3 HEARTS
Di MargotJ
Spoiler per: finale terza stagione del Dottore Who (2005).
Allusioni in generale alle tre stagioni.
Pairing: // Non l’ho
scritto con intenzioni slash, ma non dubito che alcune lettrici (Una! Si, tu!
Tu, fidanzata del Capitano, parlo di te!) troveranno modo di vederla in altra
maniera J Per me si tratta solo
di una bella amicizia
Rating: Angst
Timeline: post 3x13
Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi
proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare
alcun copyright.
Nota
dell’autrice: sono ossessionata da un pezzo di musica della colonna sonora. E
più lo sento più rivedo la scena. Più rivedo la scena… come al solito, insomma.
Un esperimento su un personaggio forse troppo difficile per il mio cervello J in più, essendo tonta, forse mi sono persa una
spiegazione.. e quindi me ne sono inventata una. Buona lettura.
A seguito di spiacevoli
episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il
mio sito, Vs. Ananke
e, da settembre 2008, su EFP. Per
richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi
. Grazie, MJ
Aveva
cercato di andarsene, senza voltarsi, senza cedere.
Ma
il suono, il canto… era stato troppo forte.
Gallifrey
era nella fiamma. Rossa e oro, si tendeva fino a sfiorare il cielo.
Nel
crepitio risuonava la canzone, il basso suono del pensiero e della luce,
attraverso il tempo.
E
si era fermato. Aveva dovuto fermarsi.
Era
rimasto in piedi, innanzi la pira, fissando il fuoco divampare, sempre più
intenso, sempre più soffocante. Poco lontano, dove la luce era sfuocata, un'unica
massa di lava nella notte.
You
are not alone…
You
are not…
You
are…
You…
La
profezia si accartocciava, scheggia dopo scheggia, assieme alla legna. Il fuoco
divorava l’ultima esile speranza, quella in cui non aveva voluto credere. Il fuoco
spegneva l’ultima luce di Gallifrey. E il cosmo tornava buio.
You…
Si,
non restava null’altro. Null’altro.
Si
sedette, dove il pendio era meno dolce,
posando i polsi sulle ginocchia ossute, lo sguardo fisso.
Solitudine.
Solitudine in una terra straniera, nella notte.
Un anno di speranza si alzava come fumo grigio nell’oscurità. E faceva
lacrimare gli occhi, acre, tossico.
La
speranza di un futuro diverso, la speranza…
No.
Nessuna speranza. Nessuna responsabilità. Ancora il peso da portare da solo,
per sempre, fino alla fine dell’universo.
“Vuoi
morire?” - domandò una voce, alle sue spalle.
E
il Dottore sorrise, senza voltarsi.
“Credevo
di si…” - rispose, come lui, come Jack - “Ma ora non so.”
E
Jack sorrise, sedendosi. E fissando le fiamme.
“Sai,
Jack… ho riflettuto su quello che hai detto.” - aggiunse, poco dopo, gli occhi
pieni di fiamme, pieni di Gallifrey e delle sue torri carminie - “C’è una cosa
che abbiamo in comune… esiste un’unica persona con cui potremo essere felici…”
Jack
piegò la testa, fissandolo storto.
“E’
un invito?” - domandò, gentile e spudorato, cercando di stemperare l’angoscia
di quel luogo in cui i sogni finivano in fumo.
“Noi
stessi.” - rispose, ignorando la domanda come se non fosse mai stata fatta -
“Solo noi stessi.”
Perché
non esiste nessuno. Nessuno come noi.
E
nessuno che possa prendere il nostro posto.
***
I
tamburi. I tamburi lo avevano chiamato, fino all’ultimo istante.
Era
morto con l’ossessione di quel suono, sperando, pregando cessasse.
Era
morto. Se ne era andato.
“I
tamburi sono cessati.” - mormorò, gli occhi alle fiamme - “Riposerà in pace.
Nel silenzio, assieme ai nostri padri. In cenere. Come Gallifrey...”
Jack
gli fissò le mani. tamburellava, lo stesso ritmo, il suono ossessivo dell’ipnosi,
il ritmo dannato che…
Istintivamente
tese una mano, afferrando le dita, interrompendo il ripetersi meccanico
dell’angoscia.
“Dottore...”
- sussurrò - Non lo fare.”
Il
Dottore abbassò gli occhi. La mano di Jack faceva apparire le sue troppo
ossute, piccole. Stringeva, con forza e calore, spezzando il suono.
“I
tamburi.” - mormorò, ancora. Ma, quando le sue dita si mossero, Jack strinse.
Più forte.
“No.”
- Scandì, lentamente - “Guardami. Guardami.”
E
il Dottore voltò la testa verso di lui, verso l’umano senza la morte.
“Non
lo fare…” - ripetè il capitano Harkness fissandolo dritto negli occhi - “Non
prendere anche questo peso… lascia che i tamburi cessino con lui.”
“Non
cesseranno mai per me.” - rispose. C’era una lacrima, ma i suoi occhi
brillavano, di quella strana dolce ironia, l’unica cosa che non avrebbe mai
perso, pur cambiando volto.
Occhi
dolci. E pieni di oscurità. Senza riflessi.
E
Jack dilatò i propri, cercando di comprendere.
Il
Dottore, l’uomo che offriva risposte generando altre domande.
“Tu
sapevi cosa fossero…” - disse, soltanto. Avrebbe dovuto togliere la mano dalle
sue ma quel suono… quel suono sapeva di ossessione.
“Lo
sapevo. Ma non potevo dirglielo. Non volevo.” - rispose, gli occhi alle fiamme
- “Quel suono poteva solo cessare con la morte. Non prima. Ed io volevo
vivesse. Lo volevo, più di ogni altra cosa.”
“Era
nella sua mente, era…”
“No.
Quel suono è nell’universo. È come un segnale, amplificato, di sottofondo…” -
rispose. Pacato, diretto, lineare nella sua espressione - “E’ un suono di
solitudine. Un richiamo… e lui non poteva non sentirlo. Era parte di quel
suono… come me.”
Abbassò
lo sguardo. E tirò a sé la mano di Jack, assieme alle proprie, fino al petto,
premendo.
E
Jack lo sentì.
Nitido.
Puro.
Ossessivo.
Il
suono dei tamburi.
Il
suono di due cuori.
***
Due
cuori. E Jack sentì una lacrima cadere sulla sua mano. E bruciare.
“Era
il cuore del Master…” - si corresse - “I suoi…”
“No.”
- il Dottore scosse la testa, rialzandola. E Jack vide la mascella contrarsi,
mentre gli occhi tornavano alla pira incendiata - “Era il mio battito. Ha
sempre sentito il mio.”
Tacque.
Ma Jack non dubitò che, per quanto dolorosa, sarebbe seguita una spiegazione.
Perché
era il Dottore. E nulla avrebbe mai limitato le sue risorse. Nemmeno la
disperazione.
“Il
Tardis lo amplifica, mischiandolo al rumore di
sottofondo dell’universo. Come un segnale, come un messaggio cifrato per i
viandanti, per coloro che si sono persi. Perché…”
Perché
io non mi senta solo.
“Master
sentiva il proprio cuore rispondere al mio. I tamburi….” - tamburellò con
entrambe le mani su quella di Jack. Le sue dita, i suoi cuori… Jack si sentiva
riempire di quel suono - “I tamburi erano il nostro modo di ritrovarci. Per
tutta la sua vita mortale, io l’ho perseguitato, tormentato con la mia stessa
esistenza. Io ero il richiamo alle sue origini... perché tornasse a me…”
Una
seconda lacrima, con precisione millimetrica, cadde sulla prima.
“Ma
desiderare il ritorno a casa per un Signore del Tempo conduce solo alla follia.”
- sorrise, di scherno, disperazione - “Io non potevo sentirlo, intrappolato
nella natura mortale. E quella sua stessa natura, così fragile, sognatrice…
umana… non era nata per resistere al potere, al Tardis...
a me…”
La
voce scemò. E scomparve.
“You are not alone.” - sussurrò,
ancora - “Yana…”
Yana…
Poi
il ritmo tra le dita cessò. E il Dottore lasciò andare la mano di Jack, per
stringere la testa, piegandosi su se stesso e sotto il peso di quell’abbandono
a cui mai nessuno avrebbe posto rimedio.
***
Il
fuoco bruciava ancora. Ma la musica si stava allontanando assieme al vento.
E,
presto, sarebbe stato il momento di andare.
Jack
sospirò, incrociando le braccia dietro la testa.
Il
Dottore non dava segno di volersi alzare.
Sdraiato
sul pendio, le mani intrecciate, come le caviglie, lo sguardo alla notte senza
stelle.
Gli
occhi pieni di una notte senza stelle.
Jack
sospirò di nuovo, voltando la testa.
“Dovremmo
andare…” - disse, stendendo le mani, in procinto di alzarsi.
“E
andremo.” - rispose il Dottore, senza ricambiare l’occhiata - “Presto.”
Jack
lasciò ricadere le braccia. E fissò nuovamente il cielo.
L’aria
era satura di scintille, piccoli punti rossi che si allontanavo dalla fonte,
cadendo ovunque. E spegnendosi.
Istintivamente,
le dita di Jack si mossero. E il Dottore, tese la propria mano, serrandole.
“Attento.”
- lo ammonì. Poi si voltò, guardandolo - “Lo stai facendo tu, ora…”
“E’
come se potessi sentirlo.”
“Tu
puoi sentirlo, Jack. Hai sempre potuto, come parte del Vortice del Tempo, del Tardis. Solo che ora ne sei consapevole. Ora sai cosa
ascoltare.” - gli lasciò le mani, portando via con sé il freddo - “Non lo
dimenticherai più. E mi dispiace, Jack. Mi dispiace che sia così.”
Ma
Jack non lo lasciò andare.
“Saprò
sempre dove sarai.” - replicò, afferrando le dita, intrecciandole, prima che
potesse obbiettare - “E risponderò. Risponderò al tuo richiamo, per sempre.”
Hai
ragione. Non avremo mai nulla, se non noi stessi. Tre cuori non sono due e non
sono quattro.
Saremo
e non saremo mai. Perché l’eternità non ci appartiene.
Ma
noi ne siamo parte.
E,
nel tempo che scorre silenzioso, questo suono, questo battito sarà il nostro
parlarci.
Un
canto.
Un
ritmo.
Una
singola frase.
You
Are Not Alone.
Fino
alla fine dell’universo. E oltre.
(17 Febbraio 2008)