Supposizioni
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Come poteva fare di colpo così caldo?
Come poteva la città, tutto d’un tratto, divenire così rovente e poi, sempre senza preavviso, tornare al vento freddo?
Ma non è la California questa?
Non c’è il sole sempre e comunque?
Cordelia si asciugò, seccata, la fronte. Dopo un pomeriggio passato a crogiolarsi sotto un sole inaspettato non poteva capacitarsi di aver corso su quelle strade lucide di pioggia.
Così… in sandali, minigonna… così, con i capelli appena aggiustati, dannazione!
Quanti climi aveva attraversato?
Aveva smesso di contarli.. ma i capelli… cavolocavolocavolo…
Percorse correndo l’ultimo tratto di marciapiede. La giacca con cui si proteggeva la testa era ormai zuppa e grondava implacabile acqua nella scollatura della camicetta. Lungo il collo, fredda e sempre inaspettata.
I suoi tacchi sottili ticchettarono furibondi sulle piastrelle del cortile e su dai pochi gradini. Davanti a lei la porta si era spalancata e Cordelia entrò, senza rallentare la sua corsa.
“Santo cielo…” – commentò Doyle, richiudendo il battente alle sue spalle e fissando la ragazza – “Ma tu guarda come sei ridotta…”
“Avevo proprio bisogno che me lo facessi notare.” – ribattè lei, furibonda, scotendo la giacca, ormai ridotta a uno straccio irrecuperabile. Scosse la testa, irritata e, finalmente, Doyle notò il particolare.
“Hai qualcosa di diverso…” – constatò, vago, girandole attorno.
“Impegnati, oh uomo.”
“Dai, Principessa, dammi ancora un attimo! Dunque… hai qualcosa di diverso… hai…”
“Se dici un vestito nuovo, giuro che dormirai sul divano per i prossimi vent’anni!” – ribattè, prontissima, con gli occhi fiammeggianti.
Doyle la squadrò ancora una volta, osservando i vestiti ormai semitrasparenti, gli occhi dal trucco sbavato e le ciocche che le si incollavano al viso.
Le ciocche…
Nere…
Nere?
Lisce?
Oddio…
“Principessa…che hai fatto?”
la domanda era uscita prima ancora del complimento. Avrebbe potuto dire ‘diamine! Come stai bene!’ e invece…
Invece…
E invece non aveva ancora terminato di dirlo che già arrancava in cerca di un rimedio.
Risposta sbagliata.
Orrendamente sbagliata.
Neanche l’amore può, contro un taglio di capelli…
Devo ricordarmelo, la prossima volta…
“Dai, Principessa, lo sai che per me sei splendida…” – incalzò, correndole dietro mentre, con passo da divinità offesa, attraversava la hall – “Non è una questione di capelli, è che sei la mia luce, sei…”
“Ma finiscila!” – Cordelia girò su se stessa e gli puntò un dito in mezzo agli occhi – “Sei uno spasimante da quattro soldi. Cuore fa rima con amore sarà la tua prossima frase!”
“In effetti…” – concordò lui, dopo una breve e silenziosa riflessione. Prima di tornare a seguirla, schivando le pozzanghere che lasciava – “Però devi ammettere che sono sincero… e romantico… e sempre fedele…”
“Bla, bla, bla…” – Cordelia era sparita dentro un asciugamano – “Tu parli troppo, Doyle. Veramente troppo…”
I capelli le piovevano dritti e umidi ai lati del viso. Ma quel colore, a cui lentamente iniziava ad abituarsi, le donava parecchio, facendo risaltare l’incarnato e gli occhi.
Si era avvicinata, senza proseguire la predica. Era rimasta in silenzio, a fissarlo, mentre si incantava nei particolari.
Doyle non aveva bisogno di parole. E non lo sapeva. Gli bastava quello sguardo con cui si fermava a contemplarla per dire tutto.
Di tanto in tanto Cordelia sentiva un sano nervoso davanti a certe frasi, a certe scelte di vita del suo demone.. ma bastava quello sguardo, quegli occhi calmi e la bocca appena dischiusa in una frase scordata per sentirsi il centro di un mondo unico.
“Doyle…” – sussurrò. Prima di ricordarsi i capelli bagnati e tutto il resto. E assestargli uno spintone- “Oh! Sei impossibile!”
“E adesso che ho fatto?” – domandò lui, cingendole la vita, con un sorrisetto divertito. Adorava le contraddizioni di Cordelia, così semplici e spontanee, il suo non ricordarsi sempre di dover essere una donna sofisticata – “Tu ti approfitti del fatto che io sia un povero demone ormai incatenato al tuo fascino… schiavo ai tuoi piedi… come…”
“Wes!”
“No, Cordy… “ – la corresse, guardandola stranito – “Non come…”
“ma si, Wes!” – insistette Cordelia, svincolandosi dall’abbraccio e correndo verso l’uomo alto e bruno che varcava la soglia.
“Cordelia, ciao.” – esclamò l’uomo, lasciando il borsone e stringendola. La ragazza aveva qualcosa di diverso, si sorprese a constatare, senza capire cosa fosse…
ringraziando il cielo, Cordelia gli venne involontariamente in aiuto.
“Sei tornato. Come sono contenta di vederti.” – disse, tutto d’un fiato, afferrandosi i capelli ai lati del viso – “Allora, ti piacciono?”
wes la squadrò, fissando le ciocche bagnate e troppo diritte. E decise di mentire.
“Bellissimi. “ – commentò, precipitosamente – “Ti trovo bene… e gli altri?”
“E spike? Dove lo hai lasciato? Arriva con l’aereo della notte, perchè non avete viaggiato insieme?” – continuò Cordelia, ignorando la domanda. E aggrottando la fronte davanti all’espressione dell’Osservatore.
E capendo al volo che qualcosa non andava.

“E così mi ha detto che restava in Inghilterra. E la mattina dopo era sparito.”

Wes aveva concluso con questa frase il suo racconto.
Ha aspettato di sapere Faith al sicuro, si domandò Doyle, oppure ha deciso all’improvviso?
Doyle schiacciò, pensieroso, la sigaretta consumata nel posacenere. Fissando la città e tornando a posare il mento sulle mani intrecciate.
Si era scelto un posto tranquillo per riflettere, sul grande terrazzo dell’Hyperion. Si era seduto, incrociando le gambe e posandosi meticolosamente a fianco sigarette, posacenere, bicchiere. E fregandosene del fatto che il cemento fosse ancora umido, e lucido di pioggia.

Wes ha l’espressione sconcertata, di chi si ritrova a confessare un peccato non suo, eppur si sente colpevole, aggiunse alle sue considerazioni.

E aveva cercato di riordinare i suoi pensieri.
Con scarso successo, in effetti.

Spike se ne era andato.
Aveva voltato le spalle a tutti loro ed era svanito.

Spike non era tornato.
Era un adulto, poteva comportarsi come preferiva… eppure Doyle non si sentiva del tutto rassicurato da questo fatto.
Spike da solo, a Londra. Per sua stessa scelta.
Ma lontano da chi? Da Dru oppure da…
Lo sguardo di Doyle si spostò, con lentezza, lungo la via. E, soprattutto, lungo la sequenza dei ricordi.
Faith…
Faith, seduta in fondo al tavolo. Composta.
E impassibile.
Non era trapelato nulla dalla sua espressione.
Vado a fare due passi, aveva commentato, asciutta, alzandosi.

E, dopo quella frase, si erano dispersi.
Non c’era nulla da aggiungere, al reale.
Si poteva solo prendere atto della scelta di Spike.
“Possiamo ripeterci all’infinito che non abbiamo diritto di giudizio sulla sua vita.” – momrorò, a sé stesso – “Ma porco Giuda, che desiderio di ucciderlo…”
“Stai parlando da solo, Doyle.”
“Eccome, Angel.” – replicò, sfilando una nuova sigaretta dal pacchetto – “Un’altra mia pessima abitudine nascosta….”
Il vampiro avanzò silenziosamente, fino ad affiancarlo.
“non sapevo nemmeno venissi qui a riflettere.” – aggiunse. Il profumo della giacca di pelle si mischiò con l’esile aroma del liquore contenuto nel bicchiere, divenendo un tutt’uno con la città e le sue essenze.
E Doyle inspirò, tranquillo, godendosi quel nuovo segnale di vicinanza.
“In effetti non mi piace per niente. Soffro di vertigini e trovo assolutamente inutile mettere a rischio il proprio collo per quattro ragionamenti.”
“E allora cosa fai qui seduto?”
“Cerco di entrare nella testa di un vampiro.” – ribattè. Osservando il sorriso sbieco di Angel affiorare – “Tu adori sederti qui a riflettere. E Spike altrettanto. E allora mi son detto, perché no, proviamo. Chissà che non mi venga una buona risposta.”
Aveva quasi borbottato quel commento, sentendosi sinceramente di cattivo umore e la risata sottile di Angel lo colse del tutto impreparato.
“Bhe, Doyle. Direi che facevi prima a chiedermi.” – rispose il vampiro, abbassando gli occhi sulla via. E nascondendo il loro buio nelle luci della strada – “ti saresti risparmiato l’altitudine…”
“Spiritoso… comunque rimane il fatto che non capisco. Questa volta non lo capisco proprio.”
“Tu che non capisci Spike. Questo si che è strano, veramente. Molto più della sua fuga…”
Doyle ruotò la testa, in modo studiato, e fissò il profilo dell’eroe. La linea allungata delle sopracciglia, lo sguardo verso la vita sotto di loro… i tratti del viso assorti.
“Me prego, uomo.” – commentò, grondando sarcasmo – “dammi anche una botta in testa, visto che ci sei…”
pazzesco.
Non ho mai visto nessuno fuori posto come noi adesso.
Angel conforta me.
Io tormento Angel.
Se questo non è un serrare i ranghi…
“Va bene. Finiamola.” – sospirò, scendendo dal cornicione e appoggiandosi saldamente a uno dei lucernai – “Torniamo nei nostri ruoli. Come l’hai presa?”
angel sorrise, senza un commento, girandosi e intrecciando le braccia, in una delle sue pose più tipiche.
“Ne prendo atto.” – rispose, pacatamente – “Spike è vissuto qui quasi due anni. prima o poi se ne sarebbe andato, lo sai bene.”
“Perché adesso.”
“perché se avesse deciso di tornare, ora, l’avrebbe fatto per sempre. C’è un motivo in più qui, per lui, adesso.”
“Andiamo Angel! Spike non sta lontano da una cosa che vuole, mai. Arriva e se la prende! Lo hai sempre detto…”
“Lui non la vuole, Doyle, lui la ama. C’è una bella differenza. Può essere confuso, perché no, magari spaventato. Ma ciò non toglie che starle vicino lo uccide.”
“Non ha motivo per starle lontano…” – borbottò, seccato.
“Faith è una Cacciatrice, Doyle. Significa morte, pericolo… la cacciatrice è il tempo che passa, per Spike.” – fece una pausa, guardandosi la punta delle scarpe, prima di riprendere – “Spike non ha mai tollerato il perdersi nella sua immortalità. Ha scandito il tempo a suon di emozioni e ha usato le Cacciatrici per ricordarsi chi era, giorno dopo giorno. Loro passavano… e lui restava.
Ma questa volta è diverso…”
Poco tempo.
Tutto qui il problema.
“E prima di avere poco tempo con lei, preferisce non averne affatto?” – Doyle scosse la testa – “Si vede che su questo argomento la pensiamo proprio in modo differente…”
“Io credo che William ne sappia più di tutti noi di amori perduti.” – sospirò Angel – “Non ho mai conosciuto nessuno con una passione del genere… penso di poterlo capire…”
“Certo. Anche tu sei famoso per le tue ritirate strategiche.”
L’aveva detto senza polemica, tranquillamente. Nuova frase e nuova sigaretta.
E dito sulla tempia.
“E se ci sbagliassimo?” – azzardò, fissando il vampiro – “Se non fosse questo il motivo?”
“E’ possibile.” – ammise Angel – “Ma si tratterebbe comunque di una donna. E prima di pensare che si tratti di Dru… io mi auguro che sia Faith il problema.”

II
“benissimo…” – ricapitolò Doyle, scendendo le scale e finendo la rampa scivolando sul corrimano – “Preso atto del principio di non-intervento sul fronte Spike, cosa facciamo di lei? O di tutti noi?”
“Quello che facciamo di solito. Andiamo avanti. E ci prepariamo ad accogliere il Nuovo Osservatore.”
Angel si fermò, studiatamente, al centro della hall.
“Hai qualcosa da dirmi, a riguardo?”
“perché tu e Cordelia siete così in malafede nei miei confronti?” – si lamentò il demone, afferrando giacca e cappello – “Stesse domande e stesso sospetto. Mi ferite…”
“Se vuoi lo chiedo a Cordelia.” - replicò l’uomo, infilandosi la giacca.
Doyle lo fissò, piantandosi le mani sui fianchi. E stando al gioco, innanzi a tutta quell’insensibilità ostentata.
Angel aveva quel che si suol definire ‘un gatto vivo nello stomaco’. Probabilmente due, conoscendolo.
Da un lato il suo pupillo fuggiasco.. e dall’altro la sua Cacciatrice, corredata di mal d’amore e Osservatore nuovo.
Forse i gatti erano tre…
Tanto valeva assestare un colpo al suo io.
“E’ il mio patrigno.” – ribattè, come se niente fosse – “Non dirlo a Faith, per piacere.”
Per Bacco…
Ad Angel è caduto il paletto di mano…
“Puoi ripetere, per piacere?” – rispose, fissandolo stranito.
“Pensavi sul serio che ci mettessimo uno sconosciuto in casa?” – ribattè Doyle, prendendosi il deliberato gusto di tormentarlo. E scuoterlo dai suoi pensieri – “Mi sembra che ci manchi solo una spia del Consiglio…”
“E’… irlandese?” – azzardò Angel, del tutto impreparato alla rivelazione.
“Assolutamente no.” – ma come si stava divertendo… - “Nemmeno inglese, se è per questo. Sa bene a che giochi giochiamo, ci darà modo di stare tranquilli.”
Angel lo guardava in modo stranissimo. Il patrigno d Doyle era un Osservatore. Era l’Osservatore scelto per controllare Faith.
Da perplesso, divenne sospettoso.
Quanto potere aveva il suo trasandato amico?
Non era certo che le parentele fossero parte del corredo di un Cantastorie…
“Sei nato per sorprendermi?” – chiese.
“sorprenderti, guidarti e tenerti allegro.” – rispose. Prima di tornare serio. E avvicinarsi – “Non scherzavo, prima. Non dirlo a Faith. Voglio che decida da sola. Non è casuale questa scelta, lo sai benissimo. Diciamo che ho mischiato un po’ il caso e il destino a nostro vantaggio. È liberissima di non andarci d’accordo…”
“Tanto prima o poi dovrà farlo comunque?” – rispose, automaticamente, Angel.
“pressappoco.” – doyle afferrò il cappello e se lo calcò in testa – “Quanto a Wes, gli spiegherò con calma il tutto quando torniamo.”
“Qualunque cosa sia, puoi spiegarmelo strada facendo.” – replicò Wes, sbucando da uno dei corridoi – “E comunque sì, stavo origliando…”

Si sarebbe potuta definire una notte tranquilla e limpida, dopo l’improvviso acquazzone. Si sarebbero potute guardare anche le stelle, non fosse stato per i demoni, i vampiri e il rituale satanico dall’altra parte della città.
“Corri, sgozza, ammazza, esorcizza.” – brontolò Doyle, cercando di ridare una forma al suo cappello.. scotendolo dal liquame rossastro che lo impregnava – “ E poi corri, sgozza, ammazza, esorcizza. Ma la classica birretta con gli amici?”
“Dopo aver corso, ammazzato ed esorcizzato.” – ribattè Wes, chiudendo accuratamente il libro che si portava appresso. E sfilando dalla copertina la stelletta ninja che non gli si era piantata in mezzo agli occhi.
“Hai dimenticato lo sgozzare…” – ribattè Angel, scrollandosi di dosso una ragazzina impaurita dalle vistose branchie blu – “Fatto. Torna a casa, Fidelle…”
“Oh, grazie, signor Angel. Porterò i vostri saluti alla mamma. Ciao Doyle…” – ribattè compita la bambina, con un tono perfettamente in linea con la sua faccetta rotonda e le treccine… prima di trasformarsi e sparire rapidissima, strisciando.
“Andiamo?” – domandò Doyle, senza smettere di fissare, vagamente inorridito il rettile bluastro che attraversava la strada – “Odio incontrare i parenti quando lavoro…”
Angel non rispose. Guardava desolato l’ammasso fumante che una volta era stata la sua macchina.

“A questo punto cerchiamo la fermata dell’autobus più vicina… o chiamiamo Cordelia…”

Cordelia era nella vasca da bagno. Il suo vociare seccato e sognante allo stesso tempo sapeva di bagnoschiuma alle fragole e crema per il viso.
La musica di sottofondo e il tintinnio dei bicchieri lasciò intendere come lei e Faith avessero preso in mano la situazione.
Pettegolezzi e lamentele riguardo al mondo maschile e ai suoi misteri.
“I ragazzi sono a piedi.” – spiegò Cordelia, sporcando il ricevitore di schiuma e allungando una gamba fuori dalla vasca – “Vai a prenderli?”
“passameli.” - replicò Faith, posando la boccetta dello smalto e porgendole un bicchiere di spremuta in cambio del telefono – “Wes? Oh, ciao Doyle. A meno che non siate in pericolo di vita, o inseguiti da un’orda infernale… ah, potete cavarvela? Ottimo, splendido. Ciao a dopo…”
“Si arrangiano?” – domandò Cordy, posandole su un ginocchio il piede umido e con le unghie solo in parte laccate.
“A quanto pare..” – commentò Faith, tornando alla sua opera – “Non sono proprio dell’umore…. Stavamo dicendo?”
“Ah, si, ti stavo raccontando di come quel Carlton mi mollò dopo... “

“Quindi il mio antagonista non è poi così antagonista.” – commentò Wes, appoggiando al palo della fermata.
Una fermata che avevano impiegato circa un’ora a trovare.
Un’ora che Doyle aveva abilmente usato per riversare una tonnellata di parole su Westley Whydam Price. Il quale iniziava ad essere parecchio stanco di uomini logorroici, vampiri e cacciatrici.
Presenti esclusi, ovviamente…
Non troppo esclusi, pensandoci bene…
“Adam Pierson, tuo patrigno.”
“Legalmente lo sarebbe potuto diventare. Era nelle disposizioni di mia madre.” – spiegò il demone, giocando con un mazzo di carte che sembrava apparire dal nulla nei momenti più inaspettati – “ma quando lei è morta io avevo già sedici anni. Ero abbastanza grande per arrangiarmi e non avere problemi. Così abbiamo mantenuto i contatti ma non ci siamo imposti una convivenza. Sarebbe stata deleteria… ognuno per la sua strada…”
“E perché proprio ora, per faith?”
“Meglio di un estraneo.” – rispose Doyle – “E, soprattutto, inevitabile.”
“Sarebbe stato lui in ogni caso?” – domandò, con tatto, l’inglese.
Non c’era un’altra forma?
Doveva necessariamente prendersi il mio posto per incrociare la strada di Faithy?
Wes prese un lungo respiro e si voltò a fissare il demone. Non stupendosi affatto nell’incontrare il suo sguardo.
“Adam non ha nessuna propensione al metafisico, Wes.” – spiegò Doyle – “Non ha interesse per l’inevitabilità dell’incontro con la Cacciatrice. Se viene in America, se accetta questo posto… lo fa solo per farmi un favore. Non sente obblighi verso nessuno. Tantomeno per il Consiglio.”
“Confortante.” – commentò Angel. Era rimasto in disparte tutto il tempo, riflettendo. Un passo indietro, fino a quando avevano camminato. Ed ora a un paio di metri, seduto sullo schienale della panchina, seguitava ad ascoltare. E a pensare.
Era troppo.
Decisamente.
Un nuovo Osservatore e un vampiro di meno.
La bilancia non gli sembrava poi così in equilibrio.
Non gli piaceva l’idea del rimpiazzo.
Come probabilmente non piaceva a Faith.
Bisognava prenderne atto… ancora una volta, lui e la ragazza avevano un motivo di rabbia in più.
Forse Doyle non avrebbe dovuto dirgli dei suoi rapporti con questo Adam. Forse avrebbe dovuto dargli la possibilità di trovarlo antipatico e non poterlo sopportare. La stessa che offriva a Faith.
Si impose di restare calmo, di non farsi prendere dai pregiudizi.
È tutta colpa di Spike, si disse. Pentendosi all’istante... e dandosi da solo del mulo irlandese.

“Angel…”
“Wes…”
“Stai sospirando…”

“Io non respiro.” – commentò il vampiro, guardandolo. Come se questo spiegasse tutto.
“Non ho detto che respiri.” – l’uomo si voltò, senza abbandonare il palo, mentre la testa di Doyle sbucava da dietro di lui – “Ho detto che sospiri. E te ne stai nelle retrovie in silenzio. Sei certo di non volerne parlare?”
“Di cosa?”
“Di quello che vuoi. Direi che abbiamo parecchio di cui discutere.”
“A dire il vero, non mi sembra.” – Angel si fissò le mani – “Spike è libero di fare quello che vuole.”
“Hai perfettamente ragione.” – annuì l’Osservatore – “Se non fosse che stavamo parlando di Adam Pierson…”
Angel non rispose. L’aveva colto in fallo. Su questo non c’erano dubbi.
Le sue riflessioni, per quanti fossero i tentativi di disciplinarle, continuavano a seguire l’inconscio. E si portavano appresso, a quanto sembrava, anche la sua attenzione.
“Su questo argomento ho ancora meno dar dire.” – commentò, lapidario – “Ritengo di potermi fidare di Doyle a riguardo. E, in ogni caso, i fatti non cambiano. Non vivrà all’Hyperion e avrà il controllo di Faith solo se riuscirà a imporsi.”
Le parole di Angel avevano fatto sembrare tutto sotto controllo. E avevano concluso bruscamente la lunga conversazione.
Nessuno dei tre aveva sentito realmente il bisogno di aggiungere altro all’argomento. Perché Angel, a modo suo, aveva sostanzialmente ragione. Anche se, con una certa brutalità, negava quella corrente di emozioni di fondo che aveva percorso quella vicenda quasi burocratica del Consiglio e delle sue decisioni.
Wes, dal canto suo, nutriva una preoccupazione di fondo che non poteva ignorare. Il suo rapporto con Faith, per quanto contrastato e a volte pieno di silenzi, era intimo. E sentito.
Wes aveva paura di questa consapevolezza. La identificava con il loro rapporto di Osservatore e Cacciatrice. Non come il trovarsi di due persone. E temeva.

Temeva.

Seduti in autobus, sulla via di casa, occupando i sedili di fondo, i tre si rivolsero ben poche volte la parola.
Era una notte strana.
Innegabilmente. Ognuno di loro aveva qualcosa a cui pensare e una profonda gelosia per i proprio ragionamenti.
Una forma di solitudine, alla fin fine.
Doyle piegò il ginocchio, puntando il piede sul sedile. E rilasciò i muscoli delle spalle. Angel, un paio di posti più in là, aveva fatto lo stesso, attirando l’attenzione di un gruppetto di ragazze.
Con gli occhi chiusi, i capelli tirati indietro e le labbra leggermente dischiuse, si avvicinava molto ad una foto d’autore.
Era decisamente bello. E del tutto inconsapevole, anche se in lui permeava ancora qualcosa di quello che doveva essere stato lo studio edonista di Angelus.
Nulla era forzato, in lui. Ma il suo corpo tendeva a rilassarsi e disporsi secondo linee sinuose e pose che lo valorizzavano.
Qualcosa che Spike coltivava ancora. Il senso del colpo di scena, della posa a effetto. Come un predatore che caccia senza muovere un muscolo. Perché la vittima ha più sapore se ama il suo assassino…
Ecco. Stava per succedere. Una delle ragazze si era alzata e camminava verso di lui, ancheggiando.
A cavalcioni del sedile davanti, cercando di essere il più procace possibile, si era sporta verso di lui.
Verso Angel che, aprendo con lentezza gli occhi, la stava squadrando.
Uno sguardo liquido. Ma del tutto freddo.
La ragazza, qualunque cosa stesse dicendo, si interruppe. Il suo sorriso si sgretolò lentamente e lei si tirò indietro, retrocedendo.
Un passo, un altro ancora, prima di fuggire, con un’ombra di seccata sconfitta sui lineamenti. Doyle la guardò battere la ritirata. Poi tornò a guardare il suo eroe, impegnato a girare la testa verso di lui, con un movimento lento. E quasi languido.
“Ma che ci fai alle donne, uomo?” – sussurrò, cercando di sdrammatizzare.
E ottenendo, in cambio, un sorriso bieco e rassegnato.

Quella ragazza…
Aveva un profumo tropicale e intenso. Era bastato il minimo desiderio di movimento per farlo giungere ai suoi sensi.
Era bella, di una bellezza stereotipata e sicura.
Era l’opposto del suo tipo, in effetti. Eppure, allo stesso tempo, aveva sentito di desiderarla. Aveva desiderato quel profumo e quel calore giù, per la gola, dentro le vene.
Aveva desiderato berla. Sentirla afflosciarsi contro di lui, sorso dopo sorso.
E, nel sentirla vicina, nel guardarla finalmente, nello smettere di immaginarla… aveva cercato di trasmetterle quel desiderio.
Con violenza.
Con crudeltà.
Reprimendo tutto l’amore che implicava una passione del genere.
Amore. E sangue.
Non si possono mischiare due cose che coincidono.
E la ragazza, da umana e mortale quale era… aveva capito, con quell’istinto che è sopito in ognuno di noi. Aveva saputo scindere…
Scindere, come i vampiri non erano più in grado di fare.
Angel lo sapeva questo. Il sangue, l’amore, il possesso… la coincidenza delle parti… se c’era un motivo per cui Spike non era tornato…
Già.
Spike.
Prima o poi si doveva tornare a battere quella via.
Spike e il suo non-ritorno.
Spike e le sue donne.
Di colpo quella bionda insignificante che lo guardava con rancore assunse un altro significato. Angel si mosse, massaggiandosi la fronte con due dita.
Possibile si trattasse di un problema di istinto? Dopotutto, apparentemente, Spike sembrava avere un maggior controllo del suo rimorso e del suo demone.
Apparentemente.
Ecco la parola chiave.
Possibile che da due anni Spike combattesse…
Ma no, certo.
Allora cosa?
Cosa aveva fatto scatenare in Spike una crisi del genere?

Era decisamente troppo per una mente sola.
Angel si alzò e andò a sedersi vicino a Doyle.
“Ascoltami bene un secondo.” – spiegò rapidamente, sedendosi e facendolo sobbalzare – “Supponiamo che Spike abbia un problema nel desiderare Faith. La vuole troppo e sa che potrebbe non resistere. Perché non gli è successo prima?”
“Ehi, frena un secondo.” – esclamò il demone, mentre Wes, alzandosi, si appoggiava con le braccia sopra la sua testa – “Ho capito, stiamo parlando di Spike come al solito, ma non ti seguo… ricomincia da capo…”
“Io…” – Angel muoveva le mani, cercando di stare dietro al ragionamento e parlando come un mulinello– “Quella ragazza. Ho cercato di farle capire che l’amavo e la volevo per il suo sangue, ma lei ha recepito il pericolo. Faith invece, come Cacciatrice, ha sentito anche l’amore. Non si sarebbe rifiutata e Spike ha capito che non può trattenersi, anima o no, per cui sta lontano. Perché non gli è successo prima?”
“Mi stai dicendo che hai desiderato mordere quella ragazza?” – domandò Wes, indicandola e beccandosi un’occhiata inviperita.
“Lascia perdere, intanto non l’ha fatto.” – Doyle si girò verso entrambi, movendo rapidamente gli occhi da uno all’altro – “Fammi capire. Secondo te, qualcosa impedisce a Spike di controllarsi nei confronti di Faith? Ma non ti sembra un po’ vago come concetto?”
“la desidera come un vampiro, Doyle. Spike è un vampiro, anche se crede che le sue emozioni siano umane in tutto e per tutto. Tutti subiamo il nostro demone, lui resta in noi, per quanto lo domiamo… il tempo che abbiamo passato, guidati solo da lui e dall’istinto ci lascia nozioni, istinti ed emozioni. Qualcosa ha scatenato questa parte, in Spike. E lui lo sa. Sa che, se torna adesso, ci sarà tutto questo tra lui e Faith.
Il sangue e l’amore.”
La renderebbe una di noi...
Senza poter resistere.
“Io l’avrei fatto. Io avrei vampirizzato Buffy, non me ne fossi andato. Non era solo una questione di sicurezza per Buffy ma di difesa, di sopravvivenza per me.” – ammise. Lasciandoli in silenzio. Quasi di stucco.
“Va bene.” – commentò Doyle, rompendo quel gelo, con prontezza – “Supponiamo tu abbia ragione. Possiamo fare qualcosa?”
“No. A Spike ci vuole tempo. Saprà lui quando tornare.” – Angel scosse la testa – “La domanda è un’altra. Che cosa l’ha scatenato?”

Ci volle un attimo per capire.
A entrambi.
Poi fu la volta di Wes, prendere la parola.
“Faith? – azzardò – “Non può essere stata lei?”
“No. Vive con lei da troppo tempo. Anche se solo ora inizia ad ammettere con se stesso il loro legame.” – con che diritto violavano così i suoi sentimenti… - “Qualcos’altro. Deve esserci stato qualcosa. Io.. e Buffy… nel nostro caso è stato il suo sangue, prima dell’Ascensione. Io l’ho assaggiato. E ho compreso.
Ma William… e Faith?”
“Facciamo un passo indietro.” – Wes cercò di prender in mano la situazione. Si appellò a tutto ciò che Spike aveva detto, trovando in effetti ben poco di quello che Angel stava ipotizzando – “abbiamo detto che tra Spike e Faith c’è più che attrazione. E che Spike si rifiuta di accettarlo. Questo è un problema suo e non possiamo farci nulla. Ma c’è qualcosa che ha risvegliato in lui questi, diciamo, istinti?”
“Qualcosa... o qualcuno.”
L’aveva detto. Abbassando gli occhi e sentendosi di colpo un imbecille.
Tanto rumore per nulla.
Ecco cosa stava facendo.
Tanto.
Rumore.
Per nulla!

“Lasciamo perdere.” – commentò, tornando ad appoggiarsi allo schienale – “Probabilmente mi sto solo impicciando di affari non miei.”
“dalle mie parti il tuo impicciarsi si chiama istinto.” – replicò Doyle, buttando un’occhiata a Wes – “Se ti ostini su una cosa del genere è possibile che sia veramente importante.”
“Non ti fidi troppo?” – domandò, veemente Angel, fissandolo dritto in faccia – “Ti ho appena detto che è un problema di istinto, di desiderare la coincidenza tra morte e amore. E tu ti fidi ancora di una mia intuizione?”
“Angel, possibile che con te si approdi sempre a discussioni di questo tipo?” – ribattè Doyle, senza riuscire a celare un sorriso – “So quali sono i tuoi limiti. E so cosa significhi avere un demone da domare. Ma questo non toglie che tu abbia un grande intuito per il pericolo e per il male. Tu li conosci e conosci la tua natura. Te l’ho già detto una volta, stasera… io non posso entrare nella mente di un vampiro. Posso capire, ipotizzare.. ma ci sono cose a cui non posso arrivare. E se tu dici che esiste una realtà del genere, un possibile movente, una causa pericolosa.. io ti credo. E mi fido.”
“Demone o non demone.” – aggiunse Wes, appoggiando il mento alle braccia e fissando il vampiro – “Io sono d’accordo con doyle. E aggiungo che non ti stai limitando a Spike e ai suoi possibili ‘ormoni impazziti’. Ti stai riferendo a qualcosa che potrebbe essere ben più pericoloso. E, correggimi se sbaglio… sei convinto che questo qualcosa l’abbia portato Drusilla.”

III
Per un attimo lo fissarono come se fosse sbarcato da Marte.
Poi, fu evidente che aveva centrato in pieno il bersaglio.
“Non sbaglio, vero?” – domandò, sottovoce.
“Eh no, non sbagli.” – confermò Doyle, lasciandosi andare contro il finestrino, sorpreso. E pensieroso.
“Tu ed io, angel.” – aggiunse l’Osservatore – “Ne abbiamo parlato, ricordi? E tu hai detto che spike ci avrebbe nascosto una cosa importante solo se avesse riguardato strettamente lui. Avevi ragione. Ha decretato che fosse solo un problema suo…”
ma Drusilla non lo è mai.
Dru non è mai problema solo di Spike.
Mi ha detto che ne avrebbe parlato con Angelus… ed io non ho compreso…
Dannazione.
“Ecco.” – sospirò Doyle, afflitto – “E’ tutta colpa di spike.”
“Lo sapevo…” – aggiunse, rassegnato Angel.
E Wes, fissando quei due affranti, non potè che nascondere un sorriso divertito tra le braccia.

“E adesso?” – domandò poco più tardi, scendendo dal mezzo e infilandosi le mani in tasca.
Erano a pochi isolati da casa, e sentivano il desiderio di camminare. Ancora.
Il cielo, rimasto sgombro e terso per ore, stava tornando a rannuvolarsi. E minacciava di nuovo di pioggia la Città degli Angeli.
Ma l’idea di prendersi un diluvio sulla testa non li turbava quanto il pensiero che Spike avesse fatto uno sbaglio. E fosse sparito, con informazioni che potevano tornare utili.
Oppure, più semplicemente ancora, si erano lasciati travolgere da una preoccupazione affettiva nei confronti del loro irriverente vampiro ossigenato.
“Adesso lasciamo le cose come stanno.” – commentò Doyle, riparando con le mani l’accendino e la sigaretta – “E ci preoccupiamo di tutto ciò che abbiamo sotto mano: faith, Met… Adam & company. Tutti d’accordo?”

Lo erano.
Oppure non lo erano affatto. Ma annuirono comunque.

“penso di andare a fare ancora quattro passi.” – aggiunse angel, quando si ritrovarono a poco più di un isolato di distanza.
“Ancora non sei stanco?”
“Mi hai insegnato tu a riflettere camminando, Doyle.”
“Certo. Ma tu pensavi seduto in poltrona. Come facevo a sapere che avevi l’animo del podista?”
Le ultime parole lo raggiunsero mentre svoltava l’angolo. Si era incamminato, senza perdersi in altri commiati. E l’aveva fatto con la fredda consapevolezza di mentire.
Non dovette andare troppo lontano.
Adesso non ne percepiva più solo la presenza, ma addirittura il profumo. E la voce sottile, canticchiante.
Un vecchio parco, con la recinzione quasi a pezzi. E alcune altalene arrugginite, che dondolavano al ritmo del temporale.
Su una di loro, cigolante per quanto il peso fosse leggero, sedeva una figuretta dai lunghi capelli bruni.
Mani bianche e sottili che tormentavano la catena, senza interrompere il canto. “La tua bambola stenta ad addormentarsi, Dru?” – domandò, arrivandole alle spalle e fermandosi.
Aspettando di sentire la risatina, sapendo benissimo che non si sarebbe voltata. Non l’aveva colta di sorpresa. Lo stava aspettando.
Da chissà quanto.
E per molto tempo, lui si era rifiutato di accettare quel richiamo.

“Le bambole non dormono, amore mio… sognano i sogni degli altri. Per questo hanno occhi spalancati e rigidi.” – spiegò paziente, senza smettere di dondolarsi, con la punta dei piedi.
“Sei più matta di quello che ricordavo.” – commentò lui, aggirando gli ostacoli, fino ad esserle di fronte. Cercando di essere spavaldo, ma correndo con lo sguardo allo sguardo, a caccia di una prova per la verità di Doyle.
E lei gli sorrise, divertita.
Dimenticando la bambola, lasciandola scivolare a terra, carezzando le catene con entrambe le mani.
Offrendosi, tentatrice, mimando i movimenti della ragazza sull’autobus.
“Lui te l’ha detto. I suoi occhi trasparenti non hanno saputo tacere.” Lo canzonò – “Povero amore mio, un altro peso sulle tue spalle. Il mio peso su di te… povero, povero amore mio…”
“Perché sei qui.” – ribattè, ignorando i brividi che gli dava quel pensiero.
“Sono qui per te… sei la mia famiglia.” – replicò, spalancando gli occhi – “Tu, il mio angelo biondo, la mia cacciatrice… vi voglio tutti per me…”
“Mia cara…” – sorrise il vampiro, lasciando emergere Angelus dalle profondità – “Eri meno ambiziosa, quando volevi solo le stelle…”
Drusilla gettò la testa indietro e rise, dondolando appena sull’altalena.
“Angelus, eccoti… anche tu torni a me, come il mio Spike.”
“Cosa hai fatto a spike, Dru.” – Angel avanzò di un passo, tornando ad essere se stesso. Percependo, con orrore, il demone ritrarsi recalcitrante.
“Nulla che lui non fa da solo a se stesso.” – sibilò lei, passando le labbra rosse sugli anelli della catena – “ Vuole amore, prende amore, dona amore… cosa posso fare per lui che già non faccia?”
“Ma non per te, vero Dru?” – Angel piegò i suoi lineamenti, in un ghigno sarcastico quanto falso – “Le Cacciatrici lo posseggono.. e tu non hai mai potuto nulla, rispetto a loro. Non è mai stato tuo, con il suo animo. Non hai mai accettato il fatto che lui fosse ancora quello che tu non eri più, vero? Lui è una leggenda…”
Drusilla rideva. Si slanciava indietro, con la schiena, allungando le gambe. Lasciando che l’altalena girasse su se stessa. Inarcandosi,libera, a pochi passi da terra.
“Tu parli di cose che non sai.” – rise – “tu imiti le mie parole e pensi di impressionarmi. Oh, amore mio… l’amore per le Cacciatrici non è purezza, l’amore per le Cacciatrici è perdizione, sbagli nel passato, disgusto… cosa sarà più forte? L’amore o la memoria?”
Si interruppe. E interruppe le sue rotazioni. Apparendo rigida e statica, quasi scolpita nella notte.
“Mio povero angelo…” – sospirò, posando la guancia alla mano, con occhi grandi e vuoti – “Tu lo temi. Non hai paura per lui. Ma di lui.”

Aveva mosso un passo indietro. Se ne accorse dopo averlo fatto. Un passo, indietro, innanzi alla verità.
Un passo nel puro panico.
Troppo tardi per negare quelle parole.
Ma Drusilla non rise. Lo guardò, con una tristezza velata nello sguardo.
“non è puro, non lo sarà mai più.” – sospirò, scotendo il capo e tornando ad appoggiarsi alla mano e alla catena – “abbiamo bevuto la sua innocenza a lunghe sorsate, gli abbiamo donato la nostra notte. E la notte lo chiama, quando meno se lo aspetta. La notte, la notte non cesserà mai di urlargli nella mente.
Dentro di lui c’è la notte… non può fuggire in eterno.”
“Ti sbagli.” – ringhiò Angel – “Lui può. La combatterà senza cedere.”
“Solo perché pensi di potercela fare non significa che lui farà altrettanto.” – spiegò Dru, increspando appena le labbra sottili – “Tu sei l’eroe. Ma lui? Se io non sono.. lui cosa è?”
Stava giocando.
Angel poteva capirlo dalla rabbia che si sentiva montare. Dal demone che si inerpicava sui baluardi del suo controllo.
Drusilla sapeva quali corde toccare e non faceva nulla per nasconderlo. Non le serviva insinuare il dubbio, s poteva nutrire quelli già radicati.
Spike, scelto da Drusilla. E Drusilla, per sua stessa ammissione, un’anomalia nel sistema, nell’equilibrio dell’universo.
“Tu mi dirai la verità anche se non la chiederò, vero?” – momrorò. Allontanandosi a ritroso ancora di un passo, fino ad appoggiarsi all’intelaiatura dello scivolo.
Drusilla lo guardò, bramando quel tono colloquiale con cui si rivolgeva a lei.
In Angel non c’era nessuna ostilità, rivolta verso l’esterno.
“La tua tempesta…” – sussurrò, addolcendosi – “Infuria, distrugge, ma mai invade la terra… hai ragione, ti dirò comunque, che tu voglia o no… ti parlerò di lui e del suo sangue, se vuoi. Ma le risposte non ti basteranno mai.
Come il passato.. il passato è come le parole… mai abbastanza…”
“Le parole si dimenticano, Dru.. come il passato.” – replicò Angel, incrociando le braccia.
Il vento stava diventando più freddo, spazzava intorno a loro, creando vortici di polvere smorzati dalle prime gocce di pioggia.
Drusilla si era alzata, lisciandosi la gonna, accuratamente, giocando con i riflessi sulle lunghi unghie madreperla.
Con lentezza, si chinò, a raccogliere la bambola.
La strinse tra le mani, riavviandole i capelli e i pizzi. Poi, con lo stesso movimento delicato si accarezzò il viso, tirando indietro i capelli scomposti. E lo guardò, incantata.
“Non si dimentica mai, Angel.” – sorrise, lasciando che i capelli si librassero sul vento e avviandosi, lentamente – “Si può fuggire… o tacere… ma non si può dimenticare.”

La pioggia ricominciò a cadere. Regolare, fitta.
Ma Angel non si mosse. Immobile, a capo chino, laddove la sconfitta lo aveva colto.

***


La pioggia aveva lavato la città senza alcuna misericordia. Fitta, persistente.
Poi, d’un tratto, era cessata.
Di colpo, come se qualcuno avesse chiuso il rubinetto.
Dove fosse Angel, era un mistero. Cordelia, affacciata da una delle finestre dell’albergo, attendeva di vederlo spuntare, aspettava di vedere apparire la sua fisionomia, le spalle strette nella giacca, l’aspetto grondante di chi ha perso il mondo inseguendo un pensiero.
“Non avrà avuto il cervello di ripararsi da qualche parte, vero?” – domandò, senza voltarsi.
“Probabilmente no.” – Doyle si stiracchiò – “Non è nel suo stile.”
“Non so perché debba fare scemenze del genere solo per il fatto che non può ammalarsi.” – brontolò, fissando insistemente l’angolo della via, prima di voltarsi, risoluta – “vado a cercarlo.”
“Adesso?”
“E quando se no, domani?” – ribattè lei, aggiustandosi la giacca e i capelli, tornati perfetti come appena aggiustati dal parrucchiere.
“Sta bene, principessa. Ha solo bisogno di pensare.” - Spiegò, pazientemente il demone, seguendola, mentre cercava le scarpe. Cercando di ignorare le voci concitate di Wes e Faith che, dalla biblioteca, salivano rimbombando nella cupola.
“Oh, Doyle, cerca di capirmi.” - Rispose lei, finendo di prepararsi – “Qui tutti hanno qualcuno per cui preoccuparsi. E io ho deciso di preoccuparmi per Angel. Fine della discussione.”
“Si, lo capisco, ma…” – doyle si interruppe. Cordelia gli aveva messo in mano la giacca – “Bhe, ma questa che significa?”
“Che vieni con me.” – spiegò lei, con naturalezza, imboscando il cappello di modo che non avesse il desiderio di metterlo – “Non vorrai mica che vada da sola…”

Cordelia si era preparata a varcare catene montuose e attraversare deserti.
Si era dichiarata disposta a immani sacrifici.
E non apprezzò del tutto il doversi limitare a percorrere cento metri, prima di incontrare la fonte delle sue preoccupazioni.
Angel girò l’angolo, lentamente. Aveva rialzato il bavero della giacca, come se provasse freddo.
I capelli gli si incollavano addosso, come i vestiti. E il suo sguardo, abbassato, nascondeva la pioggia che ancora gli pioveva dentro all’animo.
Guardandolo, si provava solo il desiderio di scuoterlo, fino a mischiargli i neuroni.
O, almeno, questo era il desiderio di Cordelia.
“Ma guarda come ti sei ridotto.” – esclamò, andandogli incontro e levandogli dalle spalle la pellicola acquosa che brillava – “Sei fradicio, grondante.. sei.. “
“Sei un vero schifo.” – concluse candido Doyle, fermandosi. Con un mezzo sorriso di conforto.
“E mi sento uno schifo.” – replicò Angel, lasciando che Cordelia gli strofinasse i capelli con un mano – “Ho visto Dru…”
“Cosa?” – Cordelia sbarrò gli occhi. Poi gli assestò un vero e proprio spintone – “Tu avevi un appuntamento con quella matta e ci sei andato da solo?”
“Non ho detto questo.” – ribattè lui, sulla difensiva.
“Ma è così.” – Doyle aggrottò la fronte, mentre il vampiro gli passava a fianco, cercando di troncare il discorso – “Oh, Angel…”
“Oh, Angel, cosa.” – esclamò il vampiro, voltandosi e guardandoli entrambi – “Sapevo che mi avrebbe cercato. Non era un evento così imprevedibile. Ci siamo visti, ha farneticato qualcosa e se ne è andata.”
“E se invece fosse stata una trappola?” – Cordelia arrancò, per sincronizzarsi alla sua camminata. Invano – “Se ti avesse aspettato assieme a qualche decina di scagnozzi? Come te la saresti cavata?”
“Non è successo.” – fu la risposta.
“Ma poteva succedere.” – rispose lei, afferrandolo e obbligandolo a girarsi. Fregandosene beatamente della differenza di stazza tra loro e dello sguardo nero dell’uomo – “E dovresti iniziare a pensare a questa evenienza. Perché Drusilla vuole qualcosa, e non si fermerà fino a quando non l’avrà ottenuta.”
“Lo so. E so anche cosa vuole.” – Angel la fissò dritta in viso, stringendo la mascella, con ira repressa – “Se solo si avvicinerà a voi, farà la fine di Darla.”
“Non prenderà noi.” – sussurrò Cordelia, con la preoccupazione nella voce – “Se potrà avere te…”

Ma Angel non le aveva risposto.
Aveva ripreso a camminare, senza aspettarli, ed era rientrato all’Hyperion.