Legami di Sangue
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Colpi. Regolari.
Uno, due, uno due.
Spike si levò lo spolverino, abbandonandolo su una sedia. Spolverino che Cordelia recuperò, aggiungendolo alla pila di vestiti che portava in mano.
"Ma Angel è già tornato?" - domandò Spike, rendendosi finalmente conto della provenienza del suono dal seminterrato.
"Come?" - Cordelia aggiunse un altro paio di magliette alla pila e si incamminò - "Ah, no. No, Angel non c'è. È Doyle."
"Come sarebbe a dire 'è Doyle'!" - Spike le urlò dietro - "Ma stai parlando di Francis Allen 'pantofola' Doyle?"
Ovviamente Cordelia, diplomatica sotto il bucato, lo ignorò, avviandosi su per la scala.
E spike si dovette decidere a verificare di persona l'incredibile scoperta.

Al piano di sotto, con metodo, Doyle picchiava il sacco. Aveva un'espressione corrucciata, strana.
Di certo rifletteva. E non sulla tecnica migliore di pugilato.
"Sei anomalo che una mela su un fico." - commentò Spike, fermandosi alle sue spalle.
"Ciao Spike." - replicò Doyle - "Già tornato?"
"Là fuori è un mortorio… soprattutto dopo che sono passati Faith e Angel." - commentò, girando tra le mani un coltello da lancio, prima di riposarlo dove l'aveva trovato - "Sono ancora un po' tesi… Wes?"
"Ha telefonato. Dovrebbe essere atterrato circa venti minuti fa. Arriverà." - un altro pugno e un'alzata di spalle, per contornare l'informazione.
A quel punto, Spike gli girò attorno e cominciò a tenergli il sacco.
"Sentiamo, che ti succede."
"Nulla."
"Ah, nulla."
"Ho detto nulla."
"Lo so, ti ho sentito. Hai detto nulla. Nulla e poi?"
"Avevo bisogno di pensare." - tagliò corto Doyle, continuando ad alternare un destro e un gancio.
"Tu pensi con il Whisky. Chi pensa con i pugni è uno arrabbiato."
"La mia visione era esatta?" - ribattè il demone, ignorandolo e andando avanti nella sua opera di distruzione.
"Perfetta, con dovizia di particolari." - rispose l'altro - "Mi aspettavo più sangue, ma Angel ha detto che andava bene così…"
"Meglio." - spostò il peso e tirò un altro destro - "Meno sangue mi mette sempre di buonumore. Come mai sei qui?"
"sono andati a fare una ronda distensiva. E poi è bene che si parlino il più possibile."
"Giusto." - un altro colpo - "Più che giusto."
"Però, per essere un tappetto sei forte." - commentò, poggiando la spalla contro il cuoio per limitare il contraccolpo.
"Con il prossimo sbaglierò mira." - lo avvertì Doyle, colpendo di nuovo. Solo adesso Spike notò che tirava senza guanti, semplicemente con le fasciature - "Comunque grazie."
"Ma ti pare. Adesso, se finiamo con i preliminari, potresti dirmi cosa hai."
"Aspettavo una telefonata. Non l'ho ricevuta." - rispose, ermetico.
"In compenso ha chiamato Wes." - ricapitolò Spike, girando attorno al sacco.
"Sì." - un pugno meglio assestato degli altri - "Ha chiamato Wes."
"Ok. Adesso smettiamola." - con un movimento deciso si antepose tra il sacco e Doyle. Non era certo dei suoi riflessi, ma lo fece ugualmente - "Cosa ha detto Wes per farti imbestialire?"
Doyle si fermò un istante, ansimando leggermente e rivelandosi sudato fino ai mocassini. Non lo degnò di uno sguardo. Girò attorno a lui e al sacco e ricominciò a menar le mani.
"Nulla che già non si sapesse." - rispose - "E nulla per farmi imbestialire."
Spike girò gli occhi al cielo e ricominciò a bloccare il sacco.
"Nulla di nuovo sul fronte, allora?"
"Nulla. Di nulla. Di nulla." - tre parole, tre colpi - "Wes ha detto che ha un po' di materiale e deve lavorarci. Ha parlato di un legame di sangue e ha invocato gli avi di Travers in maniera poco ortodossa."
"Tutto qui?"
"Non c'è sempre qualcosa dietro, Spike." - sorrise Doyle, spostando di nuovo il peso - "Ogni tanto le cose stanno come stanno. Se vanno male vanno male, se vanno bene … vanno bene."
"Amen." - concordò Spike, annuendo - "E dove si mette in un contesto del genere un mezzo demone pantofolaio che finge di odiare un sacco di segatura?"
"Attento." - Doyle si fermò di botto - "Così mi offendi."
Per poi riprendere.
"E chi doveva chiamarti?"
"Come?"
"Hai detto che aspettavi una telefonata."
"Chi, io?"
"Si, Doyle, tu. Hai detto che aspettavi una telefonata." - ricapitolò diligente il vampiro - "Chi doveva chiamarti?"
"Mmm… sì, può darsi…"
Eccolo. C'era di nuovo Spike tra lui e il sacco. Era assolutamente impossibile.
"Mi hai dato una risposta senza senso." - lo accusò.
"Non mi sembra." - replicò, asciugandosi la fronte e posando le mani fasciate e doloranti sui fianchi. Indicò con la testa - "Che ho detto che non andava?"
"Hai detto può darsi." - ripetè Spike, come se spiegasse ogni cosa.
"Ah si. E perché?" - doyle si strofinò la nuca, aggrottando la fronte.
"Perché cosa?"
"Non lo so, sei tu..."
"Io, io cosa?"
"Spike! Ma si può sapere dove hai la testa?" - domandò Doyle, spazientendosi - "Parli, vuoi risposte… ma se non mi fai le domande in modo comprensibile come faccio a…"
"Ma per piacere!" - sbraitò Spike, con aria sbalordita - "Non mi stavi ascoltando, ammettilo e facciamo prima."
Doyle ci pensò su, guardò in alto le macchie sul soffitto. Poi annuì.
"E' vero." - rispose, ricominciando a pestare - "Non ti stavo ascoltando."
Basta.
Ci rinunciava.
Alzò le braccia in segno di resa e si girò, per tornare di sopra. Fermandosi solo quando si sentì chiamare.
"Ah, Spike." - Doyle lo fissò, appoggiandosi al sacco - "Che cos'era che volevi sapere?"

"Ma si può sapere che gli prende?" - domandò Spike, entrando in cucina.
"Non lo so. So che non gli si può parlare." - rispose Cordelia, continuando a pelare carote - "Gli passerà."
"E non ti preoccupi?"
Cordelia lo guardò sorpresa.
"E perché? Non è ubriaco e sta pure facendo un po' di moto… non posso volere di più." - spiegò, continuando la sua opera - "Certo, sarebbe meglio si applicasse con regolarità… ma non si può avere tutto dalla vita."
Concluse filosoficamente, trasportando tutte le verdure sopra il lavandino.
"Pazzi. Vivo con un branco di pazzi." - Spike scosse la testa e si servì abbondantemente dal freezer. Sbattendo poi il saccheggiato direttamente nel microonde.
"Ma parla per te." - lo mise a posto la ragazza, passandogli anche un tazzone - "Ecco, tieni."
In quel mentre si sentì sbattere la porta.
"E' Wes." - mormorò Cordy, con una punta di apprensione nella voce.
Ed anche se l'Osservatore stava venendo decisamente verso di loro, mollò lo strofinaccio sul tavolo, e gli andò incontro.
"Ciao, Cordy." - mormorò, dandole un abbraccio fuggevole nel mollare il borsone militare sul divano - "Ciao Spike."
"Price…" - salutò il vampiro, restando sulla porta della cucina.
L'Osservatore si doveva essere perso gli occhiali tra l'America e l'Europa. Insieme al rasoio, al pettine e alla giacca di lana inglese.
"Novità?"
"Nessuna di quelle che vorremmo noi." - replicò, sbrigativamente- "lasciatemi il tempo di fare una doccia, poi vi racconto."

Wes aveva raccolto i suoi bagagli ed era andato al piano di sopra. Spike e Cordy, invece, se ne erano tornati in cucina, lui seduto come suo solito sul ripiano, lei tristemente davanti ad una tonnellata di insalata da pulire.
Poi, ad un tratto, suonò il telefono e Cordy rispose, gettandosi in una conversazione piuttosto fitta con Lorne.
E, inevitabilmente, si materializzò Doyle.
"Lorne." - gli comunicò il vampiro, bevendo un sorso di sangue. E Doyle, con un moto di irritazione non nascosto, si diresse verso il frigo.
"Mi dici cosa devono dirti di tanto importante?" - domandò Spike, non resistendo alla curiosità, mentre il demone beveva direttamente dalla bottiglia del succo d'arancia.
"Lo saprò quando me lo dicono." - rispose, criptico, voltandosi, quando sentì rumore di passi.
Faith entrò correndo.
"E' arrivato?" - domandò impaziente, cercando di togliersi del giaccone.
"E' di sopra, si fa una doccia e scende." - le rispose Spike, saltando giù dal ripiano e aiutandola a liberarsi. Sotto la giacca, impigliato, c'era uno dei parabraccio che le aveva regalato. Ormai, sempre più spesso, Faith li indossava per andare di ronda.
"Ok." - Faith si spostò i capelli dal viso, prendendogli le cose di mano - "Faccio in tempo a portare giù le armi."
E corse via.
Aveva un'energia addosso…
Ne aveva fin in eccesso, da quella sera lontana poco più di tre settimane. La ragazza sfibrata dagli occhi cattivi era del tutto scomparsa.
Sparita in un fiume di lacrime e in quattro ore passate con Angel, senza testimoni. Spike le aveva trascorse tutte in camera sua, con l'immancabile chitarra sulle ginocchia. E Cordelia era venuta a tenergli compagnia…

Un altro accordo stonato. Era desolante.
Se lo disse da solo, prima che Cordy alzasse gli occhi.
Stava seduta alla sua scrivania e, per distendere i nervi, si era portata la contabilità da fare. Era come se da tutti quei numeri in fila traesse una nuova certezza, la sicurezza che il mondo non fosse solo casualità.
Lorne, insolitamente silenzioso, quasi esaurito dalle tre ore di cabaret ininterrotto, camminava inquieto, avanti e indietro davanti alla libreria.
Wes non era troppo lontano. Lo sentivano, affacciarsi dalla rampa delle scale e poi tornare indietro. Poi scendere, fino ad affacciarsi da loro. E tornare indietro.
Poi, quando meno se l'erano aspettati, Angel si era affacciato e l'aveva chiamato. Aveva l'aria scarmigliata, ma nel complesso era il solito Angel.
E la porta, si era richiusa dietro Wes.
Di nuovo nulla.
Doyle, sdraiato di traverso sul letto di Spike, leggeva una rivista. Con un bicchiere a portata di mano. Un bicchiere che di certo non conteneva del the.
Di tanto in tanto, attraverso la porta, lui e Spike si scambiavano un'occhiata. Uno metteva a disposizione l'udito, l'altro una splendida visuale sul pianerottolo.
E quando tutto ormai sembrava ormai definitivamente congelato, la porta si aprì e ne uscì Wes, portando Faith tra le braccia.
Nel momento in cui Doyle aveva cambiato espressione, vedendoli, Spike era saltato in piedi e si era presentato sul pianerottolo.
Ma l'Osservatore non l' aveva degnato di uno sguardo, percorrendo la rampa per il piano superiore. E mentre ancora li seguiva con lo sguardo, perdendosi a guardare la mano di faith sul collo di Wes e ricordando come avesse amato portarla in quel modo dopo averla ritrovata, vide anche Angel.
Fermo, come lui, con lo sguardo verso l'alto.
Si scambiarono una lunga occhiata. Ma Angel non fu eloquente nel suo silenzio. Aveva lo sguardo pesto, come chi ha affrontato troppi demoni personali. Occhi scuri e profondi.
Angel si portava la notte, dentro. Una notte che mai, come ora, aveva tentato di uscire, di travolgere tutti loro.
La stessa notte senza stelle che brillava in Faith.
Quella notte che tutti loro combattevano, per vocazioni o perché senza alternativa.
Quella notte che, a rigor di logica era anche dentro Spike. Troppe volte tendeva a dimenticarlo, troppe volte dimenticava di far parte di quel buio. E non era consapevole di come fosse pericolosa.
Lentamente, il vampiro anziano percorse i pochi metri che li separavano ed entrò, facendosi largo tra tutti loro.
Tutti in piedi, dietro Spike. Ma lui non se ne era reso conto.

Angel passò nello studio e si sedette sulla poltrona lasciata libera da Spike. C'era la chitarra, vicino ai suoi piedi, ma Angel non diede l'impressione di averla veramente notata.
Si sedette e si passò le mani sugli occhi, come per riordinare le idee.
E fu Doyle ad avvicinarsi.
Piegandosi sui talloni, per vederlo in viso. E porgergli il suo bicchiere.
Ed Angel, dopo un'occhiata e un attimo di esitazione, lo prese e ne bevve un sorso.
"Tutto come prima." - mormorò, fissando Doyle. Ricordandosi degli altri e alzando la testa, con un'espressione di nuovo vigore.
"Faremo come stabilito. Difenderemo Faith. Tutti insieme."
Breve. Eppure era il discorso degno di un generale innanzi alle truppe.
O forse, più semplicemente, era quello che volevano sentirsi dire.

Tutto come prima.
Era stato deciso e l'avevano fatto.
Ma niente era più come prima. Erano ancora più uniti, ancora più motivati. Su di tutti pesava l'impressione di aver contribuito a quella precarietà. Segreti, piccoli e grandi che si erano ammucchiati in quei mesi di confusione.
Preoccupazioni che non avevano condiviso, timori che sapevano di realtà.
Si erano resi conto di vacillare ed avevano trovato un motivo in più per sedersi intorno allo stesso tavolo.
Ed in mezzo a loro, risoluta e forte, si era seduta Faith. Fin dal principio.
Quella Faith tenuta all'oscuro della situazione ed ora pienamente in guardia contro ogni pericolo.
Wes aveva parlato loro, di ogni cosa. Ed anche se, come aveva più volte ripetuto, lui non era Giles, aveva saputo dividere i compiti e proporre le soluzioni.
Angel si era tenuto in disparte, lasciandolo fare.
Tranquillo e pronto a tutto, come sempre. Il confidente che sempre più spesso chinava la testa per lasciare cha Faith gli sussurrasse in un orecchio.
Inseparabili era un termine che iniziava ad adattarsi ad entrambi.
Taciturni e pensierosi, al limite della loro normalità.
Per il resto era stato, senza mezzi termini, soltanto Angel.
La situazione non lo preoccupava più di quanto non lo preoccupasse la Redenzione. Ogni cosa sarebbe stata a suo tempo, che si trattasse di una profezia o di una salvezza.
Sapeva cosa fare. E sapeva che ne avrebbe avuto l'occasione.
Il resto non contava.

E così, considerò Spike, versandosi una seconda tazza di sangue, erano giunti a quel punto.
Wes era partito di corsa, meno di 72 ore prima, per l'Inghilterra. Ed era già tornato.
Se era stata una trattativa, era stata breve.
"Non fin troppo breve?" - domandò sottovoce Cordelia.
"Non è detto." - spiegò Angel, facendosi passare il proprio pasto - "Wes ha fatto parecchie proposte prima di partire. Lo hanno convocato per la risposta."
"E sei convinto abbiano capitolato?" - replicò scettico Spike. Assiepati come erano, Doyle gli stava a fianco, appoggiato al ripiano. E beveva, silenziosamente, un caffè molto forte.
Angel gli gettò un'occhiata incuriosita.
Il suo connazionale aveva l'aria di uno che ha corso quindici miglia e le ha trovate abbastanza stimolanti da farsene altre quindici.
Soprattutto, cosa fuori dalla norma, taceva.
Dopo essersi impegnato in tutti i modi a parlare con ognuno di loro o con loro tutti assieme se il caso lo permetteva.
Ed ora…. Ora aveva uno sguardo cupo e fissava ripetutamente l'orologio.
"dannazione!" - sbottò all'improvviso - "Tipico di chi ha tutto il tempo del mondo, non essere puntuale."
Scusatemi, aggiunse, quando si accorse che tutti lo fissavano.
Ma non aggiunse nulla, per giustificare quel suo nervosismo.
Faith gli buttò un'occhiata, mentre aiutava Cordelia ad apparecchiare per Wes.
Ognuno aveva abbastanza pensieri da restare in silenzio, in ascolto.
E si sentirono tutti rianimare quando Wes apparve sotto l'arco e venne verso di loro.
Indossava un maglione scuro e aveva trovato il tempo di farsi la barba. Il colletto bianco della camicia, slacciato, faceva contrasto con i capelli ancora umidi e con la carnagione abbronzata.
Una cosa adesso era comunque evidente. Aveva il naso rosso. E spelato.
"Londra a Dicembre è deleteria per chi vive in California tutto l'anno." - commentò, soffiandosi il naso. E sedendosi.
"Allora." - sospirò, riordinando le idee - "Saltiamo i preliminari. Abbiamo la contro proposta. Ovviamente rimangono dell'idea che Faith debba presentarsi in Inghilterra ed essere debitamente giudicata. In alternativa propongono che Faith si affidi ad un loro rappresentante qualificato. O Rupert Giles, a Sunnydale, o ad un altro che disporrà come meglio crede.
Ovvero, deve avere un Osservatore. Io sono fuori."
L'aveva detto tranquillamente, prima che qualcuno puntasse il dito, disperatamente a caccia di una soluzione. O di un raggiro.
Perché ormai bisognava rassegnarsi all'idea di avere solo gli imbrogli dalla propria parte.
"Insomma non è cambiato niente." - commentò Faith, nel silenzio.
"Non è esatto. Hanno posto un'alternativa." - Wes la fissò. Non voleva negare l'evidenza, ma semplicemente mettere di puntini sulle i - "Accettano di lasciarti qui in America. Non sono certo che Giles si sia offerto spontaneamente, ma è una soluzione accettabile."
"La migliore delle peggiori." - commentò Spike, accendendosi una sigaretta e passando il pacchetto a Doyle - "Avanti con la prossima."
Doyle aspirò una boccata e si grattò una tempia.
"C'è già un nome per l'Osservatore?" - chiese.
"Anche ci fosse…" - Wes afferrò la cartelletta che aveva posato precedentemente sul tavolo - "Non darebbe garanzie. Potrebbero cambiarlo… e comunque sarebbe un Osservatore del Concilio."
"I fatti dimostrano…" - replicò Doyle, tendendo la mano e pretendendo i documenti - "Che c'è Osservatore e Osservatore."
Girò quei fogli alla ricerca di quello che sperava fosse un calcio dal destino, mentre Wes seguitava a parlare.
"Non si può contare sul fatto che si faccia avanti qualcuno per senso di giustizia. Tra gli Osservatori c'è brava gente, come ce ne è sempre stata, ma le voci sono tendenziose. Nessuno sa bene come vanno le cose.
Sanno del tradimento di Faith e che il vampiro con l'anima la protegge…"
"I….I vampiri con l'anima… cosa sono io, la ruota di scorta?" - brontolò Spike, leggendo sopra la spalla di Doyle.
"Ma danno per scontato che Angel l'abbia fatta evadere…non di certo che i loro capi abbiano cercato di farla fuori."
"E la questione dei legami di sangue?"
si voltarono tutti a fissarlo.
"Che c'è!" - ribattè Spike, fissandoli - "Me lo ha detto lui."
Aggiunse, indicando Doyle assorto nella lettura delle postille.
"Per legami di sangue di intende la connessione con un Prescelto." - spiegò Wes, strofinandosi i capelli e abbandonando gli occhiali sul tavolo - "Ovvero quello a cui lavoriamo da mesi."
"Un altro vicolo cieco."
"Non è esatto." - Wes scosse la testa e specificò - "Queste sono le loro proposte. E non cambieranno. È un fatto assodato che non ci siano punti di contatto espliciti e univoci che la mettano del tutto fuori dalla loro portata. Ma ne basterebbe uno, anche piccolo…"
si interruppe, fissandosi le dita, ravvicinate a descrivere quella piccolezza del particolare. Era così aggrappato a quella speranza da non aver ancora pensato dove trovarlo.
"Ne basterebbe uno per consolidare la posizione di faith."
"E resterebbe comunque da accettare un'intrusione del Consiglio."
"Quindi." - ricapitolò Cordelia - "O accettiamo un perfetto estraneo qui con il rischio che decida di prendere Faith e portarla via, oppure la spediamo da Giles a Sunnydale."
"Uh, che bello." - commentò l'interessata, accendendosi una sigaretta.
La fiamma dell'accendino non si era ancora estinta del tutto, che già si sentì gli occhi di Angel addosso.
"Solo una." - ribattè, mostrandogliela - "Ne ho proprio bisogno."
"E' vero, ne ha bisogno." - rincarò Spike, tenendo la sua tra le labbra.
Beccandosi la sua parte di occhiata.
"Tu me la travi." - constatò Angel.
"Certo." - assentì allegramente Spike - "Era un fiorellino di campo prima di conoscermi."
Faith lo guardò, sorridendo.
Prima di alzarsi.
"Andiamo." - disse, prendendolo per mano.
"Come scusa?" - Spke la guardò, come si fosse ammattita.
Sorrideva e lo guardava.
"Andiamo a farci un giro. Le scartoffie saranno ancora qui, quando torniamo. E loro avranno avuto il tempo di pensarci…"
spike la fissò, ancora. Era un'idea. Una buona idea.
Anche perché quel clima 'a grappolo' che vigeva in cucina iniziava ad andargli stretto.
Saltò giù dal mobile, senza lasciarle la mano.
"Ci vediamo dopo." - aggiunse, senza guardarli.

E fu in quel momento, che squillò il telefono. E Doyle, con una prontezza inaspettata, rispose al primo squillo.
E, dall'altra parte, il timbro di voce che sentì gli fece provare un tuffo al cuore.
"Sono io."
"Ce ne hai messo di tempo." - replicò, ringhiando. Prima di iniziare a ridacchiare coprendosi gli occhi - "Non sai proprio essere puntuale."
"Un disguido." - replicò l'altro, con fare serafico. Un attimo di pausa - "Whydam-Price è lì?"
"E' qui." - rispose prontamente, puntando gli occhi su Wes. E trovandosi ricambiato, all'istante.
"Bene. La proposta?"
"E'arrivata. La conosci?"
"Certo. Mi è costata un pacco di soldi." - rispose allegramente, non curandosi affatto della pericolosità di quello che stavano facendo - "L'accetterete, spero… oppure dovrai falciare prati fino alla fine dei tuoi giorni per risarcirmi…"
"Ne stiamo ancora parlando." - replicò, abbassando lo sguardo. E puntandolo poi, su Wes - "Hai garanzie per il nome?"
"Amico mio.. chiedilo al destino…"
"Il destino mi dice cosa accadrà… non come." - replicò.
"Al come penso io, infatti… e sono una garanzia ben più di quattro pergamene ammuffite."
"Lo so. Ci credo." - avrebbe voluto aggiungere qualcosa. Ma non riusciva più ad articolare una sola parola.
Eppure, dall'altra parte, non ci furono fraintendimenti. Sono un silenzio altrettanto intenso.
"Resterò qui, a finire il lavoro. Ti chiamo io. Ah, Doyle… lavorate sul legame."
E poi, il suono della chiamata interrotta.
Doyle rimase ancora un attimo con il ricevitore stretto nella mano.
Poi, dopo averlo posato, si voltò, fissandoli tutti.
"C'è riuscito… io, non ci posso.. credere."
Era sconvolto. Gli brillavano gli occhi e non faceva altro che guardarli.
E , quel che era peggio, non spiegava un accidente ai suoi coinquilini.
"Ma di cosa stai parlando!" - sbottò, ad un tratto Cordelia - "E' qui, è lì, ci stiamo pensando, ci è riuscito… non ci stiamo capendo niente!"
"E sarà ancora così per un po'." - replicò Doyle, così spicciativa che Cordelia rimase senza parole.
Sprizzava gioia da tutti i pori - "E' normale con lui."
"Lui? Ma lui chi?" - strillò.
"Wes, ascoltami." - aggiunse Doyle, ignorandola e afferrando il fascicolo - "Qui non c'è ancora il nome. Ma noi abbiamo buone probabilità di sapere quello che ci sarà domani. E adesso, mettiamoci al lavoro."

II
"Due passi sotto la luna…" - spike alzò lo sguardo, con il rischio di essere accecato dalla luce del lampione - "Che cosa romantica…"
"In effetti lo è…" - replicò, distratta, Faith guardando se stessa nella vetrina e vedendo riflesso un gruppetti di ragazzo, con parecchi pacchetti - "Con il Natale alle porte…"
"Non vedo neve. Non c'è neve, non c'è musica o atmosfera. Non è natale."
"Ok, non è natale." - gli concesse.
E lui si fermò, infilando le mani in tasca.
"Ti accontenti solo perché non hai provato il Natale europeo. Quello è Natale con la N maiuscola. Freddo, neve e tutto il resto."
"Ah, deve far freddo per essere Natale?" - domandò, guardandolo di traverso.
"Certo." - rispose Spike, con fervore - "Babbo Natale viene dal nord, ha la slitta e le renne… e la pelliccia sul bordo del berretto e…"
E lui magari non aveva la pelliccia, ma aveva una Faith piegata in quattro dalle risate. E si bloccò, a guardarla.
"Come mai quando parlo con te dico un sacco di cazzate?" - domandò, non riuscendo a nascondere un sorriso.
"Sarà il mio fascino." - replicò lei, con occhi brillanti.
Per un attimo, ebbe il sospetto che, non si fosse riscosso, sarebbe rimasto a guardarla per parecchio, parecchio tempo.
"Allora." - domandò, inclinando un po' il capo con fare accattivante - "Di cosa dovevi parlarmi?"
"Io? Di nulla, volevo solo fare due passi. E non mi andava di farli da sola…" - si strinse un po' nelle braccia, finendo la sigaretta e spegnendola con la punta dello stivale - "Sai, è una città pericolosa per una ragazza… ed è una città che mi mancherà…"
Avevano ripreso a camminare, in silenzio.
"Allora ha deciso che te ne andrai?" - domandò, pacatamente, cercando di non dare troppo peso a quella scelta.
"Può darsi di sì." - rispose, tranquilla - "Non sto pensando di fuggire… l'ho fatto troppe volte, negli ultimi tempi. Ma dovrò prendere atto che.. in ogni caso sarà una partita persa."
"Non mi sembra che Westley la pensi così…"
"Wes.. farebbe di tutto per evitarlo. Ma sa che ci sono limiti che non voglio superare.
Mi sono già costituita una volta, alla polizia, per fare la cosa giusta.
Se ora la cosa giusta è adeguarmi… bhe, lo farò."
Spike si voltò, e le sorrise. Assolutamente tiraschiaffi.
"Che c'è?"
"Sulla tua bocca, quella frase sa di eresia."
"Sarà." - ribattè lei, riprendendo la sua espressione di sfida - "Ma è quello che farò."
"Lo so. Come so che mi mancherai."
E fu lei a fermarsi. A fissarlo, con le braccia conserte.
"Sul serio?"
"Sul serio." - Annuì Spike, seriamente. Eppur senza rinunciare al sorriso.
Faith lo guardò, dritto negli occhi. In quegli occhi acquamarina che aveva notato la prima volta che si erano visti.
A Sunnydale.
E fu allora che ricordò di non averlo mai detto… a nessuno.
"quando ci siamo conosciuti, Spike?" - domandò, decidendo di tergiversare un po'.
"dunque, tralasciando le nomea che ci precede, le persone con cui tutti e due abbiamo avuto divergenze e che quindi parlano male di noi e aggiungendole a quelle che invece ammettono la nostra grandezza…" - enumerò, stando al gioco - "Direi che, di persona… qui, a Los Angeles. "
"Sbagliato." - scosse la testa, divertita.
"Sbagliato? non venirtene fuori con qualche questione strana, tipo sogni, visioni o simili, per favore."
"Non ci penso nemmeno. Il nostro primo incontro è stato… magico." - commentò, con aria sognante.
"Bhe, grazie. Anche io la penso in questo modo." - replicò modesto spike, schivando un paio di ragazze che si voltarono a guardarlo - "Ma io rendo magico tutto, con la mia bella presenza."
"Non sto parlando delle tue doti e del tuo testosterone, Spike." - Faith si fermò. Non riuscendo quasi a trattenere le risate - "La prima volta che ci siamo visti, tu ci hai provato ed io ti ho mandato in bianco…"
spike la fissò, come se le fosse dato di volta il cervello.
"Sei fuori?"
"No." - si avvicinò un po' di più, di modo che i sensi di Spike si tendessero, nel percepire il suo profumo e la sua figura. Poi gli ripetè, con un sorriso che si allargava sempre di più, le stesse parole di allora.
E lui la ascoltò, aggrottando le sopracciglia. Mentre le parole si facevano spazio nel suo cervello. Poi, per un attimo infinito, credette di avere le allucinazioni.
Eppure, per quanto quelle parole gli facessero venire in mente Buffy, continuava a non capire.
"Come sei tardo, Vampiro." - disse, ridendo - "Quando mi sono svegliata dal coma e mi sono presa il corpo di Buffy, tu hai parlato con me, non con lei… ero io, Spike."
Lui aggrottò le sopracciglia. Poi, quando la verità lo colpì come un fulmine, spalancò gli occhi.
"Oh, tu, brutta…" - esordì. Ma Faith era troppo vicino e troppo ridente per perdersi dietro le recriminazioni da copione. Era così vicina che sarebbe bastato un nonnulla per averla. E per perderla, allo stesso tempo.
Il suo cuore stava pompando in direzioni ben sbagliate. E la sola idea che lei veramente partisse gli balenò nella mente. Dolorosissima.
Accecandolo, più del suo sorriso e dei suoi occhi brillanti.
E per un attimo quasi cedette, prima di reagire, prima di perdere l'attimo presente all'interno di un dolore futuro.
Sorrise e scosse la testa, rassegnato.
"Fregato così, due volte, dalla stirpe delle Cacciatrici." - borbottò - Il corpo di una, il cervello dell'altra.. e la sostanza non cambia…"
Chissà che terzetto sareste state, se quella Kendra fosse sopravvissuta….
Di nuovo, il pensiero di quella cacciatrice intermedia lo distrasse.
Inspiegabilmente.
Ma Faith non se ne accorse. Continuando a ridacchiare, si incamminò. Ma da sola. E quando se ne rese conto, si voltò. E lo guardò.
Era come se fissasse un punto infinito, invisibile. E la sua espressione era stranamente concentrata.
Come quella di uno che insegue i propri pensieri con un retino per farfalle.
Allora, andiamo?" - domandò, vedendolo riscuotersi.
Lasciandosi poi raggiungere.

E fu allora che Spike, rispondendo ad un istinto mai sopito, le passò un braccio intorno alle spalle.
Senza sapere di essere osservato.

Camminarono ancora, tranquilli, così stretti. Faith ricambiava quel gesto, stringendogli la vita. Rallentavano davanti alle vetrine, indicando questo e quello, come una coppia impegnata in acquisti.
Fath si voltava, ogni tanto, a chiedere la sua opinione, alzando appena lo sguardo per vederlo in viso.
Scherzando e ridendo.
Sembrava veramente l'ultima sera che avrebbero trascorso insieme.
Poi Faith avrebbe fatto una scelta e sarebbe andata lontano.
Sarebbero cambiate molte cose e nessuno dei due riusciva a soffermarsi sull'idea che potessero essere catastrofiche. O definitive.
E' così strano, mormorò ad un tratto Faith.
"Cosa è strano…" - chiese Spike, con il vago sospetto di sapere già la risposta.
"E' tutto così semplice adesso, da accettare. Come se mi preparassi al peggio e questo non arrivasse." - Faith si tirò indietro i capelli - "Non ho né premonizioni né altro, ma è come se.. se non avesse più importanza."
"Eppure ne ha."
"Oh, lo so. Ma, forse, ho superato il punto di rottura. Non ho fatto altro che pensarci mesi, e mesi e mesi…" - diede un calcio a una lattina - "E adesso non voglio più farlo. Serviva una mano dall'alto che non è arrivata. Sono fuori dal gioco, almeno in questo caso…"
"Ma che cazzata… anche tu, con questa storia. Siamo vissuti tutti senza quest'ombra della predestinazione e adesso, a momenti, non ci faremmo più nemmeno una birra senza una visione di Doyle. Impossibile."
Faith, in cuor suo, sapeva di dovergli dare ragione. Stavano esagerando con le loro teorie. Stavano affogando la loro vita dentro schemi che forse non esistevano. E lei, mai come ora, aveva la necessità di aggrapparsi al grande libero arbitrio per andare avanti.
La sua volontà, le sue scelte.
Niente al di fuori del mondo reale dei fatti.
"Doyle. Ma che aveva stasera…"
"Assolutamente non lo so. Ho provato a scoprirlo in tutti modi. Niente da fare."
Si fermò, per accendersi una sigaretta. E fu quel breve gesto, immobile,lontano dalla luci della strada principale,a permettergli, finalmente di sentirli.
Alzò lo sguardo, senza stupirsi troppo di vedere Faith già allertata.
"Ci hanno seguiti." - dichiarò, in tono neutro - "E tu ed io siamo disarmati…"
"Non mi dichiarerò mai disarmato solo perché sono uscito di casa come ero." - replicò Spike, tirando fuori dalla tasca del giaccone un serramanico.
"Bello, che ci facciamo?" - commentò Faith, cercando con lo sguardo qualcosa di ligneo - "Loro portano le bistecche e tu affetti il pane per il barbecue?"
"Meglio di niente." - ribattè l'altro.
Tre, cinque, sette…
"Sette. Possiamo farcela."
"Confortante. Attacchiamo o aspettiamo?"
"Ti lascio scegliere…."
"Sempre galante Spike, prima le signore…" - Faith spostò il peso e scattò - "E le signore non si fanno attendere…."
Era iniziata.
Picchiavano e picchiavano duro.
Schiena contro schiena, ignorandosi senza perdersi mai di vista.
"Tutto ok?" - urlò, quando lo vide andare a terra.
"Certo, cacciatrice, che domande. Pensa ai tuoi, io penserò ai miei."
Era talmente sicuro di quello che aveva detto, da non rendersi conto di aver fatto un madornale errore.

Li stavano allontanando.
Faith se ne accorse con un attimo di ritardo.
I vampiri non erano più solo sette. Erano di più.
Poteva farcela comunque, ma doveva giocare sul loro terreno. E se loro la stringevano, non poteva che spostarsi.
Non ebbe più tempo di urlarsi battute con Spike. Doveva combattere per la propria vita. E, in cuor suo, sapeva che lui avrebbe fatto altrettanto.
Si sarebbero ritrovati, questo era certo.

Quando l'ultimo fu in polvere, Spike realizzò l'accaduto.
La via era vuota. Si mosse, tendendo al massimo i sensi, per sentire rumori di lotta.
Ma non c'era nulla.

Polvere. Anche l'ultimo era andato.
Faith si appoggiò al muro studiò la situazione. Non sapeva dove si trovava, se non che era un viottolo, più che una strada. A stento ci sarebbero passate due persone affiancate. Come fosse sopravvissuta in una trappola del genere era un mistero anche per lei.
Si mosse, finendo di ripulirsi la giacca e sbucò in una strada secondaria. Non era andata veramente lontana… ed anche il tempo non era stato veramente così lungo. Semplicemente interminabile.
Si toccò la fronte e, trovandosi le dita macchiate di sangue, iniziò a fare il conto delle contusioni e dei dolori sparsi lungo tutto il corpo.
E fu finendo di ripulirsi, voltando su se stessa, che i suoi sensi la misero in guardia. E quando si voltò, la vide, dall'altra parte della strada.

III
Era bella.
Angel aveva ammesso più volte questa realtà, ma Faith non era stata pronta a una cosa del genere.
Non era appariscente come Darla.
Era una bellezza aristocratica, un volto in cui gli occhi erano padroni indiscussi.
Dal colore indescrivibile, quasi viola.
Anche da quella distanza poteva rendersene conto.
Sembrava una lunga e aggraziata bambola, con i boccoli sulle spalle. Lunghi e pesanti boccoli neri, acconciati per non incorniciare il viso, candido come la lunga veste.
Ondeggiò leggermente, tormentandosi le unghie. Aveva un sorriso strano e gli occhi luminosi.
Faith sapeva chi era. Non aveva bisogno di presentazioni. Un brivido le corse giù per la schiena. E, dopo quel singolo attimo di appassionata ammirazione, le parve abominevole.
Ripugnante.
Qualcosa in lei si risvegliò, ferale.
Eppure non si mosse, attese.
E Drusilla, ondeggiando, camminò verso di lei.
“Mi hai riconosciuto, allora.”
“Avrei dovuto?” – chiese, guardinga.
“Sì, mi hai riconosciuto.” – ridacchiò Dru, coprendosi la bocca come una bambina.
“Cosa vuoi, Drusilla?”
“Io voglio….te.” – sussurrò lei – “Ti voglio e ti avrò io, io su tutti… contesa dagli eroi e dagli studiosi… le stelle… anche le stelle ti vogliono. Adesso anche l’Antico giungerà per te. Tu, il mezzo e la causa, tu…”
il suo sguardo era spiritato, ben diverso da quello di pochi attimi prima. Aveva alzato gli occhi al cielo, come in ascolto. E poi l’aveva guardata.
Una bambola. Una bambola minuta e di bianco vestita.
Con occhi viola ed il viso di un cherubino.
Le si era avvicinata.
Ma Faith non si mosse, restando immobile, in ascolto.
E fu allora che Drusilla scattò. Faith si spostò, ma sentì ugualmente gli artigli penetrarle il mento e segnarle la spalla.
Barcollò, arretrando, sentendo il suo sangue scaldarle i vestiti.
Un passo più lenta e le avrebbe aperto la gola.

Mai nessuno l’aveva colpita così. Mai nessuno, se non Buffy, per amore e disperazione.
La scarica di adrenalina la fece ansimare, piegandola. Non voleva la sua morte. Voleva la morte della Cacciatrice e lo voleva con un’incredibile tenerezza.
La dolce luce che le illuminava gli occhi la faceva sembrare ancora più pericolosa. Perché c’era amore, in lei.
Si preparò ad un secondo attacco, ma Dru restò ferma, leccando le lunghe unghie. Smaltate con il sangue della Cacciatrice.
“Buono, buono come l’ultima volta… oh, cara bambina, quanto mi sei mancata… finalmente una Cacciatrice, una cacciatrice solo per me…”

Ma cosa stava dicendo…
Faith strinse gli occhi, cercando di focalizzare cosa stesse nascondendo Drusilla. C’era una seconda presenza, le dicevano i suoi sensi. Una presenza che confondeva, come un eco o una vibrazione… una vibrazione di entrambe.
Com’era possibile, che scherzo era mai questo.
La sentiva alle spalle e la sentiva compagna e nemica, allo stesso tempo.
E quando la sentì più vicina, un’ondata di nausea la colse, facendola cadere in ginocchio.

Passi. Passi ritmati alle sue spalle. Lenti, come quelli di un predatore…
Non osava voltarsi.
Drusilla, batteva le mani, gioiosa. Guardava sopra la testa della Cacciatrice.
Poi i passi cessarono. Ed anche l’espressione di Dru mutò insieme al ritorno del silenzio.
“Oh si, si, è vero.” – mormorò, annuendo vigorosamente – “Non qui, non lei, non vuoi lei…lei è la causa e il mezzo… ma tu vuoi il fine, lo so, lo so.”
Avanzò lentamente, sempre tendendosi verso quella figura ancora nell’ombra del viottolo da cui era uscita Faith.
Ma la presenza si stava allontanando. Faith lo poteva percepire dai mutamenti nel suo corpo. La nausea e il senso di soffocamento si stavano riducendo.
Qualunque cosa fosse, la privava delle forze, la indeboliva nella sua essenza di cacciatrice.
E, presa da questo sollievo fisico, si accorse troppo tardi della sua nemica reale.
Il colpo la mandò lontano.
Faith rotolò sull’asfalto e si tirò su, ansimando.
Ma, ancora una volta, Drusilla non aveva approfittato.
Si era fermata, con gli occhi nelle stelle, congiungendo di nuovo le mani.
Come se necessitasse di un grande bacio con l’universo ogni volta che la Cacciatrice versava del sangue.
“Giusto così…adesso lei è con me, ma sa di non essere mia… adesso ne avrò una tutta per me…”
Faith sputò il suo sangue direttamente sull’asfalto, stupendosi di non vedere anche i denti.
Era stato un colpo ben dato e decisamente violento.
Una persona normale si sarebbe ritrovata come una bambola di pezza, con il collo fratturato.
Ma lei, la cacciatrice, avrebbe potuto semplicemente lamentarsi di alcuni lividi estesi.. e di un paio di costole incrinate.
Drusilla le sorrise. Poi, sotto i suoi occhi, il volto cominciò lentamente a deformarsi in quel del demone che era in lei. Con lentezza impressionante, stravolgendo le ossa e le cartilagini, piegandole e inarcandole fino a formare le prominenze caratteristiche.
Senza che il colore dei suoi occhi mutasse realmente.
“Gli occhi, i miei occhi, ti piacciono, lo so… piacevano a lui, piacevano all’universo. Erano occhi per vedere, non per morire… occhi per guidare…”
si era persa di nuovo nei suoi deliri. E faith questa volta ne approfittò, per rimettersi in piedi e spostarsi. Ancora non sapeva se voleva colpirla.
Lei era parte di Angel e di spike. Qualcosa, nel suo essere, le impediva di alzare la mano su di Drusilla.
Con darla era stato semplice. Era bastato pensare a Spike… era bastato lo sguardo di Angel…
Ma ora, lontana da entrambi, non era certa sul da farsi.
Ma ora…
Ora il pensiero di Spike la frenava. Lui amava Dru. L’aveva amata e l’amava ancora.
Talvolta la chiamava, nel sonno. Faith lo sapeva, l’aveva sentito, nel delirio e nei primi tempi, quando gli incubi di Spike erano vere e proprie grida.
“Tu esisti per causa mia, sciocca ragazzina – soffiò Dru.
Faith la fissò, senza capire. Ma non si soffermò, a riguardo. Se Dru stava per partire con un altro dei suoi vaneggiamenti, bisognava approfittarne.
Bilanciò il peso sulle gambe e si spostò.
“Tu lo ucciderai…” – Drusilla le sorrise, provocandole un’ondata di panico – “Il sangue non potrà nulla, tu sarai la sua morte. Ti chiamerà vita… come ha chiamato me…”
”Sarebbe ora che la smettessi di sparare stronzate.” – si spazientì Faith, fissandola con occhi brillanti. Le faceva paura, con quelle ametiste incastonata nel cranio e quella bocca perennemente in un ghigno delirante.

“Non le credere….” – spike camminò tranquillo, uscendo dall’ombra, fino a frapporsi tra loro.
E si era avvicinato con lentezza, ascoltando. Sapeva di Dru e sapeva di essere sempre stato in grado di percepirla con un istante di anticipo.
Avanzare lentamente gli avrebbe permesso di coglierla di sorpresa.
Ma le parole, dalla bocca della sua Regina come fiumi di potere, lo avevano obbligato a fermarsi.
“Non le credere, faith.” – ripetè, fissando il loro nemico – “Qualunque cosa dica, è menzogna…”
“No…” – Drusilla lo guardò, tornando lentamente al suo viso normale. Quello di una bambina ferita, con il labbro tremante – “Non puoi pensarlo sul serio, amore mio… io non potrei mai mentirti…”
“A me no…” – Spike scosse la testa, finendo di avanzare, fino a frapporsi tra le due. Faith, vedendogli le spalle illuminate, vide anche che aveva l’impugnatura del serramanico che sporgeva dal collo dello spolverino.
Era un posto pericoloso… ma avrebbe colto si sorpresa la vampira.
E fu quel lieve baluginio di un’arma insolita che fece comprendere a Faith la semplice verità.
Non l’avrebbe uccisa.
L’avrebbe ferita, forse, ma non era ancora pronto.
E forse, non lo sarebbe mai stato.
“A me non puoi mentire…” – Spike si sarebbe volentieri acceso una sigaretta. Ma le mani avevano un tremito impercettibile.
Drusilla e faith. Era un incontro che aveva immaginato solo nei suoi incubi peggiori, quelli popolati di vittime innocenti riverse a terra, con gli occhi ormai perennemente aperti verso il cielo.
Gli occhi vuoti dei morti. Erano gli occhi Dru, occhi viola pieni di risposte non dette.
“Ma a lei sì…” – aggiunse, sapendo di aver preso una pausa troppo lunga, prima di terminare la frase – “A lei puoi mentire, vero Dru?”
“No…” – scuoteva la testa, con lo sguardo fisso – “No, io non posso mentire… io devo guidarla, lei è mia…”
“Tua? Di cosa stai parlando, Dru.” – si avvicinò, lentamente. Aveva gli occhi dilatati e scuoteva la testa, come in preda ad una di quelle crisi a cui Spike era abituato.
E fu per quell’abitudine che, quando la vide barcollare, balzò in avanti e la strinse.

E Faith sentì male. Come una fitta, a vederli così stretti. Lui l’aveva afferrata allo stesso modo, a Sunnydale, nella mischia. Aveva piegato la testa, preoccupato, nel sorreggerla.
Ed ora Drusilla, gli stava accarezzando il viso, con la testa reclinata indietro e le labbra dischiuse.
“Mio amato.” – sussurrò – “Quanto ti ho atteso, per queste strade. Quanto ho atteso di rivederti… mi ucciderai, come lui ha ucciso lei… mi farai uccidere da lei?”
aveva l’aria innocente, nello spalancare gli occhi. Come lui ha ucciso lei… si riferiva a Darla, ed a Angel, questo era certo.
“La morte di Darla ti ha ridotto in quel modo?” – sussurrò, appassionato – “Oppure quello che hai accettato mi facesse…”
si sciolse dall’abbraccio e indietreggiò.
Lentamente, in modo studiato.
“Ti appartenevo, Dru. Sei stata parte della mia rovina, ed io ho amato la morte in te come ogni romantico.” – aggiunse, sentendo una nuova energia, ora. L’attimo in cui l’aveva stretta, il desiderio di baciarla era stato forte. Così forte da fargli provare paura – “Ma ora, ho ben altre ambizioni.”
“Ambizione… ero un’ambizione?” – Drusilla lo implorava – “Ero solo questo?”
“Eri molte cose… ma ora non sei cosa mia.” – concluse, affiancando Faith e guardandola, per la prima volta – “Tutto bene?”
la cacciatrice annuì, strofinandosi via dalla fronte il rivolo di sangue.
“Tutto come sempre.” – replicò, beffarda – “Benvenuto in America. Qui le ragazze non svengono così facilmente.”
Spike le sorrise, divertito.
“Perché siete meno sensibili.” – puntualizzò, con un lampo nello sguardo – “Tutta colpa del vostro Natale in spiaggia.”
E faith gli sorrise, sollevata. Lo Spike che era stato, per pochi attimi, era svanito. la poesia, la follia di Drusilla sbiadivano lentamente, in confronto alla forza e allo spirito di quello che era stato il suo compagno.
“Andiamo via?” – domandò.
Sorprendendolo.

Faith sapeva. Sapeva quali erano le sue intenzioni.
E sarebbe venuta meno al suo dovere di Cacciatrice, lasciando andare Dru. L’avrebbe fatto per lui, senza aspettare di sentirselo chiedere.
“Perché no…” – rispose, tranquillo.
Per quello che lo riguardava, era finita.
Ma Dru, come suo solito, avrebbe voluto l’ultima parola… su questo avrebbe anche potuto scommettere.

“Fermati.”
Non c’era nulla di implorante in lei. La voce era dura, irritata senza essere stridula.
“Fermati… stai portando via una cosa mia…” – aggiunse, mutando il volto.
Ottenendo soltanto un’espressione perplessa ed un sopracciglio alzato.
“Di tuo non vedo un bel niente. Me ne vado sempre così, Dru, ogni volta che ci lasciamo… una volta mi porto via la mia macchina e, una volta…” – sospirò, posando una mano sul fianco di Faith e spingendosela dolcemente dietro la schiena – “mi porto via anche qualcosa di più prezioso…”
faith sorrise e decise che, se voleva giocare la partita…
“Più preziosa della tua macchina…” – sibilò, sensuale, percorrendo con pochi passi lo spazio che li separava. E appoggiandosi alla sua schiena, con le braccia sulle sue spalle… quel tanto che bastava da vedere Drusilla fissarla con odio… e, soprattutto, quel tanto che occorreva per sfilare il serramanico dalla giacca di Spike – “Allora è vero amore il nostro…”
“Ma come, Cacciatrice…” – sorrise – “Ne dubitavi, forse?”
L’adrenalina che Faith aveva in circolo, le faceva battere il cuore, con un ritmo irresistibile, per Spike.
La lama fredda, sfilata da quella mano salda, gli provocò un brivido di eccitazione. Faith la teneva tra due dita, stretta tra i loro corpi.
Ed era impegnata a provocare Drusilla, con occhi da gatta.
Dru era agghiacciata. Come se credesse a quella messinscena. Strano, pensò Spike, credevo fosse più acuta…
Crede che io e Faith… pazzesco…
“Lei è mia, tu sei mio…” – sibilò, con occhi fiammeggianti – “E se non posso avere uno, avrò l’altro. Ho creato entrambi, entrambi posso distruggervi.”
Creato entrambi? Ma che cosa stava dicendo. Spike aggrottò le sopracciglia, cercando di contrastare la marea di supposizioni che stavano facendo vacillare la sua concentrazione.
Aveva creato Spike, questo era vero… l’aveva condotto dritto nella notte… ma Faith, cosa poteva centrare con Faith.
“Io l’ho condotta nelle tenebre, lei è mia, è la mia Cacciatrice, solo mia.” – gridò, piegando le mani ad artiglio, e fissandole - “Io uccisi la cacciatrice… io le squarciai la gola e leccai la sua calda essenza.”
Uccidere la Cacciatrice… Drusilla non aveva mai ucciso una Cacciatrice, mai finchè erano stati assieme.
Eppure… oddio, gli stava sfuggendo di nuovo…

Poi comprese.
Un passo indietro…
Doveva solo fare un passo indietro.
“Faith… tu sai di cosa sta parlando?” – mormorò, voltando appena la testa.
“no.” – Faith mosse impercettibilmente le labbra, senza interrompere la sfida di sguardi con la donna – “Speravo me lo spiegassi tu…”
“Nessuno può interrompere un legame di sangue…” – Drusilla avanzò verso di loro, ondeggiando, come una marionetta dai fili recisi – “E se non volete credere a me, crederete all’uomo dagli occhi trasparenti…”
“Doyle?” – mormorò, sorpresa, subito interrotta da Dru, finalmente all’attacco.
Faith e Spike si separarono, rapidissimi ed il pugnale rimase a lei. Si spostarono, in laterale e verso due direzioni opposte. Senza perdere l’occasione di scambiarsi un’occhiata, ritrovandosi uno di fronte all’altro, a pochi metri.
Spike sanguinava copiosamente. Per quanto veloce, aveva voluto essere certo che faith non fosse più in traiettoria, prima di levarsi del tutto.
E Drusilla lo aveva artigliato alla fronte, penetrando con le unghie nelle tempie e nelle guance.
Aveva cercato di strappargli il viso, ma non le era riuscito.
Ed era caduta in avanti, macchiando il lungo vestito bianco. Faith non si sarebbe stupita di vederla piangere, per ginocchia e mani sbucciate. I capelli le erano ricaduti intorno al viso e, come i bambini che si stupiscono del male, era rimasta immobile, in ginocchio.
Solo per un istante, prima di voltarsi a guardarli, dal basso.
“Io l’ho condotta nelle tenebre, l’ho portata nel buio, io ho fatto nascere la cacciatrice che dormiva in lei, scaldando il suo guscio.” – urlò – “Io… uccidere la cacciatrice con le illusioni…. Quali infimo sistema…. Qual sublime follia e quale passione, mio amato… ti ho compreso, ora, ora ho compreso…”
e fu in quell’attimo che Spike capì.
La verità lo colse, raggelandolo.
Rimase immobile, mentre il sangue gli ribolliva e il suo cuore, con una violenza inaudita, lo assordava.
E, non riuscendo a controllarsi, gettò la testa indietro e rise, rise così forte e gioioso che Faith ne fu colta di sorpresa. Rimase bloccata dove si trovava e fissò Spike cha guardava il cielo e… parlava alle stelle.
“Grazie…” – urlava – “Grazie, grazie grazie…”
Così forte che Dru si voltò a fissarlo, come se vedere la follia di un altro potesse farla rinsavire.
Lo fissò, mentre si zittiva e abbassava lo sguardo verso di lei, senza rinunciare a quel sorriso aperto. E davanti a quel sorriso, il suo volto di demone, instabile come la sua mente, tornò a svanire, mentre lei scivolava un po’ di più a terra, battendo le braccia e puntellandosi appena, con i gomiti.
“Hai ragione Dru... le stelle parlano anche quando non vorremmo ascoltarle.” – sibilò – “Ma non sempre sentire la loro voce significa che siano nostre alleate…”
Drusilla lo guardò, cercando di capire.
Spike era così vicino che gli sarebbe bastato ancora un passo per schiacciarle la gola con un anfibio. Invece si chinò, sgocciolando il sangue dal viso , giù, sui suoi capelli e sul vestito. Sorrise, come un demone.
“Lei non è tua. Sarà per sempre mia…” – sussurrò – “Mia, finchè avrò vita per esprimere ed espiare. Mia. Tu l’hai legata a me, Dru, non a te stessa…”
Dru sembrava ad un passo dal tracollo. Le pupille, dilatate a dismisura, rendevano i suoi occhi neri come pece. Sembrava in preda ad un tremito incontrollabile.
“Devo finire l’opera…” – balbettò – “Allora sarà mia, totalmente. Le tenebre, le tenebre che ha dentro devono essere liberate.”
Si era mossa, era strisciata verso di lui, protendendosi, per afferrarlo, per la giacca.
Spike continuava a perdere sangue vistosamente, ma questo non nascondeva il suo viso.
Un viso duro, ma umano.
“Libererò le sue tenebre… tu lo sai.. tu mi hai svelato il segreto…”
e allora, Faith sussultò.
Sotto i suoi occhi, Spike colpì Dru. Un manrovescio così forte da farla rotolare. Gli schizzi di sangue caddero a pochi centimetri dai suoi piedi, e Faith ebbe la visione del polso di Drusilla girarsi in modo innaturale, nel tentativo di non abbandonare la presa.
Spike si avvicinò nuovamente e Faith, per un’inspiegabile sensazione, gli fu a fianco. L’avrebbe protetta, se Spike si fosse solo azzardato a tirarle un calcio.
Ma Spike era troppo signore per fare una cosa del genere e, per molto tempo, si era ritenuto uno che non picchiava le donne.
Il tempo gli aveva dato modo, constatò amaramente, guardando Drusilla, di fare ben di peggio.
“Quel segreto è morto, Dru.” – ringhiò, nel sovrastarla – “E morirò io, prima che venga sfruttato un’altra volta.”
Anche le sue pupille erano dilatate. E lui ansimava, quasi gli mancasse il fiato.
A qualunque cosa si stesse riferendo, era ben peggio degli incubi, del rimorso e della paura.
Era disgusto, misto a terrore.
Era qualcosa del passato. Qualcosa che, con tutto cuore, Faith sperò essere realmente morto.
Drusilla li guardò entrambi, in piedi di fronte a lei. Poi crollò.
Crollò piangendo e rannicchiandosi su se stessa.
E spike si voltò afferrandola per mano e trascinandola via.
Dando a faith l’impressione di fuggire da qualcosa di più grande di un amore sbagliato e perduto.

IV
Corsero a perdifiato, fino a ritrovarsi in uno di quei vicoli che davano sul retro dell’Hyperion. Pochi minuti e sarebbero stati a casa.
Ma spike volle fermarsi ugualmente.
Si appoggiò al muro, ansimando, come se potesse mancargli il fiato.
Fiato che, del resto, mancava a Faith, appoggiata vicino a lui.
“Stai bene?” – domandò lei, più pronta nel riprendersi.
Lui annuì, scostando appena il giaccone. Drusilla, nel tentativo di sfregiarlo, doveva essere rimasta impigliata nella sua catenina e, con uno di quei dannati artigli, era penetrata nel collo.
Il sangue aveva intriso buona parte della maglietta, ma la ferita era già quasi richiusa.
“Tutto ok. E tu?”
le guardò con preoccupazione la faccia. Come lui, perdeva sangue da una tempia ed era sporca e impolverata.
“Una meraviglia.” – rispose lei, passandogli il serramanico.
Era intriso di sudore, constatò Spike, chiudendolo e infilandoselo in tasca. Era colpita ben più di quanto volesse dare a vedere
“Che cos’ha quella tizia, unghie inox?”
“Con Dru, tutto è possibile.” – ribattè lui, sbattendo nuovamente gli occhi e appoggiando la nuca al muro. Poi, come ricordandosi qualcosa, la fissò.
E ricominciò a ridere.
“Non ci posso credere, non ci posso credere…” – singhiozzava.
E Faith, incurante dalla preoccupazione che le dava tutto quel suo sangue che andava ancora perdendo, gli diede uno spintone.
“Ancora con questo giubilo? Non è che per caso sei masochista?”
Lui scosse la testa, cercando di trattenersi malamente. Alzò una mano, stringendosi un po’ nelle spalle mentre Faith, per la tensione e per il nervoso, lo tempestava di pugni sulla spalla.
“Ok, ok, piano Faithy, piano o vado per terra.” – ridacchiò, guardandola e chiamandola con il suo nomignolo, per la prima volta in vita sua.
E Faith pensò che era talmente felice che l’avrebbe abbracciata e baciata.
Cosa che, tutto sommato, non le sarebbe dispiaciuta affatto.
Invece Spike si raddrizzò, assumendo un’espressione improvvisamente seria.
“Dobbiamo dirlo agli altri, prima che sia troppo tardi.” – e l’afferrò per la mano, ancora, senza rendersi conto del rossore che ora, imporporava le guance della sua Cacciatrice.

Radunati nella biblioteca di Wes, Cordelia, Doyle e Angel cercavano disperatamente di stare dietro ad un Osservatore invasato.
In piedi sulla scala, Wes tirava loro bracciate di libri, segnalando rapidamente cosa e dove cercare.
Si ricominciava tutto da capo. Avevano poco tempo e sarebbe dovuto bastare a trovare il legame tra loro e Faith. Quel tanto che bastava da tenerla almeno in America, per quanto in balia di un altro Osservatore.
Ovviamente, a riguardo del suo collega e futuro sostituto, Westley non faceva commenti. Doyle non gli aveva svelato il fatidico ‘nome di domani’ e a lui, tutto sommato, poco importava.
Faith non sarebbe stata più a sua Cacciatrice. E quel legame intenso e clandestino tra loro si sarebbe allentato.
Per sempre.
Una parola troppo breve per un periodo troppo lungo.
Lanciò un altro libro ad Angel e non si preoccupò di aggiungere indicazioni. Angel sapeva benissimo cosa cercare, non gli sarebbe sfuggito nulla.
Doyle stava alla scrivania di noce, tra gli appunti. Sfogliava, con o senza permesso, le annotazioni di Wes, a caccia di un punto slegato. Avevano parlato a lungo, in quei mesi e, spesso, doyle si era trovato, con le sue nozioni del tutto istintive, a disfare nodi gordiani.
Cordelia apriva i testi uno ad uno e poneva segnalibri a tutto spiano. Il tappeto e i tavolini ne erano stracarichi.
Ma la ricerca e la catalogazione, fino a quel punto, non aveva portato frutti.
E fu in quello scenario di desolazione che irruppero Faith e Spike, dopo aver sbattuto la porta d’entrata così forte da far tremare le fondamenta.
“Dobbiamo dirvi una cosa.” – urlò lui trascinando Faith, stritolandole quasi la mano, urtando quasi contro a Angel nel frenare in mezzo alla stanza.
Ohmmioddio la sposa! a quel pensiero, Cordy lasciò cadere a terra tutto e balzò in piedi, seguita da tutti gli altri.
“oh mio dio.” – sussultò Wes, saltando giù dalla scala senza pensare di scendere canonicamente.
Faith era una maschera di sangue, raggrumato e sparso ovunque. I suo vestiti erano tagliati, come se l’avessero presa a rasoiate. E Spike perdeva sangue dal viso, fin giù ai jeans, probabilmente da varie ferite.

“Smettete di cercare…” – ansimò – “Il legame, ho trovato il legame, siamo salvi.”
Lo guardavano senza capire.
E lui, perdendo la pazienza, afferrò Angel e avvicinò i loro visi.
“Siamo noi. Noi siamo i legami di sangue. Io e Angel.” – ripetè, scotendolo e macchiandolo di sangue. Angel gli posò una mano sul petto, per accertarsi che non cadesse in avanti e si protese, cercando di toccare anche Faith.
Spike tremava irrefrenabilmente.
“spike.” - cominciò Wes, cautamente, guardando la sua espressione da invasato e quella stranita di Faith – “Non per contraddirti ma ho studiato e ristudiato…”
“Hai studiato male!” – sbraitò Spike, mentre Doyle si incuneava a forza e lo separava da faith per farla sedere. Per quanto lui fosse plateale con le sue escoriazioni, lei era di certo messa peggio. E scossa.
Faith non oppose resistenza e Spike non pensò nemmeno a discutere, nell’avventarsi su Wes. Gli girava la testa. E Wes, ritrovandoselo quasi addosso, e bloccandolo per le spalle, fu preoccupato da sentire quel cuore battere così forte.
Ad un passo dallo scoppiare.
“Il legame, Wes.” – ansimò Spike, aggrappandosi alla sua camicia e macchiandola – “Il legame non sta in faith, ma in Kendra.
Kendra è morta per mano di Drusilla.
Lei può rivendicare Faith. E noi con lei.”
Wes lo fissò senza capire, sorreggendolo. Spike lo fissava, con occhi grandi e disperati.
“E’ questo il legame di sangue…” – ripetè, aspettandosi una conferma e cominciando ad aver paura di aver sbagliato.
C’era Angel dietro di lui, con occhi sbarrati per la sorpresa. A capo chino, lasciava che le informazioni gli girassero in testa, vorticosamente.

“Ti prego…” – sussurrò Spike, guardandolo ancora. E Wes fu certo di essere stato l’unico a sentire quella preghiera. Lo guardò in viso e si domandò da dove gli venisse tutta quella passione nell’infilarsi in guai più grossi di lui.
E fu allora che tutto divenne più chiaro. Quella era la pista. Ci sarebbero stati tasselli da mettere a posto, ma Spike aveva ragione.
E d’istinto lo abbracciò, forte, facendogli scricchiolare le ossa. Sentendo un peso scivolargli dalle spalle, provando un sollievo così forte da pensare di morire.
“E’ giusto.” - esclamò, guardandoli tutti – “Abbiamo vinto.”

“La notte che io mi alleai con Buffy, Angelus irruppe in biblioteca e si prese Rupert Giles. Non sapevo che Kendra fosse morta per mano di Dru, non mi sono ricordato e comunque mi sembrava irrilevante…”
Parlava a raffica, da dentro i vestiti che Angel cercava di sfilargli a viva forza dalla testa. L’avevano seduto in una delle poltrone della biblioteca e Cordelia era corsa a prendere disinfettante per ripulire le ferite di Faith.
Il sangue raggrumato ed il suo muoversi come un’anguilla continuando a spiegare, non rendevano di certo facile il compito ad Angel.
Il quale, con gran divertimento di Faith, aveva abbandonato le sue elucubrazioni per stringere le labbra, in segno di irritazione, nel continuare a tirarlo per le maniche.
Doyle era stato più spicciativo con i suoi vestiti. Aveva finito di strapparli e li aveva ammucchiati a terra, passandole poi, cavallerescamente, il maglione che Wes aveva lasciato in giro.
La spalla le faceva male, ma nessuno aveva pensato di ricucirgliela. Cordelia, con pazienza, aveva applicato dei punti-cerotto e l’aveva meticolosamente disinfettata. Doyle, seduto sul bracciolo, stava facendo altrettanto con la sua fronte.
“Ve la siete vista brutta…” – mormorò, abbassando lo sguardo.
E Faith, non trovando parole per spiegare il terrore provato, si limitò a sorridergli.
Adesso sono qui.
E va tutto bene.
Non aveva bisogno di dirglielo. Gli occhi di Doyle si erano addolciti un attimo, con lo stesso sorriso appena accennato. Poi erano tornati a fissare la piccola e appariscente escoriazione.
“Certo che ce la siamo vista brutta! Ci hanno circondato e separato… poi sono arrivato e lei e Dru se le stavano dando di santa ragione e quella farneticava…”
Era spaventosamente su di giri. Euforico, o quasi, constatò Wes mentre usciva dalla sua camera finendo di abbottonarsi una camicia pulita.
Era stato lui trascinare di peso Spike su quella poltrona, preoccupato che non ci arrivasse da solo. Quel cuore impazzito che gli si era appoggiato addosso gli rimbombava ancora nelle orecchie, insieme alle sue parole.
Mentre Wes inforcava gli occhiali, Angel e Doyle si scambiarono il posto. Angel si sedette, sul bracciolo, cingendola con le braccia.
“Stai bene?” - Mormorò, baciandola sulla nuca, in un punto che in effetti non faceva troppo male.
“Ora si, grazie.” – replicò lei, soddisfatta, tenendogli il braccio con entrambe le mani. Ed appoggiandosi contro il suo torace. Era stanca… ma serena, così serena da pensar di poter cominciare a piangere e non smettere più.
Se Spike aveva ragione, se Spike aveva veramente ragione… allora lei gli avrebbe anche perdonato di essere stato un pazzo che rideva guardando le stelle.

“Calmati.” – Doyle fu meno garbato di Angel, nell’incastrare Spike seminudo tra l’alto poggiatesta della poltrona e il suo braccio.
Spike cercò di divincolarsi, ma Doyle gli si sarebbe seduto anche addosso, pur di guardare bene quelle ferite da taglio.
“Non hai bisogno di essere ricucito.” – commentò il demone, limitandosi a passargliele con un po’ di cotone, per levare il sangue raggrumato. In piedi, dietro di lui, Cordelia passava l’occorrente, ma gli toglieva la visuale.
“Non mi sembra che il tuo umore sia migliorato…” – constatò, mentre Doyle armeggiava sulla sua guancia. Con una tale grazia da pensare che, date le dimensioni dello squarcio e il suo garbo, gli avrebbe anche strofinato i denti.
“Al contrario.” – sorrise Doyle, facendogli piegare la testa e guardando meglio – “Sono di ottimo umore.”
Adesso più di prima, aggiunse, sfilandogli qualcosa dalla faccia.
“Oh, le hai rotto un’unghia.” - commentò, neutro.
“Ben le sta…” – borbottò lui, cercando di toccarsi il tagli. E finendo respinto, gentilmente.
Adesso, seduto e bloccato, iniziava a sentirsi più calmo. Come se si fosse tolto un peso che lo opprimeva.
Alzò gli occhi verso Doyle e le parole, prima che fossero controllabili, gli sfuggirono di bocca.
“Non riuscivo a focalizzarlo.” – mormorò – “Ho la soluzione in testa da giorni… ma continuava a sfuggirmi, a sfuggirmi…”
Doyle lo fissò e poi, contrariamente alla sua abitudine di non irritare Spike, compì uno di quei gesti che lui odiava.
Gli appoggiò una mano sulla guancia, come una carezza.
E lo fissò dritto negli occhi.
“Sei stato bravo, William.” – sussurrò – “Sei stato molto bravo.”
E spike gli sorrise, grato, rilassandosi del tutto.

“Allora.” – aggiunse Doyle, alzando il tono di voce e se stesso – “Dobbiamo lavorarci?”
“Certo. E molto.” – ribattè Wes, afferrando alcuni fogli e scrivendo rapidamente – “Drusilla ha provato a rivendicare Faith. Se l’ha fatto lei, possiamo farlo anche noi con le stesse carte.”
“Drusilla è matta.” – ribattè senza giri di parole Cordelia – “Vogliamo veramente fare come lei?”
“Il Consiglio starà zitto, Principessa.” – Doyle appariva stranamente freddo, una volta ancora – “Hanno buoni motivi per non contraddire le premonizioni di Drusilla.”
Era un’affermazione ben strana. Ma quando Doyle aggiungeva la parola ‘credetemi’ dietro una frase, non si poteva fare altro che obbedirgli.
Involontariamente, Faith pensò a quello che aveva detto Dru di lui. Aveva detto di chiedere all’uomo dagli occhi trasparenti.
Anche Spike doveva aver ricordato, visto che l’aveva cercata con lo sguardo.
E si erano scambiati un’occhiata, decidendo di tacere.
Anzi, Faith, per quel che la riguardava, sarebbe stata zitta su tutto. Non voleva più pensare a quella ragazza così bella e così folle, né a quello che era intercorso tra lei e Spike.
A nulla. Nemmeno a quel senso di inquietante paura connesso a un’ombra mai svelata che le aveva camminato alle spalle.
“Doyle ha ragione.” – aggiunse Angel, quietamente, senza smettere di tenere la sua cacciatrice tra le braccia – “Le premonizioni di Dru sono esatte. Spesso. Se lei ha detto che Faith appartiene alla nostra famiglia,allora è vero.
Sussiste un legame molto stretto tra l’uccisore di una Cacciatrice e la successiva. Sei d’accordo, Spike?”
“Lo sono. Le cacciatrici lo sentono.” – spiegò, con uno sguardo fermo e tranquillo, mentre Cordelia li passava una maglietta, sigarette e accendino che era andata a prendergli – “Grazie. Sono certo di questo, infatti ho sempre cercato di scoprire dove si fossero attivate le Cacciatrici successive alle mie uccisioni.”
Era una cosa discutibile, moralmente parlando, pensò Wes. Ma tra la morale applicata e l’efficacia di una nozione, spesso, passava un abisso.
Spike era una fonte ricchissima, sull’argomento. Eppure Faith si sentì ugualmente di intervenire.
“E’ vero. Drusilla mi mette i brividi addosso…”
“Posso garantirti che è un effetto che fa a molti.” – scherzò Angel.
La presenza di Drusilla in città, dopo aver perso le sue tracce per così tanto tempo, lo preoccupava. Dove fosse stata, perché avesse deciso di svelarsi… nella mente di Drusilla stavano tante risposte impossibili a queste domande… e tante letali soluzioni.
Alzò la testa e non si stupì di vedere Spike fissarlo. Ha sofferto la morte di Darla tanto quanto noi? Domandò con lo sguardo.
Pensi che tornerà?
Sì, a entrambe le domande.
Spike annuì, impercettibilmente.
Si sarebbero dovuti preparare.
Ma ora, paradossalmente, avevano con Drusilla un debito di riconoscenza.
“cosa facciamo ora?” – domandò Cordelia, restando in piedi vicino alla poltrona di Spike.
“Raccogliamo materiale a riguardo. Tutto quello che possiamo trovare.” – Wes non aveva mai smesso di scrivere. Alzò la testa dolo per fissarli, con una determinazione che ormai sembrava ardere di continuo – “E poi li freghiamo, sul loro stesso terreno.”

Lavorarono tutta la notte, o meglio, per il tempo che restava.
E tutto il giorno successivo.
A metà del pomeriggio squillò il telefono.
Doyle, di ritorno da alcune commissioni, afferrò il ricevitore in camera di Spike, senza curarsi del vampiro che, con i capelli umidi si affacciava dal bagno.
“Sono io.” – rispose, prima ancora di sentire con chi stava parlando. Poi armeggiò, per levarsi la giacca e non perdere le fotocopie.
Dall’altra parte gli rispose una risata.
“Bel colpo, Francis. Hai barato.”
“Non scherzare… sono ore che aspetto, come al solito.” – alzò lo sguardo. Spike, avvolto nell’asciugamano e grondando sulla moquette, lo fissava sospettoso. I graffi sulle guance e sul collo apparivano meno scavati. Si stavano rimarginando, come era del resto inevitabile.
“Hai qualcosa da dirmi?” – replicò l’altro, ignorando le lamentele.
“Certo. Abbiamo il legame.”
Dall’altra parte gli rispose il silenzio.
“Ottimo.” – la risposta si era fatta attendere. Ma Doyle aveva una vaga idea del motivo.
Lo immaginava, in una cabina, con un piede appoggiato alla porta. E lo sguardo perso. Probabilmente era sul fiume… e vedeva il Big Ben. Fissava l’orologio e si domandava quanto tempo avrebbe dedicato a questa nuova avventura.
In altre parole, pensava alla fregatura che stava per prendersi.
“Ehi. Ci sei ancora?” – domandò Doyle.
“Certo. Certo.” – sospirò – “Bhe, a questo punto, allora, vado a ungere l’ultima ruota.”
“Bravo, ottima idea.”
“Ci vediamo presto…”
“Lo so.” – sorrise Doyle. A modo suo, avrebbe guadagnato qualcosa da tutta quella storia.
Qualcosa che per lui era importante quanto faith.
Mise giù. E fisso Spike, sempre fermo.
“Che c’è?”
Spike fece per dire qualcosa. Ma Cordelia, affacciandosi dal piano di sopra, lo chiamò con premura. Prima di sparire in biblioteca.
Spike gli puntò un dito contro e fece per aprire bocca di nuovo. E cordelia gridò di nuovo.
“Va bene, ho capito, arrivo!” – sbraitò lui, stringendo l’asciugamano con entrambe le mani e facendo di corsa le scale,a piedi nudi.

“Presente.” – mormorò, frenando a lato della scrivania e chinandosi a guardare gli appunti che Wes stava ancora segnando.
“Sei certo di questo?” – domandò lo studioso, puntando con la matita un paragrafo e non degnandolo di uno sguardo.
A differenza di Cordelia.
C’era un ragazzo molto biondo e molto nudo nella sua biblioteca.
Anche Angel aveva interrotto i suoi studi, all’altro tavolo. Ed ora lo guardava, aspettando di vedere quanto tempo sarebbe servito a Wes per accorgersi che Spike stava lasciando impronte sul suo pregiato tappeto persiano.
“Certo. Questo è giusto.” – mormorò, sbrigativamente Spike, tendendo una mano e trascinando più vicino un altro tomo – “Qui è espresso lo stesso concetto, ma in modo meno esplicito…”
Seguitava a parlare, rapidamente, afferrando appunti e libri.
Ricordava il nome di ogni edizione gli fosse passata tra le mani nelle ultime quattordici ore. E, con buona approssimazione, ogni riga letta.
“Faith.” – urlò – “prendimi quel libro che chiami ‘schifido’ dallo scaffale quattordici.”
Si sentì un certo tramestio e apparve Faith. Dolorante o no, odiando il contenuto dei libri, faceva la sua parte come manovalanza.
Gli porse il libro, tenendo in bilico su una mano sola tutti gli altri.
Poi lo sguardo le si focalizzò sull’asciugamano, risalendo su dalla schiena, verso le spalle ampie e umide.
E i volumi caddero tutti.
Spike si voltò, sorpreso.
E fu allora che Wes, buttandogli un’occhiata, perse la matita.
Spike aveva fatto un passo indietro, stringendo ancora il tomo che aveva afferrato.
E fece per chinarsi, ad aiutarla con gli altri.
“Per carità, non lo fare!” – urlò Cordelia, buttandosi in ginocchio e afferrando i volumi a manciate.
Lo sguardo di Wes passò da Cordelia a Faith, trovandole entrambe decisamente colorite in viso. Poi tornò a Spike, ancora fermo, con un libro in una mano e l’asciugamano stretto nell’altra.
Con un sorriso che prometteva una rissa.
“William.” – disse Angel, con un colpo di tosse – “Sarebbe meglio che ti vestissi…”
Spike alzò lo sguardo nella sua direzione. E poi tornò a fissare Faith.
Era rimasta inebetita e lo fissava, con un rossore uniforme su tutto il viso.
“Sul serio, Spike.” – rincarò Wes – “Posso aspettare per quella delucidazione… vai pure a vestirti…”
adesso era il suo turno beccarsi un’occhiata.
Spike posò studiatamente il libro sulla scrivania, con l’espressione soddisfatta del gatto che ha mangiato il canarino.
“Se puoi fare a meno di me per qualche minuto…” – mormorò, compito – “Altrimenti mi posso fermare…”
a quel punto a Cordelia caddero di nuovo i libri.
“Posso fare a meno di te.” – replicò precipitosamente Westley – “Ma tu infilati qualcosa addosso, prima che la concentrazione delle mie collaboratrici sia definitivamente evaporata.”
Spike gli sorrise, scanzonato e si avviò alla porta.
Gonfiando con il suo ego.
“Con permesso signore, tornerò il prima possibile.” – aggiunse cerimoniosamente. Scambiandosi con Doyle, che entrava scotendo la testa.
Angel rideva da dietro il libro.
E Cordelia, con aria disperata, sempre seduta sul pavimento, guardò Doyle. Con tanto amore.
Poi gemette.
“Non riuscirò mai più a vederlo con gli occhi di prima.”
“Allora saranno tempi duri.” – replicò rassegnato Doyle, chinandosi e baciandola. E sentendosi afferrare per il collo e ricambiare con un trasporto che lo mise di buonumore.

Faith rimase abbacinata, dove si trovava.
“Faith, per piacere…” – chiese Wes, per trarla di impaccio – “mi prendi il terzo volume dell’enciclopedia?”
La ragazza annuì, risparendo tra le scaffalature.
E Wes la seguì con lo sguardo, prima di voltarsi a fissare Angel.
Adesso è certo, sembrava dire Angel, con una punta di divertimento. Anche le roccaforti imprendibili prima o poi vacillano…
Wes sorrise e, scotendo la testa, tornò ai suoi appunti.

V
Vestito di tutto punto, Spike si rivelò un utile aiutante e una distrazione limitata.
Sapeva parecchio, riguardo a come ci si muove in una biblioteca. E non abbandonò più la stanza, dopo esserci tornato, per oltre sei ore.
Avevano deciso di alternarsi, per poter dormire qualche ora ciascuno. Ma la verità pura e semplice era che nessuno voleva andarsene, prima di sapere come sarebbe finita.

Alle tre del mattino successivo, Wes, finalmente, posò la penna e si alzò dalla scrivania.
Si stirò e scavalcò Doyle che dormiva, allungato sul tappeto, con le braccia dietro la testa. Aggiustò la coperta in cui si era arrotolata Cordelia, un tutt’uno ormai con la poltrona, e proseguì, fino alla finestra.
Fuori, nella luce artificiale della strada, non si muoveva nessuno.
Wes si grattò pensosamente la barba che già di nuovo gli ombreggiava le guance. Non ricordava di aver dormito, se non in aereo.
Non ricordava di aver dormito, da ben più di tre giorni.
Non dormiva da una vita, tutto sommato.
Buffy era morta ed era ritornata.
Faith aveva percorso una strada dura e in solitudine che, per un soffio, non era sfociata nel rancore. Angel aveva avuto un estate di silenzio e Spike era andato tanto lontano da smarrire quasi la via di casa e se stesso.
Ben più di una vita, allora… forse.
Si strofinò gli occhi e si spostò, per fare spazio a Angel, all’ombra della stessa tenda. “Ciao.” – mormorò Angel, sedendosi sul davanzale. Era andato a fare due passi, per distendere i nervi. E per avere qualche minuto di solitudine. Una necessità molto simile alla respirazione degli uomini - “Ci siamo?”
“Siamo quasi pronti.” – Wes annuì, appoggiandosi alla finestra – “Mi prendevo due minuti, prima di iniziare a fare i bagagli.”
Girò la testa, abbracciando la stanza con lo sguardo. Gli sarebbe mancata, fu il primo pensiero.. ed il secondo che, dopo tutto il tempo che vi aveva trascorso, si sarebbe fatto addirittura cambiare di stanza per non doverla nemmeno attraversare.
Poi la sua attenzione fu attratta da Faith, addormentata nella poltrona, in una posa simile a quella di Cordelia.
Appariva piccola e inerme, come non mai.
“La proteggi tu finchè non torno?”
Angel gli sorrise.
“La proteggo anche quando torni.” – commentò.
Wes lo fissò, con l’ombra di un sorriso stanco e chinò il capo. Si strofinò la nuca, pensosamente e gettò di nuovo un’occhiata in strada.
“Sei preoccupato per Dru?”
“Non l’ho incontrata. E credo sia un male. Avrei preferito avere subito io un raffronto... non loro.”
“Se la sono cavata bene. Tutti e due.” – Wes guardò una macchina solitaria transitare – “Meglio lui di lei. Lividi a parte.”
“Forse.” – rispose Angel, evasivo.
E Wes si voltò.
“Pensi con non abbiano raccontato tutta la verità?”
“Penso che quando due si sono amati per oltre un secolo, ci sia sempre qualcosa di nascosto.” – sospirò Angel. La macchina aveva svoltato e la scia dei fanali stava lentamente svanendo – “Se è importante, verrà a galla. Spike non metterà in pericolo nessuno, se può evitarlo.”
“Nessuno. A meno che non si tratti di se stesso.”
Wes aveva ragione, Angel lo sapeva. Sapeva che Spike si sarebbe tenuto per sè i segreti se avessero riguardato solo lui.
“starò attento.” – rispose. E Wes gli sorrise.
“Vorrai dire staremo.” – replicò, tranquillo.
Guardava di nuovo Faith, appoggiandosi con la nuca all’intelaiatura di legno.
“Già lo sento.. sarò una suocera.”
L’aveva detto con una tale rassegnazione che Angel non potè fare a meno di ridere.
“Addirittura.”
“Temo di sì, amico mio. Sono geloso. Molto geloso.”
“Puoi stare tranquillo. È un bravo ragazzo, sotto sotto.” – disse Angel, decidendo di stare al gioco – “Dopotutto, l’ho cresciuto io.”
L’aveva detto con un tono tale che Wes si ritrovò presto a ricambiare le risa.
“Senza la sua folgorazione, non saremmo giunti a capo di niente…” – aggiunse, tornando serio – “e l’avremmo persa.”
“Lo so. Non faccio altro che pensarlo, fin da quando sono entrati da quella porta. Ho temuto il ritorno di Drusilla, fino alla nausea. E invece…”
“E invece, ottimisticamente parlando, al posto che dire le disgrazie vanno due a due, possiamo ammettere che una arriva, risolve la precedente e si insedia.” – Wes si lisciò il maglione, raddrizzandosi – “Così non perdiamo l’allenamento, tra un’apocalisse e l’altra.”
“Giusto.” – anche Angel si era alzato – “Scendo a cambiarmi. Se ti serve qualcosa…” “Niente, grazie. Raccolgo le mie cose e ributto tutto in valigia. Passo a salutarti, prima di andare.”

Angel fece stancamente le scale. Un’altra volta. Ormai non contava più i gradini, li percorreva fiaccamente, andando in una direzione o nell’altra.
E, giungendo sul suo piano, prima di andare in camera sua, aveva preso un’altra strana abitudine.
Attraversava il pianerottolo e bussava.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, bussava.
Anche se spike, per principio, piombava non invitato, sorprendendolo con nuove proposte o lamentele, Angel non smetteva mai di rammentare quanto odiasse le intrusioni nel suo spazio.
E allora bussava.
Non gli costava nulla.
E gli dava il piacere di aver fatto una cosa gradita.
“Avanti.”
Anche la risposta era divenuta un’abitudine. Spike lo urlava da sotto la doccia, da dietro la scrivania e per passare sopra il volume assordante dello stereo.
Talvolta lo bofonchiava nel sonno. Ed Angel apriva la porta, per poi richiuderla subito, prontamente.
Quella volta, invece, gli aveva risposto una voce tranquilla.
Angel aprì la porta ed entrò, lentamente. Spike spuntò in quel mentre dallo studio, con un paio di libri in mano.
Sul letto, c’era una sacca.
“Dove vai?” – domandò Angel. La vista di quella valigia semipiena con i vestiti appoggiati intorno l’aveva lasciato perplesso.
“Lo sai dove vado.” – sorrise, infilando i libri e le magliette – “A Wes serve un supporto.”
“Vai in Inghilterra, allora?”
“già. Ne so parecchio di Cacciatrici che si attivano e di Cacciatrici che muoiono. Posso dare una mano.”
Gli voltava le spalle, proseguendo a riempire la sacca. Ed Angel gli girò attorno, sedendosi sul letto e allungando le gambe.
“Sei certo di quello che fai?”
E spike si fermò, lasciando andare quello che teneva in mano.
“L’Inghilterra non mi fa né caldo né freddo.” – mormorò, fissandolo – “Mi manca, tutto qui. Ma non vado per un viaggio di piacere. Vado perché posso essere utile.”
“Sei utile anche qui.”
“Non mi dirai che stai soffrendo di solitudine.”
“Non io, Faith.” – ribattè Angel, così prontamente che Spike ne fu assolutamente colto di sorpresa – “Senza contare che Drusilla tornerà a cercarla.”
Spike non rispose, rimase in silenzio, a raddrizzare i cd, sulla mensola, dandogli le spalle.
“Tu la proteggerai. Lo sappiamo tutti e due.” – rispose, dosando lentamente le parole. Ed i gesti, per voltarsi – “Ed io so che non tornerà per lei. Finchè sarò lontano io…”
“Allora è anche questo. Sei tu il prossimo bersaglio.” – mormorò Angel, allungando un braccio e giocherellando con un libro rilegato – “Perché non io?”
“Non le interessi abbastanza.” – rise forzatamente Spike – “Non te l’ho già detto una volta?”
Angel sorrise. Sapeva che stava mentendo. Come l’aveva saputo la prima volta.
Erano una famiglia, lo erano stati, loro quattro. Indipendentemente dalla realtà dei fatti, i loro legami erano sempre stati perfettamente bilanciati.
E se ora Spike si comportava in quel modo, era per qualcosa che non avrebbe svelato facilmente. Qualcosa solo suo e di Dru.
Ma Spike doveva essere stanco di quel gioco. E parecchio.
“Angel.” – aggiunse, cambiando espressione. Con lo sguardo ancora più in risalto tra le cicatrici ormai quasi scomparse – “Non sono tanto stupido da credere che resterai fuori dalla questione. Prima o poi, o io, o Dru, ti tireremo in ballo. Ma fino ad allora ti prego, fa finta di non averci mai conosciuti.”
“Mi chiedi una cosa impossibile, William.” – replicò guardandolo, ai piedi del letto, le mani sui fianchi. E l’aria di chi si aspetta qualcosa – “Tu e lei siete troppo importanti nella mia vita. Non ne ho mai fatto mistero. Ma c’è una cosa che è meglio tu sappia. Se Drusilla toccherà Faith, Cordelia o uno di voi… io la farò fuori. Senza alcun rimpianto.”
Spike lo fissò, un momento interminabile.
Poi si voltò aprendo l’armadio.
“Saresti stato credibile.” – ammise – “Non avessi detto una cazzata madornale proprio sul finale…”

Scesero le scale insieme. E sentirono il taxi frenare, davanti al cancello.
Anche Wes doveva averlo sentito, perché discese, con la giacca già indosso, e la sacca sulla spalla. Aveva anche una valigetta in cuoio, di quelle solitamente in mano ai professori.
“Inverno londinese, eccomi.” – mormorò, con un luccichio negli occhi.
Voleva essere allegro, ma era solo stanco. Tanto stanco.
Non si stupì di vedere spike pronto per un viaggio. Probabilmente già lo sapeva, ammise Angel. Ne avevano parlato, nei ritagli di tempo. Oppure l’avevano sempre saputo, dal momento in cui Spike si era appellato a lui per avere conferma delle sue supposizioni.
“Andiamo.” – disse l’osservatore, affiancando Angel. Fuori, il taxista dava segni di impazienza, con il bagagliaio già aperto.
Spike si attardò a spegnere una sigaretta. Poi afferrò la sacca e se la pose su una spalla.
E si voltò, risolutamente.
Tornava a casa. Tornava in Inghilterra. Come tante altre volte.
Solo che, adesso aveva un’anima. Occhi nuovi e ricordi vecchi per assaporarla.
Belli o brutti che fossero.
Era già alla base dei gradini, quando sentì sbattere la porta dietro di lui.
E, sotto il portico, scarmigliata e a piedi scalzi, apparve faith.
“Dove stai andando?”
“A casa.” – le rispose Spike, sorridendo, voltandosi e alzando la testa, per guardarla.
“Casa è qui, Spike.” – gli rispose Faith, con occhi bui e tristi.
“Allora tornerò.” - aggiunse irriverente il vampiro – “Ti mancherò?”
E lei annuì, guardandolo.
“Mi mancherai. Sul serio, Spike. Mi mancherai.”
La fissò ancora, per imprimersela nella mente. Sul cancello, lo sapeva, Angel stava già allungando un paio di banconote mancia per il disturbo extra.
E si voltò per andare via.

Gli bastò un attimo per cambiare idea.

La sacca non era ancora caduta sul sentiero, ma Spike era già di fronte a faith, in cima alla breve gradinata.
E prima che lei potesse dire qualcosa, o appena rendersene conto, la baciò, afferrandola per le braccia.
La baciò con forza e possesso. E lei, sorprendentemente, ricambiò, infiammandosi su quelle labbra gelide e umide.
Quando si separarono, trovandosi ancora abbracciati e ansimanti, Spike le sorrise, e alzò la testa.
“Guarda lì.” – mormorò – “Vischio.”
E faith con la paura nel cuore per quel bacio rubato, gli sorrise. E annuì.
Avrebbero avuto tempo. Adesso ne erano certi.
“Anche noi americani ne sappiamo qualcosa di tradizioni natalizie…” – aggiunse, sorridendo. E carezzandogli le labbra, in punta di dita.
“Meno male.” – replicò lui – “Buon Natale, Cacciatrice.”
“Buon Natale, Vampiro.” – rispose, mentre Spike si allontanava, per afferrare la sacca e andare via.
Lo vide passare veloce vicino a Angel, senza una parola, ma rallentando il passo, in una breve occhiata.
E fu Wes, a salutarla con un cenno, ancora, dal finestrino del taxi già in movimento.

VI
Erano rimasti solo loro, sotto al portico. E Faith, improvvisamente consapevole del vento freddo del primo mattino, si strinse un po’ di più le braccia.
“Rientriamo?” – propose Angel, guardandola.
“Solo un attimo, ancora.” – gli rispose Faith, fissando il punto in cui la macchina aveva svoltato.
Prima di tornare ad essere semplicemente Faith.
Lo tirò per la manica e gli diede un bacio, sulla guancia. Ed Angel la guardò, con un sorriso.
Sapeva di Spike, quel bacio. Ma Faith, probabilmente, non aveva badato a questo particolare.
“Vischio, Angel. Si usa anche in Irlanda?”
“Ormai è tradizione di buona parte del mondo, Faith.” - Replicò, ricambiando il bacio e stringendola un po’ tra le braccia. Mentre seppelliva un nasino gelato tra i suoi pettorali – “Oh, bimba,bimba…”
“Dimmi, Angel.” – sospirò lei, alzando la testa per vederlo e piantandogli il mento dove prima teneva il naso – “A cosa stai pensando?”
“A nulla in particolare…” – replicò, cercando di sembrare svagato. Malamente.
Ma Faith non insistette. Aveva una vaga idea della linea di pensiero che stava probabilmente seguendo. E aveva il vago sentore che, in taxi, fosse in atto un terzo grado piuttosto inquisitorio.
“Sono successe così tante cose.” – sospirò, riappoggiando la guancia la maglione ruvido. E abbracciandogli il torace – “Sono così stanca…”
“Anche io, Faith. Ma ora so che abbiamo ben più di una speranza. Abbiamo una certezza che ci farà dormire tranquilli.”
“Tu lo credi? Lo credi veramente?”
Sì, lo penso sul serio. Spike ha ragione, cercavamo nella direzione sbagliata. Analizzavamo il tutto a partire dalla tua Iniziazione, non dalla morte della Cacciatrice precedente.
“Tecnicamente la cosa peggiore che possono dirci è proprio che abbiamo liberato le tenebre che erano in te…”
“Uff, tremendo…” – sospirò lei, melodrammatica.
“…e che quindi è colpa nostra se hai qualche defaiance ogni tanto…” – aggiunse, prendendola vagamente in giro.
“Ti rendi conto, Angel, dell’idiozia di questa affermazione? Come dire che ogni Cacciatrice ha uno spazio interiore di pura ombra, solo perché si attiva ogni volta con un bagno di sangue…” – si interruppe. Parlare di ombre le aveva riportato alla mente quella sgradevole sensazione che Drusilla non fosse sola. Reale o fittizia che fosse quella presenza, la ricacciò in fondo alla mente.
Angel non rispose.
Rimase a fissare un punto sconosciuto.
E non disse nulla, per non lasciar sfuggire dalle labbra il peso che di colpo aveva inspiegabilmente sentito al centro del petto.

Quando si svegliò, l’Hyperion era ancora immerso nei sogni.. L’aria fredda e nitida della notte, dalla finestra aperta, era un balsamo per i suoi pensieri.
Spike e Wes avevano telefonato. La loro permanenza in Inghilterra era cominciata. Spike gli aveva parlato, lamentando il tempo, le luci, la folla e i giapponesi in soprannumero. E mai Angel l’aveva sentito così felice di lamentarsi.
Wes, invece gli era sembrato tranquillo, quasi nauseato dalla sua capitale. L’aveva vista così tante volte, negli ultimi mesi…
Doveva essersi addormentato, dopo la chiamata tanto attesa. Ed addormentarsi sul divano, ragionò, movendo le membra intorpidite, non era stata una buona scelta.
Se non per la presenza di quella splendida cacciatrice bruna, insediata sul suo stomaco.
Il cuore di Faith, vicino al suo, batteva tranquillo. Se mai aveva battuto forte, in quel bacio rubato, sotto il portico, Angel non lo seppe mai.
Il cuore di Spike l’aveva sovrastato e coperto all’attenzione dei sensi di Angel. Era stato una vibrazione forte e piena.
Il cuore di Spike era un gran organo, si fermò a pensare. Era uno scrigno per miriadi di emozioni, la maggior parte delle quali priva di nome.
E incomprensibile ai più.
Spike si portava all’interno un mondo.
E non era per niente selettivo all’entrata, rise Angel, silenziosamente.
Come gli sarebbe piaciuta quella metafora. Il suo cuore era una stamberga in cui tutti entravano… e parecchi sfasciavano mobili.
Doveva essere un bel problema… povero, povero William…
“A cosa stai pensando?” – domandò Faith, inarcando un po’ la testa, per appoggiarsi meglio.
“A tante cose.” – replicò Angel, allentando un po’ l’abbraccio per lasciarla libera di muoversi – “E, andando avanti con questo ritmo, saranno sempre di più.”
“Soprattutto con Drusilla tra i piedi.”
A dire il vero, non stavo pensando a lei… ma tu sì, a quanto pare…
Angel piegò la testa, intrecciando le mani tra i suoi capelli. Gli facevano il solletico e gli scaldavano le mani.
“Non è stata una bella esperienza, vero?”
“Decisamente no, non delle migliori della mia vita.” – replicò Faith, con una breve alzata di spalle. Poi finì di assestarsi, posando il mento sulle mani e distribuendo il suo peso sul corpo di Angel.
E guardandolo, sospettosa.
“Da quando ci concediamo così tanto al contatto fisico?” – domandò.
Non le era quasi mai capitato di stare così addosso ad Angel. Aveva dormito con lui solo un paio di volte, da quando vivevano insieme.
Un paio di volte in cui la stanchezza aveva avuto la meglio su entrambi.
E mai, prima di allora, lui l’aveva tenuta così stretta, perennemente in un abbraccio.
“Ho avuto così paura di perderti da decidere di fare il pieno di ricordi.” – replicò lui, stirando le labbra in un leggero sorriso.
“parli della paura già al passato.” – mormorò, appoggiando la testa, presa da un attimo di angoscia – “Come fai ad essere così certo che andrà tutto bene…”
“Non ne ho la certezza… ma il tuo Osservatore e il rinomato William the Bloody si occupano del tuo caso… Londra sarà presto in fiamme.”
L’aveva fatta sorridere. Non era molto, ma sarebbe bastato per far cominciare la giornata in modo positivo.

Quando Faith decise di alzarsi, pochi minuti e qualche parola più tardi, con sua grande sorpresa, lo scoprì nuovamente addormentato.
La testa gli era scivolata da un lato e, nel sentirsi più libero, senza il suo corpo indosso, si era mosso, alla ricerca di una posizione più comoda.
Faith lo guardò assestarsi, cercando di ravviare con le mani i capelli scarmigliati. E cercando poi una coperta da mettergli addosso.
Riteneva che potesse essere un gesto carino, come quelli con cui Angel si occupava di lei.
Ma non c’era nulla, in tutto il salone.
Si mosse piano, in giro per la stanza, facendo di tutto per non svegliarlo. E fu nel silenzio che sentì un leggero tramestio sul pianerottolo. E Doyle apparve.
Con un coperta tra le mani.
“Ma sei provvidenziale.” – mormorò, sorridendogli e tendendo entrambe le braccia. Doyle la guardò perplesso, impiegando un attimo a capire. Poi le sorrise, indulgente e le tese il plaid di Cordelia.
Grazie, mormorò lei, tornando rapidamente verso il divano.
E coprendo il suo vampiro con una cura ed un’ attenzione tale che Doyle non osò dirle che sarebbe bastato chiudere la finestra.

Scesero le scale insieme, Doyle appoggiandosi pigramente al corrimano, Faith stringendosi nelle spalle, come per scacciare gli ultimi residui di sonno.
Era Natale.
O, almeno, Natale era finito da qualche ora, senza che nessuno lo ricordasse.
L’Hyperion era stato un mondo a parte…e solo Spike, con quel suo augurio nato per riempire uno spazio vuoto in una strana conversazione, aveva dato tempo al loro vivere.
Buon Natale.
Era stato realmente Natale.
Solo che, l’avevano semplicemente scordato.
Fuori, da qualche parte, un vecchio disco gracchiante trasportava ancora qualche canto appassito.
Probabilmente era stato dimenticato acceso… ed ora, inceppandosi, la puntina arrancava verso la fine.
“Non hai sonno?” – domandò Doyle, guardandola.
ma Faith si limitò a scuotere la testa, distratta da quei ragionamenti.
“E tu?” – domandò.
“No. direi proprio di no.” – sospirò Doyle – “Preparo del the, ne vuoi?”
“Perché no…” – mormorò, seguendolo in cucina.
C’era un cestino, in salotto. Un cestinetto rosso con alcuni pacchetti dentro. E Faith si fermò a fissarlo, sorpresa.
“Cordelia. Sono i suoi regali…” – spiegò Doyle, affiancandosi.
“Non sapevo li avesse comprati. Io.. io non ne ho comprato nessuno…” – Faith abbassò lo sguardo. Un’altra festività dimenticata.
“Poco importa.” – replicò il demone – “Credo che Cordelia non li distribuirà fino a quando torneranno quei due…”
Preferì non aggiungere altro. Non si sapeva quando Spike e Wes avrebbero varcato quella porta. Né, tantomeno, con quale risposta.
E per quanto il destino tramasse e Doyle spingesse verso l’imbroglio, un margine di rischio c’era…
“Che Natale freddo…” – mormorò Faith, guardando fuori dalla finestra. Il tempo si stava guastando. Sarebbe stata una giornata grigia… ma Faith di certo non si riferiva al clima.
Ma alla vita.
Era snervata.
Certo, le cose erano migliorate, negli ultimi tempi. Aveva dimostrato pazienza e coraggio da vendere… ma dentro continuava a sentirsi vacillare.
“Che vita grama, la mia…” – sospirò, comicamente. Si girò, incrociando le braccia – “ti sembro una martire della causa?”
“Eccome. La sofferenza fatta a persona.” – rispose prontamente Doyle, porgendole la biscottiera già aperta.
“E’ vuota.”
“Come?”
“La biscottiera.” – Faith gliela prese dalle mani e la girò – “Vuota.”
“Bene.” – borbottò Doyle, strofinandosi la testa. Aveva persino un’ombra di barba. E, come nel caso di Westley, bastava a far risaltare ancora di più gli occhi.
Come se a Doyle servisse un espediente del genere…
“Lascia, faccio io.” - aggiunse Faith, rovistando negli armadietti. E disponendo, con una certa rapidità, di tazze e bustine.
Doyle la fissò, restando in piedi, mentre dal nulla appariva tutto il necessario.
Faith gli si affaccendava attorno, silenziosa.
“Sei molto cambiata…” – constatò, guardandola di sbieco.
“Sul serio?” – si girò, per afferrare il bollitore – “non mi sembra.”
“Oh, certo… perchè tra un massacro e l’altro nella tua giovinezza, ti impegnavi nella cerimonia del the..”
“Bhe…” – considerò Faith, con una lucina pestifera nello sguardo – “Al Sindaco non dispiaceva…”
Doyle sorrise, mentre Faith finiva di mescolargli il the e ci buttava dentro ancora un paio di zollette.
Fece per darglielo, poi si fermò.
“Non pensi di correggerlo, vero?”
Doyle, rimase fermo, con la mano protesa, pronto a ricevere la sua bevanda.
Poi scosse la testa.
“No, grazie. Sto ancora smaltendo i postumi di ieri.”
L’aveva detto seriamente. Ed era stato convincente.
Solo che, non era un segreto, Doyle non aveva toccato un goccio di alcool da giorni. Aveva fumato come un turco, imprecato a non finire… ma non aveva preso nulla che potesse annebbiarlo. E, per grazia ricevuta, non aveva avuto visioni.
“Ok. Tieni.” – approvò Faith, finendo di offrirgli il the. E sedendosi a fianco, con il proprio davanti.
“Da chi hai preso quegli occhi?” – mormorò, infilandosi in bocca il cucchiaino –“Mamma o papà?”
“nessuno dei due…” – rispose tranquillo, come se si aspettasse quella domanda da sempre – “Mio padre non lo ricordo… mia madre, la mia parte umana, aveva i più begli occhi verdi che si potessero immaginare. E tu?”
“E io cosa?”
“Da chi hai preso quegli occhi.”
Faith replicò con un’alzata di spalle. Tornando ad essere la solita Faith.
“Non sei obbligato a ricambiare il complimento.”
“Sto parlando sul serio.” – Doyle girò un’altra volta il the e ci sbattè dentro un’altra zolletta. Meglio abbondare…
“Penso mio padre. Del resto l’ho visto così poco.. lui lavorava ed io stavo dalla vicina di casa.. ecco, li avrò presi da lei gli occhi scuri. Era più parente di tutti gli altri…” – sospirò, bevendo un sorso. E posando studiatamente la tazza – “In effetti è un argomento avvilente. Parliamo di tua madre, è meglio.”
Doyle le sorrise, senza fare commenti. E riprese a parlare, con una sigaretta spenta già tra le labbra.
“Mia madre… con mia madre c’era sempre da divertirsi. Era una splendida irlandese da manuale, con la testa dura come un mulo.” – frugava nei cassetti, a caccia di un accendino – “Certe volte era come vivere con un generale. Se Sinead Doyle prendeva posizione… c’era solo da mettersi l’anima in pace.”
“Sinead… è un nome bellissimo. Fa pensare alle fate.”
Doyle sorrise, senza contraddirla. Dalle sua parti, Sinead Doyle era sinonimo di strega…
“In inglese sarebbe Jenny, oppure, se vuoi mantenere la poesia, Ginevra.”
“Che significa…” – Faith accennò un sorriso.
“Se vuoi saperlo, dovrai chiederlo a Wes quando torna…”
“Avanti… tanto lo so che lo sai…” – lo punzecchiò ancora. Inclinando la testa e guardandolo in viso – “Doyle, dimmi cosa significa…”
Doyle sospirò, con sopportazione. Senza ammettere nemmeno con se stesso quanto gli piacesse parlare di sua madre.
E di quanto, invece, uno dei pochi che l’avevano realmente amata e conosciuta, odiasse sentirla anche solo nominare.
“Può significare molte cose... ma una delle migliori interpretazioni è ‘Elfo luminoso’, oppure ‘Splendente tra gli elfi’.” – tirò una boccata e stette zitto.
“Scusami…” – disse Faith, notando la sua espressione – “non è un buon argomento.”
“Tutt’altro.” – Doyle si affrettò a contraddirla – “In effetti, non pensavo a lei da molto tempo… mi hai aiutato a ricordare…”
Faith gli sorrise, con una traccia di imbarazzo.
E prese coraggio.
“Ti manca?” – domandò. Il concetto di madre, nella sua testa, era una vaga accozzaglia di luoghi comuni, quali profumo, calore e protezione. Una descrizione da manuale, o da romanzetto rosa.
“Naaa…” – Doyle enfatizzò l’affermazione, con il gesto della mano. Nascondendosi magistralmente – “Adesso ho Angel…”

Faith rideva ancora per quella battuta sciocca e Doyle approfittava per finirsi la sigaretta in silenzio.
D’un tratto la casualità degli eventi gli sembrò piacevole.
Parlava con Faith di suo madre mentre suo.. bhe, il suo ‘coso’ si affannava per divenire l’osservatore di Faith.
Buffo gioco delle parti…
C’era veramente da ridere.
Purtroppo, indipendentemente dalle chiacchiere piacevoli, c’erano discorsi che gli sarebbe piaciuto affrontare.
“Faith…senti…”
“E Cordelia dov’è?” – domandò Faith, senza accorgersi del suo tentativo di prendere l a parola.
“Credo a dormire…erano quelle le sue intenzioni. Io ero di sopra cercare di riordinare la biblioteca… abbiamo lasciato un accampamento…”
“Vuoi una mano?” – domandò prontamente, alzandosi. Si sentiva piena di energie.
Con l’adrenalina ormai perennemente in circolo.
“No, no, a dire il vero.” – replicò, agguantandola e facendola risedere – “a dire il vero, vorrei parlare con te.”
“Ok. Spara.”
“Vorrei parlare di Drusilla.”
La vide cambiare espressione.
E capì di non aver premuto un buon tasto.
“Oh. Di quella…”
“Già.” – Doyle annuì, dispiaciuto – “Lo so, non è un buon argomento. Ma vorrei lo stesso che mi raccontassi.”
“Non c’è molto da dire.” – alzò le spalle e giocherellò con le bustine del the – “Mi ha aggredito e continuava a dire che le appartenevo, che mi voleva.. ma non credo fosse d’accordo con quelli che ci hanno attaccato. È stato casuale. Ci seguiva…”
era una descrizione da guerriero. Il come dell’attacco, le parole… non avrebbe tirato fuori molto di più, se non faceva le domande giuste.
“Cosa hai provato?” – chiese, diretto.
“All’inizio fastidio. Era troppo bella… mi dava i nervi.” – Faith si alzò, con un moto di nervoso – “non aveva idea fosse così… nemmeno in quel ritratto, quello che ha Spike sulla libreria… nemmeno lì è così bella. E poi, quegli occhi…”
Faith si voltò, a fissarlo. E fu tentata di dirgli della nausea, dell’ombra… ma no, era una sciocchezza.
“Quegli occhi, Doyle, sono incredibili. Erano quasi viola… era come se.. come se ci tenesse il mondo dentro…”
si fermò. E lo fissò.
Più attentamente di quanto non avesse mai fatto.
I suoi sensi di Cacciatrice si tesero, fino allo spasmo, come mai le era successo.
Ma cosa stava capitando? Lei si fidava di Doyle, si fidava…
Ma il mondo… il mondo negli occhi…
“Faith…” – la chiamò il demone, alzandosi – “Faith, guardami…”
C’era una strana apprensione, nella sua voce, un’emozione che la rendeva roca.
“Gli occhi di Drusilla… gli occhi di Drusilla assomigliano ai miei?”
C’era stata paura nella voce. E Faith, deglutendo, scoprì di avere le labbra secche. Ed il fiato mozzato.
Lo guardò, dritto in viso, dritto nello sguardo. Ma Doyle non le sorrise, come sua tremenda abitudine.
Rimase fermo, con gli occhi negli occhi e sopportò quell’esame. E poi, con un sollievo che gli provocò una fitta al petto, la vide chinare il capo e scuoterlo.
“No…” – Faith si tirò indietro i capelli e lo fissò – “Sono occhi bellissimi.. ma c’è qualcosa di sbagliato all’interno…e come se, tutta quella bellezza divenisse ripugnante, d’un tratto. È questo che ho provato, ribrezzo…”
Doyle si era riseduto sullo sgabello. Ed ora la guardava, sapendo che avrebbe continuato a parlare.
“Dapprincipio non te ne rendi conto…” – spiegò, come se fosse un fatto assodato. Come se non si rendesse conto che era la sua elevatissima percezione del pericolo a permetterle di scomporre le sensazioni – “è affascinante, bellissima. Parla e non puoi fare a meno di ascoltarla. Poi è come se la vedessi realmente per quello che è... una cosa sbagliata…”
“E’ giusto.” – replicò Doyle, appoggiando la schiena contro il bancone, le mani abbandonate sulle gambe – “Drusilla è una cosa sbagliata.”
“Tu la conosci?” – chiese, cautamente, sedendosi sul ripiano, come aveva visto fare migliaia di volte da Spike. Come faceva Spike, quando restava a discutere con quel demone dagli occhi chiari.
Doyle annuì, prima di prendere la parola.
“L’ho intravista, parecchie volte.” – ammise – “Prima che Angel venisse qui, a Los Angeles. E poi in qualche visione…”
no, non era stata una buona idea.
Ma ormai doveva parlare anche lui.
Si accese una sigaretta, rabbiosamente. E poi, dopo un attimo di esitazione, offrì a Faith. Protendendosi cavallerescamente ad accendergliela.
“Grazie.” – mormorò lei, distendendo la schiena contro il pensile. E chiudendo gli occhi un secondo, con un profondo respiro.
“Drusilla non è di certo una di quelle pedine facili da ignorare. Parla troppo e sa troppe cose…” – sospirò Doyle, aggirando l’ostacolo, almeno in parte. Senza illudersi che Faith non arrivasse da sola alla fatidica domanda. Una domanda di cui ancora non poteva garantire la risposta. Se non attraverso la sensazione che gli provocavano i suoi pensieri – “E Spike, come l’ha presa?”
“Il ritrovarsela di fronte? Dapprincipio bene…” – fin troppo bene – “Poi Dru deve aver detto qualcosa... qualcosa che non ho capito… e lui l’ha colpita. Non l’aveva mai visto così furente… figurati, per un attimo ho pensato di difendere Dru…”
era un’affermazione strana. E preoccupante.
Faith l’aveva ammesso con una mezza risata. Ma il fatto l’aveva disturbata. Glielo si leggeva in faccia. Difendere un vampiro.. per giunta Drusilla…
“Chissà cosa mi è preso…”
“Già…” – annuì Doyle, alzandosi – “Inspiegabili fatti della vita…”
non aveva intenzione di andarsene, ma Faith lo fraintese.
E Doyle si sorprese, nel sentirsi afferrato per un braccio.
“Doyle, aspetta. Devo dirti una cosa.” – Faith aveva lo sguardo preoccupato – “Drusilla ha detto…”
allora c’era qualcosa.
C’era qualcosa che non era stato ammesso, fino a quel momento.
Si appoggiò con una mano al ripiano e rimase vicino a Faith, in attesa.
“dimmi tutto.” – disse, semplicemente. Aspettandosi una confessione, un particolare tralasciato per un valido motivo.
Ma quello che Faith disse fu ben di più, fu una conferma alla paura più oscura che avesse mai provato.
“Drusilla ha detto qualcosa, riguardo a legami di sangue. Ha detto che non si possono spezzare. E che, se non le credevamo, dovevamo chiedere all’uomo dagli occhi trasparenti.”
Doyle rimase zitto.
Così raggelato da quell’affermazione che Faith, impaziente, pose subito la domanda.
“Come faceva a conoscerti, Doyle? L’hai detto tu, vi siete intravisti, lei non può sapere chi sei o cosa fai per noi…” – insistette – “Che cosa le fa credere che t sappia… l’avessi saputo ce lo avresti detto…”
si stava lasciando sviare. Doyle, tornando presente, focalizzò Faith, non ascoltando più le parole che stava dicendo. Faith si stava lasciando sviare.
La vera domanda non era cosa potesse dirle Doyle.
Ma perché Drusilla fosse certa che avrebbero chiesto a lui…
“Faith.” – la chiamò. Con una voce così seria che Faith interruppe le parole e si voltò, scrutandolo in viso.
“ora devo farti una domanda. Una domanda molto importante.” – scandì, senza perdere di vista un solo battito di ciglia della sua interlocutrice – “Drusilla ha notato che le guardavi gli occhi? Ha detto qualcosa, a riguardo?”
Faith abbassò il viso, fissandosi la punta dei piedi. E si concentrò, disperatamente, per cercare nella memoria le parole esatte, in quel delirio…

Fino a trovarle.

“Gli occhi, i miei occhi, ti piacciono, lo so… piacevano a lui, piacevano all’universo. Erano occhi per vedere, non per morire… occhi per guidare…”

E le ripetè. Lente, con voce quasi sepolcrale, per separarle una dall’altra.

Doyle la stava ancora fissando. Ma ora c’era una pena infinita nel suo sguardo.
VII
“Adesso sono io che devo chiederti come ti senti…” – mormorò cautamente Faith, versando una seconda tazza di the per entrambi.
Dopo quella lunga, singola, occhiata che le aveva messo i brividi, Doyle si era riseduto.
Ed ora era in silenzio, come una marionetta abbandonata su un alto sgabello. Le gambe allungate, le braccia mollemente scivolate.
Solo il lento fumare una sigaretta, tradiva la sua inespressività.
Con una lentezza evidente, Doyle portava la sigaretta alle labbra, per poi ricondurla verso il basso.
Non curandosi della cenere che cadeva sul pavimento immacolato della cucina.
Con un silenzio che sapeva di pensieri ed uno sguardo tempestoso.
Buio.

“Sto bene.” – mormorò, scandendo bene le parole e girando su se stesso, per posare le mani dove fino a poco prima aveva posato la schiena.
Di nuovo seduto al bancone e Faith, a fianco a lui.
Come se non sapesse se le era permesso di sedersi di fronte a quegli occhi e quei ragionamenti.
“Sto bene.” – ripetè, con un tono che lasciava intendere il contrario – “Avrei preferito non avere quella risposta, tutto sommato.”
Faith non sapeva cosa rispondere. La prima frase venuta in mente, quella istintiva e sincera, le sembrò subito eccessivamente dura. E petulante.
Avevi da non chiedermelo.
Tu non volevi saperlo. Io non volevo parlarne.
Eravamo costretti a infilarci in questo guaio?
Oh, si. Risponderai di si. Ne sono certa.

E avanti. Pensieri in abbondanza, a migliaia, dentro la sua testa e dentro quella di Doyle.
Un continuum di dubbi, incertezze e repulsione.
A cui potevano sfuggire solo mediante la parola.

“A questo punto…” – azzardò infine la Cacciatrice – “Dovremmo parlarne… e andare fino in fondo.”
Doyle si voltò a guardarla. E sorrise. Faith non aveva realmente voglia di finire quel discorso. Così come non ne aveva avuta nell’iniziarlo.
Ma se, da principio, aveva accettato per rispondere ad un esigenza del demone, ora, nel farsi avanti, si rivelava combattiva e determinata.
Come avrebbe dovuto essere sempre, fin dalla sua Iniziazione.
Solo ora, Faith iniziava a splendere di una luce constante. Quelle luce a lungo attesa e talvolta intermittente.
Solo ora.
Nel rivelarsi pienamente forte delle sue scelte.

Sei figlia di Angel fino in fondo, Faith…
Il vostro legame di sangue sarà sempre più vasto di quanto mai un Consiglio ed un pugno di uomini potranno immaginare.
Basterebbe che sapessero cosa si prova a stare sotto un temporale in lacrime, mentre tuonano dai loro tribunali. E basterebbe che capissero cosa accade quando dalle ombre la luce ci abbraccia.
E ci salva da noi stessi…
Ma tutto questo, in questo mondo, non ha realmente importanza.
Quello che conta, per me, nel mio cuore, è l’onore.
L’onore che provo, a sedere qui, con te. E a parlarti.

Faith attese pazientemente quella lunga e prolungata parentesi silenziosa.
Vide gli occhi di Doyle tornare trasparenti, come accade all’acqua in cui le increspature lentamente rallentano e scompaiono allargandosi verso nuovi orizzonti.
E attese ancora.
Fino a vedere finalmente un pallido sorriso adornargli appena i lineamenti.

“Hai ragione.” – mormorò Doyle – “Andiamo fino in fondo. Ma voglio che tu sia consapevole di quello che sto per dirti.
Perché alla fine, Faith, io ti chiederò un consiglio. E dovremo fare una scelta molto importante. Tu sai che cosa siano i rimorsi e la redenzione. E non faticherai a capire… ma andiamo con ordine.”
Si era trattenuto. Istintivamente, avrebbe voluto saltare quei preliminari e mirare al punto. Ma erano necessari.
Su questo non si poteva discutere.
“Faith.” – riprese, dosando bene le parole e giocherellando nel posacenere con la sua sigaretta quasi spenta – “Ricordi quello che hai detto di me, quella sera, quando Wes ci ha illustrato la teoria dei nomi?”
Faith aggrottò la fronte. Ricordava quella sera... ma tutto in forma nebulosa e grigia. E, a malapena, soprattutto, la tranquilla conversazione che aveva preceduto, e presagito, la tempesta.
“Wes ha parlato del tuo nome…” – ricapitolò, lenta – “E ha detto che c’era un significato per ogni sua parte, fino al cognome. Ed io allora, ho detto che…eri il più intrecciato con il destino. È a questo che ti riferisci?”
“Proprio a quello.” – annuì lui, bevendo un sorso di the ormai appena tiepido – “E io ti dissi che era un’interessante osservazione. Io ho, in effetti, che lo voglia o no, parecchi ruoli.
Ma il più importante che ricopro, da tempo, è quello di Cantastorie.”
Si interruppe e prese un grande respiro.
Faith aspettava, ma dava anche segni di impazienza, stringendosi le mani, fino a far sbiancare le nocche.
“Non sono abituato a parlare di questo.” – ammise, in un soffio – “Mi è capitato poche volte, fino a oggi. Io sono il Cantastorie dell’Universo. Non ne vado fiero. Ma devo farlo, sono nato per questo. Sono un tramite per le Alte Sfere, la guida per i Guerrieri della luce. Giorno dopo giorno, le visioni mi trivellano il cervello ed io traccio la via, o almeno ci provo.
E per fare questo, sto a cavallo tra la luce e le tenebre.
So cosa è il Bene… e conosco il Male.
Ma la mia forza è continuare a camminare in bilico tra entrambi. Una natura demoniaca ed un obbiettivo umano.”
“però sei fondamentalmente buono.” – mormorò Faith, fissandolo.
“Oh si. Io devo esserlo.” – Doyle le sorrise, con gli occhi lucidi – “non posso essere malvagio, stravolgerei l’universo. E ti assicuro che, già così, è un peso piuttosto grande.”
“Perchè mi stai dicendo questo…” – Faith sentiva l’angoscia tormentarla.
“Perchè vedi…” – disse, con lentezza Doyle, fissando il liquido scuro dentro il tazzone di ceramica – “Io credo che più di due secoli fa, qualcuno abbia condannato in eterno uno come me.”

Il silenzio fu rotto solo da un leggero crepitio. Doyle aveva acceso un fiammifero ed ora tirava confortanti boccate da una nuova sigaretta, imponendosi di continuare.
“Angelus ha fatto ben più che distruggere una fanciulla, quando ha vampirizzato Drusilla. Drusilla aveva la Vista e questo lo faceva impazzire dal desiderio.
E, come per molte altre cose, Angelus legava spesso desiderio e distruzione.
Drusilla, sotto questo aspetto, è il suo capolavoro. Se aveva la Vista, era per un buon motivo… non per una coincidenza…”
“Lei era…” – s’azzardò Faith, non certa di avere parole giuste per dare forma al sospetto – “un Cantastorie?”
ecco.
Finalmente uno di loro l’aveva detto.
Era così piccolo, quel termine, in un mare di altre parole.
Così piccolo e insignificante, così inadatto al gelo che provocava a Doyle il solo pensarlo.
“E giusto.” – mormorò, cercando di aggiungere colore a quella grigia affermazione – “Drusilla aveva il dono necessario per guidare un Guerriero della Luce. Angelus non le portò via la Vista. Ma, vampirizzandola, la costrinse ad entrare nelle tenebre, a rinnegare la sua natura.”
“Fino alla follia.” – concluse Faith.
Il gelo, la ripugnanza, ora avevano un nome ed una spiegazione. Ma Doyle diede ugualmente forma a quel pensiero scontato per entrambi.
“Quello che hai provato di fronte e a Drusilla è legato a questa sua natura deviata. Tu, per quanto ti senta in bilico e abbia alle spalle scelte sbagliate, servi la luce. Sul momento, istintivamente, ti rendi conto di non avere di fronte un semplice vampiro. Ti affascina, ti attira. Poi la tua natura ha il sopravvento. E ti rendi conto che sei attratta dal male… e lo rifiuti.”
Una nuova boccata. Profonda.
“E’ orribile.”
“Oh, lo so. Non faccio altro che pensarci da quando ho cominciato a capirlo. La mia natura… io sarei come lei, se qualcosa fosse andato storto. Sarei condannato in eterno alle mie visioni, del tutto in trappola nella mia testa. Tutto quello in cui credo, la vita, l’amore… tutto sarebbe un’unica grandissima distorsione. E faccio fatica già solo pensarlo… immaginarlo non sono capace.”
“Doyle, tu sei… tu sei la nostra Guida. Non c’è nulla in te che sia andato male. Sei la persona più solida che conosca. Angel si affida a te, sempre. È normale che tu non possa immaginare… tutto questo.” – Faith si sporse verso di lui. Ed i suoi capelli gli scivolarono sulla spalla – “Tu sei dalla parte giusta. Sai cosa sono le tenebre, ma non hai provato sulla tua pelle cosa significa varcarle e perdere se stessi.
Io l’ho fatto. Ho ucciso un uomo e non ho provato rimorso. Ho torturato Wes, avvelenato Angel e fatto del male a Buffy perché non riuscivo ad essere come lei.
Ero una Prescelta ed ho fatto di tutto per allontanarmi dalla luce che dovevo difendere. Follia. Follia pura.”
Tacque.
Di colpo.
Sapeva benissimo di aver perso il filo del discorso.
E che non aveva importanza.
Doyle l’aveva ascoltata, in silenzio.
E, dolcemente, le aveva sorriso.
“Io apprezzo gli sforzi che stai facendo, Faith. Ma fai male a preoccuparti per me. Tra le molte incertezze che ho non rientra la mia vocazione. So chi sono, so in cosa credo. E non mi sono mai allontanato, per mia fortuna, dalla mia strada. Non nel modo ortodosso, per lo meno.” – sorrise, scanzonato. La resurrezione era meglio non menzionarla – “Ma quello che mi distrugge è il pensiero di quanto dolore possa provare Drusilla. Era un’innocente, Faith. Molto più di quanto io non sia mai stato, in effetti. E il dolore… il dolore che mi atterrisce, io lo sopporto perchè ho un buon motivo per farlo…”
“Ma Dru non ha niente di questo.” – aggiunse Faith, senza neanche rendersi conto di averla chiamata come erano soliti fare Spike e Angel – “Dru sa di aver perso il suo perché, sa di veder cose e che questo non è più utile a nessuno. E il dolore la rende folle.”
“Per combatterlo usa il demone.. e non a caso il demone è stato rinvigorito con il sangue di Angel non molti anni fa.” – Sospirò Doyle – “Ma questo non ha importanza… stiamo naufragando in una valanga di teorie e inutili. La verità è più semplice.
Io avevo bisogno di sapere. Questo dubbio… Drusilla è la mia nemesi. Lei è… ciò che io non sono.”
Faith abbassò lo sguardo. C’erano tante domande che le passavano nella mente, una più assurda dell’altra.
Paradossale.
Andava a caccia di una verità che le dava solo emozioni sbagliate.
E che continuava, come un tamburo ossessivo, a riportare a galla quella sensazione.. la sensazione di un’ombra che avanza alle spalle. E svanisce, un attimo prima di riuscire a voltarsi.

“Quello che conta, in tutta questa storia, è l’importanza che ha ancora la parola di Drusilla.” – concluse Doyle – “Lei vede comunque la verità, per quanto distorta. Ed è per questo che la teoria del legame di sangue di Spike e Wes è così solida.”
“tu credo che Spike sappia di questo ruolo mancato di Drusilla?”
“No. Non credo. Ma sa che Drusilla è attendibile.. e che molte volte ha fatto cose inspiegabili ma lungimiranti.” – Doyle spense un’altra sigaretta ancora e si soffermò a ragionare. Alla luce di questa nuova consapevolezza, per Wes sarebbe stato affascinante ricostruire molte di quelle decisioni sorprendenti.
E questo, infine, portava un’ultima domanda.
“Ed ora veniamo al consiglio che ti ho preannunciato.” – sospirò, incrociando le braccia e guardandola dritta in faccia – “Ora dimmi, Faith… lo devo dire ad Angel?”

La domanda la colse impreparata.
O, meglio, le diede la certezza di non essere pronta ad una richiesta del genere.
Dire ad Angel di Drusilla… e del compito che non aveva mai potuto assolvere.
Uccidere la sua purezza e abbattere un baluardo delle forze benigne.. e se già il primo era bastato a creare un rimpianto senza limiti… cosa avrebbe provato scoprendo la coincidenza con il secondo?
“L’hai detto tu stessa, Faith. Tu sai cosa significa uscire dalle tenebre dopo averle attraversate e vissute. Tu sai cosa significa il peso delle proprie azioni. Cosa devo fare? Devo dire ad Angel quello che ha fatto?” – Doyle la fissò, scostandole i capelli dietro le spalle per riuscire a vederla ancora in viso. A vedere il profilo assorto – “Cosa proveresti? Angel ama Drusilla, è sua, gli appartiene. Ed ora sa cose che allora ignorava…”
“Diglielo.”
Doyle si interruppe.
La risposta era arrivata così rapida e decisa da fargli credere di avere immaginato.
Faith si era voltata. Ed aveva negli occhi la forza della consapevolezza.
“Devi dirglielo.” – ripetè, scandendo le due parole – “Angel deve saperlo. Nasconderglielo non fa parte del gioco.”
Il gioco?
E fu in quel momento che la sorpresa lo ammutolì.
Il gioco.
La redenzione.
La partita che Angel e Faith stavano conducendo, gomito a gomito.
Non c’era nulla di teorico, predestinato e prevedibile.
La redenzione era solo una strada che andava percorsa senza chiudere gli occhi. Una partita ben giocata con le proprie carte, con i propri mezzi e con regole inequivocabili.
“Angel sta pagando per i suoi sbagli. E la prima volta che ha cercato di mettere me su quella strada… mi ha detto che avrei dovuto domandarmi se mi dispiaceva.
Se mi dispiaceva di quello che avevo fatto.
Io ho avuto modo di pensare ai miei rimorsi, in galera.
E posso dirti che c’è un solo modo per pentirsi... sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato.”
Esitò. Come se le fosse improvvisamente chiaro di aver detto una cosa stupida, scontata per una persona sempre con la luce negli occhi.
Ma si stava parlando di Angel. Non di se stessa e delle sue difficoltà a comprendere i fatti della vita.
E per Angel… avrebbe dato ben più della sua reputazione.
“Deve saperlo, Doyle.” – ripetè, fissandolo dritto negli occhi – “Non possiamo nasconderglielo.”
Doyle annuì. Gli sarebbe piaciuto afferrarla e darle un bacio in fronte.
Per il coraggio, per la bellezza… e per ogni giorno che arrancava su quella via che sapeva in salita.
“E ora rispondi tu a me.” – aggiunse Faith, abbassando lo sguardo per un attimo quasi impercettibile – “Dobbiamo dirlo a Spike?”

VIII
“Bella domanda.” – sospirò Doyle, alzandosi e allungando le braccia sopra la testa, in uno stiracchiamento riflessivo – “Bella, bella… bella domanda.”
“Una bella domanda che sembra colpirti meno della precedente.” – commentò Faith, sbattendo tazze e cucchiaini nel lavandino.
“In effetti, vista dal lato di Spike, la situazione ha tutta un’altra prospettiva. Angel ne soffrirà… Spike si incazzerà come una bestia.”
“Dici?”
“Eccome!” – Doyle si voltò e allargò le braccia – “Drusilla ha scelto Spike e l’ha vampirizzato. Delle miriadi di ragazzi che poteva incontrare per le notti d’Europa… Spike. Unico e inimitabile.”
“Tra un po’ mi dirai che erano fatti uno per l’altro…” – commentò, acida. Cosa era quella fitta rabbiosa allo stomaco? Era… forse… gelosia?
“Oh, no.. non mi spingo così lontano con le supposizioni..” – commentò Doyle, sorridendo appena per quella reazione umana e poco sorprendente – “Oh, certo, sarebbe un bel romanzo. La Guida rinnegata che cerca ugualmente il suo Prescelto e lo vampirizza non riuscendo più a separare la missione e la perdizione… dio, che storia sarebbe…”
Rise, di quell’evenienza, a cuor leggero. In chissà quale mondo e quale epoca era stata realtà e non solo ballata.
Eppure Faith fu colpita da quella teoria romantica quanto oscura.
“Come puoi scartare questo legame…” – commentò, lentamente, appoggiandosi al lavandino. E cercando il suo riflesso nell’acciaio lucido.
Il riflesso.. era la prima di molte cose che la separavano da Spike, si sorprese a pensare.
Spike non sa come è il suo sguardo, quando è pensieroso…
“Io non posso scartarlo.” – replicò Doyle, improvvisamente serio – “Ma non voglio nemmeno considerarlo. Già da parecchio tempo cerchiamo di dare una spiegazione paradossale ai fatti della nostra vita. Guarda te, Faith… è stato necessario tirare in ballo morte, sangue e paranormale per giustificare l’affetto. Agli studiosi l’amore non basta, servono parole, sempre più parole. E poi leggenda, destino, predestinazione…
ma tu lo sai che il mondo non è così geometrico. E lo so anche io.”
Faith piegò la testa e sorrise.
Per sfotterlo meglio.
“Ma ti sei sentito, Doyle?” – lo punzecchiò – “Sei il destino fatto a persona e, un attimo dopo, il difensore del libero arbitrio. Mi dici come puoi?”
“Io sono semplicemente io. Ho un perché e un tempo.” – replicò indicandosi e avvicinandosi – “Sono un pezzo sulla scacchiera. Ma sono soprattutto vivo. Amo, respiro, soffro… questo non sta scritto nei libri, ma è più forte di ogni altra cosa. Faccio quello che devo, perché ho un perché che non ha a che fare con l’universo. Ma con persone. Persone con un cuore che batte, dolori e sorrisi. È poi così difficile da capire?”
“No, non lo è.” – Faith scosse la testa – “Sembra più semplice quando sei tu a parlarne.”
“Grazie del complimento.” – sorrise Doyle, fermandosi. E tornando ad essere il demone minuto, non più l’oratore appassionato, il Cantastorie dell’universo – “per cui, a fin della predica, abbandoniamo la questione. Lo dirò anche a Spike. O, più probabilmente, sarà Angel a dirglielo. Sono sempre affari di famiglia…”

E proprio perché erano una famiglia, saranno loro a trarne le conclusioni che vogliono.

Se l’era ripetuto, dalla cucina all’entrata, su dalle scale, fino alla porta di Angel.
Ma ancora non era certo di poter liquidare la questione in un batter d’occhio del genere. Non era giusto, non era abbastanza, come amico… e come demone.

E gli sarebbe piaciuto portare avanti le sue riflessioni… ma gli mancava solo un passo per essere di fronte al problema.
Anzi…
Il problema aveva spalancato la porta.
E ora lo fissava.

“Problemi?” – domandò Angel, snebbiandosi la vista.
“Ma no!” – sbottò Doyle, guardandolo e trattenendo a stento una risata che gli saliva dal cuore – “Sei paranoico, per caso?”
L’eroe che il tempo aveva impazientemente atteso si stava strofinando la testa e la faccia, per mettere a fuoco la situazione.
“Ho sentito i passi.” – ricapitolò, indicando a ripetizione le scale, la porta e se stesso – “E Faith non c’era e poi non ho sentito più nulla e….”
“E hai deciso di saltare giù dal divano, di scapicollarti fino al pianerottolo e poi, infine, di svegliarti?”
“Sì, pressappoco…”
“Allora, hai bisogno un consiglio.” – replicò allegramente Doyle, facendolo girare su se stesso e spingendolo nella stanza – “Per cui, torna a sederti sul tuo divano e ricominciamo con calma.”

“Guai in vista…”
“Cosa te lo fa pensare?” – domandò distrattamente Doyle dandogli le spalle e continuando ad armeggiare.
“Forse il fatto che stai riempiendo due bicchieri…”
“e…”
“Doyle, tu non mi offri mai da bere…”
“E allora? Dovresti essere abbastanza grande da reggere l’alcool… forza, tutto d’un sorso! Te ne preparo un altro?”
“No, grazie.” – rispose compitamente il vampiro, stringendo il bicchiere tra le mani e restando fermo. Senza quasi respirare l’odore stordente del liquore di ottima marca. Immobile, a rigirare quel blocco di vetro freddo, mentre Doyle si lasciava cadere sul divano e poggiava i piedi sulla pregiata Historia che stava leggendo. Diciassettesimo secolo, nervatura a vista, rilegatura…
Meglio non pensarci…
“Doyle.. da quanto tempo ci conosciamo?” – mormorò, sovrappensiero. Non sapeva nemmeno perché domandarglielo… dopotutto non era una risposta quantificabile in giorni, anni, minuti… era un numero, non significava nulla, se paragonato alla comprensione che avevano uno per l’altro ogni giorno della loro vita.
“Ormai è qualche anno.” – rispose evasivamente il demone, allungandosi e scivolando un po’ di più nel divano ormai quasi sfondato.
Gli piaceva quel salone… era nato dalla mente ordinata di angel... ed era divenuto il rivale dell’ex appartamento di Doyle per quanto riguardava la confusione.
Ma quella sera, stranamente, lo irritava. Era sbagliato, tutto quel disordine, era troppo reale…
“Doyle.” – Angel posò il bicchiere intatto sul tavolino. Se Doyle si fosse soffermato su un altro particolare con quello sguardo buio… avrebbe provato veramente il desiderio di tracannarlo. Seguito da un altro… e un altro ancora.
“lo so… non diventa più facile se rimando…” – borbottò il demone, sfregandosi la testa – “Ma sinceramente non mi va di… bhe, si, di ricominciare a menar rogna.”
Era visibilmente seccato. E Angel si sorprese a sorridere di quel pessimismo.
“Andiamo…tu non meni rogna. Se hai avuto una visione dobbiamo muoverci… e se non l’hai avuta… ma hai una di quelle risposte che io cerco sempre… allora spara.” – si mise comodo. C’era una triste tranquillità nel sentirsi sempre così pronto alle catastrofi. Una rassegnazione pacata, che sentiva di potersi concedere – “Riguarda solo me, immagino…”
“E questo da cosa l’avresti dedotto?” – Doyle smise di arrotolarsi un ciuffo di capelli e lo fissò.
“Come sopra.” – spiegò – “Dal fatto che tergiversi, stai qui seduto a addolcirmi la grana con il whisky e… non so, chiamalo sesto senso…”
si sforzava di essere divertente. E doyle gli sorrise, per quegli sforzi. Angel sapeva benissimo che stava per sentire cose che non gli sarebbero piaciute ma, come Faith, non si tirava indietro.
“Sai cosa ho fatto stasera?” – si sorprese a raccontare Doyle – “Sono andata da una bella e fortissima Cacciatrice e le ho chiesto un consiglio.”
“Hai fatto bene. E scommetto che ti ha dato una risposta degna di lei.”
“A dire il vero ha dato una risposta degna di te” - ribattè Doyle, ritrovando la sua abituale faccia tosta – “Mi ha detto che sapere le cose, belle o brutte che siano, fa parte del gioco.”
Angel sorrise, con un lampo di tristezza negli occhi.
Oh, si, essere consapevoli… essere consapevoli e provare vergogna, dolore, rimpianto… quante regole aveva questo gioco… quante ne aveva imparate in quasi un secolo…
“Spike ha ragione, quando dice che sono tonto….” – ridacchiò con un pizzico ironia – “A me è servito un secolo per iniziare anche solo ad avere il sospetto di dovermi redimere… più un sacrosanto scrollone da parte dell’Universo sotto forma del Cantastorie. A faith è bastato ben meno tempo, per capire veramente come funziona…”
si interruppe, perplesso. Con le mani a mezz’asta, nella posa di uno che spiega e cerca di trasmettere un concetto che non ha a che fare solo con il cervello. Ma anche con il cuore.
“di’ un po’… “ – replicò Doyle, interrompendo il silenzio – “Hai perso il filo del discorso?”
“In effetti si.”- ammise, Angel, intrecciando le mani, rassegnato – “e’ che stavo divagando. E tu hai qualcosa da dirmi. E che devo sapere.”
“Brutta cosa il senso dell’onore…” –sospirò Doyle – “Potevi risparmiare ad entrambi questo patimento, ma non l’hai fatto. Sei peggio di me, alle volte…”
o forse, sei semplicemente come me. La verità è la nostra droga, uomo. Possiamo alzarci ogni mattina, con il senso di vuoto e l’angoscia… ma non siamo capaci ad accettare di poter non essere consapevoli…

Ma si…

“Angel…” – Doyle soppesò le parole, radunando le forze nel pronunciare quel nome. Un nome breve e intenso, una delle risposte del bene al male – “Io credo che i ragazzi abbiano scoperto una cosa importante, ieri, riguardo a Drusilla…”
si interruppe. Importante… è importante per me… ma per te cosa sarà?
Me lo immaginavo, ammise Angel.
“Non ne avevo la certezza… una sensazione, forse.”
“Può darsi che sia stato istinto, Angel.” – rispose Doyle – “Ma non hanno capito di cosa si trattasse.”
“E tu?”
“Avevo qualche mezzo di più per arrivarci.” – chinò la testa e si massaggio pensosamente la nuca. Drusilla era come sua madre. Bella, fragile e dagli occhi fiammeggianti… ma quanto, quanto dolore in più, doveva aver provato… Doyle rialzòla testa e intrecciò le mani – “Drusilla ha vaneggiato parecchio, a quanto sono riuscito a capire. E tra una profezia e l’altra, ha detto a Spike e Faith di chiedere a me, se proprio non volevano crederle…”
“E…” – lo esortò Angel. Non capiva cosa potesse esserci di così importante, in quel fatto.
“Drusilla non mi ha mai visto, Angel. E chiede ai ragazzi di parlare con me, riguardo ad una visione. Non ti sembra strano?” – lo stava conducendo a tentoni, su quella strada… e non sapeva nemmeno se fosse il metodo migliore – “E’ da tempo che penso a lei, almeno da quando Wes se ne è uscito con quella questione dei nomi e dei loro significati. Il fatto che le potesse chiamarsi Elisabeth… le sue visioni… ho sperato a lungo di essermi sbagliato…”
“Doyle…” – Angel non capiva, aggrottò la fronte, cercando la domanda giusta. E dalle labbra gli uscì solo un banale – “Cosa stai cercando di dirmi?”
“Sto cercando di dirti… dannazione, più che dirti, sto cercando di darti una botta in testa! Ma è possibile che tutto quello che riguarda te sia così complicato?” – sbottò, fissandolo dritto in faccia e facendolo sobbalzare.
“Bhe, scusami, io…”
“Oh, lascia perdere! Non ce l’ho con te, ma con l’idiozia del destino! Ricordi quel discorso fatto e rifatto sulle persone che non incontri per caso, delle cose che devono accadere e che non accadono a causa delle interferenze?”
“Certo. È il discorso che regola il mondo. Lo ripetiamo tutti i giorni…”
“e poi c’è il discorso della Redenzione.” – il suo tono si abbassò, tornando ad essere quello confidenziale e pacato di sempre – “Quello è un discorso che non affrontiamo tanto spesso… la giusta causa… e via dicendo. Vedi, oggi, parlando con Faith, ho scoperto una macchia, nel tuo passato…”
“Una? Doyle, non è un po’ riduttivo dire che c’è una macchia nel mio passato?” – Angel lo guardò, come se fosse ammattito – “Ho ucciso, depredato, violentato quel tanto che bastava da meritarmi il soprannome di Flagello d’Europa. Sono una leggenda… se proprio vogliamo nobilitare il tutto… e per quanto io proceda a tappe forzate nell’espiare, mi serviranno ancora un paio di secoli... e qualche millennio, se proprio mi mantengo in salute e non mi immolo durante un’Apocalisse…”
Doyle lo squadrò, perplesso.
“Uomo… possibile che tu abbia deciso di parlare e fare umorismo proprio stasera che ho qualcosa da dirti?”
“scusami, è che… è che mi stai rendendo nervoso!” - adesso era Angel a strofinarsi la testa. Si era svegliato di soprassalto ed ora, per ingannare l’attesa, per aspettare la telefonata dall’Inghilterra, doyle approfittava per tirar fuori dal cilindro una nuova verità – “Hai un tempismo…”
“io!” – Doyle sbarrò gli occhi. Non ci poteva credere, stava discutendo con angel – “Ma è la tua figliastra isterica quella che …”
si trattenne. Angel lo fissava torvo.
“parlavo di Drusilla.” – specificò, temendo un equivoco con Faith.
“Lo so.” – replicò, ermetico Angel, mentre il suo demone e tormento personale gli portava via il bicchiere e lo vuotava d’un fiato – “A questo punto ho capito pure io che è lei il problema. Fammi capire… hai avuto una visione su quello che io ho fatto a Drusilla?”
era andato così vicino alla realtà da sorprenderlo. Si riferiva a qualcosa di fisico e reale, al male concreto che sapeva di averle inflitto… già quello era abbastanza per la sua coscienza…ma il resto… non riusciva a immaginarlo…
“Cosa puoi dirmi più di quello che già so, di questa famosa macchia?” – proseguì implacabile il vampiro. Aveva uno sguardo buio e profondo.
Lo stesso che…

“ehi, uomo.” – doyle accese la luce senza tanti complimenti. Rimanendo deluso quando si rese conto che angel non era alla scrivania, intento a cercare di ricomporsi dopo quella brutale intrusione.
Si guardò intorno, strofinandosi pensosamente l’ombra della barba. La grande finestra gli restituiva l’immagine di un ragazzotto trasandato con la camicia stropicciata.
“Ma sei davvero così giovane?” – domandò al suo riflesso, vedendolo impegnato a lisciarsi la maglietta per metà fuori dai pantaloni – “Dovresti avere i capelli grigi, a questo punto, a forza di corrergli appresso…”
scosse la testa. Ed il riflesso gli rispose con una rassegnata alzata di spalla. Indicandogli, con lo sguardo, la porta socchiusa per il tetto.

“Ce ne vuole, per trovarti…” – commentò, sbucandogli alle spalle – “Non è che, per caso, mi hai visto arrivare e sei scappato?”
“Se lo facevo, non mi trovavi.”
“toh… ma allora parli! Vivi qui da ben una settimana e già mi parli. La città ti fa bene…”
“E’ solo una città.. ne ho viste a migliaia…”
“Ma nessuna è come questa, uomo.” – si sedette sul cornicione, con naturalezza… cercando di non pensare alle sue vertigini. Fissando questo alto e bel vampiro che gli era capitato tra capo e collo… un incontro deciso in chissà quale partita a carte tra il destino e le stelle.
Aveva degli occhi neri e profondi, come inchiostro.
Le luci cadevano al loro interno, come lucciole. E vi affogavano.
“Nessuna è come questa…” – ripetè, cercando di non farsi distrarre dalla sensazione che Angel non lo stesse ascoltando.
“Nella notte, le città sono tutte uguali.” – mormorò, interrompendo il monologo che Doyle stava già preparando nella mente – “C’è il male, il desiderio... e il nulla. Quando sei parte della notte, talvolta, quel nulla diventa insostenibile. Faresti tutto per interromperlo…”
Oh, mio dio, allora parla. Il pensiero gli sfrecciò rapidissimo nella testa provocandogli una certa vergogna.
Era la prima volta, veramente…
Quanto l’aveva aspettata…
“E cosa accade, quando provi a combattere il nulla?” – azzardò.
Angel accennò una smorfia, un leggero sorriso di autoderisione.
“Distruggi. Tutto ciò che ha un senso, tutto ciò che non puoi capire.” – replicò, conciso – “Uccidi, massacri… oppure rimani intrappolato nella tua testa, senza riuscire a…”
si era interrotto. Con una breve alzata di spalle, come se non fosse poi così importante.
“Era questo che provava… Angelus?” – azzardò Doyle.
Angel si voltò a fissarlo, come se solo ora si rendesse conto di non aver parlato solo a se stesso. Quel buffo tizio, quel… Cantastorie… aveva un modo diretto e limpido per porgli le domande. Lo guardava con occhi appena sgranati… c’era quasi la luce in quegli occhi chiari. Brillavano…
“Angelus voleva per sé ogni bellezza.” – mormorò, come se questo spiegasse tutto – “Voleva la vita, l’incomprensibile… tutto.. e poi di nuovo da capo… solo una volta si è sentito… totalmente appagato…”
La sua voce si spense, per un attimo. Gli scivolò dentro i lineamenti, indurendoli.
“L’apice della sua passione è ora il più buio dei miei incubi.” – sussurrò, a denti stretti – “E ora andiamo. La città ci chiama.”

“L’apice della sua passione è ora il più buio dei miei incubi.”

“Come?” – Angel lo fissò. Doyle si era perso a fissarlo… e poi quella frase. Quella frase che gli sembrava di riconoscere…
“Era a lei che ti riferivi, quella volta…” – commentò Doyle, più per se stesso, che per il suo perplesso interlocutore – “Drusilla. Lei è stata la più grande passione di angelus, vero?”
“Sì.” – annuì Angel, soppesando le parole – “Era solito definirla così.”
“E ti sei mai chiesto perché?”
“Doyle… il fatto che io parli di me stesso in terza persona non significa che io non ricordi. Drusilla è la cosa più pura e limpida che io abbia mai incontrato. E poi c’era il fatto della Vista.”
Drusilla era una ferita ancora aperta. E profonda. Angel altenava frasi al presente con frasi al passato, come se non sapesse come collocare quella sua splendida accolita…
o quel suo grandissimo abominio.
Ed avrebbe seguitato a parlarne, ancora e ancora…
“Drusilla era destinata ad essere un Cantastorie.”

Ecco. L’aveva detto.
La verità gli era uscita dalle labbra ad una velocità impensata, interrompendo violentemente le confessioni di un povero vampiro tormentato.
Interrompendo una triste ammissione… per infilargli una spada infiammata nel cuore.

“Doyle…”
“Angel…”

“Adesso credo di volerlo, quel whisky.”

Adesso che sapeva di avergli scagliato il ‘macigno’ in testa, paradossalmente, si sentiva pronto ad andare avanti. Come capita talvolta, per le parole importanti, che stentano a sgorgare e divengono poi, all’improvviso, un fiume in piena.
Assolutamente incontenibile.
Tutto.
Tutto dentro un unico silenzio.
Le supposizione, l’inizio del dubbio, la paura che Drusilla fosse ben più di quanto si narrasse… e la certezza che il Consiglio lo sapesse… un mare di parole, la conversazione con Faith… e infine l’istinto. Il riconoscere in lei una parte di sé e non poter che inorridire.
Tutto. Tutto quello che sapeva. E che provava.

Ed infine…

“Mi dispiace.” – mormorò.
Angel era rimasto seduto dove era. Fermo, immobile.
L’aveva ascoltato, dalla prima all’ultima parola.
Nelle mente, ad ogni frase, si sommava un’immagine, un fotogramma di pura e nitida perversione.
La lenta deformazione del volto di Dru dominava ogni scena.
Dalla tranquillità alla paura, dalla paura al terrore, fino alla consapevolezza… fino a trasformarsi nel volto della caccia.
Freddo e lontano.
La maschera che ci separa dal resto del mondo.
Perché siamo assassini degni di rispetto.
E inattaccabili. Sempre e comunque irriconoscibili, nel portare la distruzione.
Io ho fatto venire in superficie una maschera per Dru.
Ti rendi conto, Doyle? Non sapeva mentire. Io le ho insegnato la menzogna.
“Angelus ne sarebbe deliziato.” – commentò, quasi in trance, lo sguardo di una fissità che terrorizzò Doyle – “Si è perso un trionfo piuttosto grosso.”
“Angel.” – non ricordava di essersi alzato. Non ricordava quando era caduto in ginocchio, appoggiandogli le mani sulle ginocchia – “Guardami.”
Nulla. Lo sguardo di Angel era ancora fisso, un punto buio, tra le mani di Doyle, un ghirigoro del tappeto che lentamente si andava sfuocando.
“Angel, guardami subito.” – ripetè, cercando di dare una sfumatura perentoria alla voce –“Non farmi pentire di quello che ti ho detto…”
“Dovresti pentirti di quello che hai fatto.”
Ecco. Quello era un tono duro.
Freddo e puro come una lama.
Angel si alzò, passandogli a fianco. Non stava andando da nessuna parte.
Aveva solo bisogno di allontanarsi.
Doyle chiuse gli occhi, frastornato, un singolo istante.
Prima di riaprirli, con consapevolezza. Non era rancore…
“Dovresti pentirti di aver dato la vita per salvarmi… di aver sprecato le tue giornate con me. Non sono l’eroe che pensavi… alla fine è venuto fuori.” – si era fermato, dandogli le spalle. C’era un muro, tra loro, lo sentiva chiaramente.
“Levati dalla testa questa puttanata del muro.”
Si voltò, senza nascondere la sorpresa.
Doyle era in piedi. Ed era… arrabbiato.
Ma, soprattutto…
Oddio…
“Oddio?oddio un corno, Angel! Non comportarti da paranoico! L’hai sempre saputo che tipo sono. Sono un baro, un casinista e so mentire senza problemi. Credevi che sarei stato tanto onesto da aspettare che mi dicessi queste cose? No, uomo, non se ne parla nemmeno.
In questa casa si è giocato un po’ troppo al gatto col topo, in attesa di crolli emotivi e grandi confessioni.
Adesso mi interessava sapere cosa ti passava per la testa e me lo sono preso! E se questo gioco non ti piace… apri la bocca e parla.”
“Non l’ho apprezzato, Doyle.” – replicò duro, incrociando le braccia.
“Io non apprezzo la tua autocommiserazione Angel! E non apprezzo che tu metta in dubbio la nostra amicizia per quella che ritengo una cazzata.
Credi che ai miei occhi ciò che hai fatto a Drusilla sia peggio di quello che hai fatto a tua sorella? Oppure a Spike? Lo credi veramente?”
Pazzesco… Angel aveva fatto un passo indietro. Che espressione poteva avere per far arretrare l’Angelo del buio?
“Credi che mi importi più di quella folle che delle migliaia di innocenti che hai trucidato? Credi che io non pensi mai a cosa hai probabilmente fatto alla zingara per meritarti la maledizione?”
“Doyle…” – balbettò. Il passato gli premeva tra le tempie e la voce di Doyle lo manovrava, come solo il rimorso e la realtà erano capaci.
“Credi di essere meno un eroe ai miei occhi. Per ogni goccia che sangue tuo che versi adesso non tornerà nessuna di quelle vite! Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome. Ed io sono fiero delle scelte che ho fatto, di tutte le scelte che ho fatto. Per cui fammi il favore di non demolire la tua Redenzione e il mio Compito in un colpo solo!”
c’era Faith sulla porta. E, dietro di lei, c’era Cordelia. Spettinata, con solo una camicia addosso e i piedi nudi. Doyle si voltò, dando le spalle a tutti loro e cercando le sigarette.
“Sono calmo!” – sbraitò – “Nessuna tragedia in atto!”

Faith aveva fatto due passi indietro. C’era qualcosa che non andava in quella stanza.
C’era Angel, con aria avvilita a centro stanza, in piedi. E c’era un rarissimo esemplare di Doyle esasperato che camminava in cerchio.
Abbastanza da optare per una fuga. Oppure, si disse giustificandosi, c’era da rispettare la loro privacy…
Seee, raccontatela Cacciatrice.
E in contemporanea con la vocina di Spike, le giunse una bella spinta da dietro.
“Cammina!” – sussurrò Cordelia, facendola entrare nella stanza – “Questo spettacolo non ce lo perdiamo.”

“Doyle.. tesoro…” – Cordelia si stava avvicinando, torcendosi le mani, leggermente sulle spine – “Permettimi…scusami… ma sei certo di stare bene? Fai sport, ti arrabbi… non è normale…”
“Sto benissimo.” – replicò secco, il demone – “Sono solo molto stufo. Angel, mi dispiace, sul serio. Per tutto quello che ti ho detto e in tutti i sensi. Ma dovevo. E l’ho fatto.”
Faith era di fronte a Angel.
Gli si era avvicinata in modo studiato. Ed ora, con le mani in tasca e la sua solita espressione, aspettava di incontrarne lo sguardo.
E quando finalmente accadde…
“Te l’ha detto, immagino…” – constatò.
Ed Angel annuì, con aria afflitta.
“Già.” – gli sarebbe piaciuto aggiungere quanto si vergognasse, o fosse dispiaciuto.. ma aveva il sospetto che Doyle avrebbe ricominciato ad urlare.
Poi gli venne il sospetto che ‘quello’ gli stesse ancora leggendo la mente.
Lo fissò, preoccupato.
Ma Doyle gli fece un cenno, con mano, bicchiere e sigaretta.
“No, grazie, dei tuoi casini mentale ne ho abbastanza, per stasera.”
Aveva risposto senza sentire la domanda. Ma non c’era dubbio che l’avesse intesa semplicemente guardandolo. Lo conosceva bene, dopotutto. E, indipendentemente dalle sue affermazioni, non aveva poi realmente questa totale dedizione alla menzogna.
“Angel, cosa sta succedendo?” – Cordelia si era voltata, interrogativa. Apparentemente in quella stanza erano tutti informati di quello che stava accadendo. Tranne lei.
Lei e chi altri?
Solo lei?
“Principessa..” – Doyle vuotò il bicchiere in un fiato – “Te lo spiego io, dopo. Andiamo a dormire, adesso.”
“Doyle, aspetta…” – Angel fece un passo avanti, arrivando molto vicino a Faith, ancora immobile – “Cordelia… Ti racconto io…”
Una parola sull’altra. Ripetendo quasi fedelmente la versione di Doyle. Facendo rivivere, in parte, a Faith, la situazione e le sensazioni.
Tutto, tranne la paura di Doyle.
E questo, in quel racconto fedele, fu per lei una sorpresa.
Per quanto qualcosa trapelasse dalle parole di Angel, faith si rese presto conto di essere l’unica testimone di quel dispiacere intimo che il demone aveva provato innanzi a quella realtà
Una singola occhiata che, come sempre nel caso di Doyle, valeva più di ogni discorso.

Una confessione in piena regola.
Senza abbassare mai lo sguardo, senza rinunciare ad un singolo particolare.
E più andava avanti, più le nocche di cordelia divenivano bianche per il troppo stringere.
Ascoltava, senza accorgersi più del freddo. In piedi.
Doyle si era riseduto in poltrona, rinunciando all’atteggiamento bellicoso.
Aveva finito con calma la sua sigaretta. Ed ora attendeva tranquillo.
Faith, dapprima timidamente, si era mossa verso di lui, per poi cambiare idea e sedersi sul divano. In attesa che Angel finisse quella storia nera di cui lei già conosceva la maggior parte dei passi.
Sembrava una lunga e ossessiva litania, vissuta, raccontata, capita, spiegata e poi di nuovo raccontata e ripetuta.
Si domandò quante volte fosse già successo, quante volte Dru dovesse tornare e andar via perché finalmente Angel conoscesse un po’ di pace personale a riguardo.
Ora la sua ombra oscura e folle si stendeva come un manto sul Cantastorie e l’Eroe. Faith, per quanto poco si considerasse, riusciva chiaramente a percepirlo, istintivamente. Sapeva che si trattava di una cosa passeggera, un ultimo sussulto di quella caduta libera che negli ultimi mesi li aveva coinvolti tutti.
Come una spirale, in rotazione su se stessa, quasi giunta all’epilogo. Ancora un passo, e sarebbe finita.
Di colpo quella speranza le provocò un fuggevole sorriso. Finita… si parlava di una redenzione, non di un periodo no! Non si poteva realmente vederne la fine, ma solo confidare in un precario equilibrio e nella forza d’animo, per non arredersi.
Anche Angel sapeva questo… se ora confessava apparentemente in modo pacato, l’incubo di un’eternità, il suo obbiettivo restava sempre quell’equilibrio.
Nitido, lineare, semplice.
Realtà.
Non negarla mai. E domandarsi se si è veramente dispiaciuti del compiuto.

E lui lo era.
E molto.
Già prima.
Ora si trattava solo di aggiungere altra benzina su un fuoco mai sopito.
E lasciarlo divampare.

IX
“E adesso?” – chiese Cordelia, quando Angel concluse il racconto.
Lentamente, per il modo tranquillo con cui le veniva narrato, aveva smesso di percepirne solo l’orrore.
E l’aveva ascoltato, attentamente,in ogni sfumatura, in ogni possibile deformazione o espressione. Fino a rendersi conto, di poterlo accettare… ma non immaginare.
“Non è cambiato nulla, rispetto a prima.” – ammise Angel – “è un problema mio. Le azioni di Drusilla non hanno mai avuto una vera coerenza. Se è qui in città è per via di quello che ho fatto a Darla.. e perché voleva Faith, per un motivo che non so realmente spiegarmi…”
cordelia non aggiunse nulla. Nella mente le si era formulata la risposta più naturale della terra.
Gelosia.
Pura e semplice gelosia femminile. Dopotutto… si trattava di quello splendido esemplare biondo tutto nudo in biblioteca!
E fu così che d’un tratto, si vergognò di quello che stava pensando… in mezzo ad una certa confusione, tra Angel in crisi e Doyle arrabbiato, lei non riusciva a levarsi dalla mente quella schiena e quell’asciugamano.
“Principessa..stai arrossendo…” – borbottò Doyle. Non riuscendo a trattenere un sorriso… non voleva eseguire il filo dei pensieri della ragazza.. gli era successo. E basta.
“Oh, lo so..” – ribattè distrattamente Cordelia – “Ma è più forte di me…non riesco proprio a levarmelo dalla testa.”
Eccola. Nata per sorprenderlo, senza dubbio.
Doyle abbassò lo sguardo, dimenticandoli tutti e seppellendosi per un istante dentro al proprio sorriso.
Sapeva che lui l’aveva percepito. Ma la cosa non la colpiva, affatto. Per lei, per Cordelia, era la cosa più naturale del mondo.
Doyle poteva sentirla, doyle leggeva in lei come un libro aperto.
E non c’era nulla di male, solo amore, amore senza confini reali.
E non c’era coscienza da nascondere.
Tutto era pulito, in Cordelia… c’erano segreti, ma non macchie.
Per Angel era diverso.
Per Angel il buio era una sfera al centro della mente. Era ciò che nella vita non si confessa, era ciò che non si dice mai, ciò che si nasconde perché non si può negare.
Per Angel era il corridoio dei morti e delle loro grida.

Tutto sommato Angel ha ragione a dubitare… non deve essere facile sentirsi dentro tutto quel male.
Non deve essere facile sapere di averne goduto tanto a lungo…
Probabilmente ho sbagliato a voler violare così i suoi baluardi. Ma so perché l’ho fatto.
E so che era un buon motivo.

Rialzò lo sguardo, verso di loro.
E, per un singolo istante, quell’occhiata li raggelò.
Era uno sguardo pulito e freddo come un cielo di inverno.
Era lo sguardo dei guerrieri.
E sul volto di Doyle era strano. Quasi paradossale.
Per un attimo non sembrò lui. Divenne un altro, quasi il tempo gli fluisse intorno.

Poi torno ad essere se stesso.
Francis Allen Doyle, demone visionario.
Con pessimo gusto in fatto di vestiti.
E spalle troppo esili per essere un vero combattente.

“Cordy…” – chiamò Faith, alzandosi – “Io credo che sia meglio se ce ne andiamo di sotto…”
e, visto che la ragazza la guardava, interrogativa, aggiunse, spazientita.
“Sai benissimo che questi due non ci vogliono tra i piedi. Cammina, potrai fare il terzo grado a me preparando la colazione.”

“Possibile che pensi a mangiare in un momento del genere?” – la sentirono lamentarsi, scendendo le scale – “E poi, perché tu lo sapevi e io no? Perché a te l’hanno detto e a me no?”

Doyle sorrise, giocherellendo con il bordo del bicchiere, sfregandosci un dito sopra senza che ne uscisse melodia alcuna.
“Già, in effetti, avevo considerato di non dirglielo…”
“Perché…” – momrorò Angel, in imbarazzo. L’amico gli sembrava calmo, quasi la tempesta l’avesse attraversato senza sconvolgerlo. Lasciando solo a lui il dispiacere di quel diverbio – “perché non volevi lo sapesse?”
“perchè ogni tanto mi piacerebbe proteggerla… passa la sua vita immersa in situazioni poco piacevoli… avrei voluto risparmiarle questo nuovo aneddoto… dopotutto, nessuno di noi vorrebbe mai veramente sapere quanto male si annida nel mondo di tutti i giorni…”
“Credi che non lo sappia?”
“Credo non ci sia bisogno di ricordarglielo.” – ribattè, fissandolo. E capendo il suo dissidio interiore, ancora una volta – “oh, andiamo, uomo. Tu dovevi saperlo. E mi dispiace essermi messo a sbraitare. Veramente… non era la strada migliore… io non posso spiegarti il mio punto di vista. Non posso. Non mi aspetto che tu possa accettarlo.
Quello che voglio che ti entri chiaramente in testa è che.. che non avrei fatto quello che ho fatto, se non ne fosse valsa la pena.”
Si era sporto in avanti, apoggiandosi con i gomiti alle ginocchia. Un mazzo di carte e sarebbe tornato ad essere il tizio irriverente che l’aveva accolto a casa quel giorno, per trascinarlo fuori, per convincerlo che c’erano umani da salvare e in cui credere.
“Andiamo, mi conosci benissimo. Sai che non sono un eroe, che non ho mai avuto la costanza e lo spirito di sacrificio necessario. Quando ci siamo incontrati campavo il lunario, con un matrimonio naufragato alle spalle e più debiti che capelli in testa. Non fingevo di certo per fare scalpore.
Ero così ed ero io.
Avevo solo il mio Compito, un sacco di forze del bene che bussavano al mio cervello rifilandomi informazioni di cui avrei fatto a meno. E poi ho incontrato te… e mi sono impegnato, certo. E non perché mi avevano detto che dovevo farlo o perché ero quel che ero… Io mi sono impegnato perché ci credevo. Ci ho sempre creduto.
Ho creduto in te e in lei dal primo minuto.”

In te e in lei… me ne ero scordato.. eravamo solo noi, all’inizio…uno scantinato, un ufficio con schedario e i biglietti da visita di Cordelia.
Non c’era nient’altro.
Quanto tempo è passato, quante cose sono cambiate…

“Mi dispiace, Doyle.” – mormorò, perdendosi dietro quei ricordi. C’era Buffy dentro al petto, allora, c’era solo lei e nient’altro.
E fuori, tra la luce e l’ombra tuttto il resto. La Wolfram&Hart, Kate, il buio e le paure delle persone….
Era tutto così lineare, così semplice.
Combattere il buio, nel buio. Null’altro.
Ed ora…

“Ora è tutto diverso…”
“Certo che lo è, uomo. Adesso è vita, è amore, amicizia, discussioni e opinioni. C’è ancora da combattere, la fuori, ma ora la vita scorre anche qui dentro. È tutto cambiato perché siamo andati lontano.. bhe, sì, io un po’ più del necessario… ma questo è il posto dove si torna.. non dove si aspetta una nuova battaglia.
Questo è il posto in cui vogliamo tornare…. Questo.”
Che legame ha, tutto questo, con Drusilla…
Cosa può negare ciò che le ho fatto..
Nulla.
Nulla può cambiarlo…

..Per ogni goccia che sangue tuo che versi adesso non tornerà nessuna di quelle vite!…

Doyle… angel si voltò a fissarlo, preoccupato per una nuova intrusione. Ma non era lui. Non era lui ch eora lo guardava e attendeva una risposta…

…Ma lo fai, cazzo! Lo fai eccome…

non sei tu.. è a tua voce, ancora nella mia testa..un’altra voce tra mille voci… solo che la tua… sa di speranza…

“Tu credi in me, Doyle?”

l’aveva chiesto, senza nemmeno soffermarsi a pensare.

E doyle aveva alzato lo sguardo verso di lui, fino a entrare in quegli occhi scuri e profondi.

“Certo.”

E poi, come se non fosse già abbastanza…

“Da sempre.”

***


Ed eccolo.. un altro giorno in arrivo.
Al momento non è altro che una riga perlacea all’orizzonte.
Ma diverrà ampia e trasparente entro poco…
Ed oggi, come ieri, quel momento… mi manca…

“Allora, eroe… passata la crisi?” – Doyle si appoggiò al parapetto. L’aveva raggiunto già da qualche minuto, ma si era fermato, un istante.
Era come allora… solo che era un’alba, non un tramonto.
“Già…” – Angel sorrise, seduto su quel parapetto. Anche lui, ricordava.
Oggi come alllora, sapeva che avrebbe scelto le tenebre.
Allora aveva rinunciato alle Gemma di Amarra… adesso avrebbe rinunciato al rimorso e alla voglia di morire.

“Del resto non potevo mica continuare a rimuginarci sopra…” – ci scherzò, forzatamente.
“vedi, non è poi così difficile prendersi poco sul serio..” – ridacchiò Doyle – “Anche se, mi tocca ammetterlo.. con l’umorismo sei un disastro…”
Ed Angel ne sorrise.
La striscia all’orizzonte aveva il colore delle pesche… presto, presto sarebbe stata di fiamma.
“E’ ora…” – mormorò Doyle raddizzandosi. Era venuto per parlare, ma alla fine non ne aveva avuto bisogno.
“Lo so.”

Angel saltò giù dal parapetto e si incamminò, verso la porta metallica.
Un altro giorno, un altro giorno assordante stava per cominciare. Freddo e limpido.
E ad esso sarebbe seguita un’altra notte.
L’avrebbero attesa. E braccata, con i suoi neri angoli infiniti.
Perché ci fosse un’altra alba. E un’altra ancora.

Albe che Angel non avrebbe visto.
Che non l’avrebbero più tentato con un sonno eterno e senza sogni.
Albe per chi aveva ancora sogni e non solo rimorsi.

A me è riservata la zona d’ombra che passa tra la vita e la vita. E, dopotutto, se Doyle ha ragione, non è poi così strano che la normalità, talvolta, si faccia strada in questa terra di nessuno…

“Sai se Cordelia ha preparato del caffè?”
“Certo. Bruciato alla perfezione… ma Faith ha comprato i croissant… ah, Angel.. quello con l’uvetta è mio…”