TORCHWOOD
Di MargotJ
*Carmilla is dead*The
brain is offline for the hotness of Jack/Ianto*
*Carmilla giura eterna ed imperitura devozione a
Margot per le immagini costruite*
*Carmilla la odia anche un pochino per quanto le è
riuscita bene questa fic
ma ci passa sopra nella speranza che ne produca altre, altre, altre, altre*
Spoiler per: seconda stagione di Torchwood. Allusioni alla fine della stagione.
Pairing: Jack/Ianto/John slash (ma non garantisco che siano in carattere)
Rating: NC17, Slash, Romance (romance? Ma cosa, sei scema? No, non romance. Questo è certo. Il resto non so)
Timeline: post 2x13
Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Nota dell’autrice: il triangolo non l’avevo considerato, cantavano un tempo. Adesso, da quanto ho capito, il triangolo è l’unica cosa che si possa considerare. E prevedo di vergognarmi moltissimo a scrivere questa fanfic, perché (forse) voglio esagerare. Siate gentili. Mi sto per traumatizzare da sola.
A seguito di spiacevoli
episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia
autorizzazione solo presso il mio sito, Vs.
Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per
cortesia, scrivetemi
. Grazie, MJ
Fine
della sofferenza. Fine dei problemi, di quelli veri.
Restavano
gli altri. Gelosia, sesso, testosterone. Quelli senza soluzione.
Quelli
che Jack aveva sperimentato in ogni epoca e ad ogni latitudine e che, di
solito, per colpa sua, iniziavano sempre alla stessa maniera.
Con
un pugno.
“No,
non di nuovo.” - ringhiò dunque, spalancando la porta dell’ufficio e correndo. Gwen stava facendo altrettanto, dal ballatoio della sala
riunioni. L’epicentro del disastro era un groviglio di braccia, gambe e
postazioni computer rovesciate. Urla, ringhi, gemiti soffocati.
Jack,
senza paura, si gettò in quella mischia. Quando ne emerse, tenendo Ianto per il
torace e opponendo una certa resistenza alla sua furia omicida, John Hart si sedette, senza obbligare Gwen
a stenderlo e li fissò, ostile.
“Perché
hai afferrato lui e non me?” - urlò, rivolto a Jack, senza perdersi in
preamboli.
“Perché
io sono il presente. E tu uno zero.” - ringhiò Ianto, senza dare a Jack il
tempo di rispondere - “E devi solo andare a farti fottere, amore.”
“Perché, zucchero… conosci un
posto migliore di questo?”
CANDYMAN
He
got those lips like sugar
cane
Good
things come for boys who wait
He's
a one stop shop with a real big uh
He's
a sweet talkin' sugar-coated Candyman
Say
what?
A sweet talkin
sugar-coated Candyman
(say a sweet
talkin sugar-coated Candyman)
A sweet talkin
sugar-coated Candyman
Ha quelle labbra come canna da zucchero/Belle cose
arrivano per i ragazzi che aspettano
E' un unica fermata con un grande"uh"/E' una
dolce chiacchierata zuccherata con un uomo dolce/Dico cosa ?
E' una dolce chiacchierata zuccherata con un uomo
dolce/Dici una dolce chiacchierata zuccherata con un uomo dolce
E' una dolce chiacchierata zuccherata con un uomo
dolce
A
quella semplice frase, Jack valutò se allargare le braccia e lasciare che Ianto
liberasse il suo io. Poi, con un ultimo slancio di onestà, dote che non
brillava particolarmente tra le tante che aveva, lo tenne ancora più saldamente
per le braccia, salvando la vita e i connotati all’animale irriverente che
avevano di fronte.
“Finitela! Ora!”
“Oh,
scordatelo.” - ringhiò Ianto, cercando di liberarsi - “Io lo voglio morto e ti
assicuro che lo avrò morto.”
Ecco
una risposta a cui Gwen non riteneva di essere
pronta. Fissò Ianto, ancora fermato da Jack, spalancando gli occhi. Poteva
tollerare la visione di Ianto Jones sporco, arruffato e con lividi da rissa
sulla faccia. Più difficile poterlo immaginare impegnato a rispondere per le
rime a Jack.
“Tu
non farai niente del genere.” - obbiettò Jack, per niente intimorito,
scrollandolo come un cucciolo. Poi alzò gli occhi verso John, che si sistemava
i capelli specchiandosi in un montante di lamiera - “E tu sparisci, prima che
sia io a volerti uccidere.”
“Perché?
Il piccolo abbaia ma sei tu quello che morde?”
“Jack,
lasciami.”
“John,
ti giuro…”
“Si, si… lo so.” - il
capitano Hart si spolverò per l’ennesima volta con
meticolosa cura il retro dei pantaloni - “Non dire al piccolo verità che
potrebbero sconvolgerlo.”
“Ora
basta.”
Ianto
scattò, volendogli nuovamente addosso. E Gwen si
voltò versò Jack, con un’occhiata omicida.
“Che
vuoi farci.” - mormorò quell’altro, con un’alzata di spalle - “Credo mi sia
scivolato di mano.”
E,
detto questo, mentre il suono inequivocabile di un pugno su un osso e quello
sordo di una testa contro il pavimento giungevano alle loro orecchie, si gettò
nella mischia.
***
Una
scacciacani. Ecco cosa avrebbe voluto avere Gwen. Una
scacciacani.
In
mancanza, aveva gestito la situazione come meglio credeva. E con ottimi
risultati.
“Grazie.”
- commentò dunque Jack, cercando di scollarsi i vestiti di dosso.
“Non
c’è di che.” - rispose lei, imbracciando ancora la manichetta antincendio - “Mi
aiuti adesso o torni a rotolarti con loro?”
Jack
le rifilò un’occhiata che, nella sua visione del mondo, avrebbe dovuto
incenerirla. E si piegò, afferrando uno Ianto da strizzare per un gomito,
sollevandolo dallo stomaco di John.
L’acqua
ad alta potenza aveva lavato il sangue e la polvere ma non di certo la bile che
scorreva tra i due. Ed anche se, come notò Gwen con
maligno piacere, Ianto aveva meno segni di John, occorreva trovare in fretta
una soluzione.
In
fretta.
Ianto
era decisamente più veloce. E stava urlando di nuovo.
John
rideva.
“Finiscila!”
- Jack cercava di sovrastarli con le proprie urla. Ma Gwen
iniziava a sospettare, da come lo guardavano quei due, che la camicia
appiccicata al torace e i capelli gettati indietro non fossero la via migliore
per calmare una divergenza per gelosia.
Aveva
appena concretizzato le loro fantasie. E accelerato il disastro.
“Voglio
che la smettiate tutti e due con questa storia!”
“Oh,
certo! Dimmi che non ti piace vedere me e Candy che ci picchiamo…”
“John,
ti assicuro che so farti male anche senza farti godere se occorre!”
“Oh,
taci, Jack! E pensa a fare la moglie e non la zoccola se vuoi aiutare!”
Occorreva
una soluzione. Una vera soluzione.
Una
soluzione che, a conti fatti, non la riguardava.
“Sapete
cosa vi dico?” - mormorò dunque, guardandoli. Tutti e tre, per non fare torti,
impregnati di acqua fino alle ossa ma ancora piuttosto accesi - “Me ne vado a
casa. Ci vediamo lunedì.”
Lasciò
andare la manichetta e questa, con un tonfo avvilente, cadde in una pozzanghera.
“Gwen?”
“No,
Jack. Oggi seguo l’orario di ufficio. Ci vediamo lunedì.” - ripetè,
con aria innocente, afferrando la borsa e la fondina con la pistola - “Ed anche
se so che essere leale non è nella tua indole, per cortesia… se non risolvi la
questione telefonami e dammi una settimana di ferie. O il licenziamento. Ciao.”
Seguì
il suono del cancello che si apriva. E del cancello che si richiudeva.
“Però..
la bambola ha stile… mai pensato di farci un giro, JackieBello?”
“Oh,
chiudi il becco, John!”
Ianto
si voltò, fissandolo.
“Andiamo,
Jack, non fare il santo.” - sputò, guardandolo. Grondava acqua fin dalle ciglia
- “Tu volevi farci un giro!”
Gli
occhi vitrei di Jack divennero enormi. E lo fissarono, increduli.
“Ma
chiudi il becco anche tu!” - sbottò, girando sui tacchi e andandosene, con una
rotazione che sollevò parecchi spruzzi - “E non darmi mai più della zoccola in
pubblico!”
***
Zoccola
o no, aveva una certa quale abitudine a perdere i vestiti in giro.
Ianto
percorse l’ufficio e il corridoio zigzagando tra i capi di abbigliamento.
Li
perdeva ed era lento a trovarne altri, constatò, appoggiandosi allo stipite e
guardandolo.
“Fai
con comodo.” - Lo apostrofò, non riuscendo a resistere. Nuca, spalle, schiena
nuda, glutei... percorrerlo con ordine era eccitante come scoprilo con un
urgenza - “Non ho niente da fare.”
“Ah
no?” - Jack rise, posando anche la camicia che aveva in mano e fissando i
ripiani dell’armadio. Gli piaceva quell’occhiata. La sentiva salire e scendere
sulla pelle, come respiro - “Non hai più l’impulso irresistibile di uccidere?”
“No,
ho risolto il problema.”
Jack
si voltò. E la visione gli sembrò straniante. Maglietta, jeans, cintura alta,
di cuoio scuro. Stivali… stivali?
All’improvviso,
l’essere nudo gli sembrò un surplus a una situazione piuttosto interessante.
“Sei
pronto per un rodeo?” - domandò, guardandolo bene. Le ciglia percorsero un
arco, lasciando che gli occhi lo valutassero, dai piedi ai capelli ancora
umidi. Dalle caviglie incrociate alle spalle che incurantemente si sollevavano,
per rispondere.
“Non
avevo altri vestiti.”
“E
questi di chi sarebbero, di grazia?”
“Trovati
in giro. Qui, lì…” - un’altra alzata di spalle. E una mano a carezzare la
fibbia della cintura - “Questa non penso che te la renderò, comunque.”
“Si, era del mio periodo Country. Fai pure.” - aggiunse, cercando di ricomporsi e
voltandosi. La situazione non era interessante... era eccitante - “Begli
stivali.”
“Grazie.”
“Te
li ha dati spontaneamente?”
“No.”
- Ianto alzò gli occhi chiari, seguendo le mani di Jack da uno scaffale
all’altro - “Li ho rubati al suo cadavere.”
Ecco.
Adesso era il momento di voltarsi di nuovo di scatto. E fissarlo.
“Tranquillante
dello pterodattilo.” - spiegò Ianto. Aveva occhi innocenti, bocca piena e un
po’ più gonfia del necessario, forse per via della rissa - “Si stava vantando
della sua resistenza fisica alle sollecitazioni. Ho pensato di testarla.”
“Ianto…”
“L’ho
ritirato in cella. Ma senza weavill.”
“Misericordioso.”
“Si,
credo di si.”
“Non
credi sia ora di smettere con questa storia?”
“Mi
chiama Candy, Jack…”
“Oh,
su questo non posso di certo aiutarti!” - Jack si concesse una bella risata e
lo sbirciò, iniziando infilarsi i pantaloni - “E’ un soprannome che ti si
addice.”
Zucchero…
mi vengono in mente tanto motivi per concordare con John. Proprio.. tanti…
E
Candy, in effetti, gli stava rispondendo con parecchia dolcezza. Abbastanza da
surriscaldare l’ambiente.
“Così,
in effetti, non aiuti nessuno.”
“Non
intendo aiutare.” - ribattè Jack deciso,
raddrizzandosi, le mani sui fianchi - “Sono affari vostri, Ianto. Fate di me
l’oggetto sessuale che volete ma tenetemi fuori dalle vostre rivalse. Non mi
riguardano.”
Ianto
lo fissò, imperturbabile. Aveva le mani in tasca. E la linea delle braccia nude
era per Jack una freccia, una grossa freccia convergente.
Dritto
al punto, Jack. Segui le indicazioni…
Lo
fissò un attimo più del necessario. E la bocca di zucchero di Ianto Jones si
curvò, maliziosamente. Si, Jack si rese conto, con atroce sospetto, Ianto lo
sta facendo apposta.
Si,
io non combatto mostri. Io li creo.
“Bene.”
- stava infatti rispondendo, come se non ci fosse nulla di provocatorio in
quello che Jack aveva appena osato dirgli - “Posso comunque sperare in un buon
consiglio per riuscire a sopportare il capitano Hart?”
“No.”
- Jack lo scandì bene. Quando dici no, pensò Ianto, divertito, hai occhi così
grandi che si può vedere l’azzurro fin nel profondo - “Nemmeno un consiglio.”
“Bene.”
- Ianto si raddrizzò, preparandosi ad uscire di scena - “In tal caso, il
signore vuole un caffè?”
Se
adesso si volta, con quei jeans, considerò con distacco il capitano Harkness,
non rispondo più di me stesso.
“Non
è con questo tipo di lotta che prevaricherai su di lui.” - commentò soltanto,
piatto.
E
Ianto si fermò. Un’ombra più scura nel buio del corridoio.
Fermo,
come se stesse valutando le parole appena sentite, il messaggio nemmeno troppo
celato.
“In
tal caso.” - rispose, infine - “Stai sprecando il tuo tempo a rivestirti.”
***
Contrariamente
a quello che gli suggerivano gli organi non ben connessi al cervello, Jack
terminò di vestirsi. E con molta calma. Dopotutto, non c’era motivo per
affannarsi.
Gwen si
era presa il week end. John era in gabbia, senza i suoi stivali e,
conoscendolo, privo anche dei vestiti bagnati. Nudo dietro le sbarre. E Ianto,
a piede libero e calzato nel bottino di guerra, sperimentava il look cowboy
solitario in giro per la base.
Da
desiderare una relazione senza impegno con lo pterodattilo. Ecco cosa si
augurava Jack.
Lo
pterodattilo. Qualcosa con cui le sue due dive del momento non riuscissero a
competere. Perché una donna, senza ombra di dubbio, non sarebbe stata
abbastanza.
Quando
emerse dai suoi appartamenti, il caffè era già sulla scrivania. Candyman si era volatilizzato e, dalla canzone da osteria
che si sentiva provenire dagli altoparlanti, la FirstWife
cominciava a riprendersi dal narcotico.
Dose
leggera, allora. Ianto misericordioso sul serio.
Jack
bevette un sorso di caffè, trastullandosi tra la propria scrivania, lo schedario
e la sala riunioni.
Poi,
alzando gli occhi al mega schermo, sentì l’infarto coglierlo.
Un
getto di caffè gli raggiunse le scarpe, facendolo sobbalzare. Raddrizzò la
tazza, con un’imprecazione, allargando le braccia. E, come ipnotizzato, tornò a
fissare lo schermo.
John
aveva effettivamente perso la giacca. E, braccia conserte dietro la testa e
piedi nudi, cantava con voce roca. La telecamera, in quella posizione, offriva
a Jack la visione perfetta, angolata e dall’alto, di un corpo scolpito e sfoggiato
con maschia gloria. Occhi chiusi, bocca carnosa, sorriso strafottente.
E
già questo sarebbe bastato, in effetti.
Jack
si lasciò andare al posto al capotavola, afferrando il telecomando e rendendo
più nitida l’immagine a bassa risoluzione.
John
e, poco oltre i suoi piedi, la linea delle sbarre. E, tra le aste d’acciaio,
mani lunghe, indolenti. Braccia nude.
Ampliò
l’immagine. Ed eccolo.
Torso
nudo, jeans, schiena, spalle. Le scapole avevano una lievissima asimmetria,
legata allo stivale puntato alle sbarre e alla posizione della telecamera.
Una
telecamera girata ad arte.
La
bocca di Jack si inarcò in un sorriso, mentre si lasciava andare contro lo
schienale. Ma tu guarda quante cose si fanno mentre il proprio capitano si
riveste…
Ianto,
in piedi, fuori dalla gabbia. Capelli corti, braccia allungate… la telecamera
lo incorniciava alla perfezione. E inglobava John, sdraiato innanzi a lui.
Altro
che mani in tasca… qui la segnaletica era luminosa e tutta a senso unico.
E
bravo Candy!
“Tutta
a senso unico.” - mormorò Jack, bevendo un sorso di caffè e dondolando appena
con la sedia - “E poi?”
“Bhe, Jack…” - mormorò a quel punto John, senza aprire gli
occhi - “Se era sbagliato il tipo di lotta….”
Jack
lo fissò, ipnotizzato. Microfoni? Telepatia?
Sullo
schermo, ingigantito in un primo piano, il capitano Hart
lo fissava e gli sorrideva.
“Se
era sbagliato il tipo di lotta…” - stava dicendo il perverso - “Resta da
chiedersi tu che voglia fare. Dentro…”
La
bocca aveva una linea oscena, come la frase.
“O
fuori?”
Istintivamente,
Jack premette sul bottone. Di nuovo un’immagine in grande angolo. E Ianto,
appoggiato alle sbarre, con una spalla, la testa levata verso l’obbiettivo.
Come
suo solito non parlava. Guardava.
E
teneva, levate in alto, strette tra le dita, le chiavi della gabbia.
“Finisci
con calma il caffè, Jack.” - un sussurro, impostato e serafico - “Non ho
nessuna fretta…”
***
Aveva
detto che non erano affari suoi. Si era dichiarato intenzionato a non
intromettersi.
Bhe,
iniziava a ricredersi. E quei due, quei due bastardi, lo sapevano benissimo.
Del
resto, Jack, volevi essere il loro oggetto del desiderio… hai dato un solo
consiglio… ti hanno preso alla lettera…
Dentro
o fuori, Jack. Scegli. Dentro o fuori.
La
domanda era quasi da prendere allegoricamente, considerò, guardando i due.
Dentro o fuori la gabbia? Cosa o chi vuoi scegliere?
John
aveva ricominciato a canticchiare. Fingeva di suonare la chitarra, sdraiato a
terra, una leggera vibrazione del bacino nel puntare i piedi nudi a terra, le
gambe piegate. Ianto, con la schiena alle sbarre, allungava le braccia verso
l’alto, stirando i muscoli della spalle. E, di tanto in tanto, come faceva
anche nel suo letto, piegava la testa, alzava gli occhi, rifilava un’occhiata
storta alla telecamera.
Nessuna
incertezza, nessuna preoccupazione. Senza dubbi sul fatto che Jack stesse
ricambiando il suo sguardo. C’era da chiedersi, a questo punto, su chi volesse
prevaricare Ianto. Su quale dei due?
Quale
dei due lo stava realmente tormentando, in fondo agli occhi senza onde?
Jack
finì davvero il suo caffè. E con molta calma, occhi allo schermo, luci
abbassate. Si, aveva perso tempo a rivestirsi, ormai era evidente.
Si
alzò, abbandonando la tazza sul tavolo. Alla fine, Ianto avrebbe riordinato. Lo
faceva sempre, senza battere ciglio. Ianto era ordinato di natura. Sconvolgeva,
ma se ne andava soltanto quando tutto era nuovamente a posto. Questa volta non
avrebbe fatto differenza.
Scese
la scala metallica a passi lunghi, quasi correndo. E, quando varcò la porta
delle prigioni, si trovò di fronte i due.
Ianto,
contro la grata. John, in piedi, dentro il perimetro.
Si
afferrò al montante della porta con le dita, spingendo in fuori il petto,
ricercando il proprio sorriso più strafottente. E Ianto, senza battere ciglio,
spinse con le scapole la porta a cui era appoggiato, entrando e chiudendosi
dentro.
John
non disse nulla, ma Jack vide lo stesso la sorpresa, come un lampo. Forse,
dopotutto, era convinto che sotto la dolcezza non ci fosse altro che dolcezza.
Si, Ianto poteva dare quell’impressione ad un osservatore disattento.
Ianto,
poteva dare quell’impressione. Poi bastava guardare il viso, il petto, i tre
passi fatti a ritroso per non perdere gli occhi di Jack. E la bocca storta, di scherno,
fuggevole da notarsi, nella rotazione del corpo.
Guardami,
guardami bene. Mi vedi ora?
Ianto
sbattè John, con violenza, contro la parete,
comprimendolo, senza preliminari.
“Non
mi chiami signore?” - rise John, di tanta intraprendenza. E i denti di Ianto
gli entrarono nel collo, con precisione, obbligandolo a spalancare gli occhi.
Un sussulto, al pari di una fiammata al ventre, ustionante come lava. Aveva
muscoli, il ragazzo, e non solo per picchiare…
“Non
sei un signore.” - fu la risposta di Ianto, mentre inarcava la testa,
raddrizzandosi. Era più alto di lui, lo sovrastava e la sua bocca, con
precisione millimetrica, era già sul suo zigomo, in un tormento. I jeans,
portati senza biancheria, sfregavano con dolore e impedivano distrazioni. John
rise, quando sentì la bocca tornare a distruggergli la pelle.
Alzò
lo sguardo a Jack, Jack che si moveva senza riflettere. E con una certa
impazienza.
Un
motivo perfetto per allungare finalmente le mani, posarle sulle scapole,
carezzare e scendere, scendere deciso fino a scivolare dentro i jeans. E
stringere, con decisione.
Ianto
ringhiò, di sorpresa e piacere. E Jack, infatti, lasciò l’intelaiatura della
porta per afferrarsi alle sbarre.
“Dentro
o fuori erano gli accordi.” - mormorò, suo malgrado divertito - “Non credo che
tu possa scegliere per me, Ianto…”
Ianto
non si prese la briga di voltarsi. Ma rialzò il capo, in ascolto.
“Non
ho dettato io una condizione del genere.” - rispose. Aveva occhi infiammati,
dritti negli occhi di John. E John, per un attimo, lo fissò con occhi diversi.
Una frazione di secondo, come se avesse visto qualcosa, qualcosa che ora Ianto
nascondeva con maggior foga di mani e bocca - “Sono impegnato, Jack. Ne
parliamo dopo.”
Non
era una risposta che il capitano Harkness potesse apprezzare, ma Ianto la
formulò comunque. Non ho tempo per te, Jack. Tu puoi avere tutto il tempo che
vuoi per noi, ma noi... noi il nostro dobbiamo centellinarlo.
Una
goccia alla volta, un sorso da ogni calice che ci porgano. È educazione.
John
alzò gli occhi verso quelli azzurri di Jack, enigmatici.
Le
mani che già cercavano, trovavano e correvano sotto la stoffa rigida dei jeans,
si mossero, dentro e fuori, fino alla tasca. Un movimento, due, di liquidità e
prevaricazione. John gli prese la bocca, per la prima volta, ottenendo senza
indecisioni. E le chiavi furono nelle sue mani.
Si
mosse, senza lasciarlo andare, ribaltando le loro posizioni. Non c’erano dubbi
su di chi fossero le mani che armeggiavano con la cintura dei suoi pantaloni.
Di certo non sue e, indubbiamente, senza particolare astio. Ianto non fingeva
nella sua impazienza. Ianto, ti stai fottendo Ianto Jones. E lo fai impazzire.
Era divertente ricordarlo alla propria mente, capendolo con il corpo.
Quando
le loro labbra si staccarono, più per ossigeno che per volontà, John lo guardò
dritto in faccia, un’occhiata che il ragazzo non seppe decifrare. E voltandosi,
lanciò le chiavi a Jack.
Le
pupille di Ianto si dilatarono, il suo corpo si contorse, per rabbia e
sorpresa. Ma John seppe tenerlo, domarlo e bloccarlo, con gli occhi
grigi. Aveva occhi grigi come il mare del nord.
“Prima
ti abitui che non ti appartiene.” - sibilò, mentre Jack armeggiava con la
serratura - “Prima farà meno male.”
***
Prenditi
ciò che vuoi, diceva John Hart, con la bocca e il
corpo. Prenditi ciò che vuoi, intanto non puoi avere lui.
Ianto
avrebbe ricominciato volentieri a prenderlo a pugni, se non fosse stato
impegnato in altro. E quell’altro era ben più piacevole delle nocche spelate,
dei lividi e delle labbra spaccate. I segni della loro rissa bruciavano
all’unisono con i loro movimenti. Le mani del capitano Hart,
come le parole, sapevano cercare e ferire.
Prenditi
ciò che vuoi perché nessuno può impedirtelo. Prendi, ma non illuderti.
Non
appartiene a nessuno.
Jack
cercava la chiave giusta con tensione palpabile. La bocca di John stringeva e
faceva sanguinare. Ianto chiuse gli occhi, posandogli le mani verso le spalle,
spingendolo, in ginocchio, alzando il viso verso l’alto.
Farà
meno male. Suonava come una promessa, una certezza tra l’ironia e la
comprensione. Farà meno male, dicevano quelle mani ruvide che gli scendevano
lungo il costato a caccia dei bottoni dei jeans.
Farà
meno male, pensò ancora, quando la porta della cella si spalancò, guardando con
occhi vuoti Jack, ormai ad un passo da loro, da entrambi. Farà meno male, disse
una voce nella sua mente, mentre Jack gli posava le mani a lato del viso e si
sporgeva, al di sopra di John, cercando la sua bocca.
Farà
meno male... era un eco e sbiadiva, sbiadiva nella marea, nella bocca di
entrambi nello sfocarsi del proprio corpo. Farà meno male perché sarà morire.
***
I
giochi a due sono codificati, i giochi a tre sono figli dell’eccezione e
dell’immaginazione. I giochi a tre sono nati per far male, perché privi di
equilibrio. Maggioranza e minoranza, tanto, poco, troppo, troppo poco. I giochi
a tre implicano coordinazione, sensazione e capacità di far soffrire senza
rimorso.
Jack
era nato per questo, Ianto sospettava di poterne morire, John non aveva interesse
per un dopo assolutamente irrilevante rispetto a questo presente pieno di
soddisfazioni.
Ianto
aveva un tocco d’artista, sia dentro che fuori dal suo corpo. Jack lo aveva
educato in maniera sofisticata e diretta. Ianto, con lo stesso intuito con cui abbinava
cravatta e camicia, aveva saputo dare armonia all’accozzaglia di brutalità,
prepotenza e passione che il capitano Harkness usava come condimento alle
proprie arti.
Godibile,
pensò John, all’ennesima spinta, chiudendo gli occhi. Interessante come un
innesto o un incrocio tra due razze aliene. Nel gioco a tre l’equilibrio è un
insieme di equilibri, un darsi il cambio, un tormentarsi a vicenda con attesa e
impazienza.
Jack,
John, Ianto, John, Jack Ianto, Ianto, John, Jack, Jack, Ianto, John… giocare significa
barare, giocare e aspettare il proprio lancio dei dadi. Giocare, fino a quando
ci sono carte da gettare sul tavolo e soldi da buttare.
Giocare.
O andarsene. Perché anche guardare è parte del gioco.
Vedere,
odorare, toccare, assaggiare. E, soprattutto sentire.
***
Sentire.
Sentire
per Ianto era Jack. Jack che lo afferrava, sollevandolo di peso per la vita per
poi risbatterlo sul pavimento. Sentire per Ianto era
Jack, capace di frugarlo senza rimorso e senza smettere di cercare John con lo
sguardo, con una mano, con la bocca. Sentire per Ianto era Jack dentro il suo
corpo, un modo assurdo di dimenticare, di riempire il vuoto nell’anima
spremendone fuori memoria e tensione.
E
sentire male prima di piacere, fino a non saperli più scindere.
Jack
si prendeva la bocca di John per il piacere di assaporare. C’erano John e Ianto
su quelle labbra, c’erano il proprio sapore, il senso della sfida e il metallo
delle sbarre. Ed il tempo, il tempo passato, attraversato, vissuto e spezzato.
Ianto,
il presente. John, prima e dopo. Sapore. Sapore del cosmo.
Rallentò
le spinte per alzare un braccio, afferrargli il viso, respirare e annusare
l’odore di un altro mondo, di un’altra natura. Umano ma diverso, umano ma ormai
lontano. Lontano, profumo lontano di libertà senza epoca. Ti ho amato, pensò,
in un misto di rimpIanto. Ti ho amato a modo mio. E
ti saprei amare ancora, se solo lo volessi.
Se
solo, si ripetè, abbassando gli occhi, piegando il
collo e trovando la nuca di Ianto con le labbra, solo volessi…
John
sentì la bocca allontanarsi, come uno strappo, come un’assenza. Gli occhi
chiusi si spalancarono sul circostante, sul vedere. Vedere Jack e la sua bocca
su capelli corti e castani, Jack e al sua pelle, contro un corpo dinoccolato e
pallido. Vedere.
Vedere
Jack, vedere Ianto.
Ianto,
compresso e indimenticato. Ianto, che sussultava di piacere con unghie
afferrate al pavimento della cella.
Ianto
e i suoi giochi di potere, sempre pronti a infrangersi su Jack.
John
si lasciò cadere su un fianco, guardandolo. Palpebre vibranti, iridi nascoste,
spasmi della bocca, sudore. E quella mano, quella mano tra loro, come un
artiglio senza presa.
Senza
pensare afferrò le dita, stringendole, fino a sentirle scricchiolare, fino a
essere certo che gli stesse rendendo il favore. E la vibrazione di quei due
corpi, il battito duro e ritmico contro il pavimento si trasmise in ogni fascia
muscolare, tormentandolo, accecandolo, dandogli l’impressione di poter finire
in briciole.
Battiti
regolari, come nel tempo. Secondi, minuti, battiti, rintocchi. Tic, tac, tic,
tac.
Tempo.
Il tempo a cui non apparteneva. Si sdraiò sulla schiena, il senso della
necessità insoddisfatta di quei due corpi a fianco. Avrebbe dovuto rimediare.
Ma il dolore iniziava a piacergli, più del piacere stesso. Si morse la labbra,
immaginò un bacio e, con la mano libera, si segnò il torace, scendendo fino
alla fonte dei suoi problemi.
E,
quando cercò il viso di Ianto, di nuovo, contemplò solo la sua nuca. Voltato,
dimentico di lui come del mondo. E Jack, con il volto nascosto contro la sua
schiena.
Solo.
Sei solo. Il tempo non ha nome. E tu non ne hai per lui.
***
Quando
Jack, facendo leva sulle braccia, smise di schiacciarlo e rotolò sul fianco,
finalmente appagato, Ianto riaprì gli occhi voltando la testa dal lato opposto.
E gli occhi di John gli sorrisero. C’erano ancora le loro mani intrecciate, il
gomito di Ianto, ripiegato, che sfiorava il suo costato. Così vicini da rubarsi
la stessa aria, lo stesso respiro.
John,
rimasto fino all’ultimo. Ianto gli sorrise e richiuse gli occhi, accettando un
bacio tardivo, quasi privo di malizia e perdendosi all’istante in un sonno
spossato, senza sogni. Giaceva in mezzo ai due corpi, riverso su un fianco, tra
il respiro di Jack, concitato e insoddisfatto come sempre, e quello ormai quasi
acquietato di John. Nudo, privo di segreti, esplorato e tormentato fino allo
stremo. Ma vincitore, se ne fosse esistito uno.
Vincitore.
Jack
si passò una mano sul viso, cercando di calmarsi. Le palpebre si chiusero sotto
la pressione delle sue stesse dita, ma il respiro non gli diede pace,
continuando ad alzargli aritmicamente il torace. John e Ianto, l’amore quasi
dimenticato e quello impossibile da ricordare.
Si,
c’erano stati molti i motivi per entrare in quella gabbia. Ci sarebbero stati
ancora più motivi per buttare la chiave e lasciarsi dimenticare dal mondo.
Inquieto,
si mosse, voltandosi sul fianco, sorreggendosi la nuca con un braccio, il
torace contro la schiena di Ianto. Il ragazzo non si mosse, ma un respiro più
intenso sfuggì dalle sue labbra, come se quel contatto fosse una trasmissione
elettrica ad alta tensione.
Quando
Jack apparve, emergendo quasi oltre la nuca di Ianto, John abbandonò il proprio
stato di contemplazione e fissò il capitano Harkness, capelli scomposti e sopracciglio
interrogativo.
Gli
occhi di Jack lo aveva fissato per un attimo. Ma ora erano del tutto presi da
quelle due mani strette, dalle dita di Ianto aggrappate a quelle di John. E,
istintivamente, tese il braccio libero attorno al torace di Ianto, in una forma
di abbraccio possessivo.
Non
puoi pensare di dividerlo, pensò John, con una punta di sarcasmo. Non puoi
pensare che lui non sia comunque tuo.
Tutto
ti appartiene, vero, Jack? Tutto, ma tu non sei di nessuno.
“Abbiamo
devastato Candy…” - sospirò John, cercando di suonare dispiaciuto.
“No.”
- gli occhi di Jack vagarono, mentre la sua bocca incontrava la spalla di
Ianto, in un bacio leggero - “Non siamo stati noi…”
“No,
è vero.” - pensò John, squadrandolo - “Sei stato tu.”
Non
lo disse. Non c’era motivo. Alla fine, Jack, come tutti loro, aveva preso e
aveva dato. E non si poteva fargli un colpa dell’essere Jack, non del tutto.
“Fantasmi.”
- sospirò ancora Jack, la bocca ancora sulla pelle, lo sguardo altrove - “Tutti
cerchiamo di fottere i nostri fantasmi.”
“Non
potevi dirlo meglio.” - concordò John. E si sporse, la mano sul mento perché
alzasse la nuca, un bacio deciso, senza spiegazioni. Poi si sedette,
scoprendosi indolenzito, stanco, sporco e desideroso di una doccia.
Qualcosa
per lavare via ogni goccia di sentimento. Perché i resti d’ amore, rabbia e
inquietudine, sulla pelle, erano come acido.
***
Jack
fissò quella schiena, senza smettere di tormentare la pelle di Ianto con la
lingua e le labbra. Era una schiena ampia, quasi a cuore, segnata da cicatrici
e da muscoli sviluppati. Ed era eretta, senza incertezza, manifesto della
dignità senza fondamenti del capitano Hart.
Si
domandò perché. Perché John avesse permesso a Ianto di piegarlo, fotterlo,
consumarlo nella propria rabbia, con lento gusto. Perché John non avesse
ribaltato in un gioco di guerra quella sessione d’amore. Perché, visto che
quello era il suo stile, nell’ingannare e uccidere con un bacio.
Perchè.
“Dopotutto…”
- mormorò, senza esternare i propri pensieri ma solo l’ultimo passaggio - “Ti
ha pure rubato gli stivali…”
John
rise, abbassando il capo. Vero. gli aveva rubato gli stivali. Lo aveva
narcotizzato, lo aveva provocato con una proposta che sapeva di malignità.
E
con parole che non gli appartenevano, lo aveva capito subito. Un’idea di Jack
sulla bocca di Ianto. Un’idea di Jack, fatta di piacere e dolore assieme, come
solo un dio capriccioso ed egoista può concepire.
Bhe,
Jack, tu eri il mandante… e non è tua prerogativa lasciare il lavoro sporco
agli altri. Prima o poi saresti arrivato per la tua dose di rimorso.
Era
un modo come un altro per averti. Per averti ancora. E ancora.
Ho
usato Ianto, nel migliore dei modi. E dovevo dargli qualcosa in cambio,
dopotutto. Anche se non sono un signore.
Ma,
sospirò John, non è la risposta alla domanda. Questa è un’altra risposta che tu
non vuoi e che io preferirei non avere.
“Perché
non mi sono divertito io con Candy?” - ritorse, spudorato - “No, grazie, meglio
non confondere le sue idee e gli equilibri tra voi. Potevo piacergli troppo.”
Si
voltò, guardandoli entrambi. sotto il braccio di Jack, i lineamenti di Ianto
erano un perfetto lavoro di cesellatura. Solo la bocca, troppo rossa e spessa,
aumentava il contrasto, catalizzando l’attenzione.
Labbra
di zucchero, labbra rosse di veleno.
“E
non sono il tipo da legami.” - aggiunse, con malcelato disprezzo. Non lo sono
più - “Ianto può continuare a darlo via con te, se gli fa piacere. E io
continuerò a chiamarlo Candy... perché lo fa con dolcezza.”
E
con tanta dolcezza che proprio non ti meriti. Ma che… visto che vuoi… io di
certo non intendo negarti.
Jack
non gli rispose ma, quando nuovamente abbassò le labbra, scivolando verso il
collo del ragazzo, la mano di John si intromise, decisa, impedendogli di
proseguire.
“Smettila,
ora.” - sussurrò. E gli occhi divennero oceano in tempesta - “E lascialo
dormire.”
Perché
in questi sogni è certamente solo. E molto più felice e in pace di quanto non
sarà mai sdraiato tra di noi.
(02 maggio 2008)
nota dell’autrice. La penultima battuta su Ianto detta da John è una citazione da LA Confidential, mio film cult. Non ho potuto resistere.