Per strada
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Crossover con la serie televisiva Highlander. Anche in questo caso, i personaggi appartengono ai legittimi proprietari e l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
“E’ tutta colpa di Spike.”
“A dire il vero, principessa, è un paio di giorni che non sento dire altro…”

Altri tre giorni passati nel più totale silenzio stampa.
Anzi, nel più totale silenzio.
I coinquilini dell’Hyperion, almeno su una cosa, si erano trovati in accordo.
Non si parlavano.
Non che ci fosse attrito, anzi… come aveva sottolineato Cordelia con al sua tipica linearità, ognuno aveva un altro di cui preoccuparsi.
E tutto questo rimuginare uccideva facilmente le conversazioni.
Loro, i maestri della parola,… tacevano.

Avessero mai chiesto a tutti loro di sintetizzare in una singola frase il problema, la risposta sarebbe stata immediata.
E’ tutta colpa di Spike.

Di Spike.

Era quasi il paradosso, come aveva sottolineato, senza misericordia, Lorne.
Siete senza risposte perché Spike non è tornato qui a cercare le sue.
Non vi sembra una forma di dipendenza?

Ovviamente dalla bocca di Faith era uscita una risposta non riportabile in questa sede.

E poi era ripiombato, a ragion veduta, il silenzio.

Al pensiero di Faith, non mancava nulla. Efficace e sintetico.

Inutile sciuparlo con aggiunte più educate.

Come inutile, del resto, aderire a quella deprimente politica.
Cordelia non aveva impiegato molto a capire che quel sistema non era il più adatto a lei.
Quel che ci voleva, per distrarsi e schiarirsi le idee… era lo shopping.
Shopping, spiaggia e mezza giornata libera per unire questi due programmi.
Un pomeriggio solo per loro.
Possibilmente senza sorprese.
Loro, ovviamente… Perché era sottinteso che Doyle andasse con lei.
D’altro canto, il sottinteso Doyle non aveva accolto quel programma come un’imposizione, visto che i suoi tentativi di portare un po’ di colore alle loro riflessioni erano miseramente falliti.
Confidava come sempre che Cordelia, come ogni sole che si rispetti, portasse a lui, misero demone-satellite, un po’ di luce e calore.
E così, nel bel mezzo di un gennaio tra i più matti che si ricordassero, Doyle e Cordelia si ritagliarono un giorno da passare per strada.
Senza l’ambizione di lasciare a casa i loro problemi.

“Ma certo che è colpa sua! È colpa di spike, che si fa gli affari suoi e non si da’ pena di dare sue notizie. È superficiale, menefreghista…” – Cordelia si fermò, distratta da una vetrina – “E costoso.”
“Costoso?” – Doyle ebbe un attimo di perplessità – “Ah, forse parlavi del vestito.”
“uh?” – rispose la ragazza, mordicchiandosi il labbro innanzi al cartellino del prezzo – “Ah, già, Spike. Menefreghista e viscido. Partito con l’inganno…”
“Cordelia, ho capito il concetto.”
“No, si vede proprio che non ti è chiaro!” – rispose la ragazza, entrando nel negozio e tastando un paio di borsette – “Altrimenti faresti qualcosa…”
“Tipo?” - domandò Doyle, spostandosi e lasciandola frugare su un ripiano di sciarpe. “Tipo… che so… parlare con angel… oppure scoprire dove si trova quell’altro…”
“Principessa… fai prima a chiedermi di disegnare la nuova linea di Gucci.” – replicò lui, strofinando tra due dita il tessuto di un abito da sera – “Non posso sapere dove sia Spike… e parlare con Angel. A questo direi che pensa già Drusilla.”
I cappelli avevano perso tutti il loro fascino. Cordelia si girò e fissò il demone.
“Tu credi che l’abbia vista ancora?”
“Non ha bisogno di vederla. Probabilmente non fa che girarsi in testa le parole che ha sentito.” – con aria distratta, le passò una camicetta da provare – “Preferisco lasciarlo stare…”
“Questa frase da te non me la sarei mai aspettata.” – commentò lei, restando impalata con la gruccia tra le mani.
“Cordy, io e Angel non possiamo parlare di Dru senza litigare. Credimi.” – Doyle girò il pacchetto delle sigarette in tasca, sapendo di non poter fumare nel locale – “angel ha bisogno di capire cosa gli detta l’istinto. Non posso mettermi ad intralciare solo per il desiderio di risparmiargli il calvario.”
“Uff.” – Cordelia stava riappendendo una giacca e tornando ad afferrare le borse dei suoi acquisti – “Con te è veramente tutto complicato. Predestinazione, casualità, legami… e adesso anche l’istinto. Al prossimo giro vaglieremo anche il concetto di immortalità.”

Bhe… quel che si dice l’istinto femminile.
Doyle sorrise, seguendola fuori dal negozio e dentro quello successivo.
Cordelia aveva ragione. Presto avrebbero vagliato il concetto di immortalità.
Anche se Methos non aveva più chiamato, Doyle era certo che stesse per arrivare. Le sue proprietà in città, gli ampi appartamenti moderni, risultavano affittati o ancora chiusi. Alcuni addirittura erano stati venduti, ma Doyle non dubitava del fatto che l’immortale avesse già disposto per la sua sistemazione.
E nel migliore dei modi.
Methos non amava il lusso. Ma aveva un certo amore per l’eclettismo. A differenza di molti suoi simili, non si circondava di cose antiche e non aveva intrapreso la carriera dell’antiquario.
Apprezzava le mode dei tempi passati, anche se non in stretto contatto con il quotidiano.
I suoi appartamenti si rivelavano sempre variegati, ma proiettati verso un uso e un abuso di neon e acciaio. Vetro, librerie ultraleggere e tecnologia d’avanguardia.
Indubbiamente aveva un innato senso di adattamento.
E, del resto, a ben pensarci, si era evoluto insieme all’umanità.

Chissà com’è…
Crescere con il mondo…

“Mi stai ascoltando, Doyle?”
“Assolutamente, Principessa.”

Vedere la mente umana evolversi e giungere a confini destinati ad essere ancora superati.
Sapere che nulla è stato raggiunto, ancora. Oppure nutrire sempre speranza…
Viaggiare… e in un mondo che lentamente perde i suoi segreti…

Sapere che tutto può mutare…

“Doyle?”
“Certamente quello rosso.” – rispose, automaticamente il demone. Prima di rendersi conto che i due capi di abbigliamento che la ragazza stringeva in mano erano boxer – “A dire il vero non mi sembra il tuo genere…”
“Infatti.” – sottolineò lei glaciale – “Tutto questo negozio non è il mio genere.”
Uno spaccio maschile. Non si era nemmeno accorto di esserci entrato.
Aprì le braccia, cercando una scusa.
Poi decise di optare per la migliore.
La verità.
“perdonami.” – disse, con un sorriso aperto – “Stavo pensando ad altro.”
Non c’era nulla che la disarmasse in quel modo.
“Me ne ero accorta.” – sospirò Cordelia, consegnando alla commessa i boxer azzurri e posando quelli rossi disegno caschmere – “Vuoi dirmi a cosa stavi pensando?”
“A tante cose.” – replicò l’uomo, senza rinunciare a quel sorriso da monello che lo faceva sembrare più giovane – “E soprattutto al fatto che, quando arriverà il nuovo Osservatore, avremo tutti una distrazione.”
“Di certo non può farci male.” – concordò la ragazza, afferrando l’ennesima busta e mettendola vicino alle altre. Lasciando che Doyle le prendesse tutto dalle mani, come un gentiluomo dei tempi andati.
“Per quel che mi riguarda, sarà divertente.” – aggiunse l’uomo.

Methos.
Se il prezzo da pagare era semplicemente ricordarsi di chiamarlo Adam… cosa poteva esserci di meglio?

“Come hai detto che si chiama?”
“Methos.”

No.
Non è possibile.
L’ho detto sul serio.

“Strano.” – Cordelia aggrottò le sopracciglia – “Mi ricordavo un altro nome…”
Si erano fermati, in un piccolo chiosco sulla spiaggia. Alcuni tavoli, degli ombrelloni di paglia ormai bruciata dal sole… ma un profumo di frutta da far girare la testa.
Era un posticino famoso per i suoi frappè. E per le sue cameriere, avrebbe aggiunto Doyle.
Non fosse stato accompagnato da Cordelia…
E non fosse stato appena colto in fallo.

“Aspetta un momento.” – gli occhi le divennero sottili come fessure – “Mi avevi detto Adam… Adam Pierson.”
“Se te lo ricordavi.. perché me l’hai chiesto?” – ribattè, ignorando la domanda e cercando di mettersi sulla difensiva.
“Francis…”
“Alt! Non dire il mio nome per esteso, ho capito l’antifona.” – si era lasciato andare stremato su una sedia e ora la fissava, dal basso, con aria rassegnata – “Il suo nome è Adam Pierson. Ma io lo chiamo Methos. Da sempre.”
“E perché?” – domandò Cordelia, sedendosi a sua volta
“Perché… ma non c’è un perché! Diciamo che per tutti è Adam… e per me è Methos.” – Perfetto Doyle, fin qui regge. Vediamo come vai avanti – “E non ama particolarmente essere chiamato in questo modo, per cui cercherò di chiamarlo anche io Adam perché si senta a suo agio.”
Ma l’udito di Cordelia era troppo sottile, perché non si accorgesse del raschiare delle sue unghie sugli specchi…
“Capisco.” – commentò afferrando una lista e scorrendo l’elenco dei frullati – “Quindi non devo pensare che Pierson sia uno pseudonimo e che il suo vero nome, se venisse fuori, potrebbe causare dei problemi…”
“Assolutamente no.” – ribattè sicuro. Abbassando poi la testa e appoggiandosi al tavolo, con aria di chi si confessa – “Assolutamente si.”
Cordelia alzò la testa dal menu e sorrise del suo imbarazzo. Un sorriso lieve, appena aleggiato sulle labbra.
“Caspita. Credevo avessi più resistenza agli interrogatori…” – commentò, tornando a scegliere, prima di rivolgersi alla cameriera – “Per me un tropicale, grazie.”
“Anche per me. Corretto con del gin.” – aggiunse, immusonito, il demone.
Cordelia, con movimento elegante, si stava sfilando la giacca. I capelli, più scuri del suo colore naturale, rilucevano, facendo risaltare la carnagione e i lineamenti.
La sua espressione era rilassata, tranquilla.
Non prendeva come un vero affronto il periodico mentire del suo uomo. Talvolta lo faceva per obbligo, altre per necessità del momento.
E, talvolta, anche per proteggerla.
Era fatto così, non avrebbe mai potuto cambiarlo. Tutto strano e perfetto con Doyle.
Cordelia si lamentava, cercava di disciplinargli la dieta, aggiustargli i vestiti. Stirava le sue terribili camicie sperando di bruciarle per comprargliene di nuove.
Desiderava una folata di vento per vedere quel buffo cappello finire in mare.
E gli nascondeva anche le sigarette.
Ma il Doyle che amava restava sempre quello che sedeva di fronte a lei con quell’espressione, tra l’esitante e il colpevole. Quello dalle camicie fiorate, l’aspetto poco aitante e il mozzicone tra le labbra. Quello dagli occhi puliti e…

Ma no. Non c’è nient’altro da aggiungere.

“Perchè mi sorridi, adesso?” – domandò lui, ricambiando il gesto.
“Non so.” – ribattè lei, tranquilla – “Forse perché mi andava..”
“Mi sembra un valido motivo.” – concordò Doyle, resistendo al desiderio di rovesciare il tavolo e pavimentare le assi con i loro vestiti – “E hai il mio permesso di farlo quando vuoi.”
“Grazie caro.” – disse, accostando la cannuccia alle labbra e guardandolo armeggiare per trovare il portafoglio.
Attese che la cameriera si fosse allontanata, per tornare seria.
“Stavamo dicendo…”
“Ti lamentavi del fatto che vengo in spiaggia vestito come tutti i giorni” – rispose lui, speranzoso di dirottare la conversazione anche verso una predica.
“Non mi imbrogliare.” – commentò, implacabile, la ragazza – “Torniamo alla nostra conversazione. Ovvero Spike.”
Pericolo scampato. La risposta su Methos le era bastata….
“Senza considerare il fatto che questo Osservatore si sta rivelando a dir poco sorprendente. È magari anche un ex galeotto, visto che ci siamo?”
“Che hai contro i carcerati?” – sospirò, rassegnandosi all’impossibilità di fuga – “Ti sentisse Faith…”
“Hai fatto bene a nominarla. Perché sono preoccupata anche per lei. Ha litigato con Wes…”
“Lo so. Li ho sentiti anche io, la sera in cui è tornato. Credo che Wes abbia cercato di disciplinarla. E non abbia usato i termini giusti.”
“Non esistono termini per disciplinare Faith. E non posso darle torto. Avere un Osservatore è come avere un capo, certe volte. Almeno, con Giles era così. Aveva le risposte… e, senza di quelle, le faccende sembravano irrisolvibili.”
“Faith si abituerà alla nuova situazione il giorno che rinuncerà a prenderla di punta.”
“Su questo hai ragione. Ma siamo di nuovo tutti un passo avanti a lei. Si arrabbierà per questo.. non potremmo dirle quello che sappiamo?”
“Vedi, Principessa, per come la vedo io, Faith è abbastanza grande per scegliere. Non intendo nasconderle il fatto che conosco Adam. Voglio solo che non abbia troppo tempo per rifletterci e approntare una linea di difesa.
Meno sa, meno si prepara.”
“E più si chiude in se stessa.” – Cordelia girò pensosamente il frappè – “Credevo fosse una cosa da evitare.”
“Nei limiti del possibile, certo.” – Doyle vuotò il bicchiere con una sorsata e lo riposò sul tavolo – “Ma Adam è un uomo dalle molte risorse. Saprà sorprenderla e ritengo anche capirla, a modo suo. E poi, possiamo stare certi del fatto che ci penserà Angel.” “Se Drusilla gli lascerà del tempo libero.” – si bloccò, posando il bicchiere con gesto secco – “Tutta colpa di Spike.”
“Non hai nemmeno un po’ di preoccupazione per lui?” – la punzecchiò, divertito – “Solo soletto, nelle nebbie londinesi…in preda a chissà quale tormento…”
“Assolutamente no. I veri tormenti sono quelli di Faith. L’ha illusa ed è scappato in un momento difficile.” – replicò, lapidaria – “e tutto perché ha lo stesso dissidio di Angel. Sono cattivo e non posso amare nessuno bla bla bla…”
Si interruppe, chinando il capo.
“Come vorrei fosse così semplice.” – ammise, tormentandosi una ciocca di capelli – “Almeno potrei capirli. Ed essere di qualche aiuto. Ma non riesco a immaginarmi come possa essere…”
“Nessuno può.” – rispose Doyle – “Possiamo essere vicini, possiamo aiutarli. Ma rimangono soli innanzi a tutto questo. La redenzione, l’amore… e soprattutto quel demone che urla perennemente.”
“Ma Spike è diverso da Angel.” – lo contraddisse la ragazza.
“In fondo sono molto simili. Spike appare più concreto, più equilibrato solo perché ha un rapporto, diciamo, più colloquiale con il suo demone. Lo combatte, certo. Ma credo che, inconsciamente, l’abbia sempre fatto. Il demone di Angel è tutta un’altra cosa.” – tacque un istante – “Credo che talvolta Angel si senta affogare. E faccia fatica a restare a galla, quando sarebbe semplice lasciarsi trascinare sul fondo. Non ha mai pace…e, per quanto forte…”
“Tu pensi che possa cedere?” – Cordelia era preoccupata, tesa di fronte a quell’evenienza.
“Io credo di no.” – la rassicurò in un sorriso – “L’istinto di combattere è più forte di lui. Non può rinunciare al bene, per nessun motivo. Ha provato, tante volte. Ma non può. Senza alcuna spiegazione. Non può e basta.”
Forse un giorno sarà stanco.
Troppo stanco per andare avanti.
Ed è per questo che ci siamo noi.
È per questo che ci sei tu, Principessa.
Tu puoi, dove molti possono fallire.

E non mi stancherò mai di ripetertelo.

“E Spike… allora è lontano perché è stanco di combattere?”
“Non lo so.” – ammise – “Penso sia quello che teme Angel. Spike sta evitando il confronto con tutti noi, con Faith in primo luogo.” – si passò una mano tra i capelli corti – “Ma io credo che ci sia qualcos’altro. Qualcosa che Drusilla ha riportato a galla, del loro passato insieme.”
“In effetti, c’è una cosa che non capisco.” – aggiunse Cordelia, concordando con quell’ipotesi – “Drusilla è piombata tra i piedi perché voleva Faith. Eppure, secondo me, Spike è convinto che, se resta lontano, Dru non le torcerà un capello.”

Era vero.
Paradossale ma vero.
Anche Doyle aveva avuto un pensiero del genere. Ma l’aveva scartato, nella certezza di esagerare con le supposizioni.
Eppure, da quando Spike era partito, solo una volta Drusilla si era fatta avanti. E per Angel, non per Faith.
Non per Faith, che faceva le sue ronde in perfetta solitudine e che poteva essere vulnerabile.
Per Angel. E solo per parlare.
“Devo ammettere che è strano.” – commentò, con un cenno di assenso – “Ma penso sia un altro buco nella questione.”
“Buco?”
“Già buco. Spazio vuoto. Informazione mancante.” – enumerò Doyle – “è una storia che non combacia mai. Ma una cosa è sicura…”
“Che è tutta colpa di Spike.” – concluse, trionfante, Cordelia.

II
Badava realmente ai tramonti solo da quando conosceva Angel.
Il sole calava lentamente e cambiava la luce. Poi mutava la temperatura, appena.
E infine iniziava la notte.
Quando ancora frequentava il liceo, la fine del giorno significava solo abiti alla moda e ragazzi. Non c’era nient’altro da desiderare, men che meno osservare quella striscia rossa all’orizzonte.
Ma ora tutto era diverso. E non c’era giorno, o tramonto, che non portasse a Cordelia questo stupore. Persone solo nella notte, persone del tutto prive di giorni, giorni come quelli che lei e Doyle potevano passare abbracciati sul pontile.
“Ci sono momenti in cui penso a Buffy.” – mormorò, scendendo dalla macchina nel garage dell’Hyperion – “lei amava molto Angel. .. ma non posso che domandarmi se non le mancassero giorni come questi. Io neanche li immaginavo,allora…”
“Credi che, a lungo andare, sarebbe diventato tutto troppo pesante da sostenere?” – domandò il demone, aprendo il bagagliaio – “io penso che l’amore sopravvive anche senza certe cose, se è vero.”
“può darsi. O può darsi di no.” – ribattè criptica, la ragazza. Aveva nominato Buffy, ma il suo pensiero era corso a Faith. Se mai tra lei e Spike fosse sbocciato qualcosa.. cosa sarebbe potuto essere, nel tempo?
Tutto sommato non era un bel discorso…
Si chinò per prendere un po’ di borse, poi chiuse la macchina con la mano libera.
Doyle, carico di pacchi, con la giacca appallottolata su un braccio, stava cercando di forzare la porta di comunicazione con il piano superiore.
“Niente da fare.” – ansimò, dopo l’ennesima spallata – “O chiusa o bloccata. E non credo ci sia nessuno nei paraggi.”
“Allora facciamo il giro.” – sospirò Cordelia, avviandosi su dalla rampa – “Non ho la chiave di questa porta.. e tu non hai più ossa da usare…”
“Potrei forzare la serratura…”
“Doyle, il fatto che tu sappia fare certe cose non significa che io voglia necessariamente saperlo…”

la rampa dei garage aveva una scala pedonale, breve e irta di erbacce. Utilizzabile solo per disperazione, visto che, per giunta, sbucava in un vicoletto sul lato dell’albergo.
Risultato inevitabile, dato che il garage era stato una modifica certamente successiva all’albergo, tipicamente anni venti.
Vasto e umido, si stendeva per una buona metratura sotto il pianoterra, invadendo, probabilmente, anche qualche cantina del vicinato.
Non c’era da sorprendersi che Angel riuscisse ad arrivare ovunque passando dallo scantinato.
“Già.” Concordò Doyle, passandosi tutti i pacchi su un braccio solo per afferrare Cordelia e aiutarla a salire la scaletta – “Devono aver trivellato in ogni direzione. Da stupirsi che l’albergo non sia sceso di un piano…”
Il discorso sulla fondamenta dell’albergo, del tutto basilare e preoccupante fino a un secondo prima, sfuggì completamente all’attenzione di Cordelia, quando una mazza da baseball colpì Doyle alle spalle, facendolo franare a terra.
O meglio, su di lei.
Cordelia lo afferrò al volo, mentre sbattevano contro la porta metallica del garage, nella rientranza in cemento della scala.
I suoi acquisti e la tranquillità di un pomeriggio sereno finirono sparsi intorno a loro, mentre Doyle, prontamente, infilava una mano nella borsetta di lei e recuperava un paletto.
E una matita per gli occhi.
“Tieni.” – urlò passandole l’arma e tenendosi il trucco.
“Ma tu sei fuori testa.” – rispose lei, di rimando, guardandolo impugnare l’oggetto quasi fosse una spada e polverizzare uno dei due che li sovrastavano.
“Me lo ha insegnato dawn.” – replicò il demone, saltando sopra il muretto e chinando la testa per un pelo, mentre la mazza da baseball fischiava nuovamente in modo sinistro.
Il vampiro ci sapeva fare. Doveva decisamente essere uno del mestiere, con quella maglietta da riserva degli Yankees anni trenta e le spalle larghe come un armadio degno di nota. La mazza compiva perfetti semicerchi che Doyle non intercettava per un soffio.
Coraggioso, con aria determinata e trucchi in pugno, schivava il più possibile, schiena contro schiena con Cordelia, impegnata a difenderli entrambi con il coperchio di una spazzatura.
Uno…due..tre….
“Bhe, poteva andarci peggio.” Commentò allegramente la ragazza, colpendo con un pugno in mezzo agli occhi il più mingherlino dei tre. E finendolo, velocissima.
“oh, certo! Potevo morire con indosso quel completo che volevi comprarmi e invece sono vestito come al solito.” – ribattè Doyle, sollevato da terra e scagliato contro un cumulo di rifiuti.
Il vampiro, la versione demoniaca di Joe Di Maggio si mosse verso di lui, trionfante. Anche l’altro vampiro aveva perso interesse per Cordelia. Era un tipo dall’aria malaticcia, del tutto privo di denti, a parte due lunghissimi canini gialli come i suoi occhi.
“Per la miseria.” – Doyle cercò di puntellarsi, slittando con le mani, movendosi più in fretta possibile, mentre la mazza calava su di lui, a più riprese.
Ringraziando il cielo, se si doveva trovare un difetto in quel vampiro, si poteva parlare di lentezza.
Ogni colpo era paragonabile alla calata del martello di Thor, ma il tempismo lasciava a desiderare.
Con grande riconoscenza della testa di Doyle.
“Ma è possibile che uno non possa uscire dal garage senza incontrarvi?” – sbraitò Cordelia, saltando sulla schiena di ‘senzadenti’ e piegandogli il coperchio di lamiera in testa, prima di polverizzarlo.
Senza attendere risposta.
E senza fermarsi, proseguendo la sua corsa fino a caricare il bestione. Con una forza e una precisione tale da mandarlo lungo disteso.
“principessa, mai pensato al football?” – ansimò il demone, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi.
E mentre il vampiro, quasi inciampando nei suoi piedi, cercava di recuperare la sua preziosissima mazza, corsero fuori dal vicolo.
“Non mi sembra si sia stancato di giocare.” – ansimò la ragazza, sentendo i bidoni rovesciarsi alle sue spalle.
“quello vuole fare un HomeRun con la mia testa.”- rispose, senza fiato, Doyle, senza lasciarle la mano.
Tirandola verso di se, mentre un altro colpo andava a vuoto.
Questo aveva la divisa dei Dodgers, ma di vent’anni più recente.
“Una serata da pieno campionato.” – commentò Doyle, cercando di snebbiarsi. Questa volta la mazza l’aveva colpito in pieno. Le sue costole aveva scricchiolato, risentite, comunicando con quelle dalla parte opposta, impegnate a non frantumarsi contro il muro. Cordelia, d’altro canto, aveva i capelli bagnati, come una che, spostandosi, è stata investita dal getto di una grondaia rotta.
A differenza dei suoi compagni, questo appariva un po’ più veloce. Ma altrettanto arrabbiato.
Cordelia, decisa a ripetere la performance precedente, si era presa un ceffone, senza tanti complimenti. Un colpo che l’aveva seduta in un angolo, la guancia contro il muro.
Quanto bastava ad accecare del tutto Doyle.
“Adesso basta.”
Con uno scatto, e mutando in contemporanea, placcò l’armadio che usciva dal vicolo, spedendolo contro la mazza del collega.
Poi afferrò la ragazza per un braccio, e si mise a correre.
Venti metri dalle porte dell’hyperion.
Quindici…
Dieci…
Troppo tardi.
Con una scivolata da casa base, il più agile dei due li fece cadere.
E passò rapidamente a miglior vita.
“Ahio.” – urlò Doyle, mentre le schegge della matita gli si infilavano nel palmo – “Ma fa male!”
In effetti anche le costole iniziavano a fargli male, rendendogli più difficoltosi i movimenti.
“Doyle, andiamo.” –gridò Cordelia, tirandolo per un braccio, ignorando i fari gialli che le investivano la schiena.
Fari che distrassero Doyle.
Angel in arrivo, pensò, in un attimo, esultante.
Mentre l’ultimo superstite del mondo demoniaco, atterrava Cordelia con una spallata. “No!” – ringhiò, tendendo la mano verso di lei, a terra. Vedendola uscire dalla sua visuale, mentre lo Yankee gli si poneva innanzi, la mazza alzata e il piede sullo stomaco, per tenerlo fermo.
Il dolore secco delle sue ossa gli strappò un urlo di impotenza e la concentrazione per riuscire a mutarsi nuovamente in demone.

La mazza calò inesorabilmente su di lui.

Colpendolo, in un rimbalzo, e rotolando più lontano.
Mentre il resto finiva in polvere, facendolo tossire.

Sopra di lui, in piedi, stava Methos, con il suo braccio ancora alzato.
E l’espressione vagamente seccata.

“Possibile che non faccia in tempo ad arrivare e mi tocca già fare.. questo?” - Borbottò irritato, scuotendo il giaccone per levare la polvere. E mandandola tutta su doyle. Fissandolo, con aria inquisitrice, con le mani sui fianchi – “Di un po’, Francis, è questo che fai quando le offri una serata romantica?”
“Il nostro amore è cominciato così, mi piace rimembrare.” – ribattè il demone, afferrando la mano tesa e mettendosi in piedi.

Dietro di lui, seduta per terra, Cordelia si massaggiava una caviglia e si metteva a posto i capelli.
Aveva visto un’ombra, con un lungo giaccone scuro pararsi dietro il vampiro e ucciderlo. E, per un attimo, aveva creduto fosse Angel.
Ora, fissandogli la nuca sottile, i capelli castani e soprattutto movimenti, non aveva dubbio di essersi sbagliata.
L’uomo stava aiutando Doyle ad alzarsi e… e lo stava rimproverando.
“Ti prego, non dirmi che questo è il vostro stile di vita! Vampiri sulla porta di casa, armati di buone intenzioni! Perché se questo è il trend, faccio i bagagli e me ne vado. Mi sembra evidente che non mi hai raccontato tutto...”
La sua voce aveva una bella modulazione, calda. E Doyle, che si massaggiava il torace con aria seccata, non sembrava per niente intimorito da quella valanga di lamentele.
Aggrottava la fronte e discuteva.
E non sembrava muoversi per venire ad aiutarla…
“Ehi!” – esclamò Cordelia, aggrappandosi alla cancellata e cercando di mettersi in piedi. La testa le girava, dopo l’ultimo sonoro colpo. E la caviglia la faceva soffrire, alla sua ennesima innegabile slogatura.
Al suo richiamo, i due si voltarono. E lo sconosciuto la squadrò un attimo, lasciando passare Doyle.
Era un bell’uomo, constatò la ragazza, quando lo vide in piena luce.
Alto e dal viso allungato. Aveva occhi grigi stranamente cangianti, mani e gambe lunghe e sottili.
Era vestito di scuro, con un lungo impermeabile.
“Stai bene?” – domandò Doyle, sfiorandola.
“potrei sentirmi meglio.” – ribattè Cordelia, vacillando e restando aggrappata alla ringhiera.
“Permetti?” – domandò sbrigativamente l’uomo, chinandosi e toccandole la caviglia. Strappandole un urlo. E prendendosi uno scappellotto.
“ohi!” – commentò Methos, alzando la testa di scatto e massaggiandosi la nuca.
Guardandola finalmente da vicino.
La ragazza aveva capelli scuri e lisci, un’aria decisamente combattiva. La contusione che iniziava a trasparirle sul viso non riduceva la regolarità dei lineamenti e la determinazione.
“leva subito le mani, chiunque tu sia!” – ringhiò, guardandolo inviperita.
Methos la fissò del tutto stranito, poi sorrise.
“Piacere.” – disse, tendendole la mano – “Adam Pierson, il nuovo osservatore.”
“Lei.. tu… ” – Cordelia aveva perso la sua ostilità – “cioè… doyle, lui è…”
“Si, lui è.” – replicò sbrigativamente il demone, continuando a massaggiarsi le costole – “Ma consiglierei di darsi dopo alle presentazioni. Sarebbe meglio rientrare, prima che arrivino anche i Giants.”
“Su questo non ti si può dare torto.” – concordò Methos, alzandosi. E tendendo le braccia a Cordelia – “Garantisco di non avere cattive intenzioni. Mi permetti di aiutarti?”
Era stato garbato. Ma soprattutto accattivante. E Cordelia, mordicchiandosi un labbro e ignorando le indecisioni, annuì, posandogli una mano sulla spalla. L’uomo la sollevò, senza tanti complimenti, percorrendo il vialetto con la sua falcata.
“bhe.. grazie.” – mormorò lei, con una punta di imbarazzo.
“Ma non c’è di che, signorina.” – replicò allegramente l’uomo, mentre Doyle apriva la porta ed entrava, zoppicando.
“Cordelia. Mi chiamo Cordelia.”
“Splendido nome. In latina significa Colei che ha cuore, lo sapeva?”
per Cordelia fu una sorpresa. Lo fissò stranita, mentre Methos la adagiava sul divano. Poi si voltò, come una furia, verso il suo demone.
“Francis allen Doyle! Altro che sapere il latino! Te l’ha detto lui!”
Doyle, impegnato a correre come meglio poteva con la cassetta del pronto soccorso, si fermò di botto.
“Ma Principessa.” – obbiettò – “Ti avevo detto che l’avevo saputo…”
“Oh, lascia perdere.” – ribattè lei, rassegnata, con un gesto della mano – “Grazie, signor Methos, è stato molto gentile ad aiutarmi.”

Oh, porco Giuda.
Doyle rimase in piedi dove si trovava, con la cassetta in mano. Cordelia, si era distratta, massaggiandosi la contusione sul viso. Ma Methos, il ‘signor Methos’, si stava voltando a fissarlo.
Un’occhiata omicida. Molto simile a quella con cui l’aveva accolto la prima volta che gli aveva distrutto la macchina.
A undici anni.
“So tutto.” – commentò, compiaciuta, la ragazza. Adorava cogliere di sorpresa gli uomini – “Ma non si preoccupi, resterà tra di noi…”
“Tutto quanto?” – sillabò Methos, continuando a fissare il suo figlioccio.
“Tutto… non tutto tutto.” – Doyle prese l’espressione più stranita del suo repertorio, avanzando verso il divano – “sa che sei il mio non-parente, che abbiamo lavorato un po’ al caso di Faith… che ci conosciamo da tempo…”
“Qualcos’altro?” – che so, la mia immortalità, i miei cinquemila anni di età, la lista di persona che vuole la mia testa…
“Nient’altro.” – assicurò Doyle, mentre l’uomo gli sfilava la cassetta dalle mani e l’apriva. Nemmeno quelle simpatiche storie sui Cavalieri dell’Apocalisse e il tuo Lord Byron – “A parte che hai questo nomignolo che non ti piace e preferisci essere chiamato Adam.”
Cominciamo bene, pensò l’uomo, valutando il contenuto della cassetta. Poi si voltò e fece per toccarle di nuovo la caviglia.
Fermandosi appena in tempo.
“Mi picchierà di nuovo se provo a visitarla?” – domandò, con un mezzo sorriso.
“Oh, è solo una slogatura.” - Ribattè Cordelia, continuando a massaggiarsi la fronte. I capelli, umidi, stavano tornando ondulati – “E non mi dia del lei, per piacere. Sono Cordelia, semplicemente.”
“E io sono semplicemente Adam.” – si presentò nuovamente lui, tendendole la mano – “Mi fa piacere conoscerti, ho sentito parlare di te…”
Ah si? Spero in modo consono, commentò lei, mentre l’uomo le sfiorava la caviglia, massaggiandola appena.
“Mi sembra abbia detto solo cose che rispecchiano la realtà dei fatti.” – rispose lui, gettandole un’occhiata sbieca.
Era oltremodo affascinante.
Parlava americano, ma senza alcun accento. E solo ora, osservandolo così da vicino, Cordelia iniziava ad accorgersi di quanto fossero irregolari i suoi lineamenti. Non era bello, se ci si soffermava sui particolari. Era strano, con quel viso ossuto e gli occhi penetranti. L’espressione assorta, il profilo con il naso importante, non richiamavano affatto l’atteggiamento leggermente compassato degli Osservatori.
Anche Wes, ormai ammorbidito dalla convivenza, non aveva perso quell’espressione da studioso che condivideva con Giles.
Questo Adam invece…
Bhe, certamente non era inglese.
E Cordelia iniziava a sospettare che avesse parecchio in comune con il suo bugiardissimo uomo. Probabilmente, competeva con lui e con tutti gli abitanti dell’Hyperion in campo segreti.
“Allora?” – Doyle stava in piedi, dietro il divano. E iniziava a dare segni di preoccupazione. C’era la sua Principessa sdraiata, dopo un combattimento accanito. E Methos non diceva nulla!
“calmati, Doyle.” – ribattè, bonario, l’immortale – “Non si muore per una caviglia slogata. Basterà un po’ di ghiaccio… a meno che qui da voi non si facciano sortilegi per far passare i lividi.”
L’aveva detto che un certo sarcasmo, assottigliando la bocca in un sorriso irriverente. Ma in fondo alla sua battuta, Cordelia non potè che sentire una nota preoccupata.
Su questo Doyle non aveva mentito: quel tizio, quel Methos o comunque si facesse chiamare, odiava la magia in ogni sua espressione.
Di colpo comprese quanto quell’uomo le stesse simpatico.
E non potè che scoppiare a ridere, scotendo la testa.
“No, si usa il ghiaccio anche da noi.” – commentò, sedendosi meglio e afferrando dalla cassetta un tubetto di pomata – “E un po’ di questa, anche…”
“Meno male.” – replicò Methos, sollevato. Doyle si stava allontanando, sempre zoppicante. E la ragazza, impegnata a svitare un tappo troppo duro, si voltò a fissarlo. Preoccupata.

E fu in quell’occhiata che Methos vide l’amore.
Quella ragazza aveva una luce dentro che splendeva ben oltre la comprensione. Quella ragazza era tutta luce.
Era un palpitio di sentimento, e starle vicino doveva essere inebriante. Methos chinò il capo, nascondendo un sorriso. Doyle era fortunato. Si meritava quell’amore, fino in fondo alla sua ultima cellula.
Ma non aveva mai visto nessuno fissare Doyle in quel modo. Cordelia doveva avere paura per lui. E doveva capirlo molto più di quanto mai nessuno avrebbe mai compreso, per stargli così, a fianco, senza mai un’indecisione.
Senza mai un moto di rabbia.
Lui non era mai stato altrettanto bravo.
Aveva contrastato Sinead, l’aveva esasperata nella misura in cui lei l’aveva fatto imbestialire.
Non aveva mai accettato il suo ruolo di Cantastorie. Tutti i suoi secoli passati non avevano potuto nulla contro lo scontrarsi delle loro testarde opinioni.
E con Doyle, dopotutto, era stata la stessa cosa, molte volte.

“E’ andato a prendermi il ghiaccio.” – spiegò Cordelia, vedendo il suo sguardo perso in quella direzione. Si era seduta, piegando il ginocchio, per massaggiarsi la parte dolente.
I capelli le erano scivolati intorno al viso. E si sentì colta di sorpresa, quando una mano gentile li scostò.
“Che botta.” – commentò l’uomo, fissando critico il livido – “senti nausea, capogiri?” “Nulla. Solo un gran mal di testa.” – Cordelia li fissò, stranita – “perché?”
“bhe, potresti avere una commozione cerebrale.” – rispose, con naturalezza, alzandosi e prelevando il ghiaccio dalle mani di Doyle – “Se inizi a sentirti strana vai in pronto soccorso…”
“Te ne intendi parecchio di ferite…”
“Solo un poco.” – ribattè lui, con una mezza risata.
Non si dichiarava medico solo perché i suoi studi sarebbero risultati datati. Gli mancava la laurea, quel pezzo di carta che avrebbe dato uno status alle sue conoscenze. Methos era cresciuto insieme alla medicina.
“Lo chiamavano anche Doc, sai?” – commentò Doyle.
“Sei medico?” – domandò la ragazza.
“Diciamo una specie.” – sospirò Methos, posandole cautamente il ghiaccio sulla gamba. Si era tolto il giaccone, ed aveva arrotolato le maniche del maglione di lana sottile. Non sembrava avere caldo, a differenza di loro.
Era gentile.
E disarmato. Doyle buttò un’occhiata al giaccone, incurantemente piegato sulla poltrona. Non c’era spada.
Methos si ostinava ad andare in giro senza…
Come fosse passato indenne agli agguati per così tanti secoli…
Doyle tralasciò il pensiero, tornando a fissare la sua Principessa, beatamente al centro delle cure di Methos che ora le stava passando galantemente un cuscino.
E a Cordelia non spiaceva stare così al centro dell’attenzione. Gli sorrise, grata. Poi il suo sguardo, inevitabilmente, tornò a posarsi su Doyle. E Methos lo seguì, voltandosi, a braccia conserte.
“Che c’è?” – domandò il demone, sulla difensiva.

Gli era bastato meno di un minuto per capirlo.
Si sarebbe volentieri difeso da quelle attenzioni, ma lo sguardo sollevato di Cordelia era troppo per poter essere trascurato.
Sicchè, vittima di quella nuova associazione a delinquere, Doyle si era ritrovato seduto su una sedia, a torace nudo.
Con Methos impegnato a tastargli le costole e contargli i lividi.
“Dal tuo lato quanti?” – domandò, finendo di passargli il disinfettante.
“Qui sette.” – rispose Cordelia, ancora seduta sul divano – “ma il segno dello scarpone conta per tre, viste le dimensioni.”
“sono d’accordo…”
“Ah. Ah. Ma quanto siete spiritosi…” – Doyle tirò a fatica un respiro incrociando le braccia sullo schienale della sedia – “Ahio, e fa piano!”
“Spiritosi noi? Siamo solo attenti Osservatori della realtà.” – ribattè Methos, sfottendolo blandamente, nel finire di controllargli la spina dorsale.
Alzando gli occhi appena in tempo per vederlo.

In piedi, davanti alla porta.
Uno sguardo scuro e pacato.
Una bellezza oscura.

Ed eccoti, finalmente.
Sicchè tu saresti l’eroe…

Methos si alzò, pulendosi le mani, in modo studiato.

Angel ricambiò lo sguardo. L’uomo non era ostile. Era serio, perfettamente chiuso in se stesso. Non trapelava nulla, non una variazione cardiaca o respiratoria.
Nulla.
Sapeva di fissare un vampiro.
Ma la cosa non aveva nessun effetto su di lui.
Né fascino.
Né ripugnanza.
Eppure…

Per la prima volta in vita sua, Angel si domandò come fosse il suo, di sguardo.

“Che succede qui?” – domandò, lentamente. Bel colpo, si complimentò con se stesso. Hai detto la frase del marito geloso.
“Abbiamo fatto un brutto incontro.” – spiegò Cordelia, sedendosi sul divano e provando a posare a terra il piede contuso – “E lui ci ha aiutato.”
Angel spostò la sua attenzione su di lei, che continuava a spiegare. E Doyle ne approfittò, per voltarsi appena.
Come Cordelia.
Non l’aveva detto. Ma Methos aveva capito ugualmente. Sapevano qualcosa. Ma troppo poco perché l’occhiata del vampiro nascesse da conoscenza.
Era intuito.
Come la prima volta, si erano riconosciuti per quello che erano.
Loro, entrambi, non avevano l’odore del tempo.
“E’ meglio che io mi presenti.” – mormorò, posando il panno e avanzando verso Angel a mano tesa – “Mi chiamo Adam Pierson…”
“Il nuovo Osservatore.” – concluse Angel, stringendogliela.
Un tono senza repliche.
Del tutto neutro.
“Qualcuno sa di chi sia il fuoristrada di traverso sulla strada?” – domandò Wes, entrando, con il pollice puntato alle spalle.
Era vestito sportivo, con la sua amata balestra nell’altra mano.
Gli bastò arrivare alle spalle di Angel, per bloccarsi.
“La macchina è la mia. La sposto subito.” – mormorò Methos. Accennò un sorriso, sperando di non risultare strafottente –“Ciao Wes.”
Gli occhi di Wes erano chiari. E freddi.
E lui era decisamente diverso dal ragazzo incontrato negli anni di studio. Non era una questione di età…
C’era ben altro.
“Adam.” – lo salutò.
Si sforzava di non essere ostile. Ed il suo motivo era in piedi, sulla soglia.
Methos non le disse nulla. La fissò, come l’ultima volta. Aspettando quell’occhiata con cui Faith l’aveva messo al suo posto.
Aspettando di vedere se l’avrebbe riconosciuto. E non restando affatto deluso.

Doyle si drizzò lentamente, prendendo la camicia che Cordelia gli porgeva. Anche lei si era alzata, venendogli vicino. Il silenzio che si era creato era opprimente.
E nessuno si sforzava per interromperlo.
“Forse…”
Quando la voce di Methos si librò tra di loro, anche quelli che non volevano dimostrarsi amichevoli nei suoi confronti, lo fissarono con evidente sollievo.
E Methos esitò un attimo, sotto i loro occhi.
Prima di accennare un sorriso.
“Forse, oltre che spostare la macchina, sarà meglio che me ne vada.” – commentò, facendo un passo indietro e afferrando il giaccone.
Senza cercare lo sguardo di Doyle. Ma salutando Cordelia.
Mi raccomando, sorrise, se la testa ti fa male…
“Si, lo so.” – Cordelia annuì – “Vado dritta in ospedale.”
“Brava.” – si complimentò lui, infilando la giacca e cercando le chiavi – “e spalma quella crema anche sulla sua schiena.”
“sarà fatto.” – rispose. Prima di decidersi a fare la cosa giusta – “E’ stato un piacere conoscerti, Adam. Grazie di tutto.”
L’aveva detto tendendogli la mano.
E Methos la fissò, del tutto colto di sprovvista. Prima di stringerla.
“E’ stato un piacere.” – mormorò – “Ciao Doyle.”
Doyle alzò una mano, in cenno di saluto, lasciando stare i bottoni della camicia. Prima di cacciarsi le mani in tasca.
Buffo. Quella situazione gli faceva male…

Methos si avviò verso la porta, giocherellando con le chiavi.
“Wes… Angel…” – salutò, passando.
Angel non si mosse.
Nessuno pronunciava il suo nome con quell’inflessione.

“Non vuoi fermarti?”
la domanda di Wes lo raggiunse un attimo prima che affiancasse Faith. Nell’attimo in cui incontrò il suo sguardo ed il suo mutismo.
La ragazza alzò la testa, in segno di sfida, fissandolo dritto in viso.
E Methos la studiò una frazione di secondo, prima di lasciar venir fuori il nervoso che provava. Trattenendo a stento il desiderio di dire quattro fatti della vita a quel gruppetto di eroi.
“Oh, andiamo Price.” – replicò voltandosi con un sorriso scanzonato – “Siete troppi.. non posso affrontarvi tutti insieme. Ci sentiamo. A presto.”

III
Un’uscita in grande stile.
Angel dovette ammetterlo, finendo di cambiarsi.
Quell’uomo gli piaceva già solo per il fatto che lo rifiutassero.
E poi, considerò, sentendosi stranamente fiducioso, l’intuito di Cordelia parlava chiaro.
A lei, Adam piaceva.
E questo sua palese opinione le aveva già procurato una bella occhiata da parte di Faith.
Una Faith abbastanza pacata da decidere di ritirarsi al piano di sopra. Senza alcun commento.
Senza alcun commento in particolare su Doyle.
Era difficile per Angel, arrivare a capire come la Cacciatrice si fosse resa conto di quello che tutti loro già sapevano: Doyle conosceva Adam. E piuttosto bene.
Tutto in lei inneggiava al tradimento, considerò il vampiro, uscendo dalla camera. Non si dovrebbe mai sottovalutare l’intuito di una Cacciatrice…
“Qualunque cosa tu stia pensando.” – commentò Cordelia, salendo faticosamente le scale – “Io sono perfettamente d’accordo.”
“Dove stai andando?” – domandò, guardandola arrivare sul pianerottolo.
“Vado a parlare con la ragazza.” – sospirò, restando in bilico su un piede solo – “Questa volta tocca a me sedare i bollenti spiriti.. anche perché, se vede Doyle…”
“Si, ho notato.” – Angel si appoggiò alla balaustra, a fianco di Cordelia – “E mi spiace. Questa è una sciocchezza, rispetto a quello che Doyle ha fatto per tutelarla.”
“Lo so. Ma nel rapporto di fiducia, tra loro…” – Cordelia tamburellò con le dita, prima di raddrizzarsi – “Penso che tu sappia come vanno certe cose… non occorre che ci dilunghiamo.”
“Già.” – commentò il vampiro – “So come vanno certe cose.”
Rimase un attimo immobile, prima di fermare la ragazza, per un braccio.
“Cordelia…”
“Dimmi, Angel.”
“Vuoi un passaggio fino in mansarda?”

Doyle si calcò il cappello in testa. Poi aprì e chiuse il cassetto, nervosamente.
Passando a quello successivo. E a quello ancora dopo.
Eccolo, finalmente.
Il mazzo di carte. Lo tolse dalla scatola e si voltò, spalancando l’armadio e tirando fuori la giacca.
Le carte finirono disordinatamente in tasca, insieme ad accendino e sigarette. Venti dollari spiegazzati, due gettoni e qualche caramella.
I quattro passi fino al letto furono niente in confronto allo sforzo che gli costò sdraiarsi sul tappeto e cercare le scarpe.
La schiena non gli faceva male… Di più.
Si allungò, sbuffando contro qualche fiocco di polvere sfuggito all’occhio rapace di Cordelia, e afferrò i mocassini per le stringhe.
Poi si sedette, armeggiando per infilarsele.
“presi tutti gli attrezzi del mestiere?” – domandò Angel, appoggiato allo stipite della porta, a braccia conserte.
“Quasi. Manca il Whisky.” – replicò l’irlandese, senza voltarsi, finendo con calma la sua opera – “Ma penso che me lo procurerò strada facendo.”
“Hai una meta?”
“Assolutamente no.” – si tirò su, con l’aria irritata di chi ha male dappertutto – “Vado a fare due passi e rispolvero qualche vecchia pessima abitudine. Poi, quando avrò voglia di assecondare il malumore di faith e dimostrarmi conciliante e saggio, tornerò qui.”
“Mi sembra un buon piano.” – annuì il vampiro.
“Lo è.” – tagliò corto. Prima di fare un respiro, strofinandosi una mano sulla faccia – “Ti prego, esprimiti.”
“Stai chiedendo la mia opinione?”
“Si, Angel. Chiedo la tua opinione. Ma non so a riguardo di cosa.” – si posò le mani sui fianchi – “dimmi quello che vuoi. Qualcosa da dire o da fare… fai tu. Dimmi cosa può essere più utile del mio andare a far quattro passi.”
“Trattandosi di te…” – Angel annuì, senza fissare un punto preciso – “Assolutamente nulla.”
“Grazie.” – commentò l’uomo – “La prendo come una manifestazione di fiducia.”
“Infatti è così. Io mi fido di te...”
L’aveva detto con quel tono pacato che lo contraddistingueva da tutti loro. Una voce che non aveva bisogno di essere forte, per farsi sentire.
Doyle fece un respiro, prima di rispondere.
“Io mi fido di te.” – ripetè – “ma…”
“Nessun ma.” – rispose Angel, fissandolo dritto negli occhi - “Ritengo che Faith non abbia del tutto ragione a sentirsi tradita.”
“Non mi aspetto che capisca perché l’ho fatto. E non intendo pentirmene.” – Doyle si infilò una sigaretta in bocca – “Mi fa rabbia la casualità.”
“La.. casualità?”
“Già, la casualità. Ho dato una spinta al destino chiamando Adam e obbligandolo a interessarsi. Ho accelerato il loro incontro perché faith potesse restare. E in tutto questo mio piano non mi sono ricordato che si erano già visti.”
Angel aggrottò le sopracciglia, interrogativo.
E Doyle proseguì a spiegare il fatto.
“io mi sono scientificamente impegnato a omettere particolari perché Faith potesse essere imparziale e non ho pensato a quella sera che mi ha incontrato per strada, con lui.” – aspirò una lunga boccata, prima di continuare – “Era venuto in America e ci siamo visti. Mi ha riaccompagnato qui e l’ha incontrata. Fine della storia.”
“Ecco come l’ha scoperto…” – commentò Angel, più per se stesso che per partecipare alla conversazione.
“Già. E io mi sento uno stupido. Ho visto un problema dove non c’era. Faith era già decisa ad essergli ostile, prima ancora di vederlo. Ora sa pure che non le ho detto la verità. Aveva ragione Cordelia…”
“Cordelia ha spesso ragione.” – costatò Angel, con un mezzo sorriso – “E adesso è impegnata in un match con l’interessata.”
“Come dire che per me ci sono ancora speranze.” – Doyle si strofinò la testa, poi un sorriso affiorò spontaneo – “Forse sto esagerando. Sono un po’ teso…”
“Lo siamo tutti.” – concordò il vampiro – “Senti…”
doyle lo guardò, fisso.
No, non era possibile… imbarazzo?
“Adesso non dirmi che vuoi invitarlo a cena.” – sbottò. Guardando Angel tirar su la testa di scatto e fissarlo.
“Ehi! Ma come…”
“Lascia perdere come ho capito.” – doyle mosse la mano, spazientito – “Lo faccio da sempre e ancora ti sorprendi. Comunque, se volevi il mio parere, ti dirò lasciar perdere. Lascia che si arrangino.”

“Doyle!”

Quello non era un urlo. era un ruggito.
E Doyle, promotore della linea neutrale, alzò la testa e rispose.
“Che cosa c’è!” – sbraitò, puntando un punto immaginario oltre la testa di Angel, verso il lucernaio.

Faith saltò l’ultima rampa di scale, senza troppi complimenti, atterrando come un gatto sul divano. Cordelia, dall’alto della mansarda, saltellando su un piede solo, era già arrivata ad affacciarsi alla balaustra. Come wes, quasi speculare, un piano più in basso.
“Portamici.” – ordinò, secca, la ragazza.
“Come?” Doyle la fissò aggrottando le sopracciglia. E Faith, con un moto di irritazione, avanzò ancora di un passo verso di lui.
“Ho detto ‘portamici’. Da quello, da Adam o come cavolo di chiama. Perché immagino che tu sappia dove si trova.”
“No, non lo so.” – doyle non amava essere trattato come un tappeto. Gli provocava un rimescolio in quei cromosomi che erano stati caratteristici di sua madre – “Posso impegnarmi, se ne vale la pena… ma qui vedo solo una bambina che trattiene il fiato. E io odio i capricci.”
Non era certo che fosse la mossa giusta.
Ma faith era una ragazza tosta e molto più ancora.
E, nella gamma infinita di reazioni che avrebbe potuto avere, si limitò ad abbozzare un sorrisetto sarcastico, infilandosi le mani in tasca.
“Adesso che abbiamo chiarito le nostre posizioni, e ci siamo dichiarati guerra.” – commentò – “Possiamo andare?”
doyle la squadrò, con un certo qual cipiglio.
Prima di fare un cenno vero la porta.
“Prima le signore.”

A volte Doyle era costretto ad ammettere che una delle cose più inebrianti di Los Angeles risiedeva nell’odore che emanava.
Forse esistevano pochi posti sulla terra dove il profumo costoso di fondesse irrimediabilmente con il marcio.
Un aroma dolciastro e penetrante capace di impregnare i capelli, certo.. ma soprattutto l’anima.
Doyle alzò il naso verso la cima dei grattacieli e aspirò profondamente.
Inebriante, già…
E, forte di questa percezione, buttò un’occhiata incurante alla ragazza che gli camminava a fianco, rigida come un palo.
“Dammi un pugno.” – disse.
“Come, scusa?”
“Ho detto, dammi un pugno. Ti sentirai meglio e potrò dirti che ti stai comportando in modo irrazionale.”
“Ah, grazie tante!”
“Faith, non mi va di andarci leggero. E la cosa non dovrebbe sconvolgerti. Sarai anche diventata un cestino di sentimenti mielosi, da qualche tempo, ma io ritengo che tu sia sempre la stessa Faith che ho conosciuto.”
“Un cestino di sentimenti mielosi?” – ripetè Faith, fissandolo. E accennando un sorriso – “Sono veramente così noiosa?”
“No, non noiosa.. solo trattata con troppi guanti. Hai dato in escandescenza, sei stata vulnerabile.. ma ora andiamo avanti. E torniamo a qualche vecchia abitudine. Compreso il non mentirci.” – Doyle si fermò e la guardò, dritta negli occhi – “per tanto, potrei cominciare io raccontandoti perché non ti ho detto che conoscevo adam.”
“Oh, lo so, perché non me lo hai detto.” – sospirò lei, tirandosi indietro i capelli – “Mi sarò rammollita ma non sono scema. Avevi ragione quando hai detto che faccio i capricci. È vero. Mi sono ripetuta un sacco di volte che sarei stata pronta a tutto, pur di restare.
Ma non mi va di tollerarlo.”
“Non servirebbe a nulla dirti che non è come pensi?” – domandò, camminandole a fianco, le mani in tasca impegnate a giocare con gli spiccioli.
“Probabilmente no.” – sospirò lei – “Del resto è qui. E devo tenermelo. Tanto vale abituarsi all’idea.”
“Brava! Stoica al punto giusto.”
“Speriamo…” – concluse, dubbiosa, la Cacciatrice.

Era molto tempo che non si sentiva così scombussolata.
Incasinata alla massima potenza.
Schifosamente male. un vero disastro.
Spike non era tornato. In compenso era arrivato un altro tizio.
Come dire che questo nuovo anno faceva doppiamente schifo.
Per la prima volta in vita sua, Faith sperimentava un fenomeno che alcuni chiamano ‘farfalle nello stomaco’.
Una definizione paradossale, per definire qualcosa che più che un leggiadro insetto sembrava un macigno.
Bloccato, insidiato sul suo cardias. Se chiudeva gli occhi, poi… peggio ancora. Il macigno si sgretolava e ne uscivano infiniti fotogrammi di un vampiro biondo e un osservatore alto e ironico.
Già lo odio… anzi, li odio entrambi.
Faith sbattè le palpebre e tirò un calcio alla lattina accartocciata che aveva tra i piedi. Poco più in là, Doyle parlava animatamente al telefono, giocherellando con un vetro spaccato della cabina.
Discuteva, cercando di annotarsi un indirizzo su una mano, mentre faith, svogliatamente, seguiva la lattina ancora rotolante e polverizzava un vampiro ignaro di tutto.
Un povero vampiro seduto su un gradino, con un giornale in mano.
Povera bestia, ragionò Doyle, fissandolo svanire. Ucciso in un momento di ozio…
Che beffa deve essere per un demone come te votato all’onnipotenza… Doyle giocherellò pensosamente con il filo, primo di riagganciare.
“Trovato.” – commentò, sventolando la mano macchiata di segni indecifrabili – “Non è lontano e sta disfando le valigie.”
E mi ha detto di stargli lontano o mi ammazza… ma non gli ho creduto…
Methos si era trovato un posticino tranquillo, in una via non troppo larga e piuttosto buia.
La luce che proveniva dalle ampie finestre di quella che era stata probabilmente una palestra, illuminava i marciapiedi larghi e sconnessi, con una luce dorata e soffusa.
Davanti alle finestre correva un terrazzo ampio, in muratura.
Ma dalla strada non era visibile nient’altro. Faith alzò lo sguardo, studiando quel lungo piano luminoso, in mezzo a caseggiati stranamente bui.
“Sicuro sia questo il posto?” – domandò, dubbiosa.
“Certo.” – doyle annuì – “L’indirizzo è proprio questo. Per giunta, è proprio come dovrebbe essere. Nessun vicino di casa e molto spazio a disposizione.”
“megalomane, dunque…”
“Certo. E noi non riusciamo a concepirlo, vivendo in sei in un modesto albergo da duecento stanze…”
“Cinque, ci abitiamo in cinque, doyle. Non ti sbagliare…”
“”Ehi, frena.” – Doyle l’afferrò per un braccio e la guardò, divertito – “Non sarai anche tu di quella corrente di pensiero ‘Spike se ne è andato e mai più lo rivredremo’…”
“Come no!” – ribattè lei, piccata – “Io sono della corrente di pensiero ‘personalmente darò fuoco a ogni sua proprietà al centro del cortile’ . Giusto per non avere esitazioni, ovviamente…”
“Ovviamente.” – Doyle scosse la testa e incrociò le braccia – “Non ti ha mollata, Faith…”
“E perché avrebbe dovuto mollare solo me? Ci ha mollati tutti! Tra me e Spike non c’è stato nulla, se non qualche bella rissa e un po’ di birra. Nient’altro! Nulla! Nada!”
Così nada che lo smalto saltò via dal lampione colpito dal suo anfibio. Faith si tirò indietro i capelli, rabbiosamente.
Come odiava quel dannato vampiro, quei suoi occhi, quelle sue spalle larghe… oh, come lo odiava!

E magari lo chiama pure odio…. Doyle la fissò mentre calciava le cancellate e i lampioni.
Poi alzò lo sguardo.

IV
E lo vide.
Le braccia conserte sulla balaustra, l’espressione rassegnata…
Con un mezzo sorriso gli fece un cenno di saluto, a cui Methos rispose scotendo appena la testa.
Non c’era speranza. Inchiodato. Inchiodato da un demone e una cacciatrice isterica. Con un enorme desiderio di diventare pigro e non curarsi per niente di tutti questi eventi basilari che a Los Angeles sfociavano in vere e proprie missioni.
L’avevano spedito a tenere a bada un manipolo sgangherato di eroi…. Un vampiro taciturno, una ragazza bruna e luminosa, un demone chiacchierone, una cacciatrice buia e un ex osservatore ostile ma educato.
C’era di che mantenere in bilico la bilancia dell’universo, tante erano le contraddizioni di quelle persone.
Capaci di avanzare e retrocedere, di soffrire e amare, odiare, gioire… il mondo in piccolo, ancora una volta, come i regnanti, come gli eletti.

Certo.. una visione un po’ troppo raffinata per quella piccola zotica che stava demolendo la via…
“Qui su ho molte cose delicate.” – commentò, rivolto a Doyle, alzando studiatamente la voce – “Salite quando i bollenti spiriti scendono a temperatura ambiente.”
Ovviamente per Faith si trattò di una doccia fredda. Si bloccò, i pugni serrati e l’espressione tesa.
Ricordando incredibilmente Spike, in quel suo memorabile eccesso di rabbia nel cimitero di Sunnydale.
Sono passati meno di sei mesi… eppure sembra un periodo eterno. Doyle la seguì, pensosamente, mentre saliva i tre gradini consunti e entrava dal portone accostato. Un vecchio portone in vetro satinato e metallo, dal pomolo d’ottone lucido e ammaccato. In cima alla seconda rampa di scale, la porta dell’appartamento, per quanto solida e di buona fattura, fatta apposta per difendere, risultò essere accostata.
E dentro, vestito di una semplice felpa grigia con il cappuccio e un paio di jeans, stava l’austero Osservatore.
Che metodicamente sballava oggetti e libri, allineandoli sulle scaffalature ultra leggere di acciaio satinato e vetro.
“Va meglio?” – domandò, posando un volume a fianco di uno identico. Faith aveva lasciato spalancata la porta ed era entrata, fermandosi. Doyle, alle sua spalle, si dispiacque di non poterla vedere in viso. Chissà se la sorpresa le era trasparita dai lineamenti oppure era stata smorzata e nascosta.
Methos sembrava propenso a volerla spiazzare, notò.
La stava considerando appena, continuando a estrarre dagli scatoloni la sua roba, spostandosi verso altre stanze e tornando nell’ingresso.

Ingresso.. faith buttò un’occhiata circospetta a quell’ambiente. Rallegrandosi di non dover formulare frasi di circostanza, visto che, in tutta sincerità, si sentiva senza parole. L’ambiente, in effetti, doveva essere stato una palestra.. o una scuola di danza. Era enorme, integralmente pavimentato con un vecchio parquet ponte di nave, con pochi mobili e troppi scatoloni.
Qualcuno, un inquilino precedente probabilmente, aveva sfruttato parte dello spazio ricavando una zona notte e, subito sopra, un ballatoio diviso in più ambienti.
Un amante delle strutture moderne, sottili e indeformabili, quali le scale metalliche e le ringhiere tubolari. Pareti in cartongesso, ambienti affacciati su un enorme spazio illuminato a giorno.
E, in fondo a quella confusione, oltre le cataste di bagagli, una cucina munita di bancone, moderna e lucida.
E tutto questo, agli occhi di faith, strideva. Non poteva essere la casa di un osservatore.
Non c’era una poltrona di velluto in stile, non c’erano librerie, boccali con fondi di caffè, appunti e lampade dalla luce giallognola.
Quel posto.. era un’esplosione di luce bianca da nuovo millennio! Niente vecchia Inghilterra, nemmeno la più piccola stampa paesaggistica alle pareti! Niente! Un bel niente!
Scatoloni pieni di libri e oggetti strani, certo! Ma il padrone di casa aveva indosso una felpa sdrucita e camminava a piedi nudi senza nessun problema! Non possedeva una vestaglia né tantomeno una giacca di lana, di questo faith iniziava ad essere sconvolgemente certa!
Non c’era nulla di vecchio in lui da sfottere… nulla che faith avesse già incontrato in Giles o Wes.
Era la casa dei suoi sogni quella!
E questo la disorientava.
“Di lì adibirai lo spazio per allenarmi?” – domandò, con sfida, puntando il dito verso la sala sconfinata.
“Assolutamente no.” – replicò lui, finendo, con uno scrollone, di estrarre una coppa in cristallo – “Mi piacciono gli ambiente luminosi e sgombri. Non metteremo mai né una pertica né un materasso per la tua voglia di calmare i nervi.”
Si era voltato, e stava studiatamente disponendo la coppa in mezzo al piano in cristallo del tavolo. Fece alcuni passi indietro, per valutare l’effetto, seguitando a parlare.
“Puoi continuare ad allenarti a casa, Faith, come preferisci. Scommetto che avete uno scantinato con tanto di sacco della box. Ma qui non ci sarà nessun round di lotta. Almeno per il momento.”
“sei un pacifista, quindi.” – ribattè lei, con tono di disprezzo. Doyle sembrava stranamente attratto da alcuni libri e se li stava godendo, seduto su una cassa da imballaggio.
“Ormai sì.” – replicò l’uomo, impugnando un piede di porco e schiodando una nuova cassa – “preferivi un tizio che si facesse gonfiare di lividi?”
“No, sarebbe stata troppa grazia.” – sputò lei, velenosamente.

Nulla sembrava irritare quel tizio. Nulla.
Adesso la ammazza. Doyle alzò gli occhi dal libro e sbirciò l’immortale. Ostentava un’espressione tranquilla e menefreghista… ma quella ragazza gli stava risvegliando qualche istinto omicida.
Eppure, l’istinto lo stava guidando sulla strada giusta. Sapeva prendere Faith nel modo migliore. Facendola imbestialire.
A lungo andare, faith gli avrebbe voluto bene già solo per questo motivo. In lei, il desiderio di provocare era troppo forte e troppo ignorato dai suoi coinquilini.
Siamo così stanchi di battaglie, pensò, da non volerci più portare la guerra in casa. Nemmeno per gioco.
Girò una pagina, senza fissare le parole, senza perdere di vista la schiena sottile della ragazza. A quanto pare qualcuno ne risente…
Senza Spike non ha nemmeno uno sfidante…

Fino a ora… almeno…
“Visto che sei in vena di sfogare le tue energie.” – commentò Methos, avvicinandosi – “Puoi spostare gli scatoloni.”
“certo.” – replicò lei, sempre a braccia conserte, per niente intimorita dal fatto di dover alzare la testa di parecchio per guardarlo – “poi mi metterai in castigo a rincollare i cocci che contengono?”
“Che conterranno, vorrai dire…” – ribattè lui, con un mezzo sorriso. tendendole a sorpresa la mano – “Piacere di conoscerti, Faith. Io sono Adam.”
“il mio Osservatore?” – scimmiottò lei, guardando la mano e il viso del suo interlocutore.
“così dicono.” – replicò lui, continuando a mantenere la mano tesa verso di lei.
Vedendo la sua espressione mutare, da ostile a diffidente. Prima che la mano, forte e piccola, si insinuasse nella sua.
“E’ già qualcosa.” – constatò, sorridendole e voltandosi nuovamente verso le scatole. “fatte le presentazioni, possiamo non vederci per sei mesi?” – domandò lei, ritrovando in parte la sua belligeranza. Quel tizio la spiazzava, con la sua incuranza e il suo sorriso sbieco.
“Per me si può anche fare.” – replicò methos, senza voltarsi e porgendole un libro. Libro che faith istintivamente afferrò – “Ma non sai cosa ti perdi….”
“Ma che sano senso dell’io…” – commentò doyle, senza alzare gli occhi.
“Oh, Francis, ciao!” – Methos si sporse verso di lui, affacciandosi oltre una pila di scatoloni – “Visto che non stai facendo nulla, portami quella sacca su cui appoggi i piedi.”
“Questa?”
“Quella. Un arazzo del quinto secolo che voglio appendere sopra, nel mio studio…”
“Finalmente un vecchiume…”
“Uno ogni tanto, faith.. troppi tutti insieme è ostentazione. Uno solo… uno solo non smetterà mai di sorprendermi.” – spiegò, serafico, l’uomo - tu cosa sai del concetto di unicità, faith?”
“Unicità?” – la bocca di faith si inarcò in un sorriso beffardo. Afferrò uno scatolone e lo seguì su dalle scale. Senza nemmeno rendersi realmente conto del fatto che lo stava aiutando – “Ne so qualcosa…”
il piano di sopra si confermava valido come quello inferiore. Era un ballatoio in metallo traforato, quasi una terrazza interna su cui si affacciava una stanza quadrata piuttosto grande. Anche in questa erano presenti alcuni mobili moderni e una scrivania degna di essere immortalata su ArchitecturalDesign. Methos era già in piedi su una sedia, intento ad appendere una consunta scena di caccia.
“quello è il tuo concetto di unicità?” – domandò Faith, puntando il dito contro i fili sbiaditi e i punti danneggiati.
“credi ne possa esistere un altro identico? Questo ha attraversato i tempi da solo.. mai più esisterà qualcosa che gli assomigli minimamente, credimi.” – ribattè, finendo di distenderlo, in punta di dita – “L’unicità non è mai bellezza scontata, faith. È solo potenza. È un messaggio dal nostro passato…”
“Ne parli come se potessi immaginare cosa ha provato chi l’ha fatto.” – borbottò faith, cercando di sminuirlo.
Methos sorrise, finendo di scacciare alcuni granelli di polvere.

Infatti è così, mia piccola. Teodora aveva delle mani splendide e amava tessere… e io adoravo restare ore a guardarla…
Lei era unica, per me… ed ora di lei, al mondo, non resta che questo arazzo.. e il ricordo che posseggo…
Ed entrambe, sono cose destinate a sfilacciarsi e usurarsi…

“Si può anche fantasticare su certe cose.” – replicò, tenendo per sé il ritratto della sua splendida moglie bizantina – “Ma non ti distrarre. Parlavamo di unicità. Tu sei unica, come ti senti?”
Era una domanda spiazzante. Faith lo fissò, mentre saltava giù dalla sedia e tornava ascendere le scale.
Poneva domande sconvolgenti e non attendeva le risposte!
Ma era un essere immondo!
Faith strinse i denti e gli corse dietro. I suoi anfibi fecero risuonare la scala molto più dei piedi nudi di methos.
“Come mi sento?” – ringhiò – “Come un pacco postale!”
“E’ più azzeccato dire che sei un jolly nel mazzo… oppure un asso pigliatutto.” – replicò lui, estraendo una vecchia panoplia e voltandosi ad appenderla ad una coppia tasselli.
Perfetti per sorreggerla.
Doyle si drizzò, aggrottando le sopracciglia. Quella roba era già lì da un pezzo. Era imballata per evitare l’usura, non per resistere alla traversata di un oceano.
Da quanto tempo era titolare di quell’appartamento?
Era una domanda che sembrava sottintenderne altre. Ma era indubbiamente meno interessante della conversazione di quei due.
“Tutti ti vogliono, faith. E sono convinti che tu non sia consapevole del tuo potere. Ma si sbagliano, vero?” – aggiunse, lisciando il legno che ancora conservava un leggero aroma di cera.
“E’ possibile.” – replicò lei, ricorrendo inconsciamente al cipiglio ombroso di Angel – “Tu ritieni si sbaglino?”
“Si, in effetti lo penso.”
Dallo scatolone ai suoi piedi, in mezzo ai vari oggetti, si trovava una piccola scatola in noce. Allungata, sottile, come un portapenne. Methos si chinò a recuperarla.
Le sua dita scivolarono sulla superficie riaccendendo la luminosità del legno.
“Vieni con me.” – disse, facendole un cenno – “Anche tu, Francis, per piacere.”
Methos fece strada ad entrambi fino al bancone della cucina. E quando furono entrambi vicini, posò la scatoletta sul ripiano lucido, poco lontano dal lavandino cromato.
E la aprì.
Al suo interno c’erano una coppia di siringhe, diverse per particolari che né Faith né doyle riuscirono a identificare.
“Queste, Faith, sono la garanzia che il Consiglio ritiene di avere.” – commentò – “la prima è una soluzione, per una pratica che si definisce Cruciamentum. La seconda è un potente sedativo molto simile al primo ma in grado di stenderti, nel caso io dovessi decidere di portarti in Inghilterra contro la tua volontà.”
Le nocche di faith divennero bianche, nello stringere spasmodicamente il bordo del ripiano. Gli occhi di Doyle erano enormi. E del tutto sbalorditi, nell’incontrare quelli di Methos.
“Non credevi mica che mi mandassero qui in veste di soprammobile.” – commentò, velenoso, guardandolo dritto in faccia – “Hanno preso le loro precauzioni, come vedi. Se non per un picolo particolare…”
Methos aveva afferrato una delle siringhe e l’aveva alzata.

Faith, istintivamente, fece un passo indietro, sulla difensiva.
Prima di doversi ricredere.
E sentire, inconsciamente e irrazionalmente, un piccolo sollievo nascerle dal cuore.

Senza mezzi termini, methos aveva svuotato la siringa nel lavandino. Il getto trasparente era uscito fulmineo, nella rapidità con cui lo stantuffo era stato premuto. Piccoli schizzi avevano macchiato l’acciaio lucido, presto seguiti da altri di un secondo liquido.
Entrambe le siringhe erano vuote, adesso. E Methos, aperto il rubinetto, le stava nuovamente riempiendo.
Ma con acqua.
“Adesso sapete entrambi che sono inoffensive.” – commentò – “Se mai un giorno ci ritroveremo nei guai e costretti a usarle, faith, mi appello alle tue capacità di recitazione. Voglio che tu spieghi questo fatto anche a Wes.”
“Non puoi dirglielo tu?” – domandò la ragazza, cercando di barricarsi dietro un fiacco tono di sfida.
“Di me non si fida, ma di te si. Crederà a quello che gli dirai. Siamo pratici, faith. Questo gesto è plateale e del tutto privo di reali garanzie, per te. Interpretalo come preferisci. Ma non nasconderlo a Wes.”
Stava tornando ai suoi scatoloni, con flemma.
Senza aspettarsi un intervento da doyle, stranamente taciturno.
E dolorante, si ricordò l’immortale, aprendo un’altra valigia e porgendo al demone un flacone.
“Solo un paio, Francis.” – mormorò – “Sono per la tua schiena…in frigo c’è dell’acqua.”
Methos aveva visto giusto. Doyle non voleva intromettersi in quella schermaglia. Fissava ancora le siringhe asciugate e nuovamente riposte nel loro pregiato astuccio.
Faith lo squadrò, come se gli fossero spuntate le antenne.
Il suo tono, per un attimo, era stato diverso. Più gentile, comprensivo.
Aveva offerto a doyle il piccolo astuccio a metà di una conversazione importane, quasi la sua mente contenesse mille ragionamenti in corsa.. ma tutti perfettamente sotto controllo.
Come poteva fare una cosa del genere? Faith lo fissò, cercando di carpirgli il segreto. Perché lei non riusciva a focalizzare un singolo particolare per tempo? Perché quell’uomo continuava a fuggirle un passo oltre?
“Ho parecchie istruzioni da quella gente.” – commentò l’Osservatore, richiamando la sua attenzione – “e ne parleremo con calma. Come ti ho detto, non sei obbligata a venire qui. Ma, se lo farai, saremo credibili. Io non posso escludere il fatto di essere sorvegliati, per cui dobbiamo adattarci a mantenere almeno le apparenze.
A quanto pare sei più preziosa della Cacciatrice in carica.”
“Buf…” – Faith si voltò a fissarlo – “Cosa ti hanno detto di lei?”
“Di non impicciarmi. Ritengono di non avere problemi su quel fronte. E, se ti può consolare, so per esperienza che finiscono nei guai ogni volta che si convincono di essere in una botte di ferro.” – Methos immerse le mani in mezzo agli imballaggi – “Comunque il loro precetto è valido. Non mischiamo gli affari delle due Cacciatrici. Io non intendo farlo. E tu?”
“Non ci penso nemmeno.” – ribattè, sarcastica, sedendosi su una delle casse e guardandolo dritto in faccia, per la prima volta – “Di un po’, Osservatore, da che parte stai?”
“Come scusa?” – domandò lui, divertito.
“Ho chiesto da che parte stai. La scenetta delle siringhe, il messaggio per Wes, le frecciatine qua e là…” – Faith aveva degli occhi scuri bellissimi, magnetici – “sono americana, non stupida. E non mi faccio mettere i piedi in testa da un altro inglese.”
“Non sono inglese.” – replicò l’uomo, sorridendole del tutto insopportabile – “E quanto alla parte… patteggio solo per me stesso.”
Si era interrotto. E gli occhi gli si erano dilatati. Faith lo fissò, attratta dalla sua espressione. Era come... in ascolto di qualcosa.
Methos sentì una scarica percorrergli la schiena e la classica sensazione attraversarlo. Reminiscenza.
Un immortale si stava avvicinando.
Studiatamente, da dove si trovava, fece alcuni passi verso un divano appena visibile sotto parecchi bagagli.
Si chinò, insinuando la mano tra i cuscini e stringendo l’elsa di una spada.
L’attenzione di faith si spostò da quei gesti che non capiva a Doyle.
Il demone si era stava avvicinando, con atteggiamento guardingo. Tra lui e Methos, sopra la spalliera del divano, era intercorsa una lunga occhiata esplicativa.

E fu in quel mentre che, lungo il corridoio, oltre la porta aperta, risuonarono passi. Passi sopra tacchi tintinnanti.
Le spalle di Methos si rilassarono e un sorriso tornò a mutargli i lineamenti. Sulla soglia, appoggiata sensualmente alla porta spalancata, c’era una splendida creatura.
Elegante oltre ogni immaginazione.
E così bella che sia Faith che Doyle si ritrovarono, ancora una volta a brancolare in un mare di emozioni contrastanti. E, nel caso di doyle, anche in una sostenuta tempesta ormonale.
“Bentornato, straniero.” – mormorò la donna, fasciata in un tubino rosso fuoco, sollevando due flutes e una bottiglia.
Methos le si avvicinò, ridendo. E la baciò, senza mezzi termini.
Prima di voltarsi, le labbra colorate dal rossetto di lei.
“Riprenderemo l’interessante conversazione in un altro momento.” – dichiarò, congedandoli con un’occhiata – “Come vedete, adesso sono occupato.”

Era un arrivederci bello e buono.
Come un automa, del tutto annichilita, faith saltò giù dallo scatolone e si avviò verso la porta, attraversando una nube di costosissimo e inebriante profumo in cui Methos si stava pascendo con aria deliziata.
Anche Doyle si era avviato alla porta. Più pronto di faith, ma non di molto, aveva riacquistato il suo classico sorriso complice e la prontezza per scambiare un’occhiata con il padrone di casa. Trovandolo,in effetti, decisamente distratto dalle indiscutibili grazie del suo comitato di benvenuto.
Il quale, constatò il demone, ha delle gambe talmente lunghe e belle…

La porta si richiuse alle sue spalle con rumore sospetto.
E Doyle si fermò un attimo, reprimendo una risata.
Faith era già in fondo alle scale, con i segni dell’impazienza dipinti sul volto.
Era irritata.
Ma sotto quelle prime emozioni facili da identificare, già si agitava ben altro.
Methos aveva colpito nel segno. In tutto e per tutto. E la bella donna che aveva fatto il suo inaspettato ingresso, aveva completato una memorabile performance di teatralità e gioco d’azzardo.

L’aveva confusa, spiazzata e offesa.
Aveva fatto tutto ciò che Faith non si aspettava.

Ed è solo l’inizio, bimba, pensò Doyle, guardandola scendere i gradini e avviarsi speditamente verso casa.
Camminandole tranquillo alle spalle, godendosi le prime luci del nuovo giorno.

Quell’uomo non smetterà mai sorprenderti…perché vedi… lui è come la vita.
Nel bene e nel male, fa sempre battere il cuore.
E, consolato dal pensiero dei tempi imprevedibili che erano finalmente giunti, doyle si accese una sigaretta celebrativa. E salutò il primo raggio di sole con una risata.

Trecento metri più indietro, in mezzo a scatoloni e vecchi ricordi, due bicchieri tintinnarono, complici.

“Ti dirò, Benedetta…” – sospirò lui, sfilandole pigramente un’ autoreggente – “Tutto sommato, questo posto inizia a piacermi..

…mi sento quasi a casa.”