qui?”

Ianto non rispose. Lo sguardo scivolò dalle labbra agli occhi di Jack, liquido.

“Una sola parola, Ianto. Decidi tu.”

“Una, due... Non ha importanza.”

 

Come?

 

“Non ha importanza, Jack.” - mormorò Ianto, guardandolo. E la mano si strinse spasmodica, attorno alla sua - “Non importa perché tu svanirai, un giorno. E averti detto si.. o no... ora... non avrà nessuna importanza. Mi sveglierò e sarò solo in questo letto.”

 

Te ne andrai, così come sei giunto.

Prima... o dopo... nessuna differenza. E il dolore non finirà mai.

 

“I re del cielo sono fatti per volare. Non sanno stare a lungo tra i mortali... non è la loro natura.” - aggiunse, senza smettere di bruciarlo, con quegli occhi. Prima di voltarsi e spegnere la luce.

 

I re del cielo non sanno morire. E non sanno amare.

 

“Ti basta, Jack? Ti basta come risposta?” - mormorò l’oscurità.

 

Jack non disse nulla. Prede. E predatori. Sempre in eterna lotta per sbranarsi a vicenda. E sempre insieme. La sua mano strinse le dita di Ianto, con forza.

 

Capitano, mio capitano, lo vuoi sapere un segreto?

Qualcosa si muove nel buio e sta venendo, Jack Harkness... sta venendo da te.

 

Resta, stanotte. Perché hai ragione, accadrà. Ma non sarà domani.

(09 febbraio 2008)