ESSERE O NON ESSERE: ODILE E ODETTE (Lago dei cigni, Parte 1)

Riflessione a tempo perso


Il concetto di doppio sembra accompagnare la storia umana: si ritrova in religione, psicologia, filosofia, letteratura... e, inevitabilmente, in un tale panorama, Danza, Teatro, Musica e Cinematografia non potevano astenersi dal dire la propria.

Dire la propria più, più e più volte!

Giusto ieri, infatti, per restare in tema, ho finalmente visto “Black Swan”, il film di Darren Aronofsky che ha valso l'Oscar a Natalie Portman e che si portato a casa tante nomination quante ne bastano per tappezzare una parete.

Che dire di lui, innanzitutto?

Mah, magari cominciamo con qualcosa di semplice... direi che mi è piaciuto.

Mi è piaciuto per la suspence, la rivisitazione geniale della musica di Tchaikovsky da parte di Mansell (che già solo per il pezzo di Requiem for a Dream merita un posto nel mio cuore), per l'ambientazione onirica e per l'interpretazione della nostra Natalie. A seguire, mi è piaciuto perché Vincent Cassel per una volta non era del tutto un pazzo e perché Winona Ryder sembrava di nuovo giovane (capitemi, quando ho visto Star Trek e lei era la madre di Spock... brrr!). Insomma, promosso.

E ora, assolti i miei doveri (e se volete sapere di più del film e di cosa ne pensiamo, cercate la recensione su questo blog, quella seria), parliamo di riflessioni che possono essere scaturite da questa pellicola.

Non sono qui, infatti, stasera, per un commento esteso riguardo il film in sé, sui pro e i contro che si possono incontrare o sull'accoglienza riservatagli da pubblico e critica. Il film è solo un punto di partenza per speculare un poco su di un argomento per cui sono state spese molte parole ma mai in numero tale da ritenere consumato il dibattito: il doppio.

Il doppio, da sempre, affascina scrittori e pensatori. Così, da Checov a Calvino, passando per Wilde, Stevenson e Pirandello, oppure da Freud, Jung o Rank, il doppio è un continuo tornare all'ossessione tipicamente umana per il numero due che potrebbe scalzarci e portarsi via tutto: amore e odio, bene e male, yin e yang, giorno e notte, luce e buio, essere e non essere.

Ecco, fermiamoci! Essere e non essere.

Oppure per restare in tema, Odette e Odile.

Il Lago dei Cigni, per autonomasia, racconta la storia di un duo, di uno sdoppiamento: la coppia che si rammenta, presa visione del balletto, infatti, non è formata dal cigno e dal principe bensì dal cigno bianco e dal cigno nero. Sono due o una sola? Le coreografie dicono una, la storia nella sua stesura classica dice due... ma il finale non ci dice mai che fine abbia fatto Odile.

È un fatto che disturba, non credete? Io ho impiegato un poco a rendermene conto. Ho visto molteplici versioni del Lago dei Cigni ma nessuna contraddice questo fatto: Odette è uno strumento del male entra in scena con un obbiettivo ed esce di scena quando il compito è adempiuto.

Odette non ha anima. Non viene punita, non viene braccata, sembra addirittura essere dimenticata nell'istante stesso in cui il danno è fatto.

Nel momento stesso in cui il principe si rende conto del disastro, Odile è già svanita dalla sua mente.

Come è possibile?

Odile sembra Odette ma non lo è. Se c'è Odette, Odile non esiste. Essere o non essere, di nuovo, Amleto non mentiva, dopotutto: la sua affermazione calza a pennello anche questa volta.

Essere o non essere.

Vivere o morire.

Essere reali o... non esistere affatto.

Giunti qui, a passo di danza, possiamo dunque negare che Odette e Odile siano la stessa persona in due differenti letture anche nella storia e non solo nella coreaografia?

Odette, intrappolata nel corpo di Odile, danza con il principe, si illude, si dispera per ciò che sta per accadere. E il dolore la uccide, il dolore di essere stata causa essa stessa della propria caduta e, marionetta e carnefice allo stesso tempo, causa della morte del principe. Dopotutto, il nostro mago cattivo aveva il potere di trasformare Odette in cigno... perché non intrappolarla in una nuova forma, terribile quanto quella animale?

Perché non estendere la storia di questo balletto ai suoi limiti, allontanarci dal doppio narrativo e cadere in quello filofico e psicoanalitico, dentro la mente umana, negli angoli bui dell'inconscio?

Io credo si possa fare senza sensi di colpa: il lago dei cigni ha qualcosa di ipnotico e inquietante al suo interno, qualcosa che stuzzica l'uomo a quasi 150 anni di distanza dalla prima messa in scena. I grandi corpi di ballo continuano ad averlo in repertorio, i grandi coreografi, prima o poi, vogliono metterci mano, mutando, distruggendo e reinventando una storia che potrebbe essere una fiaba eppure non lo è del tutto.

Una storia in cui il finale continua a cambiare. E cambiare. E cambiare.

Eppure, per quanto cambi, il doppio esiste ancora. Ed Odile, versione dopo versione, è ancora sensuale, intensa, sfuggente e distruttiva, in grado di reggere le sorti dello spettacolo e tanto abile a svanire all'improvviso.

Odile che, a dirla tutta, non vuole uccidere il principe... ma vuole la distruzione di Odette.

Cattiva o vittima? E, a conti fatti, possiamo dire che Odile sia sopravvissuta a Odette?

Il film di Aronofsky, quindi, senza allontanarsi troppo da eminenti esempi letterari, basa tutta la narrazione sul grande conflitto tra i due ruoli opposti, interpretati dalla stessa ballerina e conviventi in un solo corpo e una sola anima come Jeckill e Hyde.

Poi, amplifica il tutto e porta la dicotomia su un altro piano, più concreto e controverso: l'antagonismo, la lotta per la parte e la competizione nelle sue sfumature più malate e inquietanti.

Odette e Odile, ancora, ma dietro le quinte, alla prova costumi, sotto gli occhi del coreografo.

Mai due, mai senza risultati distruttivi. Mai insieme, seppure complementari.

Se una vince, l'altra perde: la parte è una sola, non si sfugge a questa realtà, sul palco.

E questo ci porta all'ultimo passaggio di questa nostra chiacchierata, all'ultimo doppio che si trova in teatro: ciò che si è e ciò si finge di essere.

Insomma, attore e personaggio, ballerina e ruolo.

Cos'altro può essere il nostro doppio, in ultima analisi, se non il ruolo che vogliamo rivestire?

Il doppio, in teatro, è colui che vive sul palco, quando noi cessiamo di esistere.

La nostra personale Odile, che deve ucciderci almeno in parte per emergere: deve ucciderci con i dolori muscolari, la tensione, i mesi accumulati in palestra a ripetere sempre gli stessi esercizi, le stesse sequenze. Odette non è altri che l'artista, la ballerina che resta nelle quinte, osserva in silenzio, in attesa (o in trappola): non potrà intervenire, non potrà urlare 'fermi tutti' se qualcosa andrà storto in scena. È la regola del retropalco, è il dramma di Odette che non può accedere al ballo, qualunque cosa accada. Può solo osservare, attendere il proprio turno e, se le cose si metteranno male, sentirsi tradita dopo tanto impegno, dopo tanto tempo perduto.

Un dolore, come morire. E sarà colpa di Odile, sempre di Odile!

Odile, che ottiene tutto prima che l'incanto si spezzi. Odile, che se ne va solo quando siamo svuotati, privi della forza di alzare un braccio, nel frastuono degli applausi o nello svogliato battere le mani che viene dal buio. Odile, che abbandona la scena solo al finale, compiuto il sortilegio.

Il paradosso?

A teatro, gli applausi non sono mai per il personaggio, ma sempre per l'interprete: Odile vive sotto i riflettori, tesse la sua illusione ma è Odette, con il sentimento che riversa in lei, a decidere il finale, se sarà vita o morte, trionfo o disastro. Odette vuole essere Odile, lo vuole disperatamente e, da questa volontà, dipende la riuscita di uno spettacolo.

Apoteosi, si dice, talvolta, riferendosi al finale del lago dei cigni.

Apoteosi è ciò che si prova inchinandosi di proscenio.

Apoteosi è il destino di Odette.

E, quando si compie il destino, Odile, come da copione, è già svanita.