Conversazioni
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Desiderava quella brioches con tutto il cuore.
Il suo essere la reclamava, con forza… quasi urlando.
“Ma non è così grave, Doyle.” – continuava a ripetere Cordelia, levandosi le briciole da intorno alla bocca – “Possiamo fare a metà…”
“No. Lei era mia…”
“Andiamo Doyle, non fare il bambino…”
“Se il bambino sono io dimmi perché non me la restituisci al posto che continuare a morsicarla…”
“Perché possiamo fare a metà.” – ripetè Cordy, come se questo spiegasse tutto.
“Io non voglio fare a metà perchè…” - cominciò a enumerare petulante, quando suonò il telefono.
E tutti si bloccarono. Faith e Angel, seduti vicini e entrambi ridacchianti per quella discussione, lo fissarono. Immobili.
In silenzio.
E il peso tornò rapidamente sulle spalle di tutti loro.
Aspettavano una telefonata.
Da due giorni.
Ed ora, che quasi iniziavano a dimenticarlo.. eccolo, il telefono…

A giorni dalla partenza di wes e Spike.. ecco il telefono finalmente squillante.
Già… quattro giorni, volati e strisciati in egual misura.
Quattro giorni dall’affare Drusilla, da quell’alba sul tetto.. e adesso…

E adesso?

Adesso chi dovrebbe rispondere?

Doyle non lasciò neanche che quel quesito gli si insidiasse nella mente. Saltò in piedi e afferrò il ricevitore.
“Mister Doyle? Chiamata a suo carico dall’Inghilterra.”
Dannazione, pure la centralinista…
Ma non erano una specie estinta?
“Ciao Francis.” – era una voce allegra ed esuberante, quella dall’altra parte.
E non era Wes.
E non era Spike.
“sicchè adesso pago anche l’intercontinentale?” – sbraitò Doyle.
“Io non pago forse la tua Cacciatrice? E ti assicuro che gli interessi non sono vantaggiosi né tantomeno a tasso fisso!” – ribattè la voce dall’altra parte.
Doyle strinse i denti e bloccò una recriminazione che stava salendo spontanea alle labbra.
Emise un basso ringhio, dominandolo fino a farlo diventare un sospiro.
Cercando di disperdere il nervosismo che gli aveva dato quel telefono trillante… e che gli davano quei tre individui che si torcevano le mani alle sue spalle.
E, consapevole di quel suo stato d’animo, dall’altra parte gli rispose una risata. Bassa e modulata.
“stappa una bottiglia, Francis… ci vediamo tra qualche giorno…”

Silenzio.
Doyle non gli aveva risposto…

Methos aggrottò la fronte e smise di giocherellare con il cavo del telefono.
Tolse i piedi dalla scrivania e si appoggiò con i gomiti.
Che gli fosse venuto un infarto?
Avrebbe potuto dirglielo con più garbo…
Forse era meglio ripeterlo…
“Francis…” – scandì bene – “Ho avuto l’incarico…mi mandano in America…”
Mi mandano… voglio andarci e mi danno un pretesto…
“Ho… capito…” – rispose Doyle, con voce metallica – “Mi stai dicendo che il Consiglio ha deciso….”
“Certo che ha deciso. Ti lasciano la gatta da pelare… anzi, mi danno la gatta da pelare perché con i soldi che ho scucito se ne andranno tutti in crociera ai Tropici con mogli e figli.” – spiegò, perplesso, da quel prolungato silenzio.
Che gli fosse veramente partito un embolo?
Doyle, ti prego, dimmi qualcosa…
“Mi stai dicendo che è finita…”
methos emise un sospiro. E, finalmente, capì in cuor suo che quell’angoscia che aveva attanagliato a lungo il demone se ne stava finalmente andando.
“Sì, Francis. È finita.” – disse. Lentamente. Lasciandogli il tempo di capire – “Faith resta a Angel. Ci sono i presupposti. E sono solidi. Il Consiglio ha accettato di inviare me perché sono risultato… idoneo… anche se non è il mio settore di osservazione…”
Altro silenzio.
Poi una breve risata.
“idoneo.. bel termine…”
“Gli affari sono affari…” – sorrise Methos, finalmente sollevato – “Quei due che avete mandato sono in gamba. Soprattutto il ragazzino…”
ragazzino. Doyle sobbalzò nel sentirlo definire così. Ragazzino.
“stai parlando dell’Uccisore delle Cacciatrici..” – replicò. A quell’affermazione Angel venne un passo più vicino.
“si, lo so, me l’han detto…” – replicò assolutamente incurante l’immortale – “Comunque non ho parlato con nessuno dei due. Ci sono stati incontri separati, per mantenervi sulla corda riguardo al nome dell’Osservatore… cioè me…”
“Ed allora perché ne parliamo così tranquillamente al telefono?”
“Perché adesso hanno il nome. E stanno tornando negli States.. saranno lì con l’anno nuovo…”
“Questa sì che è una buona notizia…”
“Ah, perché? L’altra no?”
“Certo, che domande…”
“…”
“…”
“Francis.. non che a me importi.. ma stai pagando una bolletta a suon di silenzi…”

Riagganciò lentamente. Con calma riposò la cornetta sul sostegno e rimase a fissarla, pensoso.
Era come avere la testa sott’acqua.
Contemplò in silenzio il muro, poi si voltò.
Sorprendendosi che fossero ancora lì, tutti e tre.
Talmente in silenzio da non riuscire a sentire nemmeno i loro respiri.. o perlomeno quelli dei respiranti.
“Allora?” – sbottò Cordelia, fissandolo.
“Come? Oh, sì…” – doyle le rispose distrattamente – “è finita, abbiamo vinto…”
rimasero tutti bloccati. E lo fissarono, abbacinati.
E fu allora che, finalmente, con uno scatto da centometrista, il neurone intelligente di Doyle colpì gli altri.
Lasciandolo bloccato, con la mano già impigliata nel ciuffo che si stava scompigliando.
“ommioddio.” – esclamò, mentre gli occhi gli diventavano perfettamente rotondi – “Abbiamo vinto! È finita, gente, ci teniamo Faith!”
Stava saltando. Se ne accorse mentre ancora stava urlando ‘ci teniamo faith’... Lui e Cordelia stavano saltando, abbracciandosi.
E anche faith…
E Angel… oh cielo.. bhe, non saltellava.. o quasi…
Quel che era certo era il suo sorriso.
Andarono avanti così per un bel pezzo. Come dei pazzi, intorno al bancone della cucina, saltando e abbracciandosi, all’infinito.
Poi, quando finalmente si sentirono la testa leggera e i polmoni prossimi a scoppiare, si sedettero e doyle cerò di mettere assieme le scarne informazioni che aveva per la sua personale e famelica platea.
Poche informazioni… pochissime informazioni… a partire dal fatto di non rivelare chi fosse il misterioso interlocutore.
Proposito impossibile da mantenersi.
“Sì, ma se non era Wes al telefono, chi era?” – si intestardì Cordelia.
“Te l’ho detto, un amico…” – replicò, con l’aria più innocente possibile.
“Un amico che ha che fare con il Consiglio…” – aggiunse Faith. Non metteva in dubbio la buona fede di Doyle.. ma… ma non le piaceva questo tizio.
“anche Wes ha a che fare con il Consiglio… ogni tanto.” - rispose garbatamente Doyle. Presagiva, per quanto sollevato, tempi duri.. duri come lo sguardo che Faith intendeva sfoggiare con il nuovo Osservatore.
“Non è la stessa cosa..” – borbottò faith. Il sollievo infinito che provava, stava rapidamente naufragando nel pensiero di avere un nuovo Osservatore. Che probabilmente sarebbe stato vecchio, pomposo, seccante, tradizionalista… caspita quanti aggettivi aveva imparato stando con Wes…
Wes.. il pensiero del suo inglese dell’animo tranquillo le fece male al cuore.
Era stato destituito. Non era più il suo Osservatore. Non lo sarebbe mai più stato.
“Verrà a vivere qui?” – borbottò, scocciata. L’unico vantaggio di averlo come coinquilino era potergli avvelenare il caffè con puntualità.
“conoscendolo, manco se lo paghiamo…”
la frase gli era uscita così veloce dalla bocca…
disastro.. o quasi…
“Cioè, non credo che nessuno lo voglia qui!” – rimediò, alzandosi precipitosamente e sbattendo piatti e briciole nel lavandino – “Io no di certo…”
“E su questo siamo d’accordo!” – Cordelia impilò il resto della roba e gli passò vicino – “Ho già tanto da fare così…”
Si alternavano a smantellare il tavolo… continuando a elencare i motivi per cui non volevano il nuovo intruso tra i piedi.
Poi iniziarono a lavare i piatti ed a asciugarli… senza interrompere la discussione.
E fu a metà di una nuova ipotetica teoria che faith sentì il gomito di angel urtare il suo.
“Facciamo due passi?” – mormorò sottovoce il vampiro.
“Ma è giorno, Angel…” – obbiettò lei, sorridendo suo malgrado.
“E allora?” – Angel brillava di una gioia sincera e tranquilla – “Andiamo per gallerie.. ma facciamo due passi…”

Spariti. Cordelia se ne accorse quando si voltò a caccia di un ultimo piatto, con lo strofinaccio tra le mani.
Doyle, girato verso il lavandino e con le mani nella schiuma continuava imperterrito la sua farsa.
Prese il piatto che Cordy gli porgeva e, facendolo scivolare insieme agli altri, rimase voltato a fissarla.
A fissare Cordy che appoggiava strofinaccio, mano e tutta se stessa sul ripiano della cucina.
E lo fissava con occhi fiammeggianti.
“Francis Allen Doyle... Piantala di mentire e vuota il sacco. Subito.”

II
Quattro passi… per quanto lenti e leggeri, come quelli di due esseri nati predatori, erano comunque rimbombanti nella gallerie.
Le tubature cave e la poca acqua raccolta negli scoli amplificavano i rumori e i rintocchi delle loro suole.
Faith si passò le mani sulle braccia, per scaldarsi. Non aveva realmente freddo.. era più il rumore dell’acqua a provocarle un brivido.
Come la consapevolezza di quello che era appena accaduto.
Un perfetto sconosciuto, al di là dell’oceano, per un singolo istante, aveva pensato a lei. Aveva chiamato e… avevo detto, probabilmente con noncuranza, la cosa più importante della sua vita.
Aveva dato alla sua vita un’altra possibilità.
Chissà se si era reso conto di quanto potesse essere basilare quello che stava per dire. Faith va, faith resta… spostata e trattata come un pacco postale. Nessuno diceva cose del tipo, ‘dove è, fa del bene’ oppure ‘ se se ne va, chi si occuperà delle cose qui’..
Nessuno aveva considerato che lei potesse essere utile nella lotta contro il male. E questo, sinceramente, la irritava ancora.
Meglio non pensarci, dopotutto…
“L’hai detto a Spike?” – domandò. Non c’era bisogno di aggiungere il soggetto…. Drusilla era il centro dei pensieri di Angel, da quando era venuta fuori la questione… Già, quella questione…
La Questione.
“Alla fine mi sono deciso…” – commentò ermetico, Angel – “Ieri sera. Ho preso il coraggio a quattro mani e…”

“E a questo punto devo considerarmi il risultato di un esperimento andato a male o un prodotto del destino?”
Pazzesco, aveva trovato un altro modo per dirlo… angel spostò la cornetta e inclinò la testa. Parlare con Spike in intercontinentale non toglieva nulla al piacere di una litigata faccia a faccia.
L’effetto dolby restava comunque.
E le lamentele di Spike restavano le stesse, anche se le parole cambiavano, di frase in frase.
Ma Angel era un tipo paziente. Lo sapevano tutti. Per cui…
Attese.
E attese.
“Adesso ti decidi a dire qualcosa?”
Eccolo. Finalmente pronto ad ascoltare veramente.
“Non ho niente di particolare da aggiungere, William.” – mormorò, riportando il ricevitore vicino al viso – “Questa è la teoria di doyle. E io credo che sia vera.”
“tutto qui? Non pensi che si possa essere sbagliato? Magari è una congettura eccessiva…” – la voce si spense in un silenzio perplesso, dall’altra parte del filo.
Spike era fermo di fronte ad una finestra aperta sulla città. Teneva il telefono con una mano, appoggiato alla coscia... e la cornetta bloccata tra il mento e la spalla. Per avere una mano libera con cui strofinarsi la testa, rabbiosamente.
Attorno regnava un allegro caos, fatto di vestiti e libri, appunti spiegazzati e confusione.
Per quanto il Consiglio avesse insistito ad ospitarli, lui e Wes avevano optato per un paio di stanze in piena Londra. Era un bilocale con la tappezzeria fiorata alle pareti e gli archi in legno scuro al posto delle porte.
Una piccola dependance all’ultimo piano, in una pensione in stile, in cui Wes era certamente conosciuto da più tempo di quanto volesse ammettere.
Era tutto altamente appassito, in un posto del genere, a partire dalle stampe a tema botanico, sbiadite, lungo le scale, fino il corrimano dal profumo di cera d’api.
Era tutto tranquillo e stridente con l’esterno, con la Londra moderna ed esuberante del duemila.
Ma a spike piaceva.
Ed ora, fermo a fissare i palazzi e le luci così diverse da quelle americane, protetto da un tenda appositamente aggiustata, Spike ascoltava i fantasmi del passato.
Là, in un quartiere ormai rivoluzionato dal gioco del tempo, là, da qualche parte, c’era ancora il vicolo in cui aveva incontrato Dru, Angel e Darla.
Poteva essere la fine, invece era stato l’inizio di un viaggio… un lungo viaggio pieno di sorprese…
Aveva pensato di poter essere superiore alle riflessioni sul proprio destino e il proprio passato... e quanto si era sbagliato.
Il passato non smette mai di inseguirci lungo la strada che percorriamo…
Angel attese un attimo. Ma Spike non sembrava intenzionato a terminare la frase iniziata.
“Andiamo, William.” – rispose, riempiendo quello spazio vuoto e ricco di pensieri – “Lo sappiamo entrambi. Sappiamo tutti e due che è vero. Lo… sentiamo. Almeno, io posso sentirlo. È la verità, quella che non ho mai ammessa…”
“già.” – Spike tamburellò sull’intelaiatura in legno. Poi buttò fuori le parole una sull’altra. Rapidissimo e colpevole – “E se ti dicessi che lo sapevo?”

“E come l’ha presa?” – domandò Faith, notando il rallentamento nel racconto di Angel. Si era quasi interrotto, seguendo quello che doveva essere stato lo svolgimento della telefonata.
“Tutto sommato… ben, direi… bene.” - rispose Angel – “Talmente bene che ho provato il desiderio di ammazzarlo.”

Silenzio. Un attimo di silenzio.
“William.” – la voce gelida gli colpì i sensi come lo scoppio di una granata – “Mi rallegro che ci sia un oceano tra noi…”
“Non ti sarai arrabbiato veramente.” – Spike sbarrò gli occhi incredulo, quasi Angel potesse vederlo e credere nella sua espressione – “Non è che proprio lo sapevo… è che Drusilla di tanto in tanto ha farneticato qualcosa a riguardo. E adesso, che so la teoria di Doyle… bhe, mi sembra valida…cioè…”
“Prego, va’ pure avanti..” – l’incalzò il suo sire – “Sento le tue unghie stridere mentre ti arrampichi su dagli specchi…..”
“Avanti Flagello, sai benissimo che non c’era bisogno ti dicessi quanto Dru ha delirato in decenni di convivenza!” – Spike allargò le braccia, continuando a mantenere la presa sull’apparecchio... europeo e retrò all’inverosimile – “Non ho stenografato tutto… e ogni tanto non l’ascoltavo.. facevo solo cenno di si con la testa! Solo che una volta mi ha detto che se lei non fosse entrata nelle tenebre…”
si interruppe. Un pensiero gli era passato così veloce nella mente da stordirlo.
“Cosa.” – Angel si protese, istintivamente – “William, cosa ti ha detto…”
“Nulla di importante.” – era cambiato il suo tono di voce. Era divenuto duro. E limpido – “probabilmente sto facendo confusione. È per questo che non te l’ho raccontato… non ne avevo certezza.”
Stava ritrattando.
Si rimangiava quello che aveva ammesso.
“William…” – Angel tornò a distendersi, cercando di decontrarre le spalle – “Veramente non vuoi dirmi cosa ti ha detto Dru? Dopotutto, è un affare di famiglia.” Gli bastò un attimo, per capire lo sbaglio madornale appena commesso.
“Un affare di famiglia.” – ripetè Spike, con una risata – “Allora di’ ad Angelus di chiamarmi… ne parlerò con lui.”

“E poi ha riattaccato.”
“Scusa, Angel.. ma io quest’ultima frase non l’ho capita…” – obbiettò Faith, scostando la carcassa di un topo con un piede. La passeggiata non era molto romantica…ma l’argomento era decisamente interessante… - “Perché ti ha fatto quella battuta su Angelus?”
“perché mi sono comportato come un mafioso… io e la famiglia…” – borbottò Angel, ficcando le mani nel profondo delle tasche – “Per Spike, Dru è sempre stata solo affar suo. E su questo punto, lui ed io… lui ed Angelus non sono mai stati d’accordo. Ieri sera volevo estorcergli un’informazione.. e invece di farlo con bel garbo…”
si interruppe. E Faith lo guardò. Se ne stava piantato al centro di una fognatura, nella posa dell’oratore romano.. la stessa di quello stupidissimo poster d’affresco che Wes teneva sulla parete. Forse era un greco, non un romano…
Ed Angel, con lentezza, fece ricadere la mano.
“Sto diventando matto.” – commentò – “Mi senti come parlo?”
“Oh, andiamo!” – Faith gli sorrise, prendendolo a braccetto – “Non vorrai mica deprimerti! Frequenti pessime compagnie… dovevi prendere qualche cattiva abitudine… solo che per raggirare uno come Spike, ti serve una mente criminale, come me.”
Ed Angel, controvoglia, ridacchiò di quell’evenienza.
“No, grazie. Penso che mi terrò la curiosità. Tanto, ormai.. non cambia più nulla….” – aggiunse, fissandosi la punta dei piedi.

“È complicato da spiegare ma, in barba all’egocentrismo di Spike, lui è sempre stato il punto di incontro tra me e Dru.” – riprese, quando finalmente furono per strada. Uno dei passaggi di Angel sbucava direttamente in un passaggio coperto. Lì sotto, lontano da occhi indiscreti, si poteva restare seduti a chiacchierare.
Lontano dagli occhi e lontano dal sole.
Era un posto tranquillo…
“Dru l’ha trovato… e se ne innamorata. Ma voleva fosse… mio. Voleva fossi io a vampirizzarlo, che bevesse il mio sangue. E non mi hai mai dato una vera spiegazione a riguardo. Non faceva che ripetere che sarebbe stato più forte… lei me l’ha affidato. Anzi, lei l’ha donato ad Angelus. Per una vita, Spike ha pensato che fossimo io e lui a dividerci Dru… non che fossimo io e Dru a spartirci lui…”
“E poi c’era Darla…”
“Già.” - Angel sorrise, tornando a sederle vicino – “Lei l’ha sempre saputo. E non è mai andata d’accordo con Spike anche per questo motivo. Non riusciva a possederlo, ad averlo per sé… lei voleva solo me. Ma questa sua intenzione implicava che io non avessi nessun altro. Dru poteva essere tollerata.. ma che io mi tenessi un antagonista così vicino…”
“Non le andava giù…”
“Una donna respinta, Faithy, è tra le cose più pericolose sulla faccia della terra. Una vampira poi…”
“Una vampira respinta significa guai. Tanti guai.” – sospirò la ragazza – “Comunque torniamo al punto cruciale. Credi che Spike sapesse realmente di Drusilla?”
“Credo che Spike, da quando doyle gli ha spiegato la faccenda dei prescelti, a sunnydale, abbia messo assieme molti più particolari di me. Gli sono sempre piaciuti i legami con l’eterno. Sono la sua fissazione…quello che so per certo, anche senza sentirmelo dire… è che c’è qualcos’altro che lo distrae.”
Faith rimase in silenzio.
Non sapeva a cosa potesse riferirsi Angel.
Per un istante, uno solo, sperò di essere lei, la distrazione di Spike.
Dopotutto, era andato in Inghilterra per proteggerla, per tutelarla.. era andato per difenderla innanzi al Consiglio.
Come Wes.
E come Wes doveva essere votato a questa causa.
Ma perché, allora, non aveva chiamato per dirle del verdetto?
E se non era lei… allora cosa?

In un altro mondo, con otto ore di ritardo rispetto al rolex di Angel, Spike si stava ponendo altrettante domande.
Alla fine, dopo molte discussioni, infatti, avevano deciso cosa fosse meglio.. ed il meglio si era rivelato che Wes andasse da solo a quella che doveva essere l’ultima udienza. Si era alzato presto ed era uscito, lasciando Spike da solo, a rimuginare.
Non sapeva della telefonata di angel, avvenuta dopo…

Drusilla Cantastorie. Era vero, a modo suo lo sapeva da tempo. Aveva ragione Angel, potevano percepirlo. Accettava quanto fosse vera quell’informazione.
E quanto all’averlo sempre saputo… col senno di poi poteva capire molte cose…ma c’erano troppe parole sussurrate nelle notti di luna perché Spike potesse dare loro un vero filo logico.. troppe parole e una vita eterna e fragile insieme.

Solo ora, nel ricordare e nell’aggrapparsi a qualche certezza, tornava il dubbio…
Angel aveva portato Faith sulla strada giusta. Come Angelus aveva condotto Drusilla lontano.
Senza essere consapevole realmente di entrambe le cose.
Poteva dire altrettanto di se stesso? Aveva realmente fatto qualcosa di orribile… oh, sì, certo. Sapeva benissimo cosa aveva fatto.
Ma aveva rimediato?
No.
Il suo cuore non aveva dubbi nemmeno su questo.
La colpa non era stata ancora perdonata.
E la Redenzione, la sua, tornava a pesargli.
Quella dannata Redenzione in cui non riusciva mai a credere del tutto. Che non era tutto nella sua vita, perché veniva dopo la Angel Investigation, dopo tutti loro che amava troppo.
Nulla era più importante di queste persone. Nemmeno la sua anima che reclamava giustizia. Nemmeno il suo passato di sangue da rimediare.
Nulla.

E quanto ad Angel... Ma si, che si impiccasse con i suoi sensi di colpa ed i suoi martiri. Erano solo affari suoi…e non erano una giustificazione al suo tono.
Dare un nome alle proprie paure le rende peggiori? Era una bella domanda…
Angel soffriva per Dru oggi come ieri? o ancora di più?
Poteva soffrirne più di prima?
In cuor suo, Spike dubitava. Drusilla era la stella spenta di Angel. Come tutti gli eroi da manuale, anche lui ne aveva una.
E quella di Spike? Così buia da essere inconfessabile. Spike sorrise amaramente, pensando a quegli occhi di smeraldo. A differenza di Angel non aveva avuto bisogno di un’anima per pentirsene. Pochi minuti di eccitazione e poi era giunto il disgusto per se stesso e per il risultato ottenuto…

Ed ora Dru. Il bene dalle ali strappate. Il Messaggero privo del senno.
Perfetto… mi mancava solo questa…

Si accese un’altra sigaretta, rabbiosamente. Alle sue spalle sentì lo scatto netto della serratura. E poi, rilassandosi, i passi di Wes.
Si era fermato. Spike alzò lo sguardo e lo vide riflesso nello specchio. Si era tirato a lucido, intrappolandosi nuovamente in un abito di tweed ed un paio di bretelle. Reggeva un paio di plichi sotto il braccio.
Solo che… che teneva le mani in tasca ed appariva stranamente rilassato.
Spike non si mosse. Un’espressione del genere poteva dire guai come pace. Rimase fermo, seduto al tavolo, con i piedi sul piano e le mani a coppa intorno alla sigaretta.
Ne aspirò una boccata, con lo sguardo alzato.
Si fissavano nel riflesso.
“Abbiamo finito qui, Spike.” – mormorò con voce piatta – “Faith resta in America. Il suo nuovo Osservatore arriverà tra un paio di giorni. Ed ora, se non ti spiace, vado a piangere sotto la doccia.”
Si voltò, lentamente, e posò i fogli nella piccola entrata.
“Wes…” – spike si era alzato, lasciando cadere la sedia su cui stava precariamente sdraiato – “Non mi nascondi nulla?”
“Nulla.” – l’Osservatore si voltò per parlargli guardandolo in faccia – “Quelli sono i verbali di seduta. Me li hanno dati perché mi ricordi di onorare il patto. Cosa che farò…per il resto sono sfinito. Vorrei dormire qualche ora. Poi possiamo tornarcene a casa…”
“Aspetta…” – Spike si appoggiò all’arco e lo fissò – “Preferisci adesso la seccatura o dopo?”
Westley lo fissò e soppesò cautamente la domanda.
“Dopo.” – rispose, sillabando quasi. Almeno una doccia…

III
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Il candore fatto a persona. Due occhi splendidi e assolutamente innocenti.
Falso come Giuda.
“Doyle, non mi incanti.” - Cordelia tamburellò con le unghie sullo strofinaccio e lo fissò, decisa – “Cosa devi dirmi a riguardo del tizio con cui parli al telefono?”
“Nulla. È un informatore. Un caro amico, immigrato in Inghilterra e casualmente…” – mosse le mani, cercando di sembrare convincente… finendo con il farle ricadere e poggiarsele sui fianchi… indipendentemente dal fatto che fossero umide di detersivo per i piatti – “Principessa, senti… ecco…”
come andava avanti quella frase? Come era la nuova balla che stava per rifilarle?
Mistero.
Non riusciva proprio…
“Non so di cosa tu stia parlando.” – borbottò.
“L’hai già detto…”
niente.
Doveva fare l’avvocato… con uno sguardo del genere le avrebbero confessato tutto. E più ancora.
Sospirò, guardandola. Contrito.
“Mi hai mentito.”
Eccola. Implacabile era giunta la condanna.
“Ma no, cosa dici… io ti ho… omesso delle informazioni… irrilevanti.” – aveva ricominciato a gesticolare, come un mulinello. Ed iniziava ad avere il sospetto di aver perso il suo tocco magico per la menzogna.
Gli veniva in mente solo un altro paio di occhi a cui non si sfuggiva in quel modo…
“Sembri mia madre, quando mi fissi così.”
“Oh, ti prego!” – Cordelia gli puntò un dito sottile e con unghia laccata in mezzo agli occhi – “Non mettere in mezzo tua madre! Siediti, subito, e dimmi cosa stai nascondendo!”

Diamine.
Si era veramente seduto…
“Forza.” – commentò Cordelia, sedendosi a fianco e appoggiandosi al ripiano, a braccia incrociate – “Sentiamo queste informazioni irrilevanti…”
“Credi nella predestinazione, Cordy?” – domandò, speranzoso di riuscire a prenderla alla lontana.
“No. Assolutamente. Per cui tralascia i preliminare. Dritto al punto, per favore.”
Era molto educata... ma ferrea.
Doyle la guardava, di traverso, perplesso.
“Non mi piace che tra noi ci siano segreti.” – commentò, sulla difensiva, la ragazza.
“Non era mia intenzione… è solo che non c’era nulla di certo.” – spiegò lui, abbassando il tono, confidenziale – “Non volevo darti un’illusione prima del tempo.” “E adesso?” – si mordicchiava le labbra - “Perché non vuoi dirmi la verità?”
“Ma io voglio dirti la verità.” – Doyle era quasi sorpreso – “Non pensavo ci fosse tutta questa premura… non prenderla come una prova di scarsa fiducia.”
Si interruppe. E tirò un bel respiro. Con un sorriso, aspettando di essere ricambiato.
Poi si girò del tutto verso di lei, ruotando lo sgabello e prendendole le mani. Scivolando con i pollici sulle sue mani, godendo di quel contatto.
“Il pomeriggio in cui faith ed Angel hanno litigato, io sono uscito, ricordi? Me ne sono andato a fare un giro, perché avevo bisogno di riflettere.
Non sono andato in nessuno posto in particolare… solo che camminando sono arrivato piuttosto lontano. E mi sono ricordato una cosa, a cui non pensavo più da molto tempo. Ora, tu sai che io sono visionario sotto molti punti di vista, per cui ho preso quello che mi stava succedendo come un segno.”
“Non capisco cosa centri questo…” – cominciò Cordelia. Interrompendosi, quando Doyle, con mossa fulminea le pose un dito sulle labbra.
“Sst.. lasciami terminare, per favore.” – chiese, gentilmente – “Il fatto è che quando sono tornato… tornato dalla mia morte, intendo.. avevo qualche informazione in più di cui non sapevo come disporre. Una mi riguardava, seppur indirettamente. Riguardava una persona molto importante della mia vita con cui Faith era destinata ad entrare in contatto.”
“Sarebbe la persona con cui parli al telefono di tanto in tanto?” – domandò Cordelia, incapace di resistere.
“Proprio lui. È un vecchio amico di famiglia, un amico… molto intimo di mia madre.” – spiegò, vergognandosi di dichiarare una cosa del genere. Methos l’avrebbe strangolato, avesse saputo. Non perché non fosse verità.. ma perché era una deliberata violazione dei suoi segreti – “quel pomeriggio ho pensato telefonargli. Lui ha gli agganci giusti… è un Osservatore…”
A quell’ultima affermazione gli occhi di Cordelia si allargarono, per la sorpresa.
“l’amico di tua madre è un Osservatore?” – sbottò.
“A quel tempo non lo era… o quasi.” – si difese il mezzo-demone – “si sono conosciuti in Irlanda, quando lei era giovane… e lui non è un Osservatore per le Cacciatrici… diciamo che è un Osservatore…”
“oh, lascia stare! Sento già che stai per rifilarmi una variante della verità. Risparmiamela, per piacere!” – commentò Cordelia, sfilando una mano da quelle di Doyle, per appoggiarsi al tavolo – “ Non ti faccio domande in più riguardo alla sua professione. Ma va’ avanti.”
“Io gli ho telefonato.” – riprese, con un sospiro – “E gli ho spiegato la situazione. Lui sapeva che prima o poi l’avrei fatto, perché l’ultima volta che ci siamo visti, io gli ho detto che avrebbe avuto a che fare con una Cacciatrice…”
“E lui?”
era una domanda curiosa. E Doyle le sorrise, divertito.
“Lui ha reagito come te.” – la punzecchiò – “Ha detto che la predestinazione non esiste e che me lo faceva come favore personale.”
“allora è una persona di buonsenso.” – commentò la ragazza, iniziando ad abbozzare un’opinione per questo anonimo. Amante della madre di Doyle, Osservatore, razionale e mafioso. Uno che con la magia e l’esoterismo sembrava non avere niente a cui spartire… come lei, del resto.
A esclusione di…
“Questo tizio sa che sei un demone?” – domandò, socchiudendo gli occhi, sospettosa – “E di Angel, o Spike..”
“Sa abbastanza. Di tutti noi.” – annuì, serio – “E quanto a me... sa semplicemente tutto.”
“Sa anche di me?” – domandò, senza sapere si preciso nemmeno lei a cosa si stesse riferendo.
“Sa che ti amo. E che sei la mia vita.” – rispose Doyle, sincero ed essenziale come sempre. Guardandola mentre, con un attimo di improvvisa timidezza, abbassava lo sguardo, incurvando le ciglia su delle guance lievemente arrossate.
E d’istinto, la baciò. Prima che scivolasse in un altro quesito.
Veloce e intenso.
Osservandola riaprire gli occhi e fissarlo.
“Grazie.” – sorrise.

“Che tipo è?” – domandò Cordelia, immergendo gli ultimi piatti nella acqua saponata. Doyle, seduto sul ripiano, li asciugava e li posava, impilati.
“E’ simpatico. Odia tutto ciò che ha a che fare con la magia e il soprannaturale. Odierebbe anche me, se non fosse che mi ha tra i piedi ormai da più di vent’anni…”
“Allora come pensi che se la caverà.. con tutti noi, intendo… con Angel…”
“Andrà d’accordo con tutti. E si terrà fuori dai piedi.” – replicò Doyle, posando un altro piatto – “Sarà in città, vedrà Faith per non avere rogne con il Consiglio… ma non intralcerà la missione di Angel. Sarà semplicemente qui. E la cosa non mi dispiace per niente….”
“Gli sei veramente affezionato.” – sorrise lei, presto ricambiata.
“Certo. Vedi, Principessa… lui è la mia famiglia. Lui è mia madre avevano un rapporto d’amore e odio incredibile.. ma lui non mi ha mai lasciato. C’è sempre stato… sempre.” – si interruppe un secondo. Era così difficile ammettere quanto fosse legato al suo serafico immortale – “Non si tratta di predestinazione o incontri programmati… sono solo contento di averlo conosciuto… tutti abbiamo bisogno un mentore nella vita.”
“E lui è il tuo?” – Cordelia si asciugò le mani e lo fissò – “Allora è meglio se comincio a preoccuparmi.. con tutti i vizi che hai…”
Doyle la guardò, colto del tutto alla sprovvista. Poi gettò la testa indietro e rise. “Mi sa che hai ragione…”
Avevano quasi finito. Cordelia si asciugò le mani nello strofinaccio che usava da grembiule e si sporse per afferrare i piatti. Pensierosa.
“Dovresti dire tutto questo a Faith, l’aiuterebbe parecchio.”
“Invece non sono d’accordo. Non voglio si senta influenzata dalla mia opinione. È combattuta, al momento…”
“Già. E poi c’è Wes…” – Cordelia si aggiustò i capelli, tirando indietro le ciocche sfuggite dalla treccia – “Non credo che questa storia del nuovo Osservatore gli farà piacere.”
“E come dargli torto… faith è una delle sue ragioni di vita. Il mio amico ha detto che si conoscono, almeno di vista… purtroppo dovranno scendere a compromessi…”
“E Faith sarà di nuovo un osso da contendersi…”
“Mi auguro di no…” – Doyle le tenne la vita, mentre si allungava per recuperare alcune scatole sull’ultimo ripiano del mobile – “E poi non credo che faith resterà passiva a riguardo. Credimi, Principessa.. meno ficcheremo il naso prima si distenderà il clima…”
“Ma sentilo… guarda,mio caro, che è tua la prerogativa di andare in giro a spargere solidarietà.. sei tu quello che appiana le divergenze.” – puntualizzò, additandolo e tamburellandogli con un’unghia sulla spalla – “Non io.”
Si era seduta sul ripiano e Doyle le aveva cinto la vita con le braccia. Ed ora la guardava, lasciando che la ragazza provasse ad aggiustargli i capelli.
Era una splendida posizione per chiacchierare.
E Doyle le sorrise, alzando appena la testa. Gli piaceva da impazzire sentire le mani sulle tempie.
Soprattutto quando…
Con un gemito le si appoggiò pesantemente contro.
E cordelia non impiegò nemmeno una frazione di secondo, a comprendere. Sperò di non lasciare nemmeno una costola in briciole tra le dita del suo demone. E attese.
“Passato?” – quando lo sentì grugnire seccato, contro la sua spalla.
“Certo. Passato.” – borbottò, tirandosi indietro e fissandola – “Passato come il nostro attimo di tranquillità.”
“Riprenderemo poi…” – rispose, rassegnata la ragazza, con una lieve alzata di spalle. Si attardò ancora un attimo a ravviargli i capelli – “Allora, chiamo io Angel? O chiami tu?”
“Chiamo io…tu chiama Wes…”
“Perché adesso? Hai avuto una visione, non dovremmo correre fuori a salvare innocenti?” – domandò, perplessa, mentre l’uomo l’aiutava galantemente a scendere.
“appunto…” – sospirò Doyle – “Chiami adesso perché sai che hai poco tempo… e quindi la bolletta ne trarrà un beneficio…”

Una visione. Tutto come sempre, allora. Doyle si strofinò il viso, per schiarirsi le idee.
Una visione come le altre… un innocente in pericolo ed un eroe che compare dal buio.
Si appoggiò un attimo al lavandino, fissandosi, riflesso nel vetro della finestra.
Tutto come sempre.
Tutto come era cominciato così.. e tutto proseguiva così.
Scosse la testa, divertito all’idea. Nella sua vita aveva progettato di fare altro. Aveva studiato, aveva deciso di insegnare a sua volta… e poi aveva semplicemente accettato questo compito.
E ora…
Ora c’erano momenti in cui lo dimenticava. Talmente preso da quell’attimo di intimità con Cordelia, talmente assorto a parlare.. da non ricordare.

“Fatto.” – sospirò la ragazza, rientrando in cucina. Aveva la giacca addosso e portava quella di Doyle ripiegata con cura, su un braccio – “Wes ti saluta. Spike gli stava raccontando della faccenda di Dru…”
“Uh, e come l’ha presa?” – rispose, riscotendosi dai suoi ragionamenti.
“Una meraviglia… stava iperventilando…” – Cordelia lo squadrò – “Hai parlato con Angel?”
“Si, certo.. lui è Faith stanno tornando….” – scosse la testa e aprì il rubinetto – “Quanto odio il mio mestiere…”
“Ma no.. non prenderla così male…” – lo consolò la ragazza, afferrandolo per il mento con la mano libera e schioccandogli un sonoro bacio – “Dopotutto lo fai per la causa…”
doyle la guardò… seriamente. E Cordelia si perse ancora un po’ in quelle iridi limpide.
Ancora una volta, come la prima volta, come alla loro prima conversazione.
Tutto come era cominciato così.. e tutto proseguiva così.
Ed era semplicemente perfetto.
“Per la causa…” – mormorò l’uomo, senza cambiare espressione – “Ed io che pensavo lo facessimo per soldi…”

“Quindi, ricapitolando le cose che tu hai detto a me e che agli altri non devo dire… tu l’hai chiamato e lui si è interessato della questione di Faith perché ottenessimo questa proposta e gli venisse affidato l’incarico…” – Cordelia, enumerò i punti sulle dita, mentre Doyle si lavava la faccia direttamente al lavandino della cucina – “E che ci guadagna in cambio?”
“Nulla, direi. L’ha fatto perché gli andava di farlo… o perché secondo l’universo non poteva farne a meno. A te la scelta…”
“Indubbiamente preferisco la prima ipotesi. Mi da’ maggior fiducia nel mio prossimo.” – rispose Cordelia, voltandosi e andando verso l’uscita mentre Doyle si infilava la giacca, seguendola – “E ha un nome o dobbiamo continuare a chiamarlo ‘Lui’?”
“Adam.” – mentì, spudorato, il demone – “Adam Pierson.”

IV
Quando rincasò erano soltanto le undici. Gli era bastato un giro veloce, per distendersi i nervi e chiarire le idee.
La pensione era tutta buia e silenziosa. Silenziosa o quasi.
C’era una saletta, con un divano foderato in chintz e una televisione, dall’altra parte della sala da pranzo.
E da lì proveniva il suono gracchiante e scordato di un pianoforte.
Spike si incamminò quietamente verso quella porta socchiusa, di legno scuro come molte delle rifiniture.
La maniglia, in ottone, era lucida nel punto in cui più mani si erano posate nel corso del tempo. Per il resto, la sua brunitura era ancor più evidente lungo il motivo a conchiglia.
E Spike vi rimase appoggiato, discostando appena la porta, per sbirciare all’interno.
La luce gialla e calda della lampada di riflesse sui suoi anfibi lucidi, attirando la sua attenzione.
Poi, lentamente, Spike alzò lo sguardo e osservò l’interno, il famoso divano, fiorato e consunto, prima di visualizzare, nel fondo della sala, lo strumento e l’uomo che, pensierosamente, soppesava ogni nota.
Entrò piano, riaccostandosi la porta alle spalle.
E si avvicinò con calma, abbandonando lo spolverino su una poltrona di velluto verde.
“Il pianoforte…” – commentò, prendendo atto.
“Già.” – Wes mosse le mani seguendo uno spartito rimastogli impresso nella memoria – “l’ho sempre odiato… ma i miei volevano imparassi… adesso mi piace, però…”
“E magari ti aiuta a pensare…” – commentò Spike appoggiandosi. Non era un pianoforte a coda, ma uno alto… perfetto per puntellarsi con i gomiti e guardare il musicista. O meglio, frugarlo con gli occhi – “… e direi che di cose che non vanno giù…”
wes lo ignorò, deliberatamente, continuando a spostare le mani per sprigionare lentamente le note.
“Parecchie.” – ammise – “Dov’eri finito?”
“A fare un giro. Io penso così.” – sospirò – “Non avevo voglia di essere sommerso di domande su questa storia di Dru…”
“E così hai approfittato della chiamata di Cordy per defilarti…”
“Verissimo. Ho tagliato la corda.” – stava armeggiando con una sigaretta. E Wes si sporse, recuperando un posacenere dal tavolino. Senza che la musica si interrompesse – “E ora sono pronto. Spara, Osservatore…”
“Non sono più un Osservatore….”
“E solo adesso ne prendi atto?”
“Solo adesso mi hanno chiesto di rientrare in consiglio e ho detto di no…”
l’aveva detto pigramente, quasi fosse una sciocchezza. Ma, dopotutto, era un’offerta che avrebbe potuto cambiargli la vita. E che aveva deliberatamente rifiutato.
Un rifiuto che ora ammetteva, con la tranquillità ed il candore con cui si confessa quante zollette di zucchero si mettono nel the.. Spike lo guardò e, per la prima volta, in vita sua, in quella vita lunga solo due anni ma ricca come un’eternità, ebbe la certezza di essere di fronte ad un grande uomo.
Stanco, avvilito.. e con gli occhiali un po’ inclinati sul naso. Ma un grande uomo che con lentezza e riflessione forgiava note limpide e dal sapore antico. Guardò le mani muoversi sui tasti d’avorio e ebano.
“Non sei pentito di questa scelta.” – mormorò, senza chiedere.
“No. Non lo sono.” – rispose, ermetico, Westley.
“E sai che per noi sarai sempre l’Osservatore, vero?”
“Certo. Non dirò agli altri di questa offerta. Non ha più importanza. Lasciamo le cose come stanno…” – ed evitiamo che un’altra ferita si riapra.. le cose che furono e non saranno sono le peggiori da gestire…
“Certo.” – Spike annuì, allungandosi per tirare più vicino il posacenere.
“E tu?” – incalzò Wes – “Come stai?”
non era la domanda che si aspettava. Era pronto a ogni quesito, ma non ad uno di questo genere…
“Perché? Come dovrei stare?” – domandò, fissandolo.
“Tu amavi Drusilla, Spike.. lei ti ha scelto… ti devi essere posto qualche domanda in merito…”
“Riguardo alla Predestinazione?” – spike sorrise storto – “Certo. Drusilla, messa dalla casualità sulla strada sbagliata ha scelto me… sbaglio pure io, dunque?”
“Pessimista…” – commentò Wes, sorpreso, a sua volta.
“E perché no… una teoria valida come il caos.” – ribattè Spike afferrando il posacenere e sprofondando nella poltrona alle sua spalle. Obbligando lo studioso a girare su se stesso, a cavalcioni dello sgabello rettangolare – “Non sarebbe interessante? In una famiglia votata al paradosso e all’eccezione.… solo io sono uno sbaglio, figlio della causualità e dell’errore… ed Angel, Darla…Dru… ognuno di loro un destino e un futuro. E poi, io…”
wes non rispose. Aveva abbassato lo sguardo, pensieroso, giocherellando con la fodera dello sgabello.
“Andiamo, Price, non dirmi che non l’hai considerato… ti aspettavi che me ne uscissi con una profezia ricordata per caso?” – Spike sembrava divertito. Divertito anche dall’idea di essersi scervellato per ore a trovarla – “Preferisco slegarmi subito da questi giochetti. Il ruolo di Drusilla mi va bene nella dose in cui si è rivelato utile a tenerci faith. Ovvero come un imbroglio ben costruito.”
“Stai negando la realtà dei fatti, quindi.” – wes aveva finito di sistemarsi, con le spalle alla tastiera. Senza smettere di strimpellarci, in punta di dita.
“Può anche darsi… ma non credo sia mia abitudine.”
“E’ questo che mi sorprende… da quando ti conosco, hai sempre chiamato le cose con il loro nome. E ora non puoi accettare che ci sia in te quel legame che da sempre stai cercando.”
“Il mio legame con l’eterno…” – mormorò Spike, soprappensiero, facendo scattare l’accendino – “Mi sono bruciato, credendoci così ostinatamente. Mi fossi accontentato di meno sarei vissuto, mi sarei sposato e sarei morto. E la mia vita non sarebbe fuggita così lontano da Londra e non sarebbe stata piena di abominii. Sarebbe stata solo vita… e mi sarebbe bastata.”
“Ma non ti bastava…” – incalzò Wes.
“Oh, no. Mai. Mi sono illuso che fosse nell’amore la risposta. In quell’amore che per me era cecily. E sai cosa ci ho guadagnato? Sono morto. E mi sono risvegliato. Ed ho ucciso… amato…odiato… e mai trovato quel legame con l’eterno. Mai. Nemmeno nello stare dentro l’eternità stessa. Sempre a caccia, sempre alla ricerca di qualcosa. Ed ora dovrei credere che nella mia caduta ci fosse tutto? Che Dru… buon dio, Dru, proprio lei… possa essere tutto questo?”
“Era amore, Spike. E sono d’accordo con te. Non è abbastanza, non lo sarà mai. Ma tu devi prendere in esame l’evenienza che…”
“No.” – la sua risposta fu così lapidaria da troncare il ragionamento di wes. Si alzò e si incamminò, fino a tornare ad appoggiarsi al piano – “Non ne ho l’intenzione. Tra me e dru passano ancora migliaia di cose inspiegabili… il destino sarebbe solo di intralcio. Ora come non mai.”
Wes poteva non approvarlo. Ma lo capiva.
E capiva la sua sofferenza e che fosse forte come quella di Angel, anche se di diversa natura.
Il fatto che dru fosse un’assassina folle oltre che una vampira non era veramente così importante, per Spike. Come amava dire Angel.. era una della sua vita.
Una definizione per passare sopra ai gradi di separazione.
“Come preferisci.” – si arrese.
E in quel momento si aprì la porta. E una testa ingrigita ma ancora folta sbucò, almeno in parte.
“Westley… dopo le undici niente confusione. Molla il piano.” – mormorò la donna, in un inglese che riportò Spike indietro di un secolo e mezzo. Puro londinese, un balsamo dopo il gracchiare d’oltreoceano. Lo aveva mandato in visibilio nell’istante stesso in cui la stessa donna, alla reception, gli aveva dato le chiavi e augurato buon soggiorno.
“si, zia, scusami.” – rispose l’uomo. E la testa riscomparve. Spike si voltò e lo guardò, esterrefatto.
“Zia?” – ripetè, senza rinunciare ad un sorriso bastardissimo.
“La sorella di mio padre.” - replicò, sulla difensiva Wes - “Vengo sempre qui perché è come stare a casa… di solito dormo di sotto, da lei... ma visto che c’eri tu…”
“E non potevi dirmelo?”
A dire il vero non ci ho pensato, ammise, massaggiandosi la nuca, con gesto imbarazzato.
“E non hai una casa, qui, a londra?”
“Oltre a questa? In effetti si, ma non ci vado volentieri.” – accettò la sigaretta che il vampiro gli porgeva – “Qui sto bene, c’è un calore… bhe, è aria di casa. E tu? Niente proprietà in England?”
“Qualcosa… ma le ho liquidate pressochè tutte negli ultimi anni.” – se ne accese una seconda e la fece ruotare dentro il posacenere, guardando la cenere sgretolarsi – “Non ho mai amato gestire gli affari, le case… ho sempre demandato volentieri. Più pratico…”
“Oh, senza dubbio.”
Era una conversazione tranquilla. Non aveva nulla dei problemi che avevano risolto e delle grane che si profilavano all’orizzonte. Era una conversazione normale e preziosa. Unica.
Tra amici.
Alla fine, sorprendentemente, Spike non provava nessuna difficoltà a sentirlo come tale.
Un amico.
Si erano seduti sulle sfondate poltrone di velluto della zia ed avevano chiacchierato. Per quanto Wes fosse un tipo restio a dire la sua, Spike non poteva che trovarsi bene con la sua enciclopedica personalità.
“Spike… non è cominci a scoprire che abbiamo qualcosa in comune?” – lo provocò, d’un tratto, l’uomo, con un mezzo sorriso. Il poco di alcool che aveva in corpo lo stava rilassando… al pari delle storielle del vampiro.
“Ti dirò, Price,… lo temevo.” – sorrise, di rimando – “a secoli di distanza, tu hai ricevuto un’educazione che è prodotto di quella che ho avuto io..”
“Non esagerare.. passi quella vena di mentalità in comune.. ma da qui alla stessa educazione…”
“Io sarei potuto tranquillamente diventare un Osservatore.” – insistette Spike, con un sorriso indulgente per il se stesso che era stato. Ed una punta di tenerezza per la sua incoscienza perduta – “Te l’ho già detto una volta. Ero nato per vivere in una biblioteca… era la mia ambizione.”
“Stento a crederlo…” – lo schernì Westley, guardandolo. E ottenendo da Spike un’occhiata tale da rendersi conto di un particolare così importante da scordare tutto il resto – “Sai che non ho mai veramente pensato agli anni che abbiamo di differenza?”
“E come mai adesso? Tutto d’un colpo…”
“Te ne stai lì seduto, a parlare di rock… hai i capelli ossigenati e il pessimo gusto per il vestiario tipico di questi tempi... non hai niente che sia del tuo secolo. Assolutamente nulla. Eppure hai più di un secolo, dietro questa facciata. Un secolo di vita di cui nessuno sa nulla… perché non ci ho mai pensato prima…”
“Non è una cosa veramente importante. Ho solo viaggiato di più.” – mormorò, pensieroso. Anche egli, talvolta dimenticava quanti anni scorrevano tra lui e le persona che amava. Tanti, troppi. Forse era anche per questo motivo che, istintivamente, lui e Angel facevano fronte comune, per quanto con tante incomprensioni.
A modo loro, senza poterlo veramente ammettere, erano parte del passato. E le persone che erano a loro fianco, quelle persone che erano le loro ancore… erano solo di passaggio, dirette verso un futuro incognito.
“Ma chi voglio prendere in giro…” – sorrise, interompendo l’angosciante pensiero del domani – “Ci sono giorni in cui questi miei tempi passati mi pesano come macigni. La mia vita se ne è andata, Wes. L’ho persa in un bagno di sangue. L’ho persa a ventidue anni, per pura disperazione. E quando mi sono svegliato… erano passati quasi due secoli. In mezzo non è vita… sono solo giorni…”
Aveva un sorriso strano. E wes si trattenne dall’alzarsi e posargli una mano sulla spalla.
Non sapeva realmente cosa dirgli a riguardo… cosa? Che l’importante era che l’incubo fosse finito? Ma quale incubo… era vita, senza morale e senza un fine… era l’esistenza utopica che tutti prima o poi desiderano. Perfetta, priva di un dovere e di un obbiettivo da conseguire con la fatica. Eterna…
“E’ difficile, per un uomo mortale, comprendere tutto questo, spike.” – commentò, abbassando lo sguardo – “Io combatto i vampiri. Combatto la tua razza e ciò che c’è di sbagliato in lei… ma tu… ed Angel… io vi conosco e non credo di accettarvi solo per la vostra anima… ma anche per le persone che siete… e credo che le persone siano forgiate dalle loro esperienze.”
“Hai ragione. Ma solo in parte. Le esperienze ci hanno reso ciò che siamo perchè erano sbagliate. E perché le rifuggiamo. Certo, possiamo chiamare vita anche la non-vita. Ma è così strano, quando, appena sveglio, ti rendi conto di quanto ti sei separato dalla tua esistenza umana. Quello che ero, quello che non mi piaceva, quello che volevo diventare.. le persone che amavo, i miei sogni.. sono rimasti tutti in una vita di cui per anni non mi è importato nulla.” – Spike si allungò, lasciando scivolare le mani sulle gambe – “ Avevo tutto il tempo del mondo.. ma non avevo più i sogni…solo miraggi…”
“Ed ora è tutto diverso…”
“Certo. È diverso.” – Spike lo fissò, con un lampo divertito nello sguardo – “Lo è eccome.”
“Credo di capire questo tuo rifiuto nei confronti del ruolo di Drusilla.” – aggiunse Wes, non resistendo al desiderio di tornare all’attacco. E sentendosi infantile, davanti a quel ragazzo che non era un ragazzo e che si portava appresso un bagaglio di esperienze che, giuste o sbagliate, erano sempre frutto dell’immortalità – “Quello che conta è adesso, per te. Non prima.”
“Già. Questa è una buona spiegazione…” – concordò, Spike, spegnendo la sua ultima sigaretta – “Io ed Angel ne abbiamo parlato, una volta… e io ho detto che il bello di adesso era non vivere più in un eterno presente. Voi mi fate provare il desiderio di cambiare… ma si, di crescere… ancora un po’.”
L’avevo detto con un’occhiatina storta. E Wes gli sorrise, come se fosse un’altra storiella, o una bella battuta. Ma lo sentiva come un complimento.
“Bhe, andiamo a dormire?” – concluse, alzandosi.
“Non è una cattiva idea…” – disse Spike, stiracchiandosi vistosamente.
“Domani devo sbrigare ancora qualche faccenda burocratica, ma se per te va bene, possiamo prendere l’aereo dopodomani sera… o al più tardi tra un paio di giorni…”
Spike non gli rispose. Si limitò ad alzarsi, silenziosamente.
Soppesando i propri pensieri.
Con calma.
Lasciando che le parole di Wes, fatte di preparativi e considerazioni, lo calmassero. E lo allontanassero da quel quesito ormai cronico riguardo alla sua vita ed alle sue scelte.
Si incamminarono tranquilli, per il corridoio, attarverso le salette comunicanti. Passando, Wes spegneva le abat-jours e le appliques, lasciando il buio dietro di loro. Lungo le scale scricchiolanti, fino a giungere alla loro stanza. A quelle due stanze, poste una di fronte all’ altra, separate solo da un salottino caotico in cui campeggiava, maestoso, il tavolo rotondo attorno a cui avevano discusso ogni più piccolo particolare della strategia e delle ripetute riunioni a porte chiuse con i membri del Consiglio.
“E anche questa è finita…” – sospirò Spike, radunando qualche foglio e un paio di raccoglitori. Scompostamente, in mezzo, giacevano gli ultimi verbali. E, in cima, quasi a simbolo,. Il foglio che comunicava il nome del nuovo Osservatore.
“Adam Pierson.” – lesse Spike, con occhio critico – “ Con un nome del genere,sarà certamente dell’altra sponda…”
“A dire il vero credo di ricordarmelo…” – commentò Wes, accostandosi e imitandolo nel riportare ordine – “un tipo simpatico, solitario… ma potrebbe essere cambiato, con il tempo. Non studiava per divenire un Osservatore per la Cacciatrice…”
“Ah no? Per hobby allora?”
“Diciamo che si occupava di un altro settore…” – rispose, evasivo, il suo interlocutore – “Abbi pazienza Spike, dovrai tenerti la curiosità…”
“Oh, certo, non vorrei mai violare il vostro esoterismo.” – Spike allungò le braccia, scuotendo le mani – “Per carità, non darmi questa croce da portare…”
“Tranquillo, ti risparmio volentieri.” – rispose Wes, finendo di impilare precariamente gli appunti – “Quando sarò a casa, brucerò tutto…”
“Prima fanne una copia, allora..”
“buona idea…” - l’osservatore sbadigliò, vistosamente – “Credo che andrò veramente volentieri a dormire… anzi, mi alzo per salire in aereo…”
“E mi abbandoni in balia dei tuoi simili? Scordatelo, finisci ciò che hai iniziato…”
“Va bene, va bene… dormirò quando saremo tornati a casa…”
“ ah,Wes, a questo proposito…volevo dirti che io… io…” – Spike si appoggiò all’arco e lo fissò – “Io non torno in America.”