§ LA DONNA IN CATENE - CAPITOLO NON UFFICIALE - 2000 §
§ IL BUIO E LE PAROLE §
Di MargotJ
Ho la tendenza a ripetermi.
E sono anni che Franca mi sopporta mentre lo faccio.
Voglio scrivere di Chains. Lo dico, con convinzione.
E Franca annuisce, con saggezza,
mentre risponde alle mie email,
probabilmente un po’ rassegnata
da tutto questo mio improduttivo chiacchierare.
Ora è giunto il momento di sorprenderla.
Perché Franca, con la sua Chains,
non solo mi ha sorpreso, viziato e irretito...
mi ha fatto piangere. E fatto comprendere che nella vita,
non sempre cerchiamo i nostri personaggi.
Sono loro che giungono a noi.
Timeline: dopo LuxLiberaNos. Perché le parentesi, chiudendo, non producono rumore
Nota dell’autrice: non pretendo di avere capito Chains. L’ho amata alla follia proprio perché ha continuato a sfuggirmi. Ma stasera, rileggendo qua e là, io l’ho vista così… ho voluto vederla così.
Amiche mie, Franca e Chains, prendete queste parole per ciò che sono. Parole.
A seguito di spiacevoli
episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia
autorizzazione solo presso il mio sito, Vs.
Ananke e su PrincesToTheNoir.
Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi
. Grazie, MJ
§ Una parentesi di felicità, una parentesi di dolore…
e il resto… il resto non è che statica, desertica, solitudine… §
(Angel, Lux libera Nos)
§ 1 §
Parigi, Francia
Talvolta sogno di
parole senza un senso.
Sogno di ritorni
dannati e di perduta vita.
Sogno di morte.
Sogno, semplicemente.
E, al risveglio,
resta solo il profumo. Il profumo denso e insistente di queste notti inquiete.
Del mio sangue, della mia pelle... della mia solitudine.
Il profumo di
Angel. Angel, il nome della mia solitudine.
Mi vesto, con
lentezza. Accompagno ogni movimento con un ricordo.
La seta sulla
pelle, accarezzata da mani forti, sicure.
La mia biancheria,
lunghe dita che si attardano lungo la chiusura.
I bottoni della mia
camicetta, stretti tra i nostri corpi, difficili da raggiungere per entrambi.
I miei jeans, la
piccola cerniera che si tende.
Che si chiude.
Questo mi riscuote, mi da’ consapevolezza.
I vestiti mi
coprono, non cadono a terra. I vestiti sono sulla pelle, eppure provo freddo.
Di nuovo mi coglie la disturbante sensazione che la vita si riavvolga, quando
non c’è Angel, con beffarda lentezza. E abbassando lo sguardo, accetto questa
realtà: solo le mie mani, sul mio corpo.
Chiudo gli occhi e
porto le dita ai capelli, tirandoli indietro, lontano dal viso. Il viso verso
un punto indefinito, la bocca dischiusa in attesa di labbra. I capelli mi
ricadono sulle spalle, ma nessuno giungerà a scostarli, a baciare la linea del
mio collo, inarcata nel gesto.
È solitudine. Non è
Angel.
Solo solitudine.
§ 2 §
Cammino per strada.
Non ho dove andare.
Non mi importa.
È la strada che mi
interessa, non dove finirà il mio cammino. So già qual è il mio finale. E mi
riservo di ignorarlo.
Alzo gli occhi,
cerco i bagliori argento nella Senna. E, tornando a fissare innanzi a me, la
vedo. È lei, lo so, la ragazza uccisa a Venezia. Il sangue le sgorga ancora
dalla gola. Ma nei suoi occhi non c’è più paura.
È compassione.
Compassione su quel viso insanguinato. Per me.
La osservo. Siede
sul ponte, i suoi piedi non toccano terra. Mi guarda sfilarle innanzi. E ci
scambiamo una lunga occhiata. Mi sorride, mi tende le mani, come per mostrarmi
una cartina.
Ma io le volto le
spalle. E mi allontano, mentre il sangue ricomincia a scorrere copioso,
macchiandole i vestiti, le scarpe.
Non mi importa. Eri
senza un nome e resterai senza un nome. Sei una tra mille.
Non hai valore per
te stessa. Hai valore solo perché lui ti ha fissato negli occhi.
Rammentalo, la
prossima volta che verrai a tormentarmi.
Salgo la scalinata,
con lentezza. Notre Dame si innalza verso le stelle
con il suo personale messaggio. C’è un uomo,in piedi, innanzi alla facciata.
Ma io so che non è
lui.
Non è mai lui, in
questa città piena di fantasmi.
Eppure si volta, mi
sorride, in modo storto. E io sento il ventre lacerarsi per quello sguardo, per
quel mare di lava scura che vi scorre.
Mi fermo, le mani
rilassate nelle tasche della mia giacca di pelle, i capelli sciolti alla brezza
della notte.
“Cosa ti aspetti
che accada.” - domando, in un soffio. E il vento porta via le mie parole -
“Cosa credi che stia pensando.”
Non mi importa di
parlare da sola.
Il buio ha la
brutta abitudine di essere privo di tempo.
Il buio è sempre
vivo, nell’avvolgerci.
E nel buio lo vedo,
ancora.
Angelus. Cammina
verso di me e una mano accarezza con lentezza l’altra. Un gesto che nemmeno
l’anima ha potuto cancellare.
Veste di nero,
velluto di un riflesso caldo, indaco. E la fitta nel mio ventre si acuisce.
Ricordo, lo ricordo su questo spiazzo, il desiderio del selciato sotto i nostri
corpi nudi e Notre Dame a guardarci. Blasfemo,
direbbero.
Divino, penso
soltanto.
Lo sento, mi
afferra. Sono a terra, mi sovrasta, mi prende. È una fiamma di piacere tale da
cancellare ogni dolore.
Ha il profumo delle
sue vittime, ricercato, caldo, di morte e violenza. Vuole ancora dolore. Vuole
il mio. E sa come ottenerlo. Sa che non intendo negargli nulla.
E lo desidera
perché non gli appartengo.
Chiudo gli occhi,
ansimo. Le mani ora sono strette dentro le tasche e premono sull’addome,
cercano disperatamente un controllo che la mia mente, il mio cuore e il mio
demone non possono… non vogliono… provare.
Rialzo la testa. E
lui avanza ancora.
I suoi occhi, il
suo corpo, le sue mani, il suo buio.
Mi attraversa.
Svanisce.
Resta solo il
vento. Resta la notte. E Notre Dame osserva.
Alzo la testa verso
di lei. Perché così era e così è.
Ed il resto… il
resto è già cenere.
§ 3 §
Di me so donarti
solo parole. Perché tutto brucia, tra le tue dita.
Brucia il mio
corpo.
Brucia il mio
cuore.
E, ne avessi una
dannata, anche la mia anima sarebbe fiamme tra le tue mani.
Risuonano i miei passi,
perché sono io a volerlo. Il silenzio è vasto, uniforme.
Dove sono queste
parole, allora.
La piramide
accoglie la realtà circostante e scompone il riflesso. E io non esisto, su quei
cristalli. Volto le spalle al Louvre e alzo la testa. Le mie mani,
istintivamente, abbandonano il loro rifugio e scivolano sui fianchi, nel gesto
di stringere la seta di una gonna.
Una lunga gonna
verde cupo. Con gesto sicuro sciolgo i capelli frettolosamente annodati, li
lascio ricadere sulle spalle, scotendo la testa.
Ricordi? Ricordi
quel velluto sulla mia pelle? ricordi i miei capelli, a malapena intrecciati?
Parigi è
stranamente vuota, stasera. L’aria sembra fremere al mio passaggio. E mutare.
Mutano gli alberi, mutano i viali, le luci si affievoliscono.
Un’epoca perduta
avanza con me, popolandosi di volti, di immote linee che divengono persone,
risate, voci sommesse.
Ti vedo, Angelus,
ti vedo ancora. E ho paura dell’istante in cui non sarai più tu ad afferrarmi.
Mi allontano dai sentieri lastricati, come allora.
E ti scorgo.
Afferro più stretta
la gonna, il velluto affonda nella mia pelle. Corro.
Place de la Concorde
riluce a distanza, ma non ha nessun valore per me. E’ il buio che sto cercando.
E lo trovo.
Lo afferro, mi
afferri, voliamo scompostamente a terra, il mio velluto, il tuo velluto, la mia
pelle, la tua pelle.
Le nostre labbra,
le nostre mani, il nostro desiderio che ci infiamma, che ci riempie.
Penetra in me, come
il più brutale dei veleni, mi obbliga a mordermi le labbra, artigliargli la
schiena, scalfirgli la pelle con i denti, con le unghie. Ma nulla può fermare
l’oscurità quando avanza. E io la sento che si propaga, a maree così ampie e
dense da potermi uccidere. E’ l’alba. L’alba che sorge denTro
il mio corpo. E infiamma.
Le stelle sono
sopra di noi. L’erba macchia i nostri abiti, impregna i nostri capelli.
Piego le ginocchia,
mi porto le mani al petto, ad artiglio, sopra i seni, al collo. E mi inarco, in
un ultimo spasmo.
I capelli mi si impigliano
in questo gesti convulsi.
Infine giunge,
inaspettata, la quiete.
Mi abbandono, la
testa reclinata, le mani ancora su questo cuore che non batte.
“Andiamo, Chains…” - mi sussurri, nello spegnersi dei nostri ansiti -
“Lo pensi veramente? Sei certa che debba essere così?”
E comprendo.
Sono solo parole. E
le mie dita, pur cercando non trovano il velluto, la tua pelle, i tuoi occhi.
Sono solo parole di una storia già vissuta che ho donato a me stessa.
Il velluto... il
velluto era Venezia. Non Parigi. Sono confusa, non importa. E i ricordi sono
solo uno. I ricordi parlano solo di te.
Sono svuotata.
Sono vuota. Su
questa erba verde che sarà appassita tra breve, su questa terra che ci ha
accolti e protetti già una volta. E che ora, con la sacralità di una
cattedrale, accoglie solo la mia solitudine e le mie lacrime.
§ 4 §
Ho lasciato Venezia
da pochi giorni. Poche ore, forse.
È solo tempo. E il
tempo si distribuisce uniforme, alle mie spalle e innanzi al mio sguardo. So
dove è cominciato… inizio a vedere dove finirà.
La giovane turista
mi attende ancora sullo stesso ponte, mente percorro a ritroso i mie passi. Il
sangue sgorga ancora dalla ferita, allargandosi ai suoi piedi, sul marciapiede,
cadendo ad ampie gocce nel fiume.
Mi guarda, come
prima, con pietà. E io ricambio, con derisione.
Eppure, quando la
osservo, vedo Angel. Angel e le sue parole senza ritorno.
Sei morta invano.
Ed io pagato per questa tua morte. Che ti sia di conforto.
Riposa in pace, se
puoi.
E ricorda… Non
esiste rimorso senza un’anima. Per me non sei nulla.
Svanisce, con
lentezza. E io resto ad osservarla, mentre diviene opalina alla luce della
luna. E poi tutt’uno, con i bagliori della Senna.
Mi sporgo dal parapetto,
lo afferro con entrambe le mani. E i capelli scivolano in avanti.
Chiudo gli occhi,
mi addento le labbra. E penso alle tue mani, Angel. Alle tue mani che scostano
questa chioma e cercano la mia nuca, la mia gola, la mia arrendevolezza.
Una mano risale,
fino a posarsi sul cuore. Ma non incontra la tua.
Non ci sei.
Ti sento, eppure
non ci sei.
Sei solo parole
nella mia mente. E sulla mia pelle.
Sento il tuo corpo
aderire alla mia schiena. Mi appoggio, mi cingi con le braccia. Volto il capo,
ottengo le tue labbra, cerco la tua nuca, la afferro.
Mi giro. Perché
voglio i tuoi occhi. Voglio che mi desideri, voglio leggerlo in te. Nel tuo
corpo. E nella tua anima.
Ma non ci sei. Non ci
sei. Ed io resto, immobile, appoggiata al parapetto, i capelli mossi da questo
freddo improvviso.
Per la prima volta,
in questa notte, mi sale una risata alle labbra.
Fredda, disperata,
liberatoria.
Non una donna, angel. Una
donna non basta a separarti da me.
Ma un’anima…
Già. Rido ancora,
chino la testa, afferrata a questa balaustra, i capelli quasi sul viso per
questa ilarità. Con l’anima non posso competere.
Cosa è divertente?
Che l’ho sempre saputo.
Eppure te l’ho
donata comunque. Era la mia anima. E io l'ho data a te.
Ed ora... ora mi
restano solo le parole.
§ 5 §
Non avevo garanzie.
Cerca di comprendermi.
Non avevo certezza.
Sono stata
maldestra, lo ammetto. Capiscimi, anche se non puoi perdonarmi.
Io ti amo. Voglio
che mi ami. Ma non ti appartengo.
La folla è apparsa
dal nulla, riversandosi in questa via. Mi urtano, si scusano, mi ignorano. mi
urtano ancora.
Turisti. Turisti,
persone in maschera di un altro tempo.
No. E' Parigi, non
Venezia. controlla le tue allucinazioni, chains. Non
abbandonarti ad esse.
Dimentica il
velluto. Dimenticalo. Dimentica lui.
Mi appari, come se
ti avessi evocato.
Mi fermo.
Angelus... no...
Angel...
No...
Non tu...
Liam mi sorride. Mi afferra
i fianchi, come allora, nell'unico abbraccio che mi abbia mai donato.
Ed io, questa
volta, non fuggo.
Mi bacia, con
quell'esuberanza ridente che aveva negli occhi, ebbro di vita, privo di
coscienza.
la sua innocenza si
riversa in me, mi dilania. le mani sul suo petto vibrano, inaspettate.
E' il suo cuore.
E batte,
forsennatamente. Le sue labbra si dischiudono, come il fiore del peccato.
Ma io non voglio
sentire le sue parole. Non voglio.
Le mie pupille si
dilatano, lo sento. Il mio demone...
Lo spingo lontano,
mi volto, fuggo, così rapida da non avere coscienza. Corro, lungo la Senna,
invisibile agli umani.
Corro. Ma non si
sfugge a quel fuoco. Non si sfugge alle proprie parole.
Hai sporcato l'unico
ricordo autentico che mi sarebbe rimasto di te.
No, non sono io che
l'ho detto. Non sono parole mie.
Sono tue. Eppure,
da quel giorno, non faccio che ripeterle a me stessa.
Tu, non io.
Parigi, non
Venezia.
Rallento, mi fermo.
Riprendo a camminare. Percorro con lentezza questo spazio infinito. Mi fermo,
ancora.
Le mie mani cercano
il metallo della ringhiera, la stringono, la deformano. E la Senna rimanda una
volta ancora i bagliori argento.
Parigi è in quelle
acque. con le sue luci, il suo tempo distorto dal rimembrare.
Appoggio i gomiti,
chino la testa, i capelli nuovamente impigliati tra le dita, gli occhi chiusi.
Un dolore si
propaga lungo le tempie, stordendomi. Il tuo profumo mi investe, come il tuo
sapore, il tuo dolore.
Io. Io sono il tuo
dolore. E tu, tu sei la mia solitudine.
Reprimo un
singhiozzo. Per una volta, prego di non sentirti.
Una volta sola. E
non lo desidererò mai più.
Nè mai prima l'ho
desiderato.
Ti rinnego, angel. Per un singolo istante, ti rinnego.
Il disgusto mi
prende, piegandomi le ginocchia.
Il mio cercare di
restare in piedi diviene inutile.
Mi accascio a
terra, le mani ancora strette alla ringhiera, il viso contro le foglie di ferro
battuto.
Non sentirti... non
posso non sentirti. Cerco di formulare il tuo nome.
Le mie labbra, la
mia gola non rispondono.
Per un attimo sono
invasa dal terrore. non riuscirò mai più a chiamarti, ora lo so.
Tutto mi verrà
negato, anche questo, per il desiderio appena espresso.
Non sentirti.
Non vederti.
E ora... non
cercarti.
Hai detto che
talvolta ho saputo donarti solo parole. Adesso, forse, sono finite anche esse.
§ 6 §
Capita a tutti di
essere patetici.
Credo mi sia appena
successo.
Per fortuna, so
badare a me stessa.
Entro in casa,
getto le chiavi sul tavolino impero dell'ingresso. Mi libero della giacca,
delle scarpe.
L'uomo con cui sono
stata, indubbiamente, non ha avuto riguardo per i miei vestiti. E, direi,
nemmeno per me.
Io, di contro, ho
avuto riguardo per lui.
Ed infatti è ancora
vivo.
Mi slaccio la
camicia. porto il colletto alle labbra, respiro.
Profumo. profumo di
uno sconosciuto. perchè no...
Non aveva nulla di
te. ed è per questo che ha avuto valore. Per questo è ancora vivo. Per te.
Questo pensiero mi strappa
un sorriso. Certe cose non cambiano mai.
Si, angel. Tu sei il mio punto fermo. E tutto si riconduce a
te, in un modo o nell'altro.
Inarco la testa,
respiro ancora quel profumo anonimo.
Sono le mie mani,
non le tue. Eppure i vestiti, uno ad uno, cadono a terra.
Percorro la mia
stanza, nuda, fino innanzi all'ampia specchiera ovale.
E per me un quadro
che cambia di continuo. muta, insieme alla stanza. vi appaiono i miei vestiti,
i miei oggetti.
Ma io, nuda,
immobile, non esisto.
Mi fermo, quasi
potessi immaginarmi innanzi a quella lamina di vetro e argento.
"Angel."
- mormoro, a braccia conserte
Ma tu non ci sei.
Non sei qui, come il mio riflesso.
Piego la testa,
fisso un punto indefinito.
"Angel."
- ripeto a me stessa. E penso a come so... a come sento che mi hai
percepito.
Ma sono solo
parole. E' solo un nome. Angel.
Angel è solo il
nome della mia solitudine.
Basta.
Allungo le mani,
apro il piccolo cassetto del mobile. E afferro un paio di forbici.
Sarà rapido, valuto,
cinicamente. inclinando il capo, scostando i capelli con la mano libera.
E la prima ciocca
color fiamma, tagliata, cadendo a terra, diviene cenere.
In questa notte d’autunno
Sono pieno delle tue parole
Parole eterne come il tempo
Come la materia
Parole pesanti come la mano
Scintillanti come le stelle
Dal tuo cuore
Mi sono giunte le tue parole
Le tue parole cariche di te
Le tue parole…
Erano tristi, amare
Erano allegre, piene di speranza
Erano coraggiose, eroiche
Le tue parole
Erano uomini.
(Nazym Hikmet)
(10/11 marzo 2007)