The Gift
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
E Cordy lo stringeva forte.
Cordy.
Angel la guardò sorpreso. Da quanto era lì?
Gli baciava la fronte e lo stringeva, lasciando che seppellisse intimamente il capo sul suo seno, impregnandolo di dolore. Dando le spalle a Doyle, che li sovrastava entrambi.
Non poteva spiegare cosa sentisse. Non poteva spiegare la rabbia che provava contro il suo cuore, quello stramaledetto cuore morto da secoli che non voleva smettere di battere. Che non aveva smesso di battere quando quello di Buffy si era fermato.

Spike era partito all'improvviso, afferrando il giaccone e sfrecciando verso il fondo della strada senza una parola. Nel cuore della notte, a metà di una discussione e di una ronda, Spike aveva risposto al cellulare.
Il colore dei suoi occhi era cambiato, i suoi lineamenti erano mutati, mentre fracassava con un solo pugno la prima cosa che gli capitava sotto mano.
Angel e Faith l'avevano guardato con un misto di sorpresa e preoccupazione. Spike aveva girato loro le spalle, parlando al telefono, tacendo ed ascoltando.
Furioso.
"Devo andare." - aveva comunicato, asciutto, camminando spedito verso l'Hyperion. Angel aveva provato a fermarlo, ma Spike aveva preso la moto e, impennando, ormai un tutt'uno con il suo mezzo, era sparito.

Sunnydale.
Da Briciola.
Perché Glory infine l'aveva trovata, attendendo e valutando dal buio e dal mistero, per quasi un anno.
Un nemico appena profilatosi all'orizzonte della Bocca dell'Inferno, poco prima che Spike se ne allontanasse, con l'ingombrante peso di un' anima che non voleva.
A nulla erano valse la sicurezza di Buffy, i calcoli di Giles e la magia di Willow.
Spike sfrecciava verso Sunnydale e sperava di arrivare in tempo. Anya gli aveva detto di muoversi, aveva poche ore prima di una possibile ed ottimale congiunzione astrale.
Anya.
Un altro demone capace di capire l'umanità.
Spike impennò ancora, per sfogare i suoi sensi troppo tesi, ed urlò, con rabbia, lungo una strada soprannaturalmente deserta.

"Westley… sono Giles…"
"Aspettavo una tua chiamata. Suppongo che Spike sia lì, sono quasi due giorni che non si fa sentire. Ho provato a chiamarti, ma le linee erano interrotte…"
"Wes, ascoltami…"
Un tono stanco, roco, come di chi ha urlato troppo a lungo. Wes aggrottò le sopracciglia e, a quella reazione, Angel fu subito a fianco del telefono, le mani sul mobile e Cordy alle spalle, come un'ombra.
"Wes, è successo qualcosa… ce la siamo vista brutta e… io avrei bisogno di parlare con Angel. E poi di nuovo con te."
Al grande Giles mancavano le parole. Wes ebbe una nitida visione di lui, nella sua posa più tipica, gli occhiali in mano, strofinandosi gli occhi. Arruffato ed impolverato, come uno sempre in trincea. Ma non riusciva a non vederlo, agghiacciante, con le guance solcate di lacrime.
Wes non parlò, allontanò il telefono, per porgerlo ad Angel e sedette, le mani giunte, a contatto con le labbra. Il suo cuore batteva forte, all'impazzata.
"Voleva parlare con Angel." - sussurrò a Doyle, in piedi di fronte a lui - "Non ha voluto dirmi cosa è successo… ed io ho paura."
Perché?
Perché quella sensazione, nata dalla voce di Giles? Cosa c'era che non andava, tanto da sconvolgerlo?
Spike… un pensiero che preferiva non formulare.

Il nulla, sembravano tutti impregnati di nulla.
Ed in mezzo a loro, Angel.
Muto.
Dallo sguardo vuoto.
Votato a sentire la testa riempirsi di parole atroci che Giles sussurrava da lontano, dritto nel suo orecchio.
Puntando al centro del cervello.
Colpendo.
Ferendo.
Uccidendo.
E nulla più.
E quando il flusso di parole si interruppe, Angel porse il telefono a Wes.
"Vuole parlare ancora con te." - mormorò.
Freddo. Non più un'emozione nella sua voce.
Cieco ai loro sguardi.
Sordo alle loro parole.
C'erano le scale da salire e, di sopra, la sua stanza, avvolta nel buio.
In cui aspettare la morte.

"Giles, adesso voglio sapere cosa è successo."
"Abbiamo subito una perdita." - replicò l'altro, stranamente narcotizzato, come se il suo dolore fosse colato in Angel lasciandolo svuotato di ogni cosa.
Spike….
Wes si aggrappò al ripiano e pregò che le gambe non cedessero.
"Si tratta di Buffy."
Buffy.
Non più una Cacciatrice.
Un'informazione, null'altro di un'informazione.
Un nome che qualcuno stava scolpendo già sulla pietra.
Un colpo.
"Aspetta." - si sorprese a dire, con fermezza Westley Whydam-price. Come se ci fosse qualcosa di più importante di una vita che si spegne.
Girò su se stesso, abbassando la cornetta e squadrando Doyle, con il gelo nello sguardo. Doyle, che aveva preferito attendere di sapere, anche se si era sentito dilaniare innanzi all'amico, alla sua espressione vuota.
"Vai di sopra, non perderlo un attimo di vista. È… è Buffy."
Lo vide sussultare e capire in un battito di ciglia. Anche il cuore di Doyle aveva temuto per Spike. ma ora sapeva che era centomila volte peggio.
Lasciò Cordy, e Faith, in piedi, annichilite e corse, corse, all'impazzata.
"Dimmi Giles, sono qui. C'è…altro?" - come se quello che aveva sentito non fosse abbastanza…
"Spike sta tornando a Los Angeles. Sarà lì a momenti. Ho faticato a prendere la linea." - come se potesse importare ad entrambi dell'interruzione del servizio telefonico - "Ti dirà lui i particolari."
I particolari? Cosa c'era che non si poteva dire a telefono? Buffy era morta.
Esisteva ancora il mondo?
Oh sì. Esisteva. Proprio perché Buffy era morta.
Non c'era altra spiegazione scientifica per un sole che sarebbe ancora sorto.
"E' stato con Dawn fino a poche ore fa, ha detto che tornerà qui. Ma doveva venire a Los Angeles…" - tacque, perdendo il filo del discorso.
"Avete bisogno di aiuto? Rupert, qualsiasi cosa.." - Wes scivolò a sedere, con un tono confidenziale, reso spesso dalla tragedia. Voleva che Giles sapesse quanto capiva il suo dolore.
"No, no, io penso che possiamo cavarcela…Westley, Angel…"
"lo so. Non te ne preoccupare." - non poteva dire nulla. Nulla più del detto.
E, senza un saluto, interruppe la chiamata.

Attese. Attese, seduto su un gradino, con Faith a fianco e Cordy tra loro.
Nessuno sembrava potersi avventurare di sopra, nessuno sembrava avere la forza di accettare quell'informazione essenziale e comune nella vita umana.
Buffy era morta.
Buffy, che nella loro vita aveva assunto più forme.
Buffy che alla fine era stata solo una Cacciatrice.
Non amante, madre o figlia.
Solo una Cacciatrice, tra le braccia della morte, alla fine dei suoi doveri. Laddove forse cominciava l'umana vita.
Laddove forse sarebbero potute finalmente esserci le braccia di Angel.
Cordelia, tra loro, era fatta delle lacrime che non sapevano versare né l'Osservatore, né la Cacciatrice.
Di lacrime che non si spiegava. Per la morte di una ragazza forgiata di sano egocentrismo, di forza muscolare, predestinazione e amore.
La ragazza a cui tutti dovevano la vita, con riconoscenza e sorpresa. La ragazza che era dovuta sparire, per far capire la sua essenzialità, nascosta sotto una scorza di capelli biondi e pugni ben assestati.
In silenzio, attendevano il testimone.
Attendevano, lasciandosi avvolgere dal torpore che solo il gelo di un amore perduto poteva diffondere. Nessuno di loro poteva essere Doyle. A nessuno di loro era permesso condividere con Angel il peso di essere sopravvissuto.
Sopravvissuto a Buffy. Da sempre era stato pronto ad un'evenienza del genere. Si era nascosto dietro quei duecentocinquant'anni di differenza per non soffrire ancora della perdita.
Ancora.
E ancora.

Il rombo della moto li investì come una scarica di adrenalina. Westley scattò in piedi e corse verso il garage, con Faith alle spalle.
Spalancò la porta e saltò i due gradini, nell'istante stesso in cui il motore si spegneva. Spike si stava sfilando il casco nero. Appariva stanco e tirato.
Posò il casco sul serbatoio, ma restò a cavalcioni del suo mezzo, fissandoli entrambi, con espressione immota.
"Lui dov'è?"
"Di sopra." - rispose Wes, prontamente - "Con Doyle."
Era uno scontro di titani. Mai, agli occhi di Faith, erano stati tanto freddi e duri, quasi metallici, nel loro accento.
Spike scese dalla moto, lasciando volteggiare il giaccone di pelle, portando fuggevolmente la mano verso il torace.
"Sei ferito?" - la vista di Faith, più allenata, non si era lasciata sfuggire la smorfia.
"Non è niente." - replicò secco Spike - "dobbiamo muoverci, voglio ripartire per Sunnydale entro stasera. Sono venuto a parlare con Angel, per sapere cosa intende fare."
Cosa intende fare… a parte morire?
"Hai informazioni per me?" - Wes sentiva in cuor suo di avere un compito da svolgere. E come unica debolezza aveva il desiderio di una conferma a ciò che già sapeva. La stessa debolezza di cui aveva avuto bisogno Doyle, un attimo prima di scattare al suo posto.
"Sì." - Spike gli passò accanto, con un cenno - "Entriamo."
"Ascoltami" - disse, privandosi rapidamente del giaccone, mentre Cordelia si avvicinava, come un automa.
Spike, senza neanche fermarsi pensare, la strinse tra le braccia, senza staccare lo sguardo da quello dell'Osservatore.
"La Chiave è al sicuro per il momento. È quel che è successo non è rimediabile." - proseguì implacabile, scavandosi da solo nel cuore una ferita già sanguinante - "E' a Faith che dobbiamo pensare. E in fretta. Di certo non può stare qui, è il primo posto dove verranno a cercarla."
Ma cosa…
Faith parve non capire, strinse gli occhi e fissò ancora il vampiro, il suo compagno di botte, l'impertinente, svanito per lasciare il posto ad un uomo forte e con l'acciaio nella voce.
"Lontano da me." - rispose Westley in un soffio.
"Soprattutto."
"Lorne?"
"E' perfetto. E con lei mandiamo Cordelia. La lascerà là e tornerà indietro."
"Frena, frena." - sbottò Faith, alzando le mani come per parare un colpo - "Cosa sapete che io non so."
"Sei la Cacciatrice, Faith. Lo sei di nuovo." - Wes si girò e sbattè le palpebre, prima di calare il colpo- "E' meglio una Cacciatrice rinnegata che una morta, per il Consiglio."
"Buffy ha disobbedito alle regole del Consiglio per salvare Dawn. Avrebbe dovuto ucciderla e non l'ha fatto." - spiegò rapidamente Spike, cercando di trarre forza da Cordelia, stringendola ancora, mentre gli si aggrappava al torace, con tutta la forza dei suoi singhiozzi.
Faith avrebbe voluto un abbraccio come quello di Spike. Ed egli, come se potesse capirla, anche senza parole, protese un braccio e l'accolse. La strinse, posandole la guancia sui capelli, avvolgendola con Cordelia nel profumo del vento che ancora gli impregnava i vestiti. Le strinse entrambe, parlando con lo sguardo a Wes, sopra le loro teste.
Parlandogli del pericolo e del futuro di Faith, delle scelte che avrebbero dovuto compiere prima del tramonto. Rendendo Wes partecipe delle sue intenzioni.
Stava sostituendo Angel.
Anche Faith, nell'istante stesso in cui posò il capo sulla sua spalla seppe, da dove traeva tutta quella autorità. Spike si comportava come Angel. Avanzava nella tormenta del disastro senza perdere di vista ciò che andava fatto. Si aggrappò a lui per un istante, come soleva fare con Angel, quando gli incubi della prigione ed i segreti mai detti le provocavano un brivido.
Non era tempo per discutere.
"Va bene. È passato." - assicurò, con voce ferma, guardandolo fisso negli occhi, notando per prima il dolore e la luce che vi brillava. Ed ignorandoli deliberatamente, tese una mano e carezzò la testa di Cordelia - "Cordy?"
"E' ok. E' stato un attimo."- si scostò, con gli occhi ancora pieni di lacrime - "da Lorne, allora?"
"Sì. Avrei voluto saperla prima lontano da qui, ma non era sicuro dirtelo per telefono." - aggiunse, rivolto a Westley - "Io devo andare di sopra, adesso. Verrete a Sunnydale con me?"
"Sì. Devo." - non voglio, ma devo. Ovunque sia adesso, merita un saluto ed un ultimo omaggio.
"Verrò anch'io, aspettatemi." - aggiunse Cordy.
Faith la seguì, in silenzio, poi salì le scale, senza fermarsi, fino a quando non fu innanzi al suo armadio, con una sacca da riempire tra le mani.
Qualunque cosa fosse successa, la strada di Faith sarebbe stata un'altra. Con Lorne, ma lontano da tutto. Anche dall'ultimo confronto con Buffy.
Dannazione, sorella mia, alla fine ci sei riuscita ancora…

Spike salì le scale, rapidamente.
Innanzi alla porta socchiusa di Angel ebbe un esitazione e, girando su se stesso, si diresse in camera.
Entrò, socchiudendo la porta, trattenendosi dal desiderio di sbatterla, appoggiandosi alla porta chiusa, con i pugni serrati. Gli occhi stretti, per ricacciare indietro lacrime che non poteva concedersi. Lacrime per l'amore non amore della sua vita.
Lacrime per una Cacciatrice che era morta senza che lui l'uccidesse. Che era morta donandogli un fuggevole sorriso, da portare lontano. Che era morta dando al vampiro sbagliato il sorriso di conforto.
Stupida, stupida, stupida ragazza. Fino all'ultimo.
E Spike avrebbe voluto soffrire per questa grande ingiustizia che faceva alla sua memoria. Per la sua incapacità, per non aver sfondato il muro della sua forza. La sapeva fragile e pronta a tutto, non aveva saputo difenderla da se stessa.
Non aveva saputo lanciarsi da quella torre un attimo prima.
La fitta al fianco lo colse di nuovo e lo piegò su se stesso. Era stata una ferita profonda, ci sarebbe voluto tempo perché si rimarginasse.
Ma doveva farlo come il suo cuore.
Urlando silenziosa, perché aveva compiti troppo grandi da affrontare. Aveva Angel.
E Dawn.
Cordelia.
Faith e Wes.
Aveva la famiglia sua e di Angel da tutelare.
E non poteva fallire ancora.
Attese un istante, raddrizzandosi, con gli occhi chiusi.
Le sue mani, automaticamente, compirono i gesti che Angel gli imponeva i primi tempi, quando il corpo vacillava sotto i colpi inferti dalla mente.
Aprire gli occhi e spalancare la porta furono un tutt'uno. E con ampie falcate, avanzò fino alla porta del suo Sire.

"Faith…" - Wes la fermò, mentre varcava la porta. Anch'egli aveva radunato poche cose e la sua valigia di pelle stava già pronta, alla base delle scale, quando Faith era finalmente scesa - "Aspetta, ho una cosa per te…"
Le porse una catenina e, senza aspettare il permesso, le cinse il collo, per armeggiare con la chiusura.
Faith strinse il ciondolo tra le dita e lo portò al viso, per vederlo meglio.
"l'aveva comprato per il tuo compleanno, ma poi mi è sembrato un regalo così da… Osservatore." - le sorrise, un po' tirato - "E' un simbolo in ambra. Serve a proteggere dagli spiriti maligni e demoniaci. So che, con il mestiere che fai, la croce cristiana è più appropriata, ma un po' di superstizione non guasta…"
Faith tenne nel palmo della mano quella piccola rosa dai baluginii dorati.
"E' bellissima, Wes, grazie. Non ho mai avuto nulla di tanto bello."
Lo abbracciò. Di impulso, protendendosi sulle punte, per cingergli il collo, sentendolo chinarsi e sollevarla da terra, appena, per ricambiare.
Strappandole un sorriso.
"Non importa se adesso per loro sei una Cacciatrice." - le sussurrò,in un orecchio - "Per me lo sei sempre stata. Ed essere stato il tuo Osservatore, per breve tempo e commettendo un sacco di sbagli, è comunque stato un grande onore a cui non ero pronto."- la rimise giù, quasi con rimpianto.
"Cordy mi ha detto di dirti che è pronta." - aggiunse - "Stava cercando di ricomporsi un poco. È arrabbiata, non voleva piangere così tanto."
"Le ha fatto bene. Qualcosa mi dice che per lei non è ancora finita."
Anche Cordelia, come Faith, aveva sempre temuto il confronto con Buffy. Anche lei non sarebbe mai voluta tornare a Sunnydale.
Il posto in cui non aveva potuto essere altro che una bella ragazza stupida, per essere qualcuno. Ed aveva paura di tornare, di farsi vedere da occhi sempre uguali, incapaci di comprendere il suo cambiamento. O la sua vera faccia.
"Doyle verrà con voi?" - se solo avesse potuto avere quel conforto…
"Dipende da Angel…"
"Già."- Già. Non osava chiedere. Dal piano di sopra, aveva percepito solo colpi attutiti, la voce di Spike. Ma non aveva compreso una parola, aveva preluso ai suoi sensi la possibilità di percepire il dolore, con deliberata intrusione.
Spike.
Le sarebbe piaciuto salutarlo…
"Faith, io…" - Wes appariva impacciato - " io non so per quanto tempo sarà. Penso che anche questo dipenda da Angel. E' lui che ha una certa influenza, sul potere del Consiglio. Ma una cosa è certa. Se Quentin Travers varcherà questa porta, con la sua tipica sicumera, io gli spaccherò la faccia. E le trattative con il Consiglio termineranno lì. Ti hanno lasciato troppe cicatrici, per permettersi di far finta di niente."
"E a te no?" - Faith gli regalò un sorriso ironico, perché lo portasse ovunque era destinato ad andare.
Cordelia le passò a fianco, abbassando lo sguardo, lasciando loro ancora qualche istante, inforcando spessi occhiali scuri.
"Devo andare." - spiegò faith, come se Wes non sapesse che quello era il momento dei saluti.
E Whydam-Price annuì. Capiva, Dio solo sa quanto.
Faith gli lisciò il risvolto della giacca grigia. Era tanto che non ne indossava una. La sua amata giacca di lana inglese, liscia al tatto, e morbida.
"Sei e sarai sempre il mio Osservatore, Wes, non credere a tutto quello che dico." - gli sorrise, con gli occhi pieni di lacrime. Prima di girare ed entrare, furtiva, in macchina.

II
Doyle non lo degnò di uno sguardo, pur sapendo che ormai era nella stanza.
Stava appoggiato al mobile, le mani in tasca. Un espressione di attesa e vaga impotenza aleggiava sui suoi lineamenti. Quando Spike gli fu a fianco, chinò appena la testa, con il gesto tipico di chi attende una gran verità appena sussurrata.
"Stai bene?" - sussurrò.
"E tu?" - replicò beffardo il vampiro, con un tono che impose a Doyle di fissarlo in faccia, a scomporne l'espressione in mille frammenti.
Per leggere, in ogni particella, un dolore puro. Il dolore di chi perde chi ama.
E teme di perdere ancora.
Eppure…
"Cordy mi ha detto di Faith." - aggiunse, ricacciando indietro quella verità carpita e indicibile - " e mi ha detto che sei ferito."
"taglia corto irlandese, e ascoltami."
Dal mobile dietro di loro, Spike attinse una bottiglia di vodka, sua proprietà privata, e ne bevve alcune sorsate. Era come se attendesse il momento propizio per agire, come se potesse ancora freddamente ignorare quella figura immota e raggelata che sostava in piedi innanzi alla finestra.
"Ascoltami." - ripetè, passandogli la bottiglia - "I metodi sono due. Il tuo ed il mio. Il mio adesso ed il tuo dopo."
"tu spargi i cocci ed io li raccolgo?" - Spike lo irritava, con quella noncuranza simulata. Ma c'era bisogno di una forza di quel genere tra loro. E Spike, mai come ora, sembrava avere una strada da percorrere.
"Io riparto per Sunnydale tra poche ore. Devo occuparmi della sorella di Buffy, di Dawn." - spiegò Spike, con un lampo di impazienza - "Le ho promesso che sarei tornato. Avrei voluto essere io a dirlo ad Angel, ma.."
ma non avevano potuto più attendere. Erano trascorse molte ore dalla morte di Buffy e quel segreto alle spalle di Angel sembrava essergli pesato oltremisura. Eppure, di questo Doyle era certo, erano state quelle ore di stasi a dargli ancora forza e determinazione da vendere. Una traccia da seguire, tra persone troppo sconvolte per lasciare spazio alla sofferenza.
"Vuoi che me ne vada?"
"Mi è indifferente. Non so cosa possa capitare." - replicò, allontanandosi, avanzando, fino a posare una mano sulla spalla di Angel.
Nulla.
Nulla.
Nulla.
Uno spintone ben assestato, per farlo girare, per fargli quasi perdere l'equilibrio.
Nulla.
Un pugno, per fargli sputare sangue.
Sangue che Angel deterse con due dita, fissandolo per un istante.
Un altro pugno. Spike piegato, con la mano sul fianco.
E Doyle, con un moto di preoccupazione. Cordelia e Faith avevano visto giusto. Era ferito.
La stessa preoccupazione, negli occhi di Angel.
Una mano, tesa, verso il vampiro biondo.
Un altro pugno.
Ed Angel ancora in piedi.
Spike innanzi, le maniche rimboccate, il volto mutato, per un istante, per superare il dolore fisico e l'esasperazione.
Poi di nuovo il suo volto, quello fatto di ossa e pelle sottile.
"Avanti!" - urlò, mostrando i denti - " Io non sono Doyle, io posso picchiarti senza fermarmi. Io posso e voglio farlo. E sai perché? Lo sai?"
Un pugno, uno ancora, fino a inchiodarlo alla parete, fino a fermarsi ad un centimetro dalla sua faccia.
"Non funzionerà William." - sussurrò Angel - "lasciami in pace."
"No" - replicò, abbassando allo stesso tempo il pugno - "Io farò funzionare tutto questo. Anche se sembra andare allo sfascio."
"Non ha più importanza."
Un pugno, un altro, un altro ancora.
Un calcio.
Un'altra fitta da ignorare. Un fiotto di sangue, anche sulle sue dita.
"Avanti." - incitò ancora - "Avanti, pensaci bene. Picchiami, io so che hai voglia di sfogarti, picchiami, maledizione. Io c'ero. Io c'ero e non l'ho salvata."
Allora era quello. Spike voleva essere il capro espiatorio. Era quello che poteva essere.
"Io c'ero e non l'ho salvata, sono rimasto a guardare, mentre si sfracellava al suolo, mentre si sacrificava, come sei bravo solo tu a fare. E sai cosa ti dico? È stata una morte idiota, perché poteva mandare tutto a monte ed obbedire al Consiglio, invece di salvare sua sorella. E sai perché avrebbe dovuto salvarsi?"
Un pugno, un pugno ancora. E sangue di entrambi. Il rumore delle costole di Angel e la voce di Spike.
"Perché se si fosse salvata, starei qua a preoccuparmi del mio dolore e non del tuo. Perché sarebbe lei a soffrire e tu potresti consolarla. Perché è meglio una ragazzina morta che una Cacciatrice. Perché se ne è andata lasciandoci a badare al suo gingillo sovrannaturale." - urlò ancora, con voce rotta.
Mentre si lasciava stringere da Angel.
Mentre i singhiozzi di Angel lo scuotevano, fin nel profondo.
No.
No.
Angel non doveva pensarci nemmeno. Spike non aveva bisogno di essere consolato, a Spike non serviva nessun buon samaritano. Era furioso. Ed era un consolatore. Non avrebbe permesso ad Angel di dedicarsi al dolore degli altri, dimenticando il proprio. Era Angel che doveva piangere quella perdita. Nessuno avrebbe saputo farlo per lui.
E voluto.
"Dannazione, Angel, nessun telefono si metterà a squillare per dirti che ci siamo sbagliati. Non si aprirà nessuna porta e non ci sarà nessun amore come il suo. Non tornerà, se ne è andata e non tornerà." - la voce suonava vagamente implorante - "non hai niente da aspettare fino alla fine dei tuoi giorni. È adesso che devi soffrire, è adesso che devi prendertela con me. È mia la colpa, non tua. Sono io che ho fallito, non è morta perché tu non c'eri…. Ti prego, credimi."
Aveva nuovamente il pugno alzato e la bocca intrisa del sangue che gli saliva fino alla gola. Avrebbe avuto la reazione che cercava, a prezzo del sangue. Avrebbe calato la mano su di lui, lui che non reagiva, lui che si lasciava manovrare come un fantoccio. E si sarebbe appellato al suo demone, in barba a tutti gli insegnamenti, quando l' emorragia interna avesse piegato la sua volontà.
Avrebbe dato l'anima, purchè Angel smettesse di reprimere il dolore che gli squassava il petto.
Il pugno in pieno torace gli provocò una fiammata davanti agli occhi e lo mandò sul tappeto. Eppure non rimase fermo.
Scattò in piedi ed urlò, incitandolo.
"Forza Angel, prenditela con la persona giusta, per una volta in vita tua. Vuoi sapere come è andata? Sono andato a Sunnydale quando potevo dirti di venire. E non ho saputo risolvere la situazione, non mi sono immolato per nessuna buona causa. E sai perché? Perché credevo che fosse l'altra sorella in pericolo di vita! Pensa che sbaglio madornale, pensa che non ho una scusa. Che vuoi che dica, mi dispiace."
I colpi gli mozzavano il fiato. Li incassava, come fino a pochi istanti prima li aveva dati, senza remore.
Apriva le braccia e lo provocava, fregandosene del sangue che sentiva scorrere dalla ferita ancora aperta.
C'era Wes nella stanza, sentiva il suo cuore battere all'impazzata. E sapeva che Doyle lo stava tenendo, per entrambe le braccia. La gola gli bruciava, eppure non smetteva di urlare, nemmeno un istante. La violenza non gli bastava, voleva anche la sua mente.
I colpi sembravano rallentare. Bisognava incitarlo.
"Allora? Il grande Angel si ferma davanti ad un po' di sangue? Andiamo, sai bene quanto ne ho in corpo, sai benissimo quanto bisogna cavarmene dalle vene prima di stendermi. Puoi anche inchiodarmi alla parete se vuoi. Oppure prendere una balestra e mirare. Scommetto che sei bravo quanto Darla." - urlò ancora, quando le scapole colpirono violentemente l'intonaco. Quando, sentendosi infine in trappola, seppe di avere la partita in pugno ed abbassò il tono - "Avanti, non mi importa un accidente di quante ossa riesci a rompermi. Perché la verità è che io sopravvivrò anche a questo. E dovessi impiegare fino all'ultima goccia che ho in corpo, io ti farò sputare tutta la tua disperazione."
Angel lo sovrastava, ansimante.
"Ti prego William, non chiedermelo." - pregò, abbassando il pugno. Resisteva. Angel opponeva resistenza a se stesso.
"In tal caso." - gli occhi di Spike mandavano lampi - "Io resterò qui a prendere fiato un istante e poi ricomincerò a prenderti a pugni, dannato vigliacco. Vigliacco, assolutamente incapace di ammettere che era un storia finita da così tanto tempo che lei non ha nemmeno pensato a te, mentre si ammazzava."
"Cosa ti aspettavi? Che dicesse belle parole ed io fossi un messaggero piangente?" - lo spingeva indietro, barcollando, posando i palmi aperti sul petto di Angel - "Credevi che venissi qui con parole di conforto tanto belle da farti provare il desiderio di raggiungerla? Oh no, io ti farò tanto male quanto basta da ricordarti che sei ancora vivo, che puoi provare gioia e dolore invece di ascesi. Perché io non ti permetterò di giocare al giustiziere di marmo tutto d'un pezzo che vaga solo nella notte. Hai una famiglia e non farai come la tua dannata eterna fidanzata che si è serenamente fregata del dolore che avrebbe dato a tutti quelli che la conoscevano."
Barcollava, ma non smetteva di accogliere con un lampo di trionfo ogni reazione, ogni colpo che incassava, ogni spinta che Angel, con un moto involontario di vita gli restituiva. Fino a quando non si trovò ad arretrare. Ed alzò ancora la voce.
"Sai che ti dico? Ma sì, ben venga ciò che ha fatto! Almeno siamo liberi da lei, dalla sua perfezione. E Faith non sarà più seconda a nessuno, tu sarai libero di innamorarti di qualche donna che non sappia di lucidalabbra alla ciliegia. In fondo ha fatto ciò che doveva. Perché il dovere di ogni Cacciatrice" - disse, sorridendo, per non urlare quella grandissima menzogna - " è di farsi ammazzare."
L'impatto contro il muro fu violentissimo. Spike sbattè e rimbalzò, ma rimase in piedi. Il suo sangue macchiò la parete, lasciando un'impronta indelebile di un maglione ormai intriso fino all'ultima fibra.
Angel, con un'unica falcata, gli arrivò di fronte e lo mancò, nello sfondare i mattoni a lato della sua testa, con unico pugno. Le schegge lo colpirono, scavandogli nella guancia tagli sottili e presto rimarginati.
Quando lo afferrò per il davanti della maglia, Spike fece aderire saldamente i palmi delle mani alla parete, per non scivolare a terra.
Tossì, ed il fiotto di sangue colpì in pieno la mano di Angel. rischiando di far fallire il suo piano.
Non importa, se devo, andrò avanti.
Il sangue di Spike colpì la mano di Angel, serrata e dura.
Facendogli riacquistare lucidità, facendo svanire l'ultima luce di follia che gli brillava negli occhi. Scosse la testa, come per snebbiarsi e, in un attimo di confusione, alzò nuovamente il pugno.
Per fermarsi.
Spike lo guardava senza paura. Lo guardava in faccia, senza degnare di attenzione la mano alzata e pronta a calare un altro colpo.
"Avanti!" - gli urlò ancora, sorridendo, a pochi centimetri dal suo viso - "Sono pronto, cosa aspetti?"
Era vero. Era pronto.
Angel chinò lo sguardo ed abbassò la mano. Nella destra stringeva ancora il maglione, teneva inchiodato Spike contro al muro, perché non sfuggisse alla sua punizione. Al di sotto del maglione, tra le dita, sentiva qualcosa, qualcosa di metallico.
E senza aspettare spiegazione, insinuò una mano ed estrasse il cordoncino che Spike portava legato al collo. Un cordoncino di cuoio, con due anelli.
Due Claddagh.
Quello di Spike e… uno più piccolo, femminile. Indossato per una sola notte.
Una sola notte d'amore.
Ma non c'era più nulla da dirsi, a suon di pugni.
Tra le lacrime vedeva soltanto il colore del sangue di Spike, o forse di entrambi, sulle sue mani, sul muro chiaro, dietro la sua testa.
Tra i suoi capelli biondi.
Li accarezzò, tremando per l'assoluta incapacità di capire come erano arrivati fino a quel punto, per un'unica manciata di parole. Spike non si mosse, sbattè le palpebre e lo lasciò fare, si lasciò toccare, perchè avesse consapevolezza. Di tutto, del dolore che sentiva e di quello che dispensava. Poi chiuse la mente, perché non potesse, per qualche ironico gioco del destino, captare il fotogramma che negli occhi di Spike sembrava ripetersi all'infinito.
Scosse il capo e lo chinò, fino ad incontrare la morbida cedevolezza del corpo di Spike, fino a sentire che le gambe non lo reggevano più e che Spike lo affiancava, nello scivolare a terra.
Spike. Il suo scivolare lungo la parete con quel peso, che tanto aveva atteso, tra le braccia creava una lunga scia rossa e appiccicosa.
Ma non significava nulla. Quando finalmente sedette a terra, strinse più forte Angel chiudendo gli occhi e dimenticando per un istante quel dolore che avrebbe voluto urlare al mondo intero.
Dimenticando quello spaventoso calore che si irradiava dal suo fianco ed il sangue che gli otturava i polmoni. Tossì, piegando il capo da un lato.
Avrebbe voluto cercare Doyle, ma non ne aveva la forza. Spalancò gli occhi, quando una mano calda e forte gli si accarezzò la fronte. E represse un gemito, mentre la gemella di quella mano premeva con forza sulla ferita, cercando di interromperne il flusso. Ma non era Doyle, era Wes, Westley Whydam-Price, che premeva sulla ferita e gli dedicava uno sguardo pieno di rispetto.
Di colpo mise a fuoco la situazione, spostando lo sguardo, domandandosi quanto tempo fosse trascorso e quante sue ossa si fossero già aggiustate, in quella stasi. Le sue braccia erano vuote e Doyle aveva mantenuto la sua promessa, nel raccogliere i cocci.
Angel ero stato inginocchiato in un bagno di sangue, ma non se ne era reso conto. Per Spike era ancora un peso sul petto, anche se qualcuno aveva interrotto il loro abbraccio.
Spike ricordava Angel. Piangeva, scosso da singhiozzi sempre più forti e strazianti, piangeva la perdita dell'amore di tutta una vita, la ragazza troppo grande per essere una Cacciatrice, la ragazza del ballo di liceo, il suo sangue caldo e dolce in una gola arsa dalla febbre.
Piangeva la ragazza che aveva fatto piangere, la ragazza capace di spedirlo all'inferno e poi trarlo nuovamente fuori. La ragazza a cui non aveva saputo dare altro che il suo amore. Pianse, fino a che non perse il conto delle lacrime, pianse, mentre le braccia che lo stringevano cambiavano. Pianse, ritrovandosi nel suo letto, tra le braccia di Cordelia.

Doyle aveva mantenuto la parola.
Era stato uno spettatore, ed aveva atteso il suo turno, sbarrando gli occhi ogni volta che il desiderio intervenire era sembrato pronto a prendere il sopravvento. E sbarrando la strada a chi, meno ancora di lui, era propenso alla violenza. Trattenendo Westley, quando l'aveva visto varcare la soglia con un'ampia falcata decisa. Tenendolo per le spalle, aspettando, senza un commento, che capisse.
Dopo il passaggio di Spike, non gli era rimasto poi molto da fare con Angel. Se non sollevarlo di peso, ed affidarlo a Cordelia, presto tornata e disposta a mischiare le sue lacrime con quelle di un vampiro.
Cordelia aveva attraversato il salone e, al cenno del capo di Wes, si era diretta verso Doyle, chiudendo la mente alla visione di Spike, sdraiato ancora a terra. Era marciata dritta fino alle sue braccia, alla sua bocca. E con il sapore delle lacrime sulle guance, si era seduta sul letto.
Tra le sue braccia infine, come era solito fare il mezzo demone irlandese, Angel aveva trovato un apparente riposo, sprofondando verso qualcosa di simile al delirio. E Doyle era tornato rapidamente verso il salone e sostituendo Wes, chino su Spike, gli aveva tamponato la ferita.
"Angel?" - domandò stordito, il vampiro biondo,lasciandosi sfuggire una smorfia.
"Nel suo letto. Con Principessa. Dire che sta dormendo è un'esagerazione… ma sono ottimista." - Doyle premette con forza ancora una volta, prima di alzare il maglione.
Al disotto, intrappolate in un'abituale maglietta nera, le bende era intrise al punto da sembrare sfilacciate. Erano legate strette, per bloccare un flusso che doveva essere stato abbondante.
"Bello spettacolo." - commentò a denti stretti - "Ce la fai ad alzarti?"
"Aiutami." - mormorò Spike, senza abbandonare la sua espressione lucida e fredda, tendendogli una mano. Con uno sforzo di volontà, riuscì a trasmettere al suo corpo l'energia che bastava per mettersi in piedi e, appoggiandosi a Doyle ed a Westley, apparso con l'immancabile cassetta di pronto soccorso, ad arrivare al divano.
Doyle gli sfilò il maglione, con cautela e senza commenti. Poi, in silenzio, per accelerare la procedura, strappò la maglietta e tagliò le bende, lasciando che Spike si appoggiasse allo schienale, con un braccio dietro la testa e gli occhi chiusi.
La ferita era profonda ed appariva orribilmente slargata laddove un pugno di Angel l'aveva colpita in pieno. Una ferita di spada, lunga almeno una spanna, dal fianco verso l'interno. Profonda.
"Non voglio immaginare come tu sia ridotto dentro, se l'esterno è già così interessante." - mormorò ancora, finendo di pulire il lungo taglio.
I lividi iniziavano già a coprirgli buona parte del corpo, il petto e le braccia. Dietro la testa, incrociando le braccia, Spike si massaggiava un polso, sperando che la slogatura si riassorbisse rapidamente.
"stavo combattendo, non facevo da scudo a nessuno." - mormorò beffardo Spike, senza aprire gli occhi - "Non ricamateci sopra."
"Tranquillo. La tua reputazione è intatta. Tieni, bevi." - Wes sedette sul bracciolo, per non intralciare Doyle e gli porse un bicchiere di Whisky, serbandone uno per sé ed uno per l'irlandese.
Avrebbe voluto dirgli che era stato un gioco stupido e avventato, quello che provocato. Ma sapeva che era stata una partita ben giocata. Ed inevitabile.
Spike aveva dimostrato ancora di avere coraggio da vendere. Ed assoluta mancanza di senso del rischio.
"Spike… dimmi una cosa." - si sorprese a chiedere, dimenticando per un attimo il dolore per tornare ad essere un Osservatore - "Ti sei minimamente reso conto del rischio che hai corso?"
"Vedi Whydam-Price… io vivevo con Angelus prima ancora che nascesse tua madre. E pure tua nonna. Ne so qualcosa di pericolo e scazzottate. Ed ho avuto più di un secolo per riprendermi dall'ultima volta che abbiamo veramente fatto a pugni. E adesso levati dai piedi e lasciami stare."
Wes non si mosse. Restò seduto pensieroso sullo schienale, girato, per vedere Doyle che si ripuliva le mani e fasciava Spike.
"Stretto." - mormorò questi - "Non voglio che si allentino mentre guido."
"Non penserai di andare in motocicletta fino a Sunnydale." - protestò Doyle - "Verrai in macchina con Cordy e dormirai anche."
Spike aprì un occhio ed inarcò un sopracciglio in maniera pericolosa. Ma Doyle, con il suo spirito di sempre, proseguì implacabile.
"Faccio le veci del mio compatriota e mi occupo della tua salute."
"Sulla storia della moto hai perso in partenza. Io andrò a Sunnydale in moto e voi farete quel che vi pare. Anzi," - aggiunse alzandosi - "se vuoi continuare a discutere, seguimi. Ho fame."
Si reggeva miracolosamente in piedi.
Eppure si ritrovò Westley che lo sorreggeva, afferrandolo per un braccio.
"Inghilterra contro Irlanda." - mormorò Wes, quando si ritrovò squadrato in maniera inequivocabile.

Doyle era sparito, ma non era poi difficile immaginarlo, chino, a parlare con Cordelia che, sdraiata sul letto, stringeva Angel tra le braccia. Sensualmente, intrecciando le gambe con le sue, sostenendo il peso delle braccia inerti sul suo petto.
Le loro braccia vicine, le loro fronti che si sfioravano.
Un attimo, a Doyle bastò un attimo per capire come la situazione fosse sotto controllo. Cordelia sapeva usare il suo corpo, sapeva come il calore umano fosse vitale, ora come non mai.
E nel suo sguardo non c'era imbarazzo alcuno, nel lasciarsi vedere da Doyle.
Perché Doyle avrebbe capito, senza bisogno di spiegazioni.

Doyle percorse le scale rapidamente e raggiunse Spike e Westley, prima ancora che varcassero la porta della cucina.
Spike non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarsi servire.
Marciò spedito verso il frigo, liberandosi dell'aiuto di Wes.
Posò meticolosamente il contenitore sul ripiano, affiancandolo ad una tazza. Poi, senza spiegazione alcuna e con la stessa determinazione di sempre nello sguardo, girò su se stesso e prese elegantemente a vomitare sangue nel lavandino.
Alcune mani gli afferrarono le spalle e lo sorressero mentre brillantemente terminava l'opera iniziata. Dietro di lui, una fiumana di parolacce in pieno accento britannico gli facevano da colonna sonora.
"Finiscila Price. I vampiri non muoiono." - mormorò, al termine di un altro eccesso di tosse.
Doyle sedeva sul ripiano in acciaio del lavandino, con le gambe a penzoloni. Spike appoggiato sui gomiti, alzò la testa, per riuscire a vederlo in faccia.
"Spike, la prossima volta che vuoi sentirti dire che hai fegato da vendere, cammina sui binari in piena notte." - mormorò senza intonazione.
Spike non replicò tornando a chinarsi verso il lavello.
Perché c'era una sola cosa che poteva farlo stare tranquillo. Se Doyle se ne stava seduto in silenzio in cucina, la situazione al piano di sopra era perfettamente sotto controllo.
"Certo che è sotto controllo." - replicò in un soffio l'irlandese - "Credi che me ne starei qui a fissare la tua faccia da schiaffi se di sopra ci fosse qualcosa da fare?"
"Non comincerai anche tu con la telepatia, vero?" - disse Spike, prima che un altro colpo di tosse gli facesse chinare il capo.
Sangue a non finire. Adesso era certo che Westley lo stesse tenendo per le spalle. Sentiva la sua voce molto vicina.
"Ma si può sapere da dove viene fuori?"
"Ne ha i polmoni pieni. Questa non è la ferita, è il muro che ha sfondato con la schiena…"- rispose Doyle.
"Sono stato bravo, vero?" - mormorò Spike, con tono beffardo.
"Certo. Più di quanto pensi." - Wes gli porse un asciugamano, perché si pulisse la bocca, con un tono pieno di sottintesi - " Talmente bravo che sarai tu questa volta a ritinteggiare la parete."
"Oh cielo, che cos'è, influenza?" - esclamò Lorne, entrando in cucina. E cogliendoli tutti di sorpresa.
"Che ci fai qui?" - lo investirono in coro Spike e Wes, girandosi a fissarlo, prima di tornare entrambi ad impegnarsi. Uno tossendo e l'altro sospirando.
"Ho lasciato il vostro pacchetto al sicuro e sono venuto a vedere la situazione per confondere un po' le acque. E potete stare certi che non lo troveranno facilmente." - Lorne arrivò al lavandino e s'appoggiò, come al bancone di un bar, nel posto lasciato libero da Doyle - "bene, bene. Lasciatemi indovinare…"
"William ha metodi interessanti per far reagire la gente." - replicò secco Doyle, accendendosi una sigaretta. Prima di fermarsi, con un moto di sorpresa, lo stesso che ebbe Spike, nel fissarlo.
"Scusami." - mormorò il mezzo-demone - "Mi è sfuggito."
"Penso di poterti perdonare. Non è stato troppo fastidioso." - Spike non fece commenti. Doyle aveva pronunciato il suo nome alla perfezione, con quella lieve cadenza con cui lo impostava anche Angel - "Offrimene una."
"Dopo. Prima mangia."
"Oh, che bello. Un ciclo completo. Prima mangi e poi vomiti. Un vampiro bulimico, mai visto."
"Smettila Lorne. Il sangue è suo. Si è fatto spaccare un po' di ossa da Angel."
"E non dirmi che avrei ottenuto di più cantando." - aggiunse petulante Spike, afferrando ugualmente una sigaretta.
"Ma non ci penso nemmeno. Hai fatto una gran bel lavoro. E Cordelia è altrettanto brava, dovrei aggiungere."
"Sei già andato di sopra?"
"Certo. mi sembravate così presi dalle vostre attività che preferivo non disturbarvi. Per Angel non mi preoccuperei più, comunque."
"Certo, come no."
"Non essere così scettico, Spike. sei stato veramente bravo. Qualunque cosa dovesse accadere, è successa. Il resto è tutto nelle mani di Angel."
Spike guardò quel demone verde, che, con espressione rilassata, sbatteva sulle loro facce l'impotenza. Ciò che potevano fare, era compiuto. Non ci sarebbe stata più reazione da provocare, ma solo dolore puro, incontrollabile e solitario.
"Bella soddisfazione. Tanta fatica e adesso un tizio da Karaoke che mi dice che posso starmene con le mani in mano."
"Pensavo che per te fosse un sollievo. Non hai altro di cui preoccuparti?" - Lorne sedette, mentre Doyle armeggiava con il contenitore del pranzo di Spike - "Doyle, per piacere, bevi whisky. Quella roba non fa per te. Allora, Spike, sto aspettando."
Spike lo guardò trucido. E dalla bocca gli uscì un secco "NO."
"Non fare il bambino." - lo ammonì ancora, scotendogli un dito sotto al naso - "Forza, non farmi perdere tempo. Sembri Doyle quando fai così."
Westley posò lo strofinaccio e sedette, a cavalcioni della sedia. Inusualmente, afferrò una sigaretta e l'accese con fare da bullo.
"fallo contento." - Suggerì - "Così ce lo leviamo dai piedi."
Un camionista. Il suo savoir faire era svanito.
Spike abbassò lo sguardo e prese un respiro. Poi, con aria vagamente ispirata, intonò Smells like teen spirit dei Nirvana.
"Bella scelta." - si complimentò l'altro, nascondendo nel cuore quello che aveva visto - "Perfetta esecuzione e splendide emorragie. Vai pure avanti, se vuoi."
"No grazie, ho di meglio da fare." - rispose Spike, sorseggiando il plasma che gli bruciava la gola - "Torniamo a noi. Me ne vado a dormire e poi riparto non appena cala il sole."
"Ci penso io a svegliarti." - rispose Wes - "Io vado via con Cordy. Angel e Doyle decideranno sul da farsi. Vuoi che porti io la tua moto? Ci scambiamo alle porte di Sunnydale."
Era un'offerta interessante. Spike inarcò un sopracciglio e squadrò l'Osservatore, come se di colpo potesse intravedere qualcosa che li accomunava. Ed una concessione poteva anche meritarsela, a questo punto.
Anche dal grande Spike.
"Ne riparliamo quando mi alzo."

III
Una mano lo scosse, leggermente.
E Spike, che dormiva, con un avambraccio sugli occhi, si riscosse, intorpidito. Senza muoversi, quando Angel sedette sul letto.
Squadrandolo senza un'espressione.
Attendendo.

Una mano lo scosse, leggermente.
E Spike, che dormiva, con un avambraccio sugli occhi, si riscosse, intorpidito.
Si trattava di Wes.
"Scusami, è un po' presto. Ma sembravi avere un incubo…"
"Chiamavo Angel?"
Annuì, imbarazzato.
"Che ci fai qui Whydam-Price?"
"Non riuscivo a dormire…." - rispose, evasivo.
"Cazzate. Tu mi guardavi dormire…" - lo accusò, con un sorriso beffardo - "E nemmeno da solo…"
"Che ci vuoi fare, chiacchieravamo nel tuo studio…"- replicò Lorne, dalla stanza a fianco, senza nemmeno abbandonare la poltrona ed il libro che stava sfogliando.
"ah sì? Ma tu non sai cosa sia la privacy?" - esclamò Spike, mettendosi a sedere e portando istintivamente una mano sulle bende.
Poi, con un ripensamento, aprì la bocca cominciò a cantare una canzonaccia da osteria, imparata molto tempo prima. Con maestria intonava le strofe, senza smettere un attimo di squadrare Wes, per vedere quanto tempo avrebbe impiegato ad arrossire come un peperone.
"Basta, basta, basta, capito l'antifona." - disse Lorne, entrando nella stanza e coprendosi le orecchie con le mani - " Spike, smettila. È chiaro, tutto chiaro. Stai benissimo, scoppi di salute. Continui ad avere sangue in anfratti in cui non dovrebbe essercene, ma sei un fiore."
"Grazie, era quello che volevo sentirmi dire." - borbottò l'altro, tenendo già una sigaretta stretta tra le labbra - "Come vanno le cose dall'altro lato del pianerottolo?"
"Angel è già sveglio, sta parlando con Doyle."
"Cordy?"
"Sono qui." - rispose lei, affacciandosi, dallo studio. Aveva uno spesso maglione di lana ed si stringeva le braccia attorno al corpo. Nel complesso, aveva un'aria sbattuta ed era pallida. Come chi ha conosciuto troppa sofferenza e tutta insieme - "nemmeno io conosco il concetto di privacy…"
"Ma gattina! Quante volte ti ho detto di venire a vedere la mia collezione di farfalle? La mia porta è sempre aperta per te." - le rispose, continuando a cercare metodicamente il suo accendino tra le coperte.
Trovandolo, finalmente.
"Signori, io sono in partenza. Se avete consigli e recriminazioni, questo è il momento opportuno."
"Io ti saluto, ci vediamo al tuo ritorno." - Lorne gli fece un cenno, avviandosi verso la porta.
"Perfetto. Uno in meno. Altro?"
"Angel viene a Sunnydale con me, in macchina." - puntualizzò Cordelia, tirandosi indietro i capelli - "E Doyle ha detto che vuole parlarti."
"Perfetto." - mormorò Spike, con la voce di chi si aspetta una predica. Poi aggiunse - "Wes, ho riflettuto sulla tua proposta ed ho deciso che un giro in moto mi distenderà i nervi."
"Come vuoi." - Wes non aveva nessuno voglia di imporsi. Il dolore, che sembrava essersi lenito nelle ultime ore, andava riacutendosi, in vista di un funerale a cui avrebbe preferito non assistere mai. E non era abbastanza stupido da pensare di essere l'unico in quello stato - "Non mi hai detto come sta la bambina."
Dawn?
Spike lo guardò, con una punta di sorpresa. Mal rasato, in piedi e con le braccia conserte, stava un uomo dolorosamente simile a Giles. E sostanzialmente diverso.
Per Westley era una bambina, anche se quasi non l'aveva mai vista. Per Giles, che l'aveva avuta tra i piedi per dei mesi, era la Chiave, un sorprendente fenomeno da tutelare. Non da proteggere.
E spike, in quelle ore, non aveva nemmeno pensato di richiamare e parlarle.
Aveva telefonato fuggevolmente, all'alba, quando, stravolto, si era buttato sul letto sperando in qualche ora di pace.
Gli aveva risposto Willow. Poche parole, tirando su con il naso. C'era Tara con Dawn, speravano anche loro di riuscire a dormire qualche ora. Spike era stato essenziale e duro, per scuoterla, perché pensasse, ancora una volta, quanti pochi sentimenti conosceva William il Sanguinario.
Poi si era rigirato nel letto, resistendo al desiderio di urlare.
Ed era crollato.
Dentro un sogno senza porte d'uscita.

Ma Westley doveva avere notizie fresche da Sunnydale.
Sì, aveva parlato con Giles, meno di un'ora prima, dichiarando la sua intenzione a partire in serata. No, non sapeva quanto si sarebbero fermati. Sì, venivano per il funerale, sarebbero andati a stare a casa di Angel.
Ed ora, se a Spike non spiaceva, c'erano ancora molte cose da sistemare.

Spike si alzò ed entrò nel suo studio, sedendosi alla scrivania, con le labbra appoggiate alle mani ed i gomiti ben affondati nella superficie di cuoio dello scrittoio. Stava a torso nudo, riflettendo, con lo sguardo perso sugli oggetti nella stanza, lasciandosi attrarre dal baluginio metallico della sua chitarra.
Poteva percepire ancora l'aroma della colonia di Lorne. Ma l'odore di Buffy, l'unica volta che era entrata in quella stanza, era svanito con lei e prima di lei. Avevano litigato….
Ma quando mai non litigavano, la Cacciatrice ed il Vampiro.
La cripta, fino a quando c'era stata, era stata un ring indispensabile al loro rapporto.
Buffy non aveva mai smesso di sottolineare le parole con lividi. Ma alla fine, Spike, di lei, non ricordava altro che fosse stata una splendida ballerina.
La ballerina tra le braccia della morte.
Buffy.
Forse esisteva un mondo in cui Spike e Buffy si sarebbero potuti amare. Ma non l'avevano trovato.. se non per un fuggevole attimo, in cima a quella torre. Buffy in volo che fuggiva da lui e Spike, che l'avrebbe volentieri seguita, aggrappato, sporto fuori dal cornicione con Dawn scalciante tra le braccia.
L'ultima cosa che Buffy aveva visto, ruotando su se stessa, sorridendo, nello sfracellarsi di schiena in quel vortice.
La sua adorata Dawn,intrappolata sotto il braccio di un vampiro ormai roco per il tanto urlare.
Buffy non sapeva volare. Ma non l'aveva mai ammesso con nessuno.

Quando Doyle entrò, Spike sbattè le palpebre. Cancellando quell'immagine.
Doyle si fermò, al centro della stanza, in mezzo alla visuale.
Nei suoi occhi si poteva leggere un universo intero. E spike si sentì vulnerabile, in un disagio che nemmeno lorne sapeva provocargli.
Lorne…
Lorne doveva aver visto quell'immagine, eppure aveva taciuto. Aveva taciuto la paura di Spike di aver trasmesso quel ricordo ad Angel. Aveva omesso il suo dolore e la sostanza dei suoi incubi, con serafico umorismo.
Ma Doyle. Doyle era un'altra pasta.
Uno che capiva e, per sua stessa ammissione, non separava ciò che sentiva da ciò che diceva.
Tanto valeva affrontarlo.
"Una storia." - mormorò, appoggiandosi allo schienale mostrandogli l'indice alzato- "Una storia per la tua collezione.
Oggi ti voglio parlare dell'ultimo volo di un angelo."

Spike, con l'abilità di narratore che era pari solo al suo talento per la musica, gli aveva raccontato tutto. Non aveva tralasciato nulla.
La violenza, il sangue, l'emozione ed i pensieri di chi l'aveva circondato.
Tutto, con poesia e fredda lucidità cronachistica.
Perché nulla sembrava essergli sfuggito.
Spike era il testimone. Spike riviveva in ogni battito di ciglia la sua scelta.
Una sorella per l'altra.
Il vento che li aveva travolti, levandosi improvviso, quel vento che non l'aveva piegato. Le urla di dawn.
L'ultima immagine, intrappolatasi negli occhi vuoti di buffy.
Spike sapeva come era stato perché era in quelle iridi vuote che si era rivisto.
Quando le aveva chiuso le palpebre.
Buffy, che portava come lui un Claddagh sotto i vestiti. Legato ad un nastrino ormai strappato. Buffy, che in un girotondo di grandi battaglie, l'aveva serbato in un cassetto fino a quella notte.
Possibile?
Buffy sapeva che non sarebbe tornata a riprenderlo?
Lo sapeva? Era per questo che aveva evitato di incrociare lo sguardo con Spike?
Era stata premeditazione?
Spike si passava una mano sulla fronte, per dissipare il dubbio. Avrebbe potuto salvarla da se stessa? Era colpevole?
Aveva paura di quella verità.
Perché, se così fosse stato, Buffy sarebbe stata la terza vittima della sua lista.
Intrappolata tra Angel e la morte, per lunghe ore, in attesa dell'attimo di scelta.
Morire, portando l'unico ricordo del suo amore sul cuore.
Perché sapesse che non l'aveva dimenticato. Perché Spike riportasse indietro quel messaggio.
Era l'unica cosa che Spike non aveva detto ad Angel. si era comportato nel modo che riteneva perfetto, per scuoterlo, per farlo sfogare. E gli aveva nascosto tutto ciò che avrebbe potuto dargli conforto.
Ma non gli era sembrato il suo compito.
"Non ti avrebbe ascoltato." - disse Doyle, sedendo sul bordo della scrivania.
"Tu credi?"
"Non c'era reazione. Era come parlare ad un guscio. Non sarebbe servito a niente raccontargli tutto questo. Fattene una ragione."
"Mi faccio una ragione di molte cose, da molto tempo ormai."
"Sì, ma un dubbio come questo può distruggere." - gli occhi di Doyle, Spike non ne scorgeva le profondità - "Tu sai che hai fatto la cosa giusta. Il dolore, la stanchezza, la preoccupazione fanno sembrare l'affetto che gli altri hanno per noi una cosa sbagliata, immeritata… ma non è così. Angel pensava questo, quando io l'ho incontrato. Pensava che Kathie si fosse sbagliata e la piangeva per il suo sbaglio, non perché ne sentiva la mancanza. Eppure era stata proprio lei ad indicargli la strada che avrebbe dovuto percorrere, lo sapevi?"
No, Spike non lo sapeva. Katherine era una figura dissolta, intrappolata in una cartella piena di disegni, nulla più.
"Kathie era una bambina, probabilmente con gli occhi come quelli di Angel. Incapaci di evitare di vedere il dolore. E fatti per vedere lontano, tanto lontano da perdere di vista se stessi. Kathie vedeva suo fratello come il custode che sarebbe divenuto e non ha visto il pericolo che correva la sua vita." - Doyle fece un respiro - "Ieri sera, tu avessi mostrato quell'anello ad Angel e gli avessi raccontato questa storia, non avrebbe capito. Come non capì Katherine la notte in cui bussò alla porta di casa. Perché il suo cuore era a Sunnydale, in fondo ad una fossa. E ci voleva tutto l'affetto di un fratello, sentito come inutile, a riportarlo indietro."
"Tu e Kathie avete Angel in comune e la certezza che lui possa sempre capire e fare la cosa giusta. Ma non è così Spike. Angel è testardo, va spinto sulla strada giusta per se stesso, di tanto in tanto. Ieri aveva bisogno di sfogarsi e tu gli hai dato la possibilità di farlo. Kathie si è sacrificata allo stesso modo perché Angel portasse quel nome come un vessillo."
"E tu gli hai dato un'altra vita, perché arrivasse fino a me."
"E tu un'altra ancora, ieri sera. Avrebbe atteso l'alba, se tu non fossi giunto. Ed io non avrei saputo fermarlo."
"Non ci credo. L'avresti salvato."
"Non ci sarei riuscito." - era un tono disperato, che non ammetteva repliche - "E se su quella torre Buffy non fosse saltata al tuo posto, Angel sarebbe morto. Puoi accettare questo girotondo di sacrifici? Perché Angel invece non accetterà mai questa verità. Tutto riconduce ancora una volta alla sua vita. Ancora una volta, perché, agli occhi del destino, un angelo con l'anima è più difficile da rimpiazzare di una Cacciatrice."
Un angelo con l'anima… forse Doyle si era sbagliato, forse avrebbe dovuto dire un vampiro con l'anima… ma chi poteva dirlo. La punizione che Doyle scontava non era il vedere altre vite ed altri dolori oltre ai propri. Era non poter dire ciò che sapeva, con le labbra perennemente cucite da una forza superiore. E gli occhi pieni di un altro significato.
"Doyle…" - gli mancavano le parole.
Doyle sapeva cosa Spike avrebbe voluto chiedergli. Lo sapeva. E capiva come fossero parole sospese tra loro, indecise se librarsi libere, per atterrarli entrambi.
No. non poteva aspettare quella domanda.
Non avrebbe lasciato che si annientasse in quel dolore. Nel dolore identico a quello di Angel, nel dolore del sopravvissuto.
Spike non era Angel.
Angel poteva sopravvivere ad un colpo del destino. Anche se testardamente negava questa possibilità.
Spike… Spike era un combattente, ma…
No.
No.
Quello che sapeva lo frenava.
"No, Spike. non l'amavi." - la sua voce era acqua fresca, come il suo sorriso - "E lei non amava te. Ma ha visto te ed è a te che ha sorriso. Sei stato legato a lei dall'amore per le stesse persone."
"Per Angel…"
"E per Dawn."
"Buffy. Buffy me li ha affidati entrambi." - la verità era calata come la scure e Spike non si sottraeva - "Amore per lo stesso compito, non amore uno per l'altro… fino all'ultimo, intrappolati in questa ragnatela fatta di rabbia. Condividevamo lo stesso destino in due mondi diversi."
"Tu con Angel. lei con Dawn. Ed entrambi, a modo vostro, desideravate scambiarvi, soffrivate per la vostra lontananza. Adesso Buffy non c'è più. E tu sai cosa significa questo."
Sì. Lo so.
E accetto.
Accetto, in questa conversazione fuori dal tempo.
Non è così, Cantastorie?
"Sì, è così. Il tempo si è fermato perché tu potessi capire. Adesso sai. sai qualcosa che hai già fatto. Sai che non puoi permetterti un dolore normale. Sai che non potrai cedere mai, sai che non ti potrai mai permettere lacrime per lei." - Doyle girò attorno alla scrivania, per posargli una mano sulla spalla - "Ieri sera hai aperto le porte dell'inferno per Angel, come Buffy. E come allora, Angel troverà le forze per tornare. Ed io farò il resto."
Adesso qualcuno sapeva. Non Buffy. Non era stata Buffy a salvarlo, quella notte ormai così lontana. Ma Doyle, Doyle aveva retto quel peso sulle sue spalle troppo esili. Doyle non avrebbe mai smesso di essere il custode di Angel, fino alla fine dei suoi giorni. Ed oltre, ancora. Fino a quando la storia si fosse ripetuta, con lacrime, sacrificio, amore e morte.
"L'universo, con tutti i suoi meccanismi ed i suoi calcoli perfetti, non potrà mai nulla contro l'amore." - sussurrò doyle, in tono confidenziale - "Lo sai tu, lo so io e probabilmente lo sa anche Lorne. Nel destino di tutti noi c'è una persona che può portarci indietro dal baratro in cui precipitiamo ed una che può scaraventarci in fondo al pozzo delle nostre paure. E non sempre una ci odia e l'altra ci ama."
"Ne so qualcosa."
"Lo so. Lo so bene."
Doyle lo guardò ancora, prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta.
"tempo scaduto. Preparati, dobbiamo partire."
"E tu? Cosa sei nella mia vita?"
Era una bella domanda, una domanda sbagliata.
Io nella tua vita? Oppure tu nella mia?
No, non era ancora tempo.
Girò su se stesso e si espresse in un inchino.
"Francis Allen Doyle, al tuo servizio." - gli sorrise - "In questa vita, oppure nell'altra."

IV
Spike raccolse alcuni capi e li gettò all'interno di una sacca. Poi, con gesti misurati, si vestì, avvolgendosi nei pantaloni di pelle nera, ed in una maglietta che stringesse maggiormente le bende, nascondendole allo sguardo più attento.
Nessuno doveva sapere.
Nessuno che già sapesse.
Soprattutto Angel. in cuor suo, Spike sperava che non ricordasse nemmeno l'accaduto.
Al collo portava ancora i due anelli. Li toccò, con un dito, strofinandoli, perché il sangue incrostato sparisse. Senza soffermarsi a ragionare su di chi fosse, senza cercare un profumo che lo identificasse.
Nascondendoli nuovamente. Angel li aveva visti, poteva reclamarlo in ogni istante. O reclamarli entrambi, se ciò lo faceva sentire meglio.
Una gelida tensione gli avvolgeva nuovamente il cuore. La stessa determinazione che guidava i suoi passi da molte ore era ricomparsa, più motivata, più forte.
Spike sapeva cosa doveva fare. Sottilmente aveva ottenuto il consenso da Doyle.
Afferrò la sua roba ed uscì sul pianerottolo, nel silenzio della hall.
Westley si preparava , cercando le chiavi della macchina.
All'improvviso la sua tenuta sorprese il vampiro.
Westley aveva scelto un giubbotto di pelle consunto e non si era rasato; inforcava nuovamente gli occhiali, ma i suoi occhi brillavano di una luce che i capelli scomposti incorniciavano come una criniera. Da predatore.
Sembrava… Faith. Con una scorza dura come marmo a nasconderlo.
Quando i loro occhi si incontrarono, Wes infilò le chiavi in tasca e, con entrambe le mani gli fece un vago cenno di sfida. Mosse le dita, come per chiamare l'attacco.
Che Spike ricambiò con un sorriso, sporgendosi dalla balaustra e lanciandogli la sacca. Wes la prese al volo e se la posò sulla spalla.
Poi Spike con un ripensamento, lo chiamò ancora.
"Ehi, Price!" - urlò, lanciandogli il pacchetto di sigarette.
Afferrato al volo con una mano sola. Nascondeva se stesso e svelava l'altra sua faccia, mentre, con un gesto sciolto, si infilava una sigaretta in bocca.
Spike discese le scale rapido e si sporse, per accendergliela.
"Certo che sia tutto ok?" - mormorò l'Osservatore, gettando fuori la prima boccata di fumo.
"Siete pronti?" - Spike ignorò la domanda, non dovendo così mentire sul dolore che sentiva irradiarsi da molti punti del corpo. Preferiva essere incurante, che bugiardo.
"Sicuro." - anche Wes appariva calmo e rilassato, come se fosse tutto sotto controllo - "Prendiamo due macchine."

Viaggiavano a carovana.
Wes e Cordelia, a chiudere la fila, con la musica di sottofondo.
Angel e Doyle, parlandosi appena.
E davanti a loro, sfrecciando come una luce, Spike e la sua motocicletta.
Angel non faceva altro che fissare quella schiena, osservandolo, mentre accelerava, e poi rallentava, per aspettarli.
Angel e Spike non si erano nemmeno parlati. Quando Angel era finalmente sceso, aveva intravisto solo un giovane centauro vestito di nero, con il casco integrale. Fermo, in fondo alla strada, con un motore che scalpitava per l'attesa.
E nient'altro.
Angel era dolorosamente lucido. Dalla sua bocca uscivano soltanto frasi consapevoli e nella sua mente, sotto un dolore che batteva sordo come un tamburo, sfilavano solo pensieri normali, inerenti alle ultime ore.
Come se potesse vedersi dall'esterno.
Era consapevole delle ore di delirio, seguite alla telefonata. Ricordava le braccia di Cordelia e gli incubi che leniva con il calore del suo corpo.
Sapeva di avere chiamato William. Di aver implorato perdono, a lui, a Buffy.
E ricordava la loro dolorosa assenza.
Come cercava di ignorare la sua rabbia, il fiume in piena che l'aveva attraversato, il sangue di Spike sui suoi vestiti.
Il sangue di Spike.
Il ricordo di quell'odore gli provocò un brivido.
"Stai bene?" - chiese Doyle, girandosi appena, per non perdere di vista la strada.
"Certo, certo." - rispose automaticamente - "Stavo solo… ricordando."
"Angel… gli scaverai un buco tra le scapole se continui a fissarlo in quel modo." - poi, deliberatamente incurante - "E' già un miracolo che abbia ancora le scapole…"
Strappandogli un sussulto.
"Mi dispiace uomo, ma se aspetto che sia tu a parlarne…"
"Infatti non voglio parlarne."
Non adesso. Adesso non posso pensare ai vivi. C'è Buffy. Buffy è morta. Morta.
Buffy va sepolta senza liti.
Buffy, bisogna rendere omaggio solo a lei.
Spike attenderà, attenderà.
"Oh, Angel. Non chiedergli perdono, alla prima occasione in cui potrai parlargli." - replicò Doyle, senza attendersi una risposta.
In lontananza, Spike stava prendendo con impeto le curve. Stava già sparendo oltre la successiva.

L'occasione del confronto tra Spike di Angel era più vicina di quanto tutti, eroi inclusi, potessero immaginare.
E giunse, quando i fari illuminarono Spike fermo, sul ciglio della strada.
Doyle frenò bruscamente, incurante di Cordelia che poteva tamponarlo in ogni momento. Ed armeggiò con furia, attorno alla chiusura della cintura di sicurezza.
"Che succede?" - Angel si sporse in avanti, impiegando un attimo ad assimilare ciò che vedeva. Una frenata sull'asfalto, la moto spenta…
"Niente che non sia già successo." - replicò seccamente l'altro, spalancando la portiera, nell'attimo stesso in cui Angel metteva a fuoco.
Chino sul serbatoio, con il casco nella destra, Spike gli sembrava scosso da un eccesso di tosse. Poi, nitido, gli giunse un' aroma inequivocabile.
Sangue.
L'odore di sangue lo artigliò al cuore.
Scese dalla macchina e corse, raggiungendo Doyle, nell'istante stesso in cui questi afferrava il casco e lo posava a terra.
"Avanti, renditi utile." - esclamò con durezza il mezzo-demone - "Io reggo la moto e tu reggi lui."
Anche Cordelia era ferma, adesso. Doyle aveva sentito il freni fischiare e poi una portiera sbattere.
E Wes era arrivato di gran carriera, mentre Angel sradicava Spike dal sellino e lo reggeva malamente, posandoselo sul petto.
Spike teneva gli occhi chiusi e tossiva, lasciando che quegli eccessi gli scuotessero tutto il corpo. Con una mano si aggrappava alla sua ferita e con l'altra cercava di frenare il flusso ininterrotto che gli usciva dalla labbra.
In meno di ventiquattrore era già la seconda volta che qualcuno lo reggeva in piedi, mentre cercava di vomitarsi anche l'anima. Sentiva due braccia forti e preoccupate stringerlo, intralciando, posandosi maldestramente sul suo corpo.
Sangue. Ancora sangue, maledizione.
Westley cercò di intervenire, ad aiutare Angel. E mentre questi lo rassicurava in punta di dita di potercela fare.
"Tutto bene, Price." - mormorò Spike, nel vederlo con la coda dell'occhio, mentre si avvicinava."
Una frase breve, prima di un eccesso di tosse.
"Tutto bene, certo." - esclamò Westley, con una rabbia inusuale per lui - "Non mi verrai a dire che arriva anche questo dai polmoni!"
"Come sarebbe a dire, dai polmoni!" - esclamò Angel, dimenticando per un attimo la sua apatia. I polmoni non servono ad un vampiro.
"Dai polmoni, dallo stomaco, ma chi se ne frega da dove arriva. Dovrebbe piantarla di spargerlo fuori dal suo corpo." - rispose Doyle, abbassando il cavalletto della moto e mettendola in equilibrio.
"sì, certo, come se lo facessi apposta." - replicò Spike, alternando ogni parola ad un colpo di tosse. La sua mente stava assimilando lentamente un'informazione essenziale. Era Angel che lo reggeva, che assorbiva il tremito rabbioso del suo corpo, era ad Angel che parlava con voce dura - "Lasciami. Mi reggo in piedi."
Non voleva ferirlo. Ma non voleva nemmeno che si sentisse in dovere di essere forte.
Ognuno aveva i suoi dolori e, per quanto crudele, ognuno doveva occuparsi dei propri.
"Sì è visto eccome." - scattò Wes, passandosi una mano tra i capelli - "Sai che inizio ad essere stufo del tuo eroismo? Attento!"
Dalla braccia di uno quasi nelle braccia dell'altro.
Sangue, ancora.
In ginocchio, tra di loro, battendo violentemente le ginocchia. Puntellandosi con una mano e posando l'altra, con un'imprecazione sul fianco.
"Non dirmi che si è riaperta." - disse Doyle, scivolandogli vicino ed insinuandosi tra la mano del vampiro e la fasciatura.
"Ti prego… sto vomitando, lasciami in pace." - mormorò l'altro beffardo. Non gli sembrava di aver fatto altro che chiedere un attimo di pace, nelle ultime ore. Lasciami stare, lasciami stare, ma non volevano proprio capire che voleva starsene da solo anche se si sentiva malissimo?
Angel era rimasto fermo, immobile, le braccia lungo i fianchi.
Non osava fiatare.
"Allora, il responso?" - mormorò Wes, chinandosi a fianco di Doyle, mentre questi, senza preamboli, continuava a frugare sotto il maglione, vedendo con la punta delle dita.
"Non sanguina."
"Bella forza. Non posso dissanguarmi contemporaneamente da due punti differenti…"
"Per potere puoi, scientificamente parlando. Ma mi sembra inconcepibile che tu sia ridotto in questo stato!" - il tono di Wes era duro. Ma era niente, in confronto allo sguardo che riservava ad Angel.
Ad un Angel più sconfitto che altro.
"Se vuoi prendertela con qualcuno prenditela con me, Whydam-Price." - ringhiò Spike, puntellandosi, per mettersi in piedi - "Il sangue è mio. E lo mischio volentieri con il tuo, se osi dire il contrario."
Westley abbassò lo sguardo, per fissarlo negli occhi. Poi avanzò di un passo e gli tese la mano. E Spike accettò, con una sfida muta negli occhi.
"Perdonami. Sono un po' teso." - ma la sua voce lasciava intendere il contrario. Non era teso, era spossato - "Sei certo di non voler accettare la mia proposta?"
"Adesso sto bene." - mormorò Spike, reggendosi in piedi da solo ed aggiustandosi i guanti - "Potete anche ripartire, vi raggiungo…"
Wes e Doyle si scambiarono un'occhiata.
"Iniziate ad andare, restiamo noi. Andiamo a parlare con Cordy." - aggiunse l'irlandese, senza aspettare commenti di Angel. Poi, a Spike - "Vado a prendere le sigarette."
Spike camminò spedito verso la moto. Sfilò ancora i guanti e cercò di chinarsi a raccogliere il casco. Ma una mano fu più rapida della sua, a sollevarlo da terra ed a porgerglielo.
Angel. era la prima volta che i loro sguardi si incrociavano, da quando era successo… Spike accettò il casco e lo appese al manubrio.
"Ti ho provocato io quella ferita?" - chiese sommesso.
"No." - Spike scostò lo sguardo e si concentrò a studiare il serbatoio - "Non le hai fatto bene, certo, ma non è opera tua."
"E tutto quel sangue?"
"Bhe, quello…" - Spike aggrottò le sopracciglia, poi gli rivolse un bel sorriso sardonico.
Un sorriso disarmante. Ed Angel si ritrovò a ricambiarlo.
"Allora ne è valsa la pena…" - constatò Spike, togliendo le impronte polverose dalla pelle del sellino. Gli sorrise ancora. Poi aggiunse, senza voltarsi - "Ed immagino che Doyle non torni.."
"Le sigarette le ha trovate. Ma fuma appoggiato al paraurti." - mormorò a mezza voce Angel.
"Bastardo… è da ieri sera che cerca di convincermi ad evitare sigarette…"
"Quante volte ti è già successo?"
"Di volere una sigaretta? Ti dirò…"
"William, parlo dei tuoi polmoni."
"Non siamo certi che siano i polmoni. Cioè, ieri sera sì, ma adesso… e comunque vale anche per te il discorso fatto a Westley. Non ne morirò."
"Allora sono già due volte. Più tutte le volte che te l'ho cavato io a suon di pugni." - aggiunse Angel. Adesso rimpiangeva di non aver parlato dell'accaduto con Doyle.
"Angel, non importa se non ti ricordi ogni particolare." - il suono della voce di Spike era sereno - "Non hai bisogno di ripercorrere a tentoni tutto l'accaduto."
"Mi dispiace…"
"Ti prego, evitami le scuse. L'ho tirato io il primo pugno."
"Doyle me l'aveva detto…" - sorrise Angel, sentendo la vista annebbiarsi.
"Ah. Spione, oltre che bastardo." - Spike annuì, accorato. Girando attorno all'ostacolo.
"No." - il diniego sembrava solo un rapido singhiozzo in un sorriso forzato - "di non chiederti scusa alla prima occasione."
"Era un consiglio saggio, ma visto che non l'hai seguito…pazienza." - Spike si girò, appoggiandogli una mano già inguantata sul collo. Per trascinarlo in un abbraccio forte e sicuro.
"Sei scusato da tutto quello che vuoi, razza di mulo irlandese." - gli sussurrò, sentendo il capo di Angel pesargli sulle spalla. Poteva vedergli la bocca tremare, inarcarsi appena in un sorriso involontario di sollievo - "E dimmi che stai piangendo per la bionda che hai perso e non per l'inglese che hai pestato."
"Non piango. Io… niente."
"Pensiero profondo. Se adesso te ne vai, riprendiamo la strada." - aggiunse, sciogliendo l'abbraccio.
"Non credo." - Angel indicò qualcosa al di sopra della sua spalla - "Arriva Westley…"
"Ancora." - esclamò Spike, girandosi ed appoggiandosi alla moto. Giusto in tempo, visto che le gambe avevano quasi finito di reggerlo. E visto che, incurante, Angel alle sue spalle, si preparava a puntellarlo in qualche modo. Due ragazzini, intenti a coprire i loro difetti, uno con l'altro.
"Senti un po', biondo." - Westley arrivò alla moto - "Tutto sommato me ne infischio. E facciamo a modo mio. Adesso sali in macchina da Cordelia e ci rivediamo alla periferia di Sunnydale. Non ho nessun problema ad accettare una tua entrata in scena da eroe, visto che ci tieni tanto. Ma non arriveremo mai, se ti metti ad agonizzare ogni dieci miglia. E non m'imbrogli con quella faccia da combattente vissuto, ragazzino. Per cui fila in macchina e di' al tuo amico di piantarla di tenerti in piedi per i passanti dei pantaloni."
"Ma non ti sfugge niente."- lo incalzò Spike. Gli piaceva da impazzire il nuovo look dell'Osservatore. Tanto da passare sopra agli epiteti, il tono imperioso ed il fatto che lo avesse chiamato ragazzino, dimenticando i centotrenta anni che Spike contava più di lui. Si raddrizzò per tirargli il casco. La ferita gli fece male da urlare, ma per una buona causa.
Wes placcò il casco come un pallone da football e Spike, passandogli accanto, vi depositò le chiavi ed i guanti.
"Inutile dire che se le fai un graffio ti ammazzo."
Angel gli camminava a fianco, con lo sguardo chino ed un mezzo sorriso.
Un mezzo sorriso.
Abbastanza da alleggerire i passi stanchi di Spike.
"Ah, Whydam-Price! La prossima volta che vuoi guidare la moto, chiedila in prestito, non fare il buon samaritano!"

Spike sedette comodamente e prese all'istante a trafficare con la radio.
Poi, con un gemito, si coprì gli occhi.
"Che c'è, stai male?" - la voce di Cordy suonava allarmata.
"No, non oso guardare Westley che casca con la mia moto."
"Se ti concedi una sbirciatina, avrai una sorpresa…" - mormorò la ragazza, con l'aria di chi la sa lunga.
Wes stava a cavalcioni della moto, puntellandosi sulle gambe. Aveva smesso di armeggiare con il casco e non sembrava poi così a disagio.Con gesto naturale, fece andare su di giri il motore, e fece un cenno agli altri. Un cenno di saluto.
Poi partì.
E Spike rimase inebetito, con negli occhi quell'impeccabile impennata, mentre Westley si fondeva con l'orizzonte.
"Che ti aveva detto… il nostro Westley non racconta il suo passato, chissà cosa nasconde…" - Mormorò Cordy, accendendo il motore. Doyle, che stava salendo in macchina si girò, allargando le braccia. Con un gesto scanzonato che invitava alla pazienza, a sopportare stoicamente le sorprese della vita.
Un gesto che strappò ad entrambi una risata breve e intensa.
Spike e Cordelia viaggiarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Poi, quando Spike si concesse di chiudere gli occhi, una mano calda e prontissima gli si posò sulla fronte.
Spalancò gli occhi sorpreso.
"Non è che ti sta venendo la febbre, vero?" - domandò, con tono inquisitore, continuando a guidare pericolosamente, con una mano sola.
"Ai vampiri non viene la febbre…"
"Ma che petulante che sei, sarebbe più gradito un 'no, Cordelia, non ti preoccupare' oppure un 'sta tranquilla, non ti faccio scherzi strani'…"
"Gattina!" - esclamò Spike, dandole un buffetto sulla guancia - "Sto benissimo. Sono solo un po' stanco. Ma sto bene. Vuoi il cambio?"
"No, grazie. Hai più bisogno di me di riposarti. Io non servo a molto, al momento."
"Cordy, tu sei indispensabile."
"Lo pensi sul serio?" - Cordelia si asciugò una lacrima con naturalezza - "perchè mi sento proprio uno straccio incompetente…"
"Nahh" - Spike si girò, con un'espressione scanzonata - "E' l'aria di Sunnydale. È sei un bellissimo straccio, quando piangi."
"E tu sei un adulatore… ma grazie comunque." - sospirò cordelia, reprimendo il dolore - "Spike come fai ad essere…così."
"Così come?"
"Calmo, tranquillo. Io pensavo che tra te e Buffy… cioè…"
"No, niente 'cioè' tra me e Buffy. Solo delle gran risse. Un po' con lei, un po' con i suoi ragazzi di turno. Qualche bella conversazione, qualche collaborazione e niente più. Vuoi sapere se soffro per Buffy?"
"Sì. Soffri per Buffy?"
"Certo. è morta sotto i miei occhi. Potevo salvarla. Non ci sono riuscito." - spike era essenziale. Una pausa, ogni frase che esprimeva una verità per volta - "Adesso Dawn è completamente sola. Devo occuparmi di lei e lei guarda a me come ad uno che non cede mai. Non vedo perché darle un'altra delusione…"
"Tutto qui? Lo fai solo per Dawn?"
"No. lo faccio anche per Angel." - poi aggiunse - "E per chi vuole appoggiarsi."
Cordelia annuì, in silenzio. Rammentando una cosa che voleva dirgli…
"Io non ti ho ancora… cioè… ringraziato per l'abbraccio dell'altro giorno. Mi ha aiutato, sul serio."
"E' stato istintivo. Oddio, non depone a favore della mia facciata di cattivo, quello che ho appena detto. Ma sono certo che non lo dirai a nessuno…"
"Certo. A nessuno." - annuì, enfatica.
"Perfetto."
"Già, perfetto." - concordò Cordelia.
"Gattina…"
"Dimmi Spike."
"Angel è riuscito a dormire qualche ora?"
Cordelia esitò. Non si aspettava quella domanda, non si aspettava di sentire quel tono serio e profondo.
"Sì. Ma non era tranquillo. Piangeva nel sonno, urlava… era come se non potesse smettere di parlare. Ti… ti chiamava."
Spike stette in silenzio, riflettendo. Per lasciarla proseguire.
"All'inizio ho pensato di venirti a svegliare. Poi ho deciso che, che non saresti venuto. Non perché tu non volessi." - si affrettò ad aggiungere - "Ma eri così malmesso… e poi Angel chiamava Buffy e… Kathie?"
Non era certa fosse quello il nome.
"E' giusto." - l'incoraggiò Spike, ripensando alle parole di Doyle - "Chiamava sua sorella, Katherine."
"Continuava a ripetere che gli dispiaceva, che non avrebbe voluto…. Penso avesse degli incubi tremendi."
"E' probabile. Non scindeva la realtà dal sogno. E forse non aveva la forza di svegliarsi."
"Ne parli come se ne sapessi qualcosa…"
"Ma io ne so qualcosa. Ci sono passato, ricordo il calore di chi mi stava vicino, anche di Angel, che non emana calore corporeo" - puntualizzò Spike. poi, con un sorriso - "Come so che sentiva la tua presenza. Magari non lo ricorda, ma in quei momenti la percepiva, te lo garantisco."
Cordelia avrebbe voluto girarsi e guardarlo mentre si esprimeva, in quel modo garbato, parlando di cose tremende ed importanti, lasciando il mondo fuori da quella macchina.
Lasciando Buffy per qualche minuto fuori dalle loro menti.
Come era stata per tanti mesi, mentre rischiava la vita e loro facevano altrettanto.
Come era stata nei momenti di quiete ed in quelli di festa.
Parlavano d'altro. Cercavano di fermare le loro emozioni.
"Hai fatto la cosa giusta a non chiamarmi. Fossi venuto sarebbe stato peggio. Oppure non sarebbe servito a niente."
Adesso ne era certa.
Spike era triste. Tanto triste da non riuscire neanche ad ammetterlo con se stesso.
Cordelia allungò una mano, come per cambiare le marce. E lo sorprese, quando la posò sul suo ginocchio e gli strinse le dita.
"Spike, la volta che ti andrà di sfogarti un po' e non vorrai farlo con tutti questi bellimbusti… chiamami, verrò subito."
Si sorrisero, senza che le loro mani si separassero.
"Dormi un po'." - aggiunse dolcemente - "Ci sono io qui."

"Smetti di guardare nello specchietto. Prendi il cellulare e chiama Principessa. Fai prima." - consigliò blandamente Doyle.
"Sei certo che adesso stia bene?"
"Andiamo! Sta malissimo! Lo so io e lo sai tu." - esclamò -" Ma senti come ti parlo! E pensare che una volta ero una persona così gentile..."
"Il tuo tono è perfetto. Sono io che mi comporto come un pazzo." - replicò Angel, spossato - "Il dolore non giustifica quello che ho fatto."
"Forse. O forse no. Ma non farlo notare a Spike. Quello che ha scelto di subire… bhe, forse non ci sono parole." - Doyle tamburellava sul volante, con suono ritmico - "su una cosa aveva perfettamente ragione. Io non ne avrei avuto la forza."
"Doyle, tu sei morto per me."
"Certo. ma non avrei saputo prenderti a pugni. Vero, ho fatto anche quello, prima di suicidarmi… Ma ci vuole fegato per fare… e sopportare… quello che è successo. Soprattutto nelle sue condizioni."
"Mi ha detto che la ferita non è opera mia…"
"E tu credigli. È vero. È una ferita lunga trenta centimetri e profonda almeno cinque, provocata con un'arma da taglio. Hanno cercato di affettarlo e non ci sono riusciti." - Doyle non voleva nascondergli nulla - "Mentre vi picchiavate, l'hai presa in pieno, ci hai quasi scavato una fossa. È da lì che proviene il sangue che sta sulla tua parete, ne aveva i vestiti impregnati. Il resto, quello che continua a farlo tossire, è diretta conseguenza di quando l'hai sbattuto contro il muro. È probabile che stia ancora smaltendo tutte le emorragie che ha in corpo. Il suo organismo espelle il sangue da dove non dovrebbe essere, è troppo provato per riuscire a riassorbirlo. La ferita rallenta il suo metabolismo, la continua perdita di sangue lo indebolisce. Lorne ha detto che c'è da meravigliarsi della sua resistenza."
Nel suo tono non c'era nessuna accusa. Solo una vaga tristezza, per quello a cui aveva dovuto assistere senza intervenire. Gli era costato molto, attendere, immobile, senza impedirsi di chiudere gli occhi davanti alla forza dei loro colpi, senza poter smettere di sentire il rumore orribile del corpo di Spike che si spezzava. Il suo corpo, non la sua volontà.
"Non puoi farci niente. Se ti fa piacere preoccupatene, se pensi che possa aiutarti. Ma non cambierà la realtà dei fatti."
Lo so. Ma Angel rispose con il silenzio.
La realtà dei fatti.
Aveva massacrato Spike. Non si era controllato.
Aveva ceduto alla violenza. Aveva voluto ucciderlo, nel momento in cui si era sentito urlare in faccia tutte quelle… verità.
No, non aveva voluto ucciderlo. Ma c'era quasi riuscito.
"Io non volevo fargli del male." - suonava come una scusa. Come una bugia.
Non voleva, ma aveva voluto.
Si strinse la testa tra le mani.
"Angel." - lo chiamò Doyle - "Non ti servirà a niente tormentarti in questo modo. Non ritroverai il perché che ti sembrava di avere ieri sera. Ti basti sapere che invece Spike ha ben chiaro in testa il motivo per cui adesso sconta quelle ferite. L'ha fatto per te e potrei scommettere che non prenderà bene nessuna recriminazione."
"Gli hai parlato?"
"Accidenti, uomo, ma sei tu che inculchi in tutti questa mania di sopravvalutarmi? Spike mi dice di parlare con te, tu mi dici di parlare con lui. Poi viene Cordelia e mi chiede di fare due parole con Wes e Lorne…" -no, Lorne non gli diceva niente del genere… - "Io posso parlarvi, ma non posso trovare tutte le risposte che volete avere. E soprattutto, non posso dare a te le risposte che potrebbe darti solo spike. Tu sapessi fare le domande, ovviamente."
"Spike ti ha detto di parlare con me?" - no, avrebbe voluto chiedere tutt'altro. Ma ormai la frase era formulata.
"No." - Doyle dominava a stento i suoi sentimenti contrastanti. E la sua voce suonava dura e spietata - "Ti ha affidato a me, visto che dava per scontato di non riuscire a rialzarsi da quel bagno di sangue in cui vi sareste ritrovati. È stato lungimirante, visto il buco che hai fatto nella parete ad un dito di distanza dalla sua faccia. E, di tutto cuore, io spero tu l'abbia mancato di proposito."
Angel chinò il capo. La veemenza di Doyle affondava come una lama. Una lama viva. Con il calore di Buffy e delle parole dure che si erano gridati tante volte.
Tu cerchi risposte per tutti… ma non chiedi mai quello che vogliono, quello pensano. Il meglio, il meglio, come fai a sapere che sia il meglio?
"Il meglio. No, non so cosa sia il meglio." - disse Angel, rispondendo alla voce femminile che rimbombava nella sua testa - " Non ho le risposte, passo le notti a cercarle. Ed hai ragione, non so fare le domande giuste e resto in silenzio quando forse dovrei urlare. Ma so che c'è una domanda, una sola a cui dovrai rispondere, Doyle, prima di Spike. Una sola."
"Ed allora fammela."
"Non ora. Quando tutto sarà finito."

V
Sulla porta di casa di Angel, stava Dawn.
Ed in piedi, fuori posto, Tara, con i capelli chiari illuminati appena dalla luce del lampione.
Non sembravano una Strega ed una Chiave. Erano solo due ragazzine, le più grande intenta a sorvegliare la più piccola. Stringeva il cuore vederle.
Cordelia girò l'angolo e spense il motore, attendendo che Spike arrivasse, prima di scendere.

Avevano fatto come Wes aveva promesso.
Quasi sotto al cartello, Benvenuti a Sunnydale, li aveva aspettati, fumando, con lo sguardo perso nella notte e nelle stelle. Si era levato un vento leggero che portava profumo d'inverno e Wes aveva rivolto il suo pensiero alla Cacciatrice dallo sguardo duro che aveva perso e a quella dagli occhi scuri che aveva nascosto.
Le sue Cacciatrici.
Tutte due, seppur per breve tempo. le stesse che andava a conoscere la prima volta che era passato a fianco dello stesso cartello.
Alla luce del giorno.
Verso Sunnydale, che ai suoi occhi sembrava viva solo di notte.
Le sue Cacciatrici.
Quelle che non potevano tollerarlo, quelle che lo squadravano, mentre apriva bocca e dava voce alle sue conoscenze.
Le due ragazzine che non potevano capire l'arduo compito che si era ritrovato all'improvviso, che non avevano saputo vederlo come una figura saggia e paterna. E che non si erano lasciate raggirare da quell'aria austera, mal tollerandola, come una maschera sempre pronta a scivolare.
Wes sorrise, gettando il mozzicone nella notte. Aspettando di vedere i fanali della macchina di cordelia, giocherellando con le chiavi della moto e meditando, sul desiderio di acquistarne una, non appena tornato a Los Angeles.
Strano.
Ma non troppo.
L'idea di qualcosa di pericoloso, qualcosa di accantonato per lungo tempo. un lusso, un desiderio mal represso. Non un'azione da buon samaritano, Spike aveva perfettamente ragione.
In parte.
A Wes non piaceva la sofferenza. Odiava vedere la gente soffrire, odiava soffrire. Il cuore gli si induriva, diventando come troppo ingombrante. Per poi, lentamente, rallentare insieme al ritmo delle cose.
Anche se le incrinature ormai non si contavano più, mentre trapelavano aspetti nascosti del suo carattere. Un gusto per il rischio che non ammetteva mai, una passione nascosta.
Qualcosa che lo rendeva simile a Spike, più che ad ogni altro. Quella che l'altro, affinato da anni di divergenze con un irlandese, chiamava la 'sana determinazione inglese'.
Spike.
Spike sapeva essere la sofferenza scavata in una roccia. Un'anima intrappolata nello sguardo, nella luce sardonica con cui scomponeva il mondo e smantellava le persone. Un'anima, per completarlo.
Un'anima, per riportarlo indietro.
La sua. E quella di Angel.
E l'incapacità di accettare il tormento. La pena e la sofferenza tormentavano il suo riposo. Ma mai le sue mosse, rendendolo infinitamente diverso da Angel, in cui determinazione e dolore erano fusi, come vetro esposto ad un fuoco troppo potente.

Spike reclamava la sua moto.
Avanzava baldanzoso, calmo, celando bene lo sforzo ed il dolore.
Wes scosse la testa, restando vittima di un sorriso involontario.
Alzò la testa, perdendosi nella notte con lo sguardo e le mani saldamente in tasca.
"Bel gioiello. Buona ripresa." - mormorò, dondolando un po' sulle ginocchia. E lasciando che Spike alzasse un sopracciglio, con aspetto dubbioso.
Ai suoi occhi doveva essere decisamente strampalato.
"Non mi sono ammattito." - si sorprese a dire - "Io… capisco. Io ti capisco."
Era vero.
Capiva. E questo lo cambiava.
Senza spiegarlo a parole.
Spike lo guardò, stringendo appena gli occhi. Sorridendo con gli occhi, lasciando che la bocca si aprisse, con la sua durezza.
"Meno male." - sospirò. Chiudendo quella risposta beffarda in un'espressione che diceva ben altro - "E dove avresti imparato a impennare?"
"Qua e là…" - mormorò vago - "Non ricordo…"
"Sì, certo…"
westley buttò ancora un'occhiata alla notte. Sarebbe dovuto salire in macchina con Cordy. Ma non era certo di …
"Tu stai bene?" - mormorò, per cessare di seguire il filo dei suoi irragionevoli pensieri.
Spike dovette soppesare la risposta, prima di decidersi ad annuire.
Un cenno che doveva bastare. Angel e Doyle, fermi poco oltre, non erano scesi dalla macchina. Aspettavano l'indispensabile partenza.
E si avviarono lentamente, al sommesso scattare di una portiera.

Spike rimase solo sulla strada, aggiustando i guanti e rimontando in sella.
Tutto sommato gli spiaceva aver mentito a Wes…

La moto le passò a fianco, fermandosi davanti al cofano, di traverso. Spike ne scese, levandosi il casco.
Lo appese al manubrio e, scotendo le chiavi, fece un cenno a wes.
"che voleva dire?" - chiese cordy, girandosi verso l'Osservatore che rispondeva con un cenno.
"Mi ha detto di parcheggiarla…" -
Spike corse verso la porta. Accogliendo dawn tra le braccia, mentre i suoi singhiozzi lo investivano in pieno.
"briciola, per la miseria, cosa fai qui…" - sussurrò, stringendola, piccola e triste, con il naso contro i suoi pettorali. Rivolgendosi a tara, che gli veniva lentamente incontro - "che ci fate qui? È pericoloso…"
Senza inveirle contro.
Parlandole gentilmente.
Tara aveva gli occhi rossi e non era forte.
Tara parlava poco ed il poco lo diceva con emozione. Si creava un piccolo spazio nelle cose di tutti i giorni, con il dono di capire.
"Non sono riuscita a convincerla, voleva aspettarti…" - mormorò, scusandosi - "Meglio con me che.. da sola…"
spike alzò la testa e la guardò.
"Almeno su questo hai ragione. Ma nemmeno tu dovresti essere qui."
"So… difendermi…."
"Non ne dubito. Ma non è ugualmente una cosa tranquillizzante."
Gli altri si stavano avvicinando.
Spike si volse a fissarli.
"Rimandiamo le presentazioni ed entriamo." - disse, a beneficio di tutti, sollevando Dawn e sentendola aggrapparsi al suo collo.

Presentò Tara al resto del gruppo, senza riuscire a separarsi da Briciola. Incurante la sedette sul tavolo e si appoggiò, perché potesse continuare a stringergli il collo, inzuppandogli il colletto del giaccone.
Come se fosse una soluzione come un'altra. Negando pure a se stesso che si trattasse di un metodo per restare a sua volta in piedi.
Il suo corpo, la sua mente… e adesso, con dawn così vicina, vacillava anche il suo cuore.
Tara strinse la mano a tutti loro e giocherellò, imbarazzata, con i capelli, spingendoli dietro le orecchie, più volte.
Cordelia le fece un cenno e venne in suo aiuto.
"Angel, mi scelgo una stanza…Tara, ti va di darmi una mano?" - chiese. Quel poco che sapeva di lei l'aveva raccontato Spike, soffermandosi ironicamente più sulle sue abitudini sessuali che sul suo carattere.
E mai, Cordy si sarebbe aspettata un tale scricciolo di vetro.
Tese e stanche si mossero, verso il corridoio ovest.
E i rimasti nella sala centrale la sentirono parlare di tutto, cercando, invano, di cavarle una parola di bocca.
Angel scostò una sedia e sedette, a fianco di dawn, a fianco della gambe secche che penzolavano dal tavolo, mentre il resto del suo corpo si protendeva verso Spike.
Wes posò le sacche e si diresse verso il giardino, spalancando la grande porta finestra.
Respirando ancora l'aroma della spalliera di gelsomino. A pieni polmoni. E non lo stupì troppo il fatto di sentire i passi di Doyle alle spalle.
Gli arrivò a fianco, senza dirgli nulla. Alzando lo sguardo verso le pareti sconnesse del giardino e la natura selvaggia che le ricopriva.
Il profumo delle piante lasciate libere saturava l'aria. Sembrava impregnare i vestiti e le persone.
Le mura… abbastanza alte da illudere che non ci fosse un mondo fuori.
Una gabbia.
Oppure una liberazione.
"Doyle…eri mai stato qui?" - si sorprese a chiedere.
"qualche volta…" - replicò serafico l'altro. Poi indicò una finestra, ormai nascosta dal rampicante - "Ho spaccato io quel vetro…"
"Sul serio?"
"Angel non voleva aprirmi la porta…" - mormorò rammaricato. Non poteva… aprirmi la porta.
Wes annuì, per chissà quale pensiero.
"Questo posto mi è sempre piaciuto…" - aggiunse. Aveva camminato su quella pavimentazione sconnessa, con lucide scarpe da osservatore -"Di solito non amo le cose cupe… ma è…"
"Decadente?"
"No. Romantico, forse. Mi fa pensare alle raccolte di Thomas Gray…"
"Thomas Gray? Il Kurt Cobain del Settecento?"
"No" - rise Wes, girandosi a fissarlo storto - "Quello era Dylan Thomas. Ma non credo che sia una cosa importante…"
"anche a me piace questo posto. Forse non tirerei in ballo la poesia, ma si tratta di una questione di punti di vista." - Doyle camminò fino alla fontana, poi si girò, con un sorriso aperto - "Solo Angel poteva scegliere un posto del genere… lo rispecchia in tutto e per tutto."

Dawn, a poco a poco si calmò. Si tirò indietro e si asciugò la faccia con il dorso della mano. Strofinandosi il naso e gli occhi.
"Angel." - chiamò Spike, sorridendole - "Tu hai un fazzoletto per Briciola?"
"Forse dovresti farti dare una maglietta…" - cercò di sdrammatizzare Dawn, mentre Angel le porgeva il richiesto.
"Anche." - annuì Spike - "Ma non credo la tenga in tasca..."
le sorrise ancora. Da quell'angolazione, Angel lo vedeva bene. Adesso, finalmente a sunnydale, mentre i ricordi andavano riacutendosi, cercava disperatamente di aggrapparsi ad ogni piccolo particolare. Scindendo l'espressione di Spike, rendendosi conto che Dawn avrebbe captato solo il bel sorriso, senza cogliere la gamma di ondate dolorose che andava travolgendolo.
La sua ferita, la preoccupazione, l'amore… e chissà quanto ancora, in uno come Spike, capace di complicarsi la vita a colpi di emozione… con o senza anima.
Con vampire, cacciatrici e bambine. E poi ancora con scienziati, demoni ed eroi…
In un rocambolesco equilibrio delle parti, anche adesso, mentre tutto sembrava sfuggire al controllo.
Dawn si soffiò il naso e si girò, restando seduta sul tavolo, con Spike a fianco.
"Ciao, Angel."
"Ciao piccola." - gli rispose lui, con un'espressione che avrebbe voluto essere un sorriso.
Dawn tirò un profondo respiro, mentre gli occhi si riempivano nuovamente di lacrime.
"Io ci provo… a non piangere." - singhiozzò, asciugandosi le prime lacrime che scendevano - "ma…"
Lentamente Angel si alzò e le sedette a fianco. L'abbracciò, sentendola aggrapparsi disperatamente.
"Anch'io bambina, faccio fatica… a non piangere."

Spike si alzò ed uscì in giardino, fino ad arrivare a fianco di Wes.
Stava parlando a Doyle e Doyle, senza perdersi una parola, fissava un punto illuminato della stanza.
Ad un tratto la sua espressione obbligò Wes a girarsi. Senza scorgere nulla.
Doyle spostò la sua concentrazione verso Spike che ricambiò, con un'alzata di spalle. "Potere di Dawn. L'avessi portata a LA,ieri sera non mi sarei dovuto far massacrare di botte…"

Passarono i minuti, lenti.
Per tutti loro, impegnati in cose che non avevano importanza. Ma con nel cuore il suono delle lacrime finalmente libere.

Quando i singhiozzi di entrambi si attenuarono, Angel si discostò, un poco, asciugandosi gli occhi con lo stesso gesto infantile di Dawn.
Si guardarono e risero, imbarazzati.
Ed isterici, avrebbe aggiunto un cinico.
"Va… meglio?" - chiese Angel.
dawn annuì.
"E tu?"
"bhe… sì, credo di sì."
"Angel… il tuo fazzoletto." - mormorò, porgendogli uno straccetto appallottolato.
"Puoi tenerlo, Dawn… i vampiri non si soffiano il naso…"
"Allora… va meglio?" - chiese scanzonato spike, arrivandole alle spalle.
Buttò un'occhiata ad entrambi e scosse la testa.
"Flagello…" - dichiarò rassegnato - "Passi per Briciola, ma tu…"
Ostentava un sarcasmo che non provava affatto. Ma, questa volta, nemmeno Angel riuscì a sentire il sollievo nella sua voce.
Ma era meglio così… avrebbe anche potuto ricominciare a piangere…
Spike lo guardava in faccia, con un mezzo sorriso. Angel era disfatto, ma, per una volta appariva stravolto per un motivo sano.
Dawn stava ancora trafficando con il fazzoletto. Ma sembrava concentrata a riflettere su qualcosa.
"spike…" - mormorò infine. E, ottenuta la sua attenzione, disse - "Briciola è più carino di Flagello…"
Spike la fissò un attimo senza capire. Ed altrettanto fece Angel, guardando interrogativamente prima lei e poi lui.
Fino a quando, con un'unica occhiata, li vide abbracciati.
"Ma Briciola…." - mormorò Spike, gettando un'occhiata irrispettosa ad Angel da sopra la spalla -"Tu sei più carina di lui…"
"Grazie." - seppe soltanto rispondere lei, strofinandosi il naso.
"Soffiatelo, non stortarlo." - l'ammonì Spike. Poi, piegandosi sulle ginocchia per fissarla negli occhi, aggiunse - "Ed adesso che ti sei calmata, mi spieghi perché sei venuta qui trascinandoti dietro Tara…"
Era molto bravo a rimproverarla.
E dawn, a testa china, in modo poco consono al suo carattere, si sorbiva la predica.
Ed Angel, abituato ad apostrofarlo per la sua irresponsabilità e scarsa moralità, non sembrava intenzionato a perdersi la scena. Si sedette.
"sai bene che in questo momento, soprattutto, Sunnydale è un posto pericoloso per te. Non devi assolutamente andare in giro, né da sola, né con amici. A meno che non siano almeno quattro ed armati fino ai denti."
"Ma Spike, io volevo sapere quando arrivavi." - protestò lei, guardandolo in faccia.
"Ti avevo detto che sarei arrivato stanotte, potevi aspettarmi da Giles. Oppure a casa."
"A casa non ci voglio tornare." - replicò dawn, mentre i capelli le piovevano sugli occhi.
Spike strinse le labbra, impercettibilmente. Poi le baciò la tempia.
"lo capisco." - sospirò, mentre i suoi occhi diventavano fuggevolmente più torbidi. Le sue cose… sparse in giro per la stanza… il suo stupido orsacchiotto…
i libri che non voleva leggere…
No, anche Spike non ci sarebbe voluto andare.
Soprattutto perché là c'era il suo profumo.
"dov'è Willow?" - chiese, per distrarsi.
"Con Xander. E Anya. Hanno detto che andavano a prendere alcune cose… non so cosa, però."
"E Giles?"
"Lui è andato…" - mentre le labbra iniziavano a tremarle. Non ci voleva molto ad immaginare dove fosse giles, a poche ore dal funerale.
"Ho capito." - si affrettò a dire spike - "ho capito, Briciola."
"verranno qui, poi." - aggiunse dawn, cercando di controllarsi - "Tara li avvertiti."
Certo, pensò Angel. Perché se Giles fosse stato presente, avrebbe dato loro almeno le chiavi…
Pensiero stupido. Quanto bastava a non impazzire.

VI
Come erano opachi i suoi gemelli, pensò, finendo di aggiustarsi i polsini.
Pensiero stupido. Quanto bastava a non impazzire.
Angel chiuse gli occhi, colto, per un istante da vertigini. Nelle ultime ore non aveva fatto altro che aggrapparsi a sciocchezze….
Un fazzoletto stropicciato, un mazzo di chiavi, un vetro rotto…
Aveva percorso con calma i corridoi e le stanze della casa, alla ricerca di una distrazione reale.
Alla ricerca di qualcosa che non fosse un fantasma.
Un fantasma d'odio.
O uno d'amore.
Alla ricerca di un silenzio che non si riempisse di colpo di urla e di voci.
E della sua voce.
La voce di buffy, dagli angoli bui.
Chiudi gli occhi…
Chiudi gli occhi, Angel… e raggiungimi.
La sua voce. Speciale solo perché era sua. Parole speciali, solo perché giunte dalle sue labbra.
Camminato.
Aveva camminato a lungo, quasi girando su se stesso. Quasi girando intorno a tutto ciò che c'era stato di inevitabile e sbagliato nella sua storia con Buffy.
E nella sua vita. Nella sua vita, al suo fianco.

Un bottone dietro l'altro… dio, quanti erano…
Nulla gli portava conforto.
Assolutamente nulla….
Non c'era più nulla che potesse splendere.
Nulla che gli impedisse di galleggiare.
Chissà dove era la cintura…
Gli bastavano pochi passi per giungere al cassettone ed il primo cassetto, aprendosi, aveva ancora quel cigolio.
Quel suono gracchiante che la svegliava, che la faceva sedere sul letto. Che le permetteva di guardarlo e sorridergli con occhi assonnati.
Strano, non c'era… eppure era certo di averla riposta lì, quella sua vecchia cintura…
Scostò le camicie, i pochi abiti lasciati… lasciati per cosa poi…

Chiudi gli occhi, Angel…

Eccola…
Angel tornò verso il letto e la posò a lato della giacca.
Un altro gesto meccanico…
Con la mano lisciò una piega. Con due dita, appena, per farsi colpire dalla stoffa ruvida.
"Stai bene?"
Si voltò, con calma. Sulla porta, appoggiato allo stipite, stava Spike.
Vestito di nero, come sempre.
Lo Spike di sempre.
Spike… che lo colpiva alle spalle, mentre la Cacciatrice lo fissava, con la spada in pugno. Spike e Dru, all'ombra del giardino.
E Buffy, con la spada in pugno.
Battè le palpebre, come per scacciare la polvere del tempo.
"Sì…" - mormorò - "sì, sto bene."
Spike lo guardò, senza lasciar trapelare nulla.
Angel appariva come anestetizzato. Si muoveva come un sonnambulo, senza mettere a fuoco nulla.
Quasi fosse un guscio, con occhi troppo vuoti.
Non c'era più nulla, in lui, di quei mesi, di quegli anni, lontano da Sunnydale.
Era nuovamente l'Angel di Buffy, fatto di tormento.
Solo che ora, nel petto, gli martellava un dolore sordo.
Il dolore di non saperla più solo lontana.
Il dolore di saperla troppo lontana.
Il dolore di averla perduta.
Irrimediabilmente.
Qui non si trattava di un Parker, di un Riley o di Spike…
No.
Spike abbassò lo sguardo, contemplandosi la punta degli stivali. Li aveva lucidati, maniacalmente. Poi si mosse, per tornare nel giardino.
Non era uno spettacolo a cui voleva assistere.
"William…"
Non si aspettava di sentirsi chiamato. Si voltò, scrutandolo con occhi attenti.
Angel era incorniciato dalla porta, vestito solo a metà. Tormentava nervosamente i polsini già allacciati, ignorando la camicia, abbottonata solo in parte.
"Dawn? Dawn sta bene?" - chiese Angel. Senza credere realmente nell'importanza che la risposta poteva avere.
"Si sta cambiando." - rispose pacatamente Spike - "Willow le ha portato dei vestiti."
"Bene. Bene." - annuì, meccanicamente - "può restare qui, se non vuole tornare a casa…"
Ora lo sguardo di Angel era perso nel vuoto. Si stava sforzando ma…
Spike gli si avvicinò con calma. Ma neanche questo servì ad attirare la sua attenzione. Con gesti studiati, Spike protese le mani, fino ad allacciare il primo bottone della camicia.
Uno dietro l'altro. Ora Angel lo guardava.
Ma Spike era preso nel suo compito. Senza una parola, con le labbra contratte, bottone dopo bottone.
Fino all'ultimo…
"Lascialo slacciato." - mormorò Angel.
Non era una cosa importante. Ma era quanto bastava per incontrarne lo sguardo. Per incontrare quegli occhi di calcedonio.
"Per favore." - aggiunse, con tono compito.
Per favore.. come se Spike, innanzi a quella preghiera, potesse dargli ben di più.
Un miracolo.
Un ritorno.
Una parola.
Una qualsiasi.
Ma Spike, in silenzio, lo guardava negli occhi, aggrottando appena le sopracciglia bionde. Le sua mani avevano interrotto il lavoro, senza lasciare prontamente il colletto.
"E tu? Stai bene?" - domandò ancora Angel, guardandolo. All'improvviso era lui, il più giovane tra di loro. Spike sembrava quasi sovrastarlo.
Come se le spalle di Angel, inesorabilmente, si piegassero, sotto il peso di quella perdita.
"Potrei stare meglio." - mormorò Spike, allontanandosi. Arretrando di qualche passo, prima di voltarsi e raccogliere dal tavolo il suo giaccone. Il peso di quella consapevolezza gli provocava un malessere fisico.
Buffy era morta.
Ed Angel si stava spegnendo.
"Dove troverai la forza di andare avanti, Angel…" - chiese, senza guardarlo.
Fissando la parete - "Dove…"
"Ancora non lo so." - Angel chinò il capo, con una risata che lo scosse dal profondo. Come un singhiozzo.
Irrefrenabile.
Facendolo quasi barcollare, sorprendendolo, mentre la vista tornava a svuotarsi.
No….
Non sarebbe sopravvissuto…
No…
Sarebbe morto, con il petto stritolato da quell'angoscia.
Sarebbe morto invocando di poter respirare ancora. Invocando il suo profumo.
Ed il suo amore.
"Vorrei solo poterla dimenticare…."
"Ma non ci riuscirai…." - Spike scosse la testa e si voltò. Con un sorriso di derisione per se stesso e per le parole che stava per dire - "Ti è entrata dentro. Tutto in te parla di lei. Tutto in lei sapeva di te. Sapessi quanto ho provato…"
Si interruppe.
Per prendere coraggio.
Per non vedere più Buffy sovrastarlo, sprezzante, gettandogli in viso soldi e parole dure.
"Sapessi quanto ho provato a piegarla. Ma era forte. Troppo forte persino per me." - si infilò lo spolverino, con un movimento rapido e doloroso - "Forte per la sua natura. E forte nell'amore per te. Ci sei sempre stato tu, tra lei e gli altri. Eri il filtro a cui si aggrappava. Non ti ha mai lasciato andare…"
mai.
Fino all'ultimo.
Sono corso io a Sunnydale.
Ma era il tuo anello che le dava forza.
Era il tuo anello quello che nascondeva, contro la pelle. Era te che voleva vedere.
Ma ero io il vampiro che guardava.
Da sempre.
"Spike…"
C'era Dawn sulla porta.
Angel alzò lo sguardo, con un sussulto. Spike si era girato, andandole incontro, con aria sicura.
Rinunciando a quello che stava dicendo… sperando, che non avesse sentito.
Inutilmente.
"Ed io, Spike?" - chiese, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime - "Io dove troverò la forza di andare avanti?"
dove può trovarla anche lui.
In me.
"Briciola." - replicò, abbracciandola - "Lei è parte di te… e dentro di te troverai la forza per andare avanti."
Alzò lo sguardo, per vedere Angel. Per fissarlo, sopra la testa di Dawn. Per trapassarlo, con una fermezza ed una luminosità inaspettate.
"Dentro di te…"

"Westley…" - Giles uscì in giardino, mentre il giovane Osservatore, sentendosi chiamare, si voltava - "che piacere rivederti."
E che sorpresa… dov'era finito il compito uomo inviato per sostituirlo? Non poteva essere quel ragazzo alto dallo sguardo saldo.
"Giles…." Sorrise, tendendogli la mano. Era tirato in viso… ma, del resto, chi non lo era? - "Mi dispiace solo che sia questa… l'occasione…"
Era gentile. Ed educato.
Ma non gli riusciva più di essere spontaneamente scostante e preciso. Era semplicemente un uomo addolorato. E molto più umano di quanto non fosse mai stato.
Cambiato…
Da chi…da cosa…
E fu allora che Giles si rese conto che lo stava fissando.
"Perdonami…" - disse, accennando un sorriso e passandosi una mano in viso - " Mi hai sorpreso…"
"Perché non sono più impagliato?" - chiese l'altro, inclinando un po' il capo. Imitando, inconsapevolmente, Spike e la sua ironia -"Bhe, prima o poi dovevo crescere…"
giles lo guardò, aggrottando le sopracciglia. Per quanto il dolore non lo lasciasse mai, Westley lo incuriosiva e gli dava conforto.
Come se finalmente, inaspettato, giungesse qualcuno in grado di sostenerlo e di… sostituirlo…
"Wes, c'è una cosa di cui dobbiamo parlare…" - aggiunse, quasi riluttante a dover tornare così rapidamente alla sua veste ufficiale.
"E' al sicuro." Lo interruppe pacatamente Wes. I suoi occhi avevano una strana sfumatura metallica - "E ciò che vuole il Consiglio non avrà mai importanza."
Non aveva bisogno di aspettare. Buffy non avrebbe nascosto a Giles dove si trovasse Faith.
Restava solo da chiarire una cosa. Da che parte stesse Giles.

"Sei pronto?"
Sai, Doyle, a volte mi domando se la gente non possa vivere senza chiedermelo…
Sono pronto?
Pronto a cosa?
Ad un altro dolore?
Ad un sacrificio?
A morire?
Continuare a vivere?
A cosa… a cosa dovrei essere pronto…
Angel si voltò, disperato.
Le domande si affollavano dentro la sua mente, ma non uscivano dalle sue labbra.
Lo guardò. Senza proferire una parole.
Pronto…
Non sarò mai pronto a saperla fredda e morta.
Non sarò mai pronto, tanto da smettere di rabbrividire.
Mai.
Non posso essere pronto, a questo.
Non lo sono mai stato.
Io… io non sono lei.
Non avrei mai potuto farle del male.
Non avrei mai potuto sacrificarla… nemmeno per questo mondo dannato.
Non ho mai pensato di perderla.
Io non sono pronto…
Doyle…
Buffy è morta.
È morta perché l'ho…

Annuì.

Annuì, soffocando un urlo.
"Sono pronto. Arrivo subito."

Il salone era pieno di gente.
Gente…
Li conosceva tutti… ma nessuno di quei volti era a fuoco.
Erano visi sfatti, sfiniti.
Erano i visi della vita di Buffy.
E, come la vita di Buffy, erano spenti.
La sua morte si rifletteva su di loro, la sua morte li annientava e li lasciava spersi.
Perché…
Lei era la mia luce…
E quando voi, domani avrete un altro giorno assolato, per polverizzare le vostre paura, io avrò solo un'altra notte.
Una ancora.

Chiudi gli occhi, Angel…. e raggiungimi…

"Angel."

Chi l'aveva pronunciato?
Li guardò tutti, uno ad uno, mentre alzavano lo sguardo verso di lui. Mentre si giravano, cercando un appiglio. O un dolore più forte del loro che potesse farli sentire sollevati.
Che potesse rincuorarli mentre, disperati, arrancavano alla ricerca della loro normalità.
Non era questo?
Non tornavano ad essere tutti normali, ora… senza di lei?
Non era la fine delle loro avventure?
Probabilmente no. Non avevano altro.

Il loro dolore lo stava avvelenando. Lo soffocava. Percepiva la loro paura, i loro corpi tremanti.
Non c'era nulla tra lui e le loro emozioni.
Nulla.
Lo stavano paralizzando. Non poteva avanzare tra di loro. Di colpo ebbe una visione, il fuggevole ricordo di un funerale, con un vedovo giovane e distrutto. Abbandonato, come un automa, in mezzo a persone che gli sfioravano le spalle e stringevano le mani.
Senza curarsi dell'orrore che gli riempiva gli occhi.
Abbandono.
Solitudine.
Le mani che stringeva gli succhiavano l'anima.
E Liam, poco di più di un ragazzino relegato in un angolo, non poteva che rabbrividire innanzi a quel disfarsi dell'umana emozione.

No.
Non poteva divenire come quell'uomo.
Il cuore di Angel, irrazionalmente, tornava a riempirsi di quel muto terrore.
Il muto terrore di un bambino che non capiva la morte.
Un gioco troppo grande da poter essere intuito.
"Doyle…" - sussurrò. Solo l'udito di un demone poteva percepirlo. Solo gli occhi di un demone potevano notare quel movimento di labbra - "Beviamo…
Beviamo come la nostra gente.
Facciamo un brindisi.
Come la nostra gente.
Fingiamo che ci sia musica e balli, gente che ride ed ubriachi fradici sul pavimento.
Non mi importa se non possono capire.
Comportiamoci da irlandesi…"

Doyle era un passo dietro di lui. Camminò spedito, passandogli a fianco, ignorandolo e, sotto lo sguardo allibito di quei ragazzi, spalancò un'anta intarsiata.
Estraendo una bottiglia di Whisky, una bottiglia pregiata di Angelus, dimenticata a lungo.
E stringendo le labbra, per non mettersi a fischiettare. Per non strappare quel tappo e bruciarsi con una sorsata di alcool.
"In Irlanda c'è una tradizione." - mormorò, garbatamente, riempiendo due bicchieri, ed estraendone altri, mentre Wes rientrava dal giardino. Doyle si voltò a guardarlo, di modo che potesse leggere nei suoi occhi le motivazioni di quella che doveva sembrare una follia.
"Noi irlandesi rendiamo ogni funerale una festa. Beviamo, cantiamo ed alla fine spacchiamo tutto. Lo facciamo per avere la forza di ricominciare, perché la vita continui. Io non vi chiedo tutto questo. Ma vi chiedo se volete brindare con me e con Angel." - non ebbe un'esitazione, nel fissarli tutti in viso - "Brindiamo a Buffy, alla vita che donava."
Aveva già un bicchiere tra le mani.
E tutti lo fissavano in silenzio. Ignorando perché, l'unico sconosciuto tra loro prendesse così liberamente la parola.
Ignorando quanto quello sconosciuto potesse aver voluto bene alla loro Cacciatrice.
E quanto ora si potesse maledire, per quella morte e quel dolore.

Wes fu il primo a rispondere a quel richiamo.
E quando Giles afferrò tra le dita quel bicchiere di pesante cristallo, gli occhi del giovane Osservatore lo passarono da parte a parte.
Con una solennità ed un rispetto a cui nessuno l'aveva preparato.
Con lo sguardo di chi sa che il dolore di un suo simile può essere temibile e incomprensibile.
Con la forza di chi ha ancora una cacciatrice da proteggere.
Ed è pronto a farlo con la vita.
Ad uno, ad uno seguirono il loro esempio.
Guardandosi l'un l'altro, senza capire. Fino a ritrovarsi con un calice tra le mani ed un piccola speranza nel cuore.
Un singolo attimo. Null'altro avrebbero chiesto.
"Doyle ha ragione." - disse Giles, prendendo coraggio nei riflessi ambrati - "Buffy sapeva ridere. Era la sua più grande dote.
Sapeva ridere e farci sorridere. Brindiamo alla Buffy con cui abbiamo combattuto… alla mia Buffy…"
Lo disse in un soffio, alzando appena il bicchiere. Prima di vuotarlo con un sorso. Tornando a guardare quelli che erano un po' i suoi ragazzi.
Quei visi giovani e sparuti che aveva dovuto proteggere... e che, in ogni modo, avevano cercato di donargli un po' di conforto.

Ed ora, come in una gerarchia, tutti aspettavano che parlasse Angel. E fissavano il suo anello ed il bicchiere che stringeva tra le dita.
"A Buffy." - disse. Semplicemente.
Senza nessun'altra parola.
Aspettando che il liquore gli infondesse ancora ricordi del suo passato. Rimorsi e rabbia, risvegliando un demone mai sopito da cui trarre forza.
Alzando lo sguardo, con durezza.
A Buffy, che ho amato troppo e non ho salvato.
A voi, che l'avete vista morire.
E a me stesso.
Nuovamente solo di fronte al destino.
Bevve.
Ed il suono del bicchiere che si infrangeva nel camino li fece tutti sobbalzare. Era stato tutto troppo veloce, per i loro riflessi.
Il volto di angel che mutava, l'ampia rotazione del corpo e del braccio.
Ed infine quel suono orribile.
Del cristallo che si frantuma.
E di un cuore che si spezza.
Rimase immobile, innanzi a quello che aveva appena fatto. Quasi inorridito dal suo stesso gesto.
Raggelato, mentre un bicchiere gli passava fulmineo a fianco del capo, seguendo la stessa traiettoria.

Wes lo soppesò un attimo, prima di scagliarlo. Come se, in mano, stringesse una palla da baseball.
E quando lo lanciò, subito seguito da Spike, seppe che era inevitabile.
Come era l'antico rito scaramantico?
Infrangere i bicchieri in cui si era bevuto con troppo gioia, perché nessuno potesse mai, con un singolo sorso, rubare la felicità ad un altro…
E per il dolore?
Non era la stessa cosa?
Non era ancora più intimo della felicità?

Le spalle di Angel si alzarono aritmicamente, come se si stesse imponendo un lungo respiro. Come se il dolore stesse per traboccare.
E Spike si sentì invadere da una gelida rabbia. Il suo sguardo divenne duro e dawn, percependo quel cambiamento d'animo con un brivido, si voltò a fissarlo.
Spike era furente.
Spike si stava ribellando all'idea che Angel cedesse così,innanzi a tutti.
Proprio Angel, così taciturno e forte.
Dawn si sentì afferrare per una mano, e trascinare.
"Andiamo." - disse Spike, a beneficio di tutti.
Squadrandoli, sprezzante.
E sempre stringendo le dita di Dawn, per infonderle sicurezza.
E per infonderne a se stesso.

Anche Giles si incamminò, lentamente.
Passando tra loro, con un passo stanco e avvilito. Cercando un appoggio in Willow, nel cingerle le spalle. Quella Willow che era stata un po' la sua discepola laddove gli interessi di Buffy erano mancati.
Quella Willow che nel suo cuore occupava sempre, di diritto, un posto un po' speciale. Quello che si riserva alle persone che cercano nei libri e nella sapienza una chiave per la felicità.
E fu Anya a trascinare Xander, quasi i suoi piedi rifiutassero di muoversi. Mentre Xander gettava uno sguardo a Cordelia ed al bacio pieno di lacrime che stava donando a quello smilzo irlandese che l'afferrava per la vita con una forza che sembrava non conoscere barriere.

Tara chinò la testa, sorpresa quando, nella sua visuale comparvero i piedi di Dawn.
Dawn era di fronte a lei. E Spike, fermo sulla porta, si era girato per aspettarle.
"Vieni, Tara?" - chiese dawn, tendendole la mano. Aveva lasciato le lunghe dita di Spike per tornare indietro, per cercare conforto anche in lei.
In lei che sapeva essere discreta e comprensiva.
In lei che, in quei mesi e in quei giorni, era sempre riuscita a trovare un attimo per un gesto d'affetto.
Quando Buffy non poteva e quando "non era il momento".
Prese la mano e la strinse, dispiacendosi di essere così infreddolita.

Quando i loro sguardi si incrociarono, Spike tornò a domandarsi cosa potesse esserci di tanto affine tra lui e Tara. Cosa potesse portare Dawn a tenerli nella stessa considerazione, ad appellarsi ad entrambi, quasi fossero complementari.
Non c'era nulla, in quella ragazza bionda, che potesse realmente piacergli.
Nulla, perché troppo fragile, insicura o silenziosa.
Una strega.
Una strega incompresa che spike aveva picchiato prima ancora di avere un'anima. Per dimostrare quanto fosse pulita, e buona.
Per dimostrare a tutti quelli che non potevano crederci, che tara era un'innocente.
Perché l'aveva difesa, quel giorno? In quel modo tanto rude e così da demone, certo, ma perché?
Non sarebbe dovuto importargliene nulla…
Ma, del resto, era così anche per molte altre cose… compresa una cacciatrice, il suo sire e tanto altro ancora.

A Tara non poteva sfuggire un'occhiata tanto penetrante.
E le sue labbra si inarcarono quasi inconsapevolmente.
"stai bene?" - chiesero, senza parole.
Con la preoccupazione che poteva avere una sorella. Una sorella guardinga a cui difficilmente sfuggivano le ondate di dolore.
No. Spike non stava per niente bene. Le fece un cenno, un movimento impercettibile del capo, solo per rassicurarla.
Ma senza mentirle.
Dawn gli cingeva la vita, senza rendersi realmente conto di posare le mani su una fasciatura tanto stretta da soffocare. Dawn non ricordava quel colpo di spada che aveva fatto piovere su di loro, ai piedi della torre, gocce di sangue. Né, tantomeno, la fatica, con cui Spike si era retto in piedi nelle ore successive.
Aveva del miracoloso, anche per un vampiro, quella resistenza.
Ma Spike, per molti aspetti aveva del miracoloso, nelle loro vite.
E tara, consapevole di questo e del rispetto che sentiva di portargli, chinò la testa, lasciando che i capelli biondi la incorniciassero, nascondendo i suoi pensieri.

"Angel…" - Disse Wes, posandogli una mano sulla spalla - "Dobbiamo andare…."
Ma Angel non lo guardava. Teneva gli occhi fissi verso quel camino pieno di cocci e cercava un singolo motivo per muoversi, per andare verso quello fossa ancora vuota.
Fu allora che un sussulto lo scosse.
Si voltò a fissare l'amico, inorridito.
"Faith?" - chiese, disperato. Non aveva più pensato a lei, non aveva più chiesto di lei. Ed ora questa consapevolezza poteva dargli il colpo di grazia.
Ma Wes gli sorrise.
"Sta bene, ed è al sicuro. Spike ha pensato anche a questo…" - rispose - "avrebbe voluto salutarti, quando è andata via. Ma non ha avuto tempo."
"Io l'ho scordata. Ho dimenticato… Faith." - Angel abbassò il capo innanzi ad una nuova sconfitta. Dimenticare Faith…
"Tu non puoi dimenticare faith, angel." - sussurrò Wes - "Ed anche tu lo facessi, per qualche ora, io continuerei a pensare a lei. Sempre e comunque. Nessuno la lascerà più sola, Angel. e domani saremo di nuovo a Los Angeles. E lei tornerà a casa."
"Sarebbe voluta venire" - aggiunse - "Non poteva ammetterlo nemmeno con se stessa, ma sarebbe voluta tornare a Sunnydale. Solo che… non era sicuro."
Angel annuì, cercando di capire. Che percolo correva Faith? Cosa era successo? Troppe cose gli erano sfuggite di mano, nelle ultime ore.
Ci ha pensato Spike.
Non facevano che ripetere tutti questa frase.
A quante cose aveva pensato Spike?
A quante cose aveva provveduto, mentre Angel era del tutto inefficiente?

Lentamente aveva iniziato a camminare. Lui e Wes stavano attraversando il grande ingresso. Dalla porta spalancata poteva intravedere i ragazzi radunati sul prato. E tra di loro, alcuni bagliori di sigaretta.
Poco scostati, in piedi, si intrattenevano Spike e Cordy.
E lei stava, inaspettatamente fumando.
Nervosa, portando troppe volte la sigaretta alle labbra. Mentre Spike assaporava l'aroma con lunghe boccate.
"Fumo negli occhi?" - mormorò garbatamente, guardandola.
"Certo." - rispose lei, asciugandosi le guance. E sorridendogli, quando Spike, con un gesto affettuoso, le fece una carezza.
"Gattina, la volta che ti andrà di sfogarti un po' e non vorrai farlo con tutti questi bellimbusti…" - disse Spike, ripetendo le parole che lei aveva pronunciato poche ore prima, in macchina - "chiamami, verrò subito."
E Cordy annuì, spegnendo la sigaretta. E sentendo che poteva farcela anche senza.

Angel stava venendo loro incontro. e c'era Wes con lui. L'uomo silenzioso. Anche così, nel buio, i suoi occhi azzurri brillavano in modo stupefacente. E da lui si emanava una forza incredibile. Una forza che non aveva mai svelato, un fascino che solo Cordelia aveva riconosciuto a prima vista.
La stessa Cordelia che ora gli andava incontro. E che Wes cingeva per la vita.
C'era Dawn, adesso, con Angel. come gli fosse arrivata così vicino senza essere notata, era un mistero. Ma Angel la teneva per mano, mentre attraversava la radura e si incamminava, per il sentiero.
Ed anche se non si parlavano, sapevano ascoltarsi.

Il prete era indubbiamente in soggezione.
Per quanto in buoni rapporti con le anime, quel cimitero buio e cupo gli metteva un'apprensione che non sapeva dominare.
L'uomo distinto che si era presentato in chiesa, e che rispondeva al nome di Rupert Giles, era stato tassativo sulla necessità di celebrare un funerale dopo il tramonto.
La ragazza era giovane e le cause del decesso oscure, come per buona parte della popolazione di Sunnydale passata a miglior vita.
Non era stato richiesto nulla di particolare. E l'uomo, di indole mite e carattere debole, si soffermò semplicemente sul conforto dell'aldilà ormai raggiunto e sulle buone qualità che ogni ragazza potrebbe avere.
Amicizia, disponibilità, coraggio. Lealtà, potenzialità ormai perdute e dolore più per chi resta che per chi se ne va.
C'erano molti giovani intorno a quella fossa.
Ed il prete li scrutava, al di sopra degli occhiali, domandandosi su di loro poche cose. Ma senza riuscire a levare gli occhi dai loro visi.
E dal dolore che provavano.
Lo stesso di centomila altri fedeli visti nella sua carriera.

C'era Giles, l'unico che conoscesse per nome.
E, vicino a lui, un ragazzo alto e distinto, vestito con un semplice maglione a collo alto. Sarebbe potuto essere suo figlio.
C'era qualcosa che li rendeva affini.
Una ragazzo educato e compito, anche se i suoi capelli, un po' più lunghi e scomposti, lo facevano apparire indisciplinato.
Di lui si ricordava.
Per quanto cambiato, era il giovane uomo in doppiopetto grigio e occhiali che sedeva da solo nel primo banco, non appena la chiesa si vuotava, nel silenzio, prima del tramonto. Era il ragazzo vestito da uomo, sulle cui spalle sembravano posare problemi e doveri troppo grandi.
Il ragazzo vestito da uomo che si teneva la testa tra le mani e cercava la strada che aveva perso.

Si era levato un vento che scompigliava i capelli alla donna che gli stava a fianco. Anche lei era un volto conosciuto.
La ricordava, elegantissima, a testa alta, tra sua madre e suo padre. Con un nasetto impertinente sempre alzato verso le statue della chiesa, ed uno sbadiglio sempre da nascondere.
E ricordava lo scandalo che aveva animato i pettegolezzi della sua parrocchia, quando quell'uomo distinto e potente che lei chiamava 'papà', era finito in galera.

Oh, sì, erano ragazzi di Sunnydale, li aveva incontrati tutti. Ed adesso iniziava a ricordare un altro funerale alla luce del sole.
E quella ragazzina dagli occhi splendenti che guardava il fondo bruno della fossa in cui la bara brillava. Senza una lacrima, senza battere ciglio.
E la ragazza dai capelli rossi, con il ragazzo bruno a fianco.
E c'era una fanciulla bionda vicino a lei, allora…
Ed ora il prete aveva l'orrida consapevolezza di sapere chi fosse destinata a dormire là sotto. Guardava la terra e lasciava che le parole stereotipate lo riempissero d'orrore.
Come poteva essere? Non l'aveva forse confortata quando era morta sua madre? Non le aveva detto che la vita continua, che avrebbe avuto molti anni per essere felice?
Non le aveva forse mentito, come a molti altri, per vedere le lacrime asciugarsi?
Non poteva essere colpevole di quella morte… aveva fatto di tutto per spiegarle che la vita continua.
Ed ora…
Affrettò le sue parole, cercando di non guardarli più. Di non guardare più nessuno di loro.
Cercando di non notare il giovane biondo che ora stava a fianco della ragazzina. E che, talvolta, si portava una mano al fianco, come se stare in piedi gli costasse fatica.
Senza domandarsi da dove venisse quel tizio minuto e malvestito che gli stava un passo dietro e che, talvolta, si sporgeva per sfiorarlo. E dargli conforto, con un'intensità che si poteva percepire anche senza attenzione, solo sbirciando gli occhi trasparenti con cui lo fissava.
La ragazzina piangeva, adesso. Si era girata, per abbracciarlo. E lui l'aveva accolta senza staccare gli occhi dalla bara, dal crocifisso dorato che splendeva nel buio.

E poi c'era quell'uomo.
Alto, dagli scuri occhi tristi. Non muoveva un muscolo, sembrava una statua di sale, la cui guancia, talvolta veniva solcata da una singola lacrima.
Piangeva senza battere ciglio.
E le sue lacrime, al buio, sembravano rosse.
Solo un movimento accompagnava a quella fissità, solo il lento tormentare un anello d'argento, facendolo ruotare, lentamente.
Lentamente e meccanicamente.
Lacrima dopo lacrima.
I suoi occhi erano bui. E vecchi.
Era giovane.
Eppure sembrava che questo dolore fosse un altro, un'altra interminabile delusione.
Non piangeva realmente, si sorprese a pensare l'anziano sacerdote, mentre già Mister Giles avanzava per stringergli la mano e ringraziarlo delle belle parole. Formalmente, con il suo accento inglese.
Quel giovane non piangeva. Le lacrime scendevano perché non c'era motivo per fermarle. Ma il suo dolore era troppo grande per ridursi a quelle semplici gocce.

Si voltò ancora a fissarli, mentre si allontanava, stringendo la bibbia sotto il braccio. Non ricordava già più i versetti che aveva letto.
Ma quei volti sarebbero stati difficili da dimenticare…

Erano ancora tutti in cerchio. Avevano atteso che la fossa fosse piena e la lapide posizionata.
Era bello quel salice che sembrava proteggerla, protendendosi con i suoi rami.
Ognuno di loro aveva qualcosa da dire, un aneddoto, una caratteristica ed una breve risata, ricordandola.
Ricordandola felice.
Ricordandola triste.
E ricordandola, semplicemente.

Buffy.
Buffy Anne Summers.
Devota sorella.
Amata amica.
Anima.

Non c'era più motivo per restare. Non c'era realmente Buffy…
Restavano solo i singhiozzi delle ragazze. Piangevano e l'aria era satura del profumo salino delle loro lacrime.
E tra loro, Spike captò anche quelle di un demone, mentre Anya avanzava, fino a trovarsi molto vicino alla pietra tombale.
L'accarezzò, tristemente.
"Andiamo via." - sorridendo a tutti loro, mentre le scie argentee sulle sue guance rivelavano il vero stato d'animo - "Non c'è più niente qui. Credetemi, ne ho mandati tanti là, sotto. E volevo mandarci anche lei, quando sono arrivata a Sunnydale. Ma non ci sono riuscita. E la mia vita è cambiata.
Buffy mi ha donato l'amore ed una vita piena.
Mi ha dato soldi, soddisfazioni e amici. Ed io mi sono chiesta spesso come potrebbe essere rinunciare a tutto questo…"
Tirò su con il naso, cercando un contegno.
"ma buffy non mi ha mai chiesto nulla indietro. Non ha mai chiesto nulla a nessuno. E adesso non le piacerebbe saperci tutti qui, ridotti come dei lombrichi! Fa freddo, andiamo via, andiamo a casa… lei è andata via. E noi dobbiamo vivere perchè lei ci ha donato questa vita. Per… favore…"
si sarebbe aspettata le braccia di Xander. Ma quelle che aveva cercato, e che ora la stringevano, erano di un demone.
Di un demone dalla lingua velenosa e lo sguardo penetrante.
Di un demone biondo che, dichiarando sempre di fare i propri interessi, riempiva i loro vuoti e li confortava.
Le braccia di un demone che, come lei, da buffy aveva avuto amore. Che, come lei, aveva sempre cercato di ucciderla, per festeggiare, sopra la sua tomba.
E che ora si stringeva ad Anya, trattenendo le lacrime, rabbiosamente.
"Oh, Spike." - sospirò, con il rimpianto di non poter restare più a lungo in quel rifugio.
Sciogliendo quell'unione per tornare da Xander. Da Xander che non avrebbe capito, fissando ostilmente il vampiro e possessivamente Anya.
Anya, che nel suo cuore, mai sarebbe stata Buffy. E mai Cordelia.
Ma che era sua. E sua soltanto.

Si allontanarono, incespicando. Camminando lenti.
Sapevano già chi sarebbe rimasto in piedi, davanti alla terra smossa di fresco.
Con le spalle curve.

Spike, in piedi, di fianco a lui, aspettava un cenno, un singolo movimento per parlargli.
Per sussurragli qualcosa.
Qualcosa…
Qualcosa che non riusciva a ricordare.
Angel non si mosse. Né si voltò a guardarlo. Lacerando i loro cuori, il suo sguardo rimase perso. Perso e assorto nel desiderio di tornare nell'ombra ad essere un'ombra.

E non restava che abbandonarlo. Spike si mosse, lentamente.
Solo il silenzio alle sue spalle sembrò dargli un conforto ed una speranza..
Doyle.
Doyle non era dietro di loro. Doyle non si stava allontanando.
Doyle era là.
A fianco di Angel.
E, sulla sua strada, c'era nuovamente un vicolo in cui addentrarsi.

Il vicolo da cui un Cantastorie, tanti anni prima, aveva tratto fuori un eroe.

"Andiamo via, Spike." - mormorò ancora Dawn, allontanandosi. A nulla poteva servire restare in contemplazione di quel cimitero silenzioso in cui Buffy dormiva e più non camminava.
Lasciandosi cingere le spalle.
E camminando, con gli occhi chiusi, tra braccia sicure.

Davanti a loro, Giles e Wes stavano parlando.
Spike lo vedeva dai loro gesti, anche se non sentiva le loro parole.
A questo erano stati educati. A chiudere il cuore al dolore, per ricominciare ad osservare. Osservare il mondo, con occhi pieni dolore… ma con lo sguardo fermo.
Ed ora la prima cosa al mondo, nei loro pensieri, era garantire un futuro a ciò che buffy aveva salvato, pagando con la vita.

"… non piangere…" - mormorò lui, senza neanche guardarla. Il suo sguardo continuava ad essere rivolto lontano. E solo ora, guardandolo di profilo, Dawn riusciva a vedere la stanchezza e la forza che si fondevano.
Quale ironia l'esistenza…Non aveva mai pensato di trovarsi a pochi passi da quella tomba e con quelle semplici frasi sulle labbra. Che enorme stranezza, ricordare solo ora quella poesia … quale cosa, più adatta al suo stato d'animo?
Così poco.. eppur con così tanto significato… già, quelle parole erano come scritte per lui… per Buffy… per Angel…

…, non piangere, non sono qui sotto il pino.
L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,
le stelle scintillano, la civetta chiama,
ma tu ti affliggi e la mia anima si estasia
nel nirvana beato della luce eterna.
Va'dal cuore buono che è mio marito,
che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore:
digli che il mio amore per te e così il mio amore per lui,
hanno forgiato il mio destino, che attraverso la carne
raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
Non ci sono matrimoni in cielo,
ma c'è l'amore.

Ma c'è l'amore.

La sua voce si perse nel vento che fischiava intorno. Le sue lacrime le portò via quel forte sguardo che ora gli accendeva il viso, mentre lo levava verso il cielo.
VII
Lentamente, come un corteo, si incamminarono verso casa di angel.
Aspettandosi l'un l'altro. In silenzio.
Come se galleggiassero nel loro dolore, come se non potessero scambiarsi parole, neanche ora.
Neanche ora che si trattava di ricominciare tutto da capo.
Angel camminava dietro di loro, da solo.
Doyle aveva accelerato il passo, lasciandolo solo con i suoi pensieri e si era affiancato a Spike ed a Dawn, abbracciati stretti.
La piccola stava quasi nascosta dentro il suo giaccone, gli abbracciava il torace. Ma i suoi occhi non erano pieni di lacrime. Si erano asciugati, a poco a poco, una manciata di terra dopo l'altra.
Aveva gli occhi più belli che Doyle avesse mai visto.
Innanzi a loro, avvolta nel suo giaccone con il cappuccio, camminava Cordelia. A capo chino, assorta. Rallentò, per voltarsi un istante a cercare il suo demone, trattenendo con le mani i capelli che il vento scomponeva.
Senza un sorriso.
Prima di voltarsi e proseguire. Prima di sentirsi afferrare per una spalla e ritrovarsi, in un soffio, tra le braccia di un sorriso.

"sei sicura di voler andare?" - chiese ancora una volta Spike, per essere certo di aver sentito giusto.
E Dawn annuì, ancora, cercando la mano di Tara.
"Sì. Voglio tornare a casa. Si fermano Will e Tara con me."
"Vuoi che venga anch'io?"
"No. Ti prego Spike, voglio riuscirci da sola." - sussurrò ancora, guardandolo con occhi disarmanti. Mentre lo sguardo di Spike correva a Tara, a capo chino.
Povera Tara, nascosta dal velo dei suoi capelli biondi, così provata e stanca. Tra le mani la mano di dawn, in cui infondere calore.
"Non ti preoccupare, spike." - la sentì mormorare, timidamente - "dawn è forte, può riuscire…"
"Prima o poi devo tornarci…" - ripetè ancora, quasi per convincersi - "Stasera, sarà solo meno difficile di domani…"
"D'accordo." - accettò Spike, anche se riluttante - "Ma promettimi di telefonarmi, non appena ne senti la necessità."
"Va bene." - Dawn abbozzò un sorriso - "Ti chiamerò domattina, prima di andare a scuola."
L'abbracciò stretta e la lasciò andare. guardandola camminare, diritta e spedita, tra le due streghe.

Tornò lentamente sui suoi passi, nel salone, dove restava solo Xander. In piedi, innanzi al camino, inusualmente assorto.
Si sentivano le voci di tutti gli altri, giungere attutite dalle spesse pareti in pietra.
Tutti intenti a dibattere sul futuro di Dawn. Tutti pronti ad accanirsi uno contro l'altro, per la protezione di quel gioiello.
Spike era stanco e spossato. I suoi buoni argomenti per farsi valere, erano scomparsi come neve al sole. Erano semplicemente discesi in quella fossa, insieme a qualche rimpianto e qualche rimorso.
Buffy.
Gli sembrava di vederla nitidamente… buffy, a braccia conserte, in un angolo, a guardarli che discutevano il futuro di una forza sovrannaturale.
La poteva vedere, mentre si irrigidiva, a sentir parlare di sua sorella come di una… cosa. Una cosa informe e inanimata.
Spike rimase assorto, giocherellando con l'accendino, in piedi. Avrebbe voluto portare via dawn. Portarla via con sé.
Ormai lo sapevano tutti.
E non si poteva dubitare che Wes ed Angel avrebbero fatto di tutto per accaparrarsi quel nuovo dovere.
Avrebbe voluto raggiungerli. Avrebbe voluto sobbarcarsi quella nuova fatica. Farsi valere nell'opera di convincimento.
Là. A discutere con Anya e con Giles.
Trovare una soluzione.
Senza interpellare Dawn?
No.
Nessuno aveva chiesto a Dawn cosa volesse fare.
E Spike si sarebbe fatto valere una volta sola.
Con Briciola dalla sua parte.
Oppure non l'avrebbe fatto.

"Smettila!"
"Come scusa?" - il corso dei suoi pensieri si interruppe bruscamente, mentre xander si voltava, lanciandogli un'occhiata per niente amichevole.
"Ti ho detto di smettere con quel dannato zippo."
"Non è uno zippo." - replicò Spike, con una punta di irritazione, ritirando comunque l'incriminato accendino - "E non era mia intenzione disturbare le tue riflessioni…"
"Sì, certo… e da quando ti importa di essere rispettoso?"
Stava attaccando briga!
Xander aveva voglia di litigare.
Spike sentì un sorriso sardonico stamparsi sul suo viso, prima di riuscire a reprimerlo.
E seppe di aver sventolato lo straccio rosso davanti al muso del toro in carica.
"Lasciamo stare…" - mormorò, passandogli a fianco ed afferrando la giacca. Non era sua intenzione mettersi a discutere.
Ne aveva voglia.
Ma non poteva farlo.
Non in quella notte.
Non con la morte nel cuore.
Non nella casa di Angel.

Avrebbe voluto…
Ma non poteva.
Dovette ripeterselo alcune volte, mentre si incamminava verso la porta.
Sentendosi ancora urlare dietro. "Ed allora scappa, è una cosa che ti riesce bene!"
Spike si fermò e poi tornò sui suoi passi, camminando a ritroso, prima di decidersi a voltarsi, per squadrarlo.
Aspettando un'altra frase.
Un altro luogo comune.
Ascoltando le frasi con cui Xander l'aveva apostrofato più volte, negli anni.
Lasciandosi vomitare addosso, tutta la rabbia e tutte le cattiverie che potevano venirgli in mente.
Iniziando, a poco a poco, a ribattere.
Risposte brevi, semplici, graffianti.
Fatte del sarcasmo migliore.
Fatte per accendere ancora più rabbia. Fatte per dare forza alla stupidità fuori controllo.
Fino a non poterne più.
Fino all'esasperazione.

...

"Sai che ti dico, Harris." - Spike ringhiò, mentre un lampo mal represso gli attraversava gli occhi grigi - "Che idioti come te ne ho conosciuti ben pochi. E sei anche fortunato, sono sempre stato uno avvezzo ad ammazzare chi mi disturbava."
Era troppo.
Il pugno di Xander lo colpì in pieno mento.
Spike perse l'equilibrio, ritrovandosi con le spalle al muro. Imprecò, rendendosi conto della situazione.
Senza fermarsi a pensare, rispose al colpo e l'altro arretrò barcollando, portando una mano alla bocca.
Sputava sangue. E Spike fu ben lieto di vederlo grondare dalla bocca di Xander e non dalla propria. Ma non si faceva illusioni. Ferito com'era, non poteva prevalere su di lui senza andare poi lungo disteso.
Dawn non doveva sapere.
Era un particolare da tenere bene a mente.
Tornò a posarsi alla parete. Era una posizione di svantaggio, ma gli permetteva di comportarsi da sbruffone.
"Allora Harris, ti basta per calmare i bollenti spiriti?"
Lo provocava. Quel dannato vampiro lo provocava, senza rispetto per nessuno. Per il dolore di nessuno.
Per Buffy, appena morta e sepolta.
Per la loro stanchezza.
Andava e veniva, beffardo, senza curarsi di niente. Ad eccezione forse di Dawn.
"Bene, sei diventato un eroe senza macchia e paura. Ma la città grande e le tue buone azioni non tolgono quello che sei sempre stato.
Ti proclami tutore per Dawn? È proprio quello che ci vuole! Un vampiro assetato di potere che, da quando è arrivato a Sunnydale, non ha mai fatto altro che cercare di uccidere la Cacciatrice. E dimmi, non hai goduto, alla fine, a vederla morta?"
Si ritrovò steso per terra. Ma si rialzò come una furia.
Spike, dietro quel sorriso ostentato, nascondeva una rabbia senza limiti.
Appoggiato alla parete, incurante, dopo aver sferrato il colpo che aveva mandato al tappeto l'avversario. Con la testa buttata indietro.
Se si sarebbe potuto dire che fissava qualcosa, al di sopra delle loro teste.
E se per Xander era solo un altro atteggiamento irriverente nei suoi confronti, per Spike non era altro che un momento di consapevolezza.
Le parole di Xander bruciavano perché false e profondamente vere allo stesso tempo. bruciavano, perchè negavano alla radice un dolore sordo che, a rigor di logica umana, non avrebbe dovuto provare.
Per un attimo, questo stato d'animo lo distrasse.
Quanto bastava per dare il tempo a xander di avventarglisi contro.
Un ginocchio alzato, puntato al suo stomaco. Una mossa da teppista, del tutto imprevista ed un improvviso irradiarsi dal fianco, quando la parete oppose resistenza, alle sue spalle, lasciando che l'articolazione di Xander penetrasse la sua carne.
Maledizione, imprecò sottovoce, maledizione, no!
Il sangue gelava la ferita, fiottando caldo. No, non si era reso conto di essere ancora tanto intorpidito e dolorante. Da qualche parte, anche all'interno, il sangue stava probabilmente ricominciando a scorrere, aumentandogli la temperatura corporea.
Il sangue pulsava come la sua rabbia.
Xander fece un passo indietro, guardandolo dritto negli occhi e Spike vi lesse un odio incontrollato. Lo stesso che ricambiava, senza muovere un muscolo.
Lo avrebbe massacrato a mani nude, avesse trovato la forza. Ma non poteva reggere a tutto, si rispose con lucida razionalità.
Non poteva reggere alla morte di Buffy, al dolore di Angel e di Dawn, al suo fisico che iniziava a perdere colpi ed al suo prezioso orgoglio.
E non poteva rinunciare a nessuna cosa.
Poteva provarci.
Si scostò dal muro, per andarsene, per ritirarsi.
"Oh, no, non scapperai di certo. per quel che mi riguarda è la resa dei conti." - replicò Xander, con una spinta ed un altro colpo ben assestato, al basso ventre. Sentendosi esultare, quando lo vide scontrarsi di nuovo con la parete. Ricordando, con un sadico piacere, la cedevolezza di quel corpo che sembrava forgiato nel marmo.
Le cose si mettevano male.
Spike si appellò alle ultime forze fisiche e mentali che sentiva. Il torpore sembrava iniziare ad invaderlo, veniva in soccorso del corpo. Con l'incoscienza sarebbe giunto anche il risanamento.
Ma non c'era tempo.
C'era altro da fare.
Molto altro.
Ed in questo gioco da equilibrista che Spike andava gestendo, bisognava aggiungere una bella lezione a Xander Harris. Quello che non capiva mai le cose con una frazione di anticipo.
Spike rimase fermo e, all'ennesimo pugno in faccia, chinò lo sguardo, stringendo maggiormente il giaccone, perché non si vedesse il sangue che iniziava a trasparire.
Infilò le mani in tasca, con un gesto che lo caratterizzava. E fissò il ragazzo che si scatenava a sue spese.
Meno di ventiquattrore prima si era prestato ad Angel, anima e corpo, come valvola di sfogo. Aveva lasciato che le sue ossa si rompessero, senza arretrare di un passo innanzi a quella furia, aveva sentito le sue articolazioni cedere ed i suoi organi come accartocciarsi. Aveva sopportato un dolore senza pari, più e più volte, mentre il suo corpo rigettava sangue, privandolo di ogni forza.
Ed ogni qual volta aveva chiuso gli occhi, per trovare riposo, il volto di Buffy, avvolto nel vento della caduta, l'aveva fissato, con occhi morti.
Rimase immobile, a domandarsi cosa provasse Xander Harris. Se liberazione o rivincita. O cos'altro, nel suo cervello incomprensibile. Rimase immobile. A vedere se aveva il fegato di colpire chi non reagiva.
E questa sua scelta, non fece che aumentare la furia.
Lo schioccò fu netto.
Ci volle un attimo perché Xander e Spike, capissero cos'era successo. Si era trattato, ai loro occhi, di una semplice variazione di luce. Un'ombra, tra di loro.
Xander arretrò. Portandosi infantilmente una mano alla guancia.
Spike, per la sorpresa, rischiò di perdere l'equilibrio e dovette puntellarsi saldamente con tutta la spina dorsale. Le pareti iniziavano a divenire le sue migliori amiche…
Tra di loro stava una figura solida. Per uno strano gioco di prospettiva, sembrava molto più alta di quanto fosse in realtà.
Westley Whidam-Price aveva ancora il braccio alzato e si ergeva, in difesa di Spike. Un ceffone. Meglio di tutto quello che avrebbe potuto dire o fare.
Non un pungo.
Non un calcio.
Un ceffone.
La più grande beffa, da uomo a uomo.
Xander rimase chino su se stesso, ancora un attimo, con la mano sulla guancia, gli occhi sbarrati.
"Come osi, Westley, ma chi ti …."
"Se ti comporti da bambino, ti tratterò da bambino." - replicò l'altro, implacabile, smontandolo del tutto.
Tornando ad abbassare la mano, ad infilare le mani in tasca, con posa simile a quella di Spike.
"Stai bene?" - sussurrò, chinando il capo e girandosi appena.
"Ma certo." - replicò l'altro a denti stretti, appoggiando il capo alla parete e sperando che la stanza non ricominciasse a girare. Poi spostò appena lo sguardo, per fissare Angel, fermo sulla porta, a fianco di Giles - "Sto benone, non mi sconvolgo per così poco."
Angel lo guardò ancora, con una vera preoccupazione nello sguardo. I suoi sensi percepivano nuovamente il sangue di Spike impregnato nei tessuti. Come era successo sulla strada tra Los Angeles e Sunnydale.
Sembrava che tutti, con Angel in primis, si stessero accanendo per farlo sanguinare come un vitello sgozzato.
Lo scontro non era ancora finito. Westley sprizzava disgusto da ogni poro.
"Allora, ti sei calmato o ne hai bisogno un altro?" - gli domandò, freddo, senza muovere un sopracciglio.
"Ma chi ti credi di essere…"
"Me lo stavi chiedendo già prima. Io sono uno che non tollera i capricci. E che pensava tu fossi abbastanza grande da non dover essere tenuto d'occhio."
Xander camminò verso di lui, con un'andatura da ubriaco.
A nulla valse il richiamo imperioso di Giles.
"Se stai pensando di picchiarmi, levatelo subito dalla testa." - proseguì l'ex osservatore, implacabile. La sua voce era uno schiocco di frusta sull'orgoglio di Xander. La sua figura era un baluardo in difesa di Spike.
Niente l'avrebbe spostato da dove si trovava.
"Cosa sei tornato a fare, Price!" - scattò furente il ragazzo - "Non hai mai avuto alcuna utilità qui a Sunnydale. Nessuno ti ha rimpianto e nessuno ti voleva quando sei arrivato. Levati di torno, io ed il vampiro abbiamo parecchi conti in sospeso."
"Forse non ci siamo capiti. Finiscila."
Xander perdeva terreno. Sembrava riacquistare lucidità e autocontrollo, involontariamente, mentre la sua guancia iniziava a scurirsi, perdendosi in un livido esteso.
Westley non era stato molto leggero, nell'imporsi. Ma non gli fregava un accidente di quel segno. Quel ragazzino non sapeva vedere al di là del suo naso.
L'attenzione di Xander si stava di nuovo spostando su Spike. Lo riempiva di collera l'immobilità del vampiro. Stava appoggiato alla parete, lasciando che un altro prendesse le sue difese.
"Così adesso ti fai anche difendere da un Osservatore rinnegato."
Spike lo guardò, sputandogli un sorriso dritto in faccia. Sentiva il profondo desiderio di fargli saltare tutti i denti.
Ma non intendeva farlo. Westley aveva ragione, il suo cervello aveva lavorato meglio di quello di Spike. xander era infantile, nel suo scatto di rabbia. Non c'era niente della lotta furente che aveva ingaggiato con Angel, né la tecnica, né la motivazione. Non ci si abbassava a quel livello.
Xander Harris non prendeva a pugni un avversario. Scalciava, picchiava sotto la cintura.
Semplici sciocchezze teoriche. Efficaci in uno scontro verbale.
E, in una lotta del genere, Wes non aveva pari.
"Xander, non difendo Spike. mi sembra che avesse già smesso di reagire ai tuoi colpi, quando stavi per rifilargli un altro pugno."
Un punto a favore.
Harris era interdetto, non sapeva cosa rispondere.
"Inoltre, ritengo sia un problema quando uno che si proclama dalla parte dei buoni ha un atteggiamento tanto scorretto."
"Sì, certo, mi stavo picchiando con un campione di correttezza."
"Infatti. Tu non ti stavi picchiando con qualcuno." - proseguì Wes affondando la lama del dubbio - "Tu stavi picchiando qualcuno. E per quanto spike non sia quel che si chiama uno stinco di santo, tu hai torto."
La frase cadde nel silenzio. Ma a Wes non bastava.
"Hai torto per molte ragioni Xander. E tu avessi un minimo di quella correttezza che proclami di conoscere, faresti le tua scuse."
Questo era davvero troppo. Xander sbuffò e si mosse impaziente. Alle spalle di Wes, Spike continuava a non muoversi, a godersi la scena.
Ma c'era qualcosa che non andava. Anya abbandonò all'improvviso l'angolo da cui assisteva alla scena, alle spalle di Giles.
Andò dritta verso xander e lo afferrò per un braccio, obbligandolo a guardarla.
"Brutto… " - si controllava a stento - "… stupido! Da quando si trattano così gli amici feriti? Se lo fai solo perché è un demone, allora io…"
Xander rimase senza parole e si perse il resto della frase. Non si era reso conto. Non si era ricordato. Eppure c'era, quando Tara l'aveva pazientemente medicato, mentre Spike scalpitava per tornare da Dawn. Come li aveva minacciati tutti, perché Dawn non ne fosse informata.
Aveva dato per scontato che si fosse rimarginata. Ma, da come Anya stava urlando, la messinscena andava avanti.
Adesso Xander sembrava impacciato. Si volse nuovamente verso Westley, per cercare conferma. E non ottenne nulla.
Spike aggrottò la fronte e si raddrizzò.
"Finiamola con queste stronzate." - esclamò. Non voleva le scuse di Xander, non voleva che lo facesse per compassione. Avanzò verso la porta e uscì in giardino, passando a fianco di Angel - "Finite di parlare, voi due. Voglio andarmene da qui il prima possibile. Inizio a perdere la pazienza."

VIII
Sedette, appoggiandosi al muro e sperando di confondersi con le ombre.
Dall'interno gli giunse il suono inconfondibile di una porta che si chiude e, sommesso, il suono delle voci di Giles, Westley ed Angel.
Il sangue avrebbe smesso di scorrere da solo. Spike non mosse un dito, nemmeno per premere sulla ferita, interrompendo il flusso.
Rimase con le mani in tasca e gli occhi chiusi, seduto su una sporgenza del vecchio muro sconnesso. Inalando il profumo della notte.
In lui avanzava ancora un leggero torpore da combattere. Non c'era tempo per dormire, sfamarsi o altro.
Presto sarebbe dovuto rientrare, a far valere i suoi diritti e le sue opinioni. E sperava ardentemente di non trovarsi ancora di fronte Xander Harris e la sua boria di giustiziere. Fu il rumore di un accendino, a scuoterlo. Aprì gli occhi, trovandosi di fronte Doyle, intento a proteggere la fiammella con entrambe le mani.
Il mezzo-demone lo guardò dritto in faccia. Poi si sfilò la sigaretta di bocca e gliela porse.
"Vuoi che ci dia un'occhiata?"
"No, grazie." - rispose Spike, tirando una lunga boccata - "Dovresti essere quasi stufo di vederla."
"Infatti lo sono. E sono anche stufo che tu permetta a tutti di cavarti sangue dalle vene. Credevo che fosse Angel quello votato al sacrificio, non tu."
"Lui è un penitente. Io sono un idealista." - replicò, come se questo spiegasse tutto - "Xander si è levato dai piedi?"
"Certo. Quella ragazza ha palle da vendere."
"In una coppia, almeno uno deve averle."
Doyle sedette a fianco.
Rimasero un po' in silenzio, mentre la sigaretta si consumava lentamente. Spike si godeva ogni singolo sbuffo di fumo, trattenendo l'aroma tra le labbra più a lungo possibile. Aveva la fronte imperlata di sudore e, contrariamente al calore anomalo che gli sembrava di emanare, aveva freddo.
"Stai male, Spike, vattene a letto." - sussurrò Doyle. La sua voce appariva sinceramente preoccupata.
"Naahh. È presto." - Spike lasciò meccanicamente cadere la cenere - "Ma sono contento che Dawn non sia qui. Un abbraccio e finirei per terra."
Doyle si lasciò sfuggire un sospiro tollerante.
"Mi dai più grattacapi di lui."
"Non ci credo."
"E' così."
"Non è vero."
"Sì che lo è!"
"No,non è…"
"Spike! sei un tormento,"
"Certo. è il mio soprannome."
"ma non era Sanguinario?"
"No." - Spike spense la sigaretta, ridacchiando - "Quando sono venuto a vivere a Los Angeles, sono stato ribattezzato: Spike, il tormento di Angel."
Lo disse accompagnando la frase con un grandioso gesto della mano, come se illustrasse una grande scritta.
Le loro teste erano vicine, come se Doyle guardasse in punto indicato.
"Bello." - annuì convinto - "E chi ti ha soprannominato così?"
"Angel."
Si guardarono. E ne risero, scotendo la testa.
"Lo dovevi veramente esasperare." - constatò Doyle, asciugandosi le lacrime.
"Non sono un carattere facile. Facevo le stesse cose che faccio adesso. Il duro e poi… bam! Andavo lungo tirato per terra!"
Sembrava divertente, raccontato in quel modo. Doyle aveva una bella risata, contagiosa. Rimasero seduti, a sparare scemenze.
Spike non badava più molto alla perdita di sangue. Talvolta tossiva, portando una mano alla bocca, in attesa che i dolori si riducessero.
Ma non passavano. Iniziava ad esserci così abituato da non sentirli nemmeno.
Raccontava dei primi giorni a Los Angeles e Doyle lo ascoltava, sottolineando il racconto con belle battute.
"Ed io che pensavo che non sarei mai più stato così male." - constatò, in un sospiro, alla fine di una risata.
"Passerà. Lo sai?"
"Certo. passa sempre tutto, solo che passa proporzionalmente alla longevità delle persone. Ci vorrà un po'…" - constatò, posandosi, con una smorfia, una mano sul fianco - "Ci vuole tempo per tutto…"
"Per quella ferita soprattutto, a mio parere. Ti fa male?"
"Da impazzire. Detto tra di noi, ovviamente." - concordò Spike - "Soprattutto se tutti quelli che passano ci infilano un pugno. Oppure un ginocchio…"
"Ti ha dato una ginocchiata? Che figlio di…"
"Mai stato tanto d'accordo."
"Chissà cosa ci trovava in lui, Principessa…"
"I suoi gusti sono migliorati dal tempo del liceo, su questo puoi credermi. Usciva con perfetti idioti. Ti ha mai detto che una volta lei e Buffy hanno rischiato di farsi mangiare da una specie di grosso serpente nello scantinato di una confraternita?"
"Questa mi mancava…"
"Me la sono persa anch'io me l'hanno raccontata… buffy… credo…" - Spike si passò una mano sugli occhi e Doyle gli posò una mano sulla spalla.
"Ehi. Non pensi che sia quasi ora che ti sfoghi?"
"Sto bene. Sto bene." - Mormorò, senza levarsi la mano dagli occhi. Doyle aveva spostato la mano, adesso gli stringeva il collo, con un leggero massaggio.
Era confortante.
"Doyle, cosa ti ha detto Lorne? su di me intendo."
"Tutte cose molto sagge. Di tenerti d'occhio, di vedere se riuscivo a stare nei paraggi se avevi un momento di debolezza e di non smettere di preoccuparmi anche se dicevi il contrario. E…"
"Ancora qualcosa?"
"Certo. di continuare a preoccuparmi e continuare a preoccuparmi e continuare a preoccuparmi. Perché è una cosa che faccio bene. E di non prendermela, visto che è un'attività inutile."
"Ma che cose carine che dice quel tipo." - commentò sarcastico il vampiro - "Ti ha detto anche di offrirmi sigarette quando te le chiedevo?"
"No. ma si può fare." - Doyle soppesò la sigaretta, sventolandola sotto il naso - "Ma tu andrai a letto dopo questa?"
"No."
Doyle lo squadrò ancora. Poi gli porse anche l'accendino.
"Abbi pazienza, dovevo fare almeno un tentativo." - Doyle accese anche la propria - "Non mi piace vederti in questo stato, che ci vuoi fare, ho il cuore tenero…"
"Me l'hanno detto. Ma lorne ha ragione, non puoi farci niente. Se mi metto una cosa in testa, sono un pesta pietre…"
"Peccato che il tuo fisico non regga. Hai dormito qualche ora, da quando buffy è morta? Perché io credo che tu abbia fatto finta per tranquillizzare tutti."
Spike si lasciò sfuggire una bella risata.
"Beccato…. Dormire ho dormito. Poco e male. Angel ha fatto altrettanto, vero?"
"Ovvio. Ma lui soffre per l'amore perduto. Non per una ragazzina minorenne sola al mondo, per una cacciatrice che tutto sommato era un po' più di un'amica e per un colpo di spada che ti prosciuga ogni energia. Non è lui quello che si è fatto sfondare la cassa toracica per far rinsavire il suo migliore amico."
Spike lo guardò di traverso. Con un sorriso strano.
"Puoi anche dire fratello, se vuoi."
"Sul serio?"
"E' una concessione che faccio solo a te, perché pronunci William come lui. E' perché fratello è una parola con un bel suono." - Spike sorrise, permettendo alla stanchezza di trasparire, posando la testa contro la parete. E chiudendo gli occhi.
Era bello come un cherubino, esangue. Il dolore gli segnava i lineamenti, passando ad ondate. Aveva un aspetto fragile, che non rispecchiava la sua forza interiore.
Si trattò di un istante. Poi spike riaprì gli occhi e lo squadrò, con l'ironia di sempre.
"Mi stai fissando…"
"Speravo dormissi."
Spike rimase in silenzio. Poi scosse la testa, con un gesto di rammaricato diniego.
"Spiacente ho deluso le tue aspettative."
"Non solo le mie." - Doyle fece un cenno con la testa - "Guarda lì."
Alle sue spalle, in piedi, incorniciato dalla porta, era Angel.
"Giles è andato via…" - spiegò, come se sentisse il bisogno di una scusa, per essere presente.
"E poi sono io quello che origlia…" - mormorò Spike, con un filo di voce.
"Non ha bisogno di sentirtelo dire, per saperlo…" - gli rispose sottovoce Doyle, chinandosi verso di lui, con un sorriso in fondo agli occhi - "ed anche per lui ha un bel suono."

Detto questo, si alzò.
"Visto che ci siamo liberati dello studioso tutto d'un pezzo, potremmo andare a dormire…" - consigliò, stiracchiandosi.
E fu in quell'istante che accadde l'inevitabile.
Si girò appena in tempo, mentre Angel stava già rientrando in casa.
Si girò e lo vide appoggiarsi alla parete, nel mettersi in piedi. Con la mano alle labbra, come molte volte durante la loro conversazione. Con un leggero colpo di tosse.
Come al rallentatore vide le gocce rosse cadere dove fino ad un attimo prima erano stati seduti.
I suoi occhi si dilatarono per la sorpresa, mentre Spike si appoggiava pesantemente al muro, coprendo la bocca con entrambe le mani, travolto da un sussulto. Le sue spalle si curvarono, sotto la violenza di uno spasmo.
Con un ultimo sforzo, con una volontà che ormai non poteva più sostenere, mosse un passo, per riacquistare equilibrio. Protese le braccia e Doyle lo accolse tra le sue, mentre le tenebre lo inghiottivano.

Il sangue sembrava non finire mai. Era un flusso ininterrotto e acido che si accompagnava ad un dolore che sembrava non conoscere fine. Tremava, sentiva il suo corpo scosso da brividi, mentre una mano calda gli sosteneva la testa.
C'era una voce, lontana ed attutita, che lo confortava, che gli diceva che era quasi passato, di stare tranquillo. E Spike si sentiva rispondere, mentre il sangue sembrava soffocarlo, si sentiva implorare, sentiva la sua voce che si ripeteva.
Non ditelo ad angel, vi prego, non deve saperlo.
Continuava a ripeterlo, mentre si aggrappava a chi lo sosteneva, qualcuno che, come lui, doveva essere seduto a terra. Si aggrappava ad un maglione, per restare diritto, come se, chiunque fosse, non sapesse il dolore che provava ai polmoni.
Spike stava soffocando. Anche se non respirava, la sua gola era in fiamme, la sua gola era ostruita, non passavano più pensieri coerenti, ma spike non voleva andare alla deriva. Non voleva, non poteva.
Lasciò il suo appiglio, si afferrò la gola. Ma c'era una mano vicino alla sua, una mano quasi sopra alla sua.
Una mano che non le impediva di stringersi, fino ad impigliare le dita nella stringa di cuoio, fino ad afferrare i due anelli.
A stringerli forte.
Per ricordare, che aveva un compito da assolvere.
Non devo svenire, non devo crollare.
Spalancò gli occhi, rantolando ed artigliò con l'altra mano, la spalla del suo soccorritore, per sedersi.
Ma era troppo, ripiombò su quel torace, senza chiudere gli occhi, impedendosi di perdere di nuovo conoscenza.
No, William, no, calmati, calmati.
Spike voleva opporre resistenza,. Si dibatteva, per rimettersi in piedi e riacquistare il controllo, ma le sue mani perdevano la presa e poi afferravano nuovamente, con forza. Quella voce, implorante, nel chiamarlo per nome, quelle mani forti che lo intrappolavano…
Si mosse ancora nuotando in un incubo, in un ricordo. Serrò con forza gli occhi, seppellendo il viso in quel maglione reso caldo e appiccicoso dal suo sangue. Poi li aprì di nuovo, cercando la realtà ed il presente, stringendo ancora gli anelli, fino a sentire una mano che si insinuava sotto la cinghia di cuoio, mentre questa già gli scavava la pelle.
No, ti fai del male, in questo modo.
"Angel, non ditelo ad Angel," - mormorò ancora, con una voce roca che avrebbe voluto essere un urlo. Implorando ancora, mentre la consapevolezza tornava, con ondate ancor più dolorose. Lo ripetè, mentre sulle labbra avvertiva la ruvidezza di un panno premuto con forza.
Non voglio perdere anche te…
William…

Quando il freddo del mattino che avanzava lo colpì in viso, strinse ancora gli occhi e nascose il viso in quel rifugio caldo. Una mano, come se intuisse quel disagio, si spostò, fino a quando il viso di Spike non fu nascosto, tra il torace e l'avambraccio. Permettendogli di aprire gli occhi.
Il suo petto si alzò e abbassò, in modo più ritmico, mentre Spike obbligava i polmoni a riempirsi d'aria, cercando di scacciare il senso di ostruzione che gli provocavano.
Dalla sua bocca uscì un roco singulto, mentre il mondo sembrava premergli sulla cassa toracica.
Strappandogli un gemito.
Le braccia che lo stringevano avevano una voce calda e rassicurante, pronunciavano belle parole, mentre la vista tornava a mettersi a fuoco.
Conosceva una sola persona capace di tenerlo fermo senza essere brutale.
"Angel..." - non gli sembrava di averlo pronunciato molto bene, con una voce stranamente infantile - "Ma non stavi parlando con Giles?"
Adesso poteva vedere anche Doyle. Stava seduto a terra, molto vicino. Anche i suoi vestiti avevano un forte odore di sangue non umano.
"Questa volta sono svenuto, vero?" - aggiunse, come se fosse la spiegazione più lecita per quelle prove.
Doyle gli sorrise e fece di sì con la testa, protendendo la mano, fino a posarla sul collo. Era calda e sicura, come gli era sembrata poco prima, durante la loro conversazione.
"Adesso mi ricordo…"
Era una mano amica, ma non gli sembrava niente, rispetto a quelle che lo trattenevano.
Inalò ancora dell'aria, prima di sentirsi nuovamente affondare.

"E' quasi giorno, fareste meglio a rientrare."
"Arriviamo subito, Cordy."
Si sentì sollevare e si strinse un po' di più al suo soccorritore. Era un gesto istintivo che lo caratterizzava, pensò fuggevolmente Angel, percorrendo il salone a grandi falcate. Era scosso da un tremito di freddo, mentre respirava, innaturalmente, per liberarsi la gola. Il suo corpo, non avvezzo ad un simile sforzo, lo faceva probabilmente soffrire, strappandogli alcuni gemiti presto soffocati ed alcune frasi sconnesse.
Eppure, quando Angel lo depose sul letto, incontrò uno sguardo tranquillo. E lucido.
Prima che gli occhi si chiudessero ancora.
In un altro eccesso di tosse a cui Cordy reagì prontamente passando alcuni asciugamani.
"Avessi Xander Harris tra le mani…" - la sentirono esclamare, mentre usciva dalla stanza, cercando Wes.
"Avessi Io, Xander Harris tra le mani…." - borbottò Angel, finendo di sfilargli il giaccone, mentre Doyle, insinuandosi tra una mano e l'altra, iniziava a tagliare le bende che lo stringevano.
"Levati quei vestiti Angel." - mormorò.
Ed Angel ubbidì, liberandosi di maglione e pantaloni, gettandoli in un angolo e frugando nella sacca, in cerca di qualcosa da mettersi.
Cordelia riapparve in quel momento, portando alcuni vestiti di Spike e di Doyle, mentre questi, con mossa abile, finiva di spogliare il vampiro ed iniziava a slacciarsi la camicia.
Il sangue di Spike, penetrando nel cotone, gli aveva macchiato la pelle a chiazze. Doyle era stato pronto ad afferrarlo, quando l'aveva visto perdere conoscenza. Non c'era stato bisogno di chiamare Angel, per vederlo precipitarsi a trattenere Spike, colto da convulsioni.
E le implorazioni di Spike, perché Angel non sapesse, era divenute del tutto vane.
Si infilò un'altra camicia, tralasciando di chiudere i bottoni e tornando a districare le bende, mettendo in vista la ferita.
Era una cosa da non credere.
Doyle, che difficilmente si abbandonava alla rabbia, sembrava furente.
La ferita non si era richiusa, anzi, come se fosse possibile, era anche peggiorata. I lembi, tagliati di netto, si erano allargati oltremodo, mettendo in vista alcuni tessuti interni. Due grossi lividi circolari sembravano incoronarla.
"Non una ginocchiata. Due. Due volte l'ha colpito. E si è preso un solo ceffone. Quel ragazzo andrebbe preso a bastonate in un vicolo buio. E me ne strafrego di quanto soffra." - sussurrò, a denti stretti, finendo di ripulirla dal sangue rappreso. Prima di girarsi, a scambiare un'occhiata con Angel.
Angel stava in piedi dietro di lui. Scalzo, finendo di infilarsi una camicia. Chiudendo i polsini, per ritrovare, con il gesto meccanico, la calma.
Per impedirsi di spalancare la porta e correre fuori ad ucciderlo, questo ragazzino di sani principi.
"Vuoi ricucirla?"
"E per quale motivo. Domani abbraccia Dawn e quella si riapre." - la sua voce era fatta di rabbia mal repressa. Incrociò le braccia e contemplò quel disastro di tagli e lividi da sopra la testa di Doyle - "Non posso impedirgli di fare quello che fa. Speriamo solo che dorma qualche ora."
Aveva ragione.
"Resto io con lui, Doyle."
"Finisco solo di fasciarlo."
Gli ci vollero pochi minuti, poi si alzò, ed uscì dalla stanza.

Cordy e Wes stavano seduti nel soggiorno. E bastò un istante, al mezzo demone, per capire cosa stavano combinando quei due.
Gli bastò notare il pezzo di cotone che Cordy si premeva ad un braccio.
E le sacche già piene posate sul tavolo.
Si posò le mani sui fianchi e li fissò, come se li avesse trovati a mangiare schifezze.
Cordy lo guardò sottecchi, sperando che quella vena sul collo non gli si gonfiasse ancora. Poi Doyle chinò la testa, con una leggera risata distensiva.
"Ed immagino che dirmelo prima di cominciare avrebbe sciupato i vostri piani." - aggiunse, sfilando l'ago dal braccio di Wes - "Westley, dove ti sei procurato il materiale per donare il sangue?"
"Mi è sembrato il caso di attrezzarci un minimo, visto che l'hobby nazionale è dissanguare Spike." - replicò l'altro, rimanendo seduto dove si trovava.
Doyle chiuse la cannula e posò la sacca a fianco delle altre.
"Sei unità."
"Due mie e quattro di Wes." - spiegò, con una punta d'orgoglio, Cordelia - "Non mi sembrava il caso che facesse tutto da solo. Non ci sono problemi con il gruppo sanguigno… vero?"
"Ci mancherebbero solo quelli." - esclamò Doyle, dandole un bacio fuggevole - "Vado a vedere se ci sono dei biscotti o qualcosa di simile. Almeno dello zucchero."
"Doyle." - lo chiamò Wes - "come sta?"
Doyle si fermò, ma evitò opportunamente di girarsi. Non era certo di avere una bella faccia.
Ma non poteva nemmeno mentire.
"La ferita fa schifo." - disse senza giri di parole - "sanguina e non si rimargina. Per il resto niente di nuovo."
Poi proseguì verso la cucina, lasciandoli a riflettere su quelle scarne informazioni.

Lasciò i due donatori a sgranocchiare zollette e rientrò in camera di Angel.
L'odore di sangue iniziava a divenire pungente, per la catasta di asciugamani e vestiti che Angel aveva ammassato nella vasca del bagno. Spike, sdraiato su un fianco, era avvolto in alcune coperte. Angel seduto a terra, si appoggiava alla sponda del letto, laddove spike, con un semplice movimento delle dita, poteva arrivare a sfiorargli il maglione.
Angel rifletteva, con le ginocchia piegate, passandosi una mano tra i capelli.
Alzò lo sguardo sorpreso, quando Doyle poso sul ripiano il suo bottino.
"Dove te le sei procurate?"
"Me la hanno procurate i due che stanno di là." - rispose evasivo.
Poi, sotto lo sguardo indagatore, di Angel, aggiunse, con un'alzata di spalle.
"la propensione al martirio, a quanto pare, è uno stile di vita contagioso."
Era un gesto d'amicizia. Sincero.
Ad Angel non sembrava ci fosse bisogno di commenti.
"Perchè non vai a mangiarti un paio di zollette anche tu?" - lo punzecchiò Doyle - "Io intanto gli faccio queste."

La stanza era piena di macchie colorate che andavano diradandosi lentamente.
Doyle era in piedi vicino al letto. E tra le mani stringeva qualcosa.
"Da quante ore sono qui?" - mormorò Spike, cercando di sedersi sul letto. E ritrovandosi spinto contro il materasso, senza tante esitazioni.
Doyle teneva sdraiato lui con una mano e con l'altra reggeva, palesemente, una trasfusione.
"Non di nuovo." - sospirò, restando fermo, a fissare il sangue che scivolava nella cannula.
"Sono io che, a nome di tutti, ti dico 'non di nuovo'." - mormorò Doyle senza neanche fissarlo, continuando a guardare il livello del plasma - " E non sei qui da nemmeno mezz'ora. Per tanto, fammi il piacere di restare sdraiato."
Spike lo guardò, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse senza conseguenze.
Poi gli venne in mente qualcosa.
"Passami il cellulare."
"Oh sì, certo." - Doyle premette forte la sacca, per aumentare la velocità del flusso - "Qualcos'altro?"
"Smettila Doyle, sto bene, devo chiamare Dawn. Ho promesso che l'avrei chiamata." La porta sia aprì ed entrò Angel.
"perfetto." - Spike scosse la testa per snebbiarsi e si puntellò ai gomiti - "Lui è ancor meno malleabile di te. Passami il cellulare, Doyle."
Ed il cellulare si mise al squillare. In un lampo Angel cominciò a frugare, a cercarlo, prima che Spike scendesse anche dal letto, strappandosi la flebo e stramazzando di nuovo.
Non appena l'ebbe in mano, lo tirò a Doyle che lo prese al volo e rispose.
"Pronto? Oh, ciao Dawn." - disse, armeggiando per tenerlo con una spalla ed avere due mani libere. Una per tenere a letto Spike ed una per evitare che l'ago si sfilasse.
La sua occhiata fu così eloquente che Spike rimase fermo, mostrandogli tutti i denti - "Sì, lo so che è il cellulare di Spike. ma lui lo lascia sempre in giro. Aspetta, aspetta che te lo passo."
Spike afferrò l'apparecchio e girò la testa per parlare.
Dalla sua bocca uscì la voce di sempre, ironica e profonda. Niente a che vedere con quella roca e sofferente, involontaria, di pochi attimi prima.
Lui e Dawn si parlavano sottovoce. Alcune brevi frasi, per sapere ancora di esistere, uno per l'altro.
Poi Spike chiuse il cellulare e si girò verso Doyle, con uno sguardo eloquentissimo.
"Ci vediamo verso le cinque?" - sillabò Doyle, ripetendo l'ultima frase che aveva captato - "Tu dovresti stare a letto almeno quindici ore."
"Non se ne parla neanche. Dawn la prenderebbe male, ed io odio questa città." - spike sembrava non voler rinunciare alla posizione guadagnata - "E non ti hanno detto che non si ascoltano le conversazioni private?"
"Tutte opinioni che condivido." - tagliò corto Doyle, attaccando un'altra sacca - "E a te non hanno detto che i vampiri guariscono quasi simultaneamente e senza le convulsioni?"
"Me la prendo con calma. Te lo concedo, me ne starò a letto ancora qualche ora. Fine delle concessioni." - fine delle concessioni un corno! Non si reggeva neanche seduto. Scivolò nuovamente sdraiato, mentre una nuova fitta gli attanagliava il petto.
Portò un pugno verso il torace, cercando di girarsi sul fianco,dando le spalle a Doyle,come se premere potesse scacciare il dolore. Ed Angel venne a sedersi sul letto, allungandosi, per insinuare la sua mano vicino a quella di Spike. Spike che non si lamentava, ma serrava stretti gli occhi.
Il dolore stava passando, lentamente. E Spike non perse tempo ad aspettare che fosse terminato, per incrociare lo sguardo con gli occhi scuri di Angel.
"Mi dispiace." - mormorò - "Non volevo ti preoccupassi. Volevo essere io ad occuparmi di te."
"Va bene così." - replicò l'altro, sorridendo - "Senza il tuo aiuto, io sarei morto. Mi appoggio a te molto più di quanto pensi."
Spike non voleva lasciargli la mano. La strinse con forza, continuando a fissarlo, mentre Angel scambiava un'occhiata con Doyle.
"dovresti dormire, adesso." - mormorò ancora. Continuando a comunicare silenziosamente con doyle.
"Anche tu." - replicò Spike. anche se egoisticamente avrebbe preferito che non se ne andasse.
Il suo petto si alzava aritmicamente, in modo forzato. Le sue mani erano calde. Spike bruciava per la febbre, come se lo sforzo gli stesse prosciugando ogni equilibrio.
"Andrò a dormire più tardi. Preferisco restare qui ancora un po'. Siamo d'accordo William?"
Era una bugia. Una mezza bugia. Quel letto era abbastanza grande per accoglierli entrambi.
E Spike non sembrava propenso ad addormentarsi. C'era qualcosa che gli impediva di chiudere gli occhi. Qualcosa che si annidava nell'ombra. Qualcosa da scacciare con una conversazione. La prima venuta in mente.
"Dove hai preso il sangue umano?" - domandò, inquisitore.
Sulla faccia di Angel spuntò un sorriso. Non era certo che Spike la prendesse bene. "Dagli unici umani che avevo sottomano."
"Che cosa?"
Lo strappo fu tale che, per poco, l'ultima sacca non partì dalle mani di doyle. E doyle sembrava avere occhiate eloquenti per tutti, quella sera. Occhiate nascoste dietro sorrisi malcelati.
"Si sono offerti volontari." - spiegò - "penso che Wes fosse pronto all'evenienza già da parecchio…"
"Caspita." - spike chiuse gli occhi e la bocca gli si allargò in un sorriso. Adesso sì che aveva voglia di piangere. C'era qualcosa che gli pulsava, in fondo alla gola, qualcosa di più simile ad un groppo che ad un dolore.
Era qualcosa di strano, simile all'essere felice, all'essere amato. Qualcuno aveva volontariamente dato il suo sangue, perché lui potesse andare avanti. Rimase immobile qualche istante, con la testa girata verso Angel.
"Dormi William. Io resto qui ancora un po'."

IX
Nell'ombra stava Buffy. Spike ruotò, fino a trovarsi di fronte le sue orbite vuote.
Ho perso gli occhi Spike.
Sei stato tu a strapparmeli?
Volevi mia sorella tutta per te?
Pensavi forse che Faith potesse sostituirmi?
Non pensavi ad Angel? lui avrebbe preferito che sopravvivessi io…
Tu non sei niente, per lui.
Non gli serve un fratello.
Lui voleva me.
E tu mi hai ucciso.
Non ti perdonerà mai.
Mai.

Spike aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Una mano, prontamente, gli si posò sul petto. Ma non c'era bisogno di essere forte. Spike ricadde sulla schiena, girando il capo. Piegando innaturalmente un polso, per afferrare le lenzuola.
Sdraiato sul letto, con un libro aperto tra loro, stava Angel. si reggeva la testa, appoggiandosi ad una mano. Spike lo fissò ed Angel portò un dito alle labbra, per invitarlo al silenzio.
Era un gesto rassicurante, più di ogni parola.
Spike deglutì, scoprendo di avere le labbra secche; fissò Angel, per svegliarsi del tutto.
"Non è una buona idea." - mormorò l'altro, intuendo le sue motivazioni - "hai veramente bisogno di dormire."
Non gli importava perché Angel fosse ancora lì. Le recriminazioni che gli stavano salendo alle labbra, si interruppero, mentre lo fissava ancora, deliberatamente.
Gli occhi di angel erano impregnati di dolore.
E Spike avrebbe voluto il perdono.
"Mi vuoi dire cosa stavi sognando?" - mormorò ancora Angel, senza muoversi. No, non stava leggendo. Era da un po' probabilmente, che lo stava fissando, sperando si calmasse.
"Parlavo nel sonno?" - replicò Spike, ignorando la domanda.
"Chiamavi me." - Angel era essenziale nelle sue risposte. Non era certo che Spike fosse completamente sveglio. Aveva la febbre molto alta, anche se probabilmente non se ne rendeva conto.
Il tempo sembrava trascorrere lento. E forse era un bene. Spike non si sarebbe concesso molte ore, prima di riprendere la messinscena.
"William, dimmi cosa vedi quando chiudi gli occhi."
"E tu? Perché non dormi?"
"perché vedo Buffy che mi tende le braccia e mi dice che non vuole restare più sola." - spiegò sommesso - "Di raggiungerla. E so che è un incubo. Ma non voglio svegliarmi. Ed allora abbasso lo sguardo, ed ho le mani coperte del tuo sangue. Ti sento che mi urli di reagire e Buffy mi gira le spalle e scompare. Sono stanco, ma fa troppo male vederla andare via in quel modo…"
"Non l'hai mai seguita?"
"No. è sbagliato. Io non posso andarmene, devo restare qui."
"Per una questione di dovere?" - aveva paura di quella domanda.
"No. per la mia famiglia. E la mia famiglia sei tu, da quando riesco a ricordarmelo."
Rimase un attimo in silenzio.
"Willliam, raccontami cosa vedi. Non posso sentirmi peggio di quello che già mi sento. Niente può andare peggio di restare qui sapendo che Buffy è morta e che tu sei in questo stato. Permettimi di aiutarti." Tolse il libro e si sdraiò, rivolto verso di lui. Il suo profilo guardava quello di Spike. I loro sguardi si valutavano. Angel allungò il braccio, fino ad incontrare la mano di Spike. stringendola, mentre gli occhi di Spike si fissavano sul Claddagh.
Quell'anello che li legava in modo indissolubile. Con l'altra mano, Spike accarezzò il proprio, tenendolo tra due dita. Afferrando, con quel tocco, anche quello appartenuto a Buffy.
Ormai sempre più spesso si appellava a quel simbolo d'amore, per ritrovare la strada. Come se fosse uno scacciapensieri, come se potesse sempre indicargli la via. Lo cercava, nel nebuloso baluginio dei suoi incubi, come un faro, come un porto accogliente.
E lo tormentava, come stava facendo adesso, quando era sveglio, in lotta con se stesso.
Tutto il suo essere gli urlava di tacere. Di non dirgli nulla che potesse far penetrare ancora più a fondo la lama. Spike non voleva e voleva che Angel sapesse, mentre stringeva quelle dita.
Era strano.
Non si era reso conto.
Angel non gli aveva stretto la mano. Era stata solo un'impressione. Angel aveva posato le dita sul suo palmo, ed era stato Spike stringerle spasmodicamente, a serrarle.
Angel si abbandonava sulle coperte, senza una parola. Le loro mani vicine ed i loro pensieri lontani, li rendevano uno l'opposto dell'altro.
"Angel."
Lo aveva detto per sentirne il suono. Non aveva voluto chiamarlo.
"Non posso, mi dispiace."
Era questo che avrebbe voluto dire. Ma dalle sue labbra uscì tutt'altro.
"Perdonami."
Perdonami.
Perdonami.
Finalmente l'aveva detto. Il serpente aveva smesso di mordersi la coda.
Spike tossiva, ed alcune gocce rosse macchiavano ancora le coperte. Ma era quella parola che riempiva le sue labbra.
Perdonami.
Era come se fossero pietrificati. Uno di fronte all'altro.
"William, raccontami cosa c'è nei tuoi incubi." - mormorò ancora Angel. Non gli bastava quella singola richiesta che li logorava entrambi.
Rimasero così, mentre il nodo si scioglieva. Mentre Spike lasciava fluire le parole. Mentre raccontava la morte di Buffy, i suoi doveri, la conversazione con Doyle. Le sue paure, le accuse che una ragazza bionda continuava a rivolgergli in ogni battito di palpebra. Mentre raccontava cosa si provava ad essere picchiati per una buona causa, a chiamare i colpi, a correre con la moto e gli occhi pieni di lacrime.
A stare in cima ad una torre, senza sapere se si può cadere di sotto o se qualcuno lo farà per noi.
Gli parlò di come ci si sente a soffocare senza respirare, che sapore ha il proprio sangue, che profumo hanno le lacrime di Dawn e cosa si ha in comune con un composto Osservatore inglese.
Non riusciva a smettere, di descrivere, raccontare cosa si racchiude dentro un'illusione,dentro un dolore incontrollato, dentro lacrime che non potrai mai versare. Cosa condividono un vampiro ed una Cacciatrice, cosa si prova a non vedere nulla negli occhi di una persona che ami.
Spike parlava con voce sommessa, non voleva che qualcuno potesse sentirlo. Parlava con la statua di Angel, senza domandarsi cosa nascondesse la sua immobilità, cosa potesse dipanarsi nella sua mente. Angel non racchiudeva nulla nello sguardo. Angel non aveva il potere di Spike e di doyle, non sapeva far trasparire dalla profondità delle iridi tutto ciò che provava.
Ma i suoi erano occhi umani. Scuri e profondi. Profondi come il buio in cui Buffy era caduta, per non saper più risalire.
Anche Spike avrebbe voluto precipitare.
Precipitare.

Le parole fluirono ancora a lungo. Solo Spike aveva potuto dargli alfine le risposte che voleva. Spike gli aveva parlato della vita, della morte e dell'amore.
Della sopravvivenza.
Sopra ogni cosa.
Il rialzarsi dall'abisso. Delle persone che riuscivano e di quelle che non potevano. Aveva parlato fino a quando i crampi non erano tornati a scuoterlo, fino a quando non aveva seppellito nuovamente il volto tra le lenzuola, girandosi su un fianco, soffocando nel dolore le ultime parole.
Non aveva più nulla da dire. Spike non era altro che un guscio vuoto, privo anche dei suoi fantasmi.
Spike non si sarebbe più rialzato, da quell'abisso.
"Vattene Angel. Va' via." - si sorprese a mormorare - "prendi quella porta, vattene da questa stramaledetta città, vattene dalla città degli angeli, va' il più lontano possibile. Vai dove tutti possano lasciarti in pace, non restare qui a farti ferire. Devi andare via…"
Angel lo guardava e non parlava, come negli incubi. Come negli incubi, assisteva impassibile. Non si chinava più verso di lui e la sua miseria. Restava altero, diritto come un giunco, mentre Buffy sottometteva Spike.
Spike, che non smetteva mai di rialzare la testa, di guardare in viso Angel, aspettando di essere visto.
Spike, che implorava Angel di scappare.
E non lasciava andare le sue dita.

"Non andrò via, William. Né ora, né mai."
Io resterò qui.
Io resterò qui.
"posso perdonarti, se è questo che vuoi. Posso perdonarti di quello che non hai commesso, se questo è importante per te.
Posso perdonarti ogni momento della tua vita a partire da adesso. Dirtelo, ogni mattina ed ogni sera, dirtelo e dirlo a tutti coloro che vogliono sentirsi dire che ti perdono. Posso farlo. Oppure posso aspettare di avere un vero motivo. Perché adesso, in questo fiume di parole vere, quella che mi preme di più è l'unica bugia." - si protese, fino a sentire la fronte di Spike contro la sua - "Tu non hai ucciso Buffy, tu non hai sbagliato a salvarti. Per quanto non mi piaccia, è successo quello che doveva succedere. Buffy è morta e tu mi hai impedito di raggiungerla."
"Io ho riaperto le porte dell'inferno." - sussurrò Spike, con gli occhi chiusi. Non osando vedere.
"Guardami William, guardami bene." - lo incitò Angel, senza lasciare la sua mano, senza che le loro teste si allontanassero - "Io non ho niente da rinfacciarti e niente da perdonarti. L'inferno è in terra, hai ragione. Ed ognuno di noi ne porta una frazione sulle spalle, ogni giorno. Io sono qui, perché tu hai bisogno di me. E tu sei qui perché io ho bisogno di te. E so che non mi lasceresti mai."
Mai.
Mai.
Mai.
"Come due fratelli." - aggiunse.
Spike sorrise, afferrandolo forte con la mano libera. Afferrandolo, perché non gli sfuggisse.
"Come due fratelli." - promise, in un soffio.

Rimasero per lunghi istanti così uniti.
Per quanto il loro demone interiore urlasse tutta la sua rabbia. Erano entrambi consapevoli di come ci fosse qualcosa di più importante di cui godere.
Qualcosa capace di far dimenticare, seppur per breve tempo, il dolore.
L'amore. Semplicemente l'amore.
Entrambi mutili di un fratello e finalmente ritrovatisi.
Una famiglia.
Spike sorrideva,con gli occhi chiusi.
"Se ne è andata , vero?" - chiese Angel, sottovoce.
E Spike annuì. Buffy non era più nell'ombra di un incubo in agguato. Buffy se ne era andata. Il tempo delle recriminazioni era finito. Restavano solo le promesse che le aveva fatto. Doveva proteggere le due cose più importanti che la vita le aveva donato.
Un uomo immortale nell'ombra.
Ed una sfera di luce.
Annuì ancora, lasciando che Angel fissasse il suo sorriso, in un ricordo di quiete. Poi Spike aprì gli occhi.
"dai tuoi non se ne andrà così facilmente, vero?"
"No." - eppure Angel sorrideva - "No. probabilmente non se ne andrà mai. Ma non importa. Posso stare tranquillo, ci sarai sempre tu ad evitare che faccia cazzate, vero?"
"Giusto."
"Ehi, non te ne approfittare…"
"No, te lo prometto. Te lo prometto, Angel."
"lo so." - Angel si allungò, fino a deporre un bacio tra i suoi capelli. Stupendosi egli stesso del suo gesto.
Mai prima di allora erano stati tanto vicini. Mai prima di allora c'era stata tra di loro una consapevolezza dei ruoli. E che, al di sopra delle parti che il destino imponeva, Angel sarebbe sempre rimasto il fratello maggiore.
"Le tue ali sono piene di luce…." - gli ricordò una voce, in fondo alla mente.
Spike non disse nulla, tenendo per sé ogni parola.
Lasciando che il sonno li sorprendesse entrambi, per la prima volta da molto tempo.

Doveva essere pomeriggio. Angel aprì gli occhi, constatando come l'orologio sullo scaffale fosse ancora funzionante. L'aveva dimenticato, partendo, molto tempo prima.
Guardò spike, sentendolo muoversi con il torpore del primo risveglio.
Appariva sereno e riposato. Ed Angel, a modo suo, condivideva quelle sensazioni.
Ma la sua fronte scottava. E tremava senza un commento.
Angel gli sollevò le coperte, fin quasi al mento, con un lampo di seria preoccupazione negli occhi. "Dovresti sul serio startene a letto, Spike. Inizi ad essere vagamente logorato." - mormorò.
"vagamente?" - mormorò beffardo l'altro - "Non togliere niente a ciò che mi sento, per piacere…"
"In effetti. Sei quasi un capolavoro di rottame…" - ridacchiò Angel - "ci mancava giusto Xander…"
"Lasciamo stare."
"William…"
"dimmi Angel.... "
"C'è un modo per convincerti a stare tranquillo?"
"Assolutamente no. Non dirò a dawn che la ferita non si è rimarginata ed eviterò di spiegarle che mi hai massacrato in un momento in cui non eravamo in vena di gentilezze."
Angel lo squadrò. Lo soppesò per un attimo.
"Questa tua risposta mi obbliga proprio ad intervenire…"
"Avrai risultati duraturi solo dandomi un'altra mano di botte. Voglio proprio vedere se riesci ad accopparmi del tutto senza sentirti un mostro." - lo provocò testardo..
"William." - Angel si puntellò su un gomito - "Non ho nessuna intenzione di usare la violenza. Diciamo che ritengo tu abbia bisogno di un aiuto."
Spike lo guardò, aggrottando la fronte.
"ce la fai sederti?" - era una richiesta ben strana, ma Spike, con un moto di sfida, puntò le mani, distribuendo il peso. Subito Angel gli fu accanto, in ginocchio sul letto. L'aiutò, lasciando che si appoggiasse al testile del letto, finendo di assestargli le coperte, di modo che rimanesse al caldo.
"Tutto sommato sto benone." - esclamò Spike, sperando di non suonare forzato. Sperando… - "E adesso?Angel, si può sapere cosa cavolo…"
L'eccesso di tosse gli troncò le parolacce di bocca. Spike si appoggiò pesantemente ad Angel, con un capogiro.
"Ti prego di non fare commenti…"
"Non ne ho intenzione." - lo rassicurò, aiutandolo a sollevarsi. E finendo di armeggiare con il polsino - "Spike, ascoltami. Come è tua abitudine, non stai dando al tuo corpo la possibilità di riprendersi…"
"Non ho tempo neanche per farmi una doccia… figurati per una convalescenza…"
"Non ce la farai questa volta, William. Ti farai del male e spaventerai Dawn."
"Adesso mi stai sottovalutando."
"No. voglio aiutarti e non conosco altro modo se non questo." - concluse, porgendogli un polso.
Spike non capì. Oppure finse di non capire. Prima che un lampo di rabbia gli attraversasse lo sguardo.
"Scordatelo, non ci penso nemmeno." - esclamò, girando la testa dall'altro lato.
"William, non voglio che finisca come l'ultima volta…"
"Appunto per come è finita l'ultima volta sarebbe bene che ti tenessi alla larga e non mi facessi proposte del cavolo!"
"Spike, se preferisci, vado di là a donare sangue, poi obbligo Doyle a farti le trasfusioni."
"Ti ho detto scordatelo." - replicò duramente Spike, cercando di alzarsi.
Mentre la mano di Angel già lo fermava, inchiodandolo alla parete.
"E fa piano!"
"William, ascoltami. Sii razionale, per piacere. Io accetto la tua scelta, ma tu devi darmi la possibilità di aiutarti." - Angel non mollava la presa - "Sappiamo entrambi che ho ragione. E se io mi offro spontaneamente, come hanno fatto Cordy e Wes, non vedo perché tu debba respingermi."
"E' diverso!"
"ah sì? E per cosa?"
"Smettila, lo sai anche tu che non è la stessa cosa."
"Infatti, il mio potrebbe veramente fare la differenza. William lasciati aiutare."
Era un tono che non ammetteva repliche. Soprattutto perché, per quanto discutibile, Angel aveva ragione.
"Angel." - resistette ancora Spike, restando seduto sul letto e gesticolando, per sottolineare le sue opinioni - "al momento è più facile tenere a bada un dissanguamento che un contatto telepatico. Non possiamo ricominciare a stare uno nella testa dell'altro."
"non succederà."
"Sì, certo…"
"William, questa volta sappiamo quello che può accadere. Aumenteranno solo le nostre percezioni, niente di più."
Era convincente.
Angel gli passò un braccio attorno alle spalle e Spike si ritrovò il polso perfettamente sotto il naso.
"Sei disposto a gridarmi un sacco di bastardate, a fare a pugni, a farmi prendere un infarto, ma non a morsicarmi." - appariva vagamente divertito - "ti ho detto che ci sarei stato ogni volta in cui avessi avuto bisogno. Questa è una di quelle volte. Non interferirò nelle tue azioni, ma voglio essere certo che non accada quello che è successo stamattina."
"Angel, a te non può venire un infarto…"
"Se è per quello tu non dovresti sembrare un tisico…"
spike fissò il polso che gli veniva offerto, poi si girò un istante a guardarlo negli occhi. Afferrò il braccio saldamente ed ebbe un'esitazione, prima di arrivare a toccarlo con le labbra.
"Sai già che sapore ha, smetti di tergiversare." - lo importunò, ancora.
E sentì il sorriso di Spike affondare nella carne.

X
Silenzio…
L'unico umano in casa, dormiva tra le sue braccia.
Ed aveva i capelli più profumati che nei sogni. Ed era morbida e concreta, sul suo petto.
Ed era ciò che permetteva a doyle di aprire gli occhi e ringraziare le Alte Sfere per la sua seconda vita. Indipendentemente al dolore ed alle visioni.
Indipendentemente alle incombenze, alla consapevolezza ed a ogni altro genere di marciume.
Senza prestare importanza a quei baluginii che accompagnavano sempre i battiti del suo cuore. Quel pulsare continuo della mente che talvolta sfociava in lancinanti visioni, in immagini troppo veloci.
L'unico umano in casa era tra le sue braccia…
L'unico…
Si sedette, lasciando a malincuore quel tepore leggero. Si tese e cercò Wes.
Wes…
Wes era probabilmente da giles. A portare avanti le trattative. Aveva accennato alla sua intenzione di adottare Dawn, se questo si fosse rivelato utile. E Giles, disposto a fare altrettanto, appariva restio a mandare la ragazzina a vivere con loro.
Una brava persona, Rupert Giles. Capace di provare un dolore genuino per il futuro di una pedina sovrannaturale quale Dawn. Una piccola orfana mai esistita… Wes era uscito. E Dawn non era ancora arrivata.
Spike aveva parlato delle cinque.
Controllò l'orologio.
Poi lo ricontrollò.
No, era presto, non aveva letto male. Il calore delle tre e mezza del pomeriggio scaldava le pareti di pietra della vecchia casa. Doyle piegò le ginocchia e rimase a respirare la brezza.
Gli piaceva il movimento delle tende. Incostante, così in contrasto con la quiete del primo pomeriggio. Con la pigra atmosfera che permetteva alla mente di dipanare una lunga scia di pensieri.
Pensieri per tutti.
La mente di Doyle si riempiva di ritratti concreti, luminosi. Era così che li vedeva, tutti loro. Brillanti anche nella notte. Vibranti di emozione, traboccanti di energia e.. debolezza.
Debolezza… c'era qualcosa di splendido nell'abbandono. La sua mente corse subito a Spike, all'aggraziato manifestarsi della sua fragilità. Era come se ciò che era di più umano in lui affiorasse nel perdere lentamente conoscenza di sé. Spike, capace di sembrare un angelo dal volto scavato.
Spike… al solo pensiero di quello spirito irriverente, Doyle si concesse un sorriso.
"che hai da illuminare così la stanza?" - mormorò Cordelia, stiracchiandosi un poco, mentre Doyle tornava a sdraiarsi.
"Pensavo al nostro inglese… quello saccente, non quello sapiente."
"Spike? Che ha fatto questa volta?" - cordy si stropicciò gli occhi, essenziale nelle sue domande.
"Spero niente, a parte dormire. Non gli abbiamo chiesto nient'altro… sai, principessa, quel ragazzino ha così tanto potenziale… certe volte c'è da stupirsene."
"Lo chiami ragazzino… come Wes." - Cordy sorrise birichina - " non ti ricordi neanche tu che ha avuto quasi duecento anni per crescere."
"E' cresciuto più negli ultimi sei mesi che in tutte le sue scorribande pluridecennali. È forte proprio perché consapevole delle sue debolezze. " - Doyle tacque. Non era certo che Cordelia capisse veramente a cosa si stava riferendo. E gli spiaceva non poterle dire di più.
La guardò, con un minimo di tristezza negli occhi.
Sembrava scusarsi.
E cordy lo baciò, leggera.
"non crucciarti per le cose che mi dici. Lo sai…"
Sorrise.
Cordy sapeva già. E capiva.
Ed era la magia che ancora si ripeteva.

Quando cordelia richiuse gli occhi, girandosi dall'altra parte, doyle uscì dal letto e si vestì, con pochi gesti.
Non gli piaceva perdere tempo.
Con la mente esplorava la casa, con vaga attenzione.
Poi, la leggera fitta alla tempia gli rivelò un incubo nella testa di qualcun altro. Attraversò il salone e, avanzando verso la porta nascosta dal grande camino in pietra, sentì il dolore divenire informe e poi lentamente svanire.
Aggrottò la fronte, rallentando il passo.
Ed alla porta innanzi a lui uscì spike, vestito, socchiudendo attentamente lo stipite.
Si girò, senza alcuna aria colpevole, mentre Doyle si piantava le mani sui gomiti, come Cordelia gli aveva insegnato.
"Non dovresti essere a letto?" - mormorò in tono d'accusa, nascondendo la sorpresa di trovarlo ritto sulle sue gambe.
"E non sei contento di vedermi così in salute?" lo punzecchiò Spike, con un bel sorriso. Vestiva di nero, come sempre. La ferita gli aveva assottigliato leggermente il fisico, scavandolo in volto, facendo risaltare gli zigomi e la bella bocca. Aveva gli occhi luminosi.
Occhi che lo tradivano.
Ma non era lui il portatore dell'incubo.
"sì, sono contento di vederti in piedi. Sarei più contento se prima di stanotte tu non fossi di nuovo a pezzi…" - mormorò, accantonando le sue considerazioni.
"Non credo che succederà." - spike si tormentò le unghie, con una vaga tensione nell'atteggiamento. Spostò il peso, da una gamba all'altra. E gli ci volle un attimo di riflessione per aggiungere - "Hai tempo per due chiacchiere?"
Doyle lo soppesò un istante. Una ragazzino…
No.
Un giovane combattente.
Con gli occhi della vita.
Si sedettero, spike a capotavola e Doyle subito a fianco. Il lungo tavolo di noce era coperto di una leggera polvere, presto segnata dalle bottiglie fredde che posarono sopra.
Doyle giocherellava, disegnando ghirigori sulla superficie, gettando fuggevoli occhiate al vampiro. Gli provocava una strana forma di tenerezza, una forma di indulgenza che era più avvezzo a provare nei confronti di faith, capace di capire e sbagliare allo stesso tempo.
"non… mi chiedi come ho fatto a riprendermi così in fretta?" - spike lo guardò sottecchi.
"Spike…" - spiegò pazientemente doyle - "A parte il fatto che sembri incredibilmente giovane, al momento preferisco essere sollevato, piuttosto che sospettoso."
Spike abbassò lo sguardo, con un lampo sardonico. Poi aggiunse:
"credo che Angel dormirà ancora un poco, aveva qualche incubo, ma mi sembra che si sia calmato…"
alzò la testa, con l'aria di chi ascolta.
Anche Doyle l'aveva sentito. Anzi… doyle si stupì del fatto che fosse Spike a percepirlo.
Dietro la porta chiusa, la marea del sonno tormentato stava tornando.
Spike si alzò rapidamente e lo precedette. Entrò in stanza, seguito da Doyle.
Si avvicinò al letto e si chinò. Sdraiato in mezzo, addormentato eppur in preda al terrore, stava Angel. Si muoveva, mormorando qualcosa di indistinto.
E paradossalmente, spike, così restio ad un gesto che non fosse forte e univoco, posò una mano su quella testa scossa. Sussurrò, appena udibile per Doyle, ed Angel si calmò, girando il capo e sprofondando nuovamente in un sonno profondo.
Spike si raddrizzò. Scosse il capo con fare rassegnato.
"lupus in fabula…" - disse, ironico - "non avevo ancora finito neanche di dirlo…"
Doyle non disse nulla, restando a guardarlo, con le mani in tasca. Il suo aiuto si era rivelato superfluo. Era la prima volta che Spike interveniva deliberatamente nell'inconscio di Angel. La prima volta, in lunghi mesi, che si incontravano ai piedi di quel letto, svegliati entrambi da un eroe dal passato buio come inchiostro.
Angel, l'unico che combatteva da sveglio e nel sonno…
Spike gli si avvicinò.
"Adesso è tranquillo, lo sai anche tu… ti va di riprendere da dove ci ha interrotto? Dawn sarà qui a momenti."
"Certo." - annuì Doyle, con lo sguardo perso - "Certo"

"Allora Spike, la smetti di mangiarti le unghie?" - lo punzecchiò con un mezzo sorriso, quando furono nuovamente seduti - "fai prima se sputi il rospo…"
Spike lo guardò e, preso coraggio, sputò fuori la verità.
"Angel mi ha offerto il suo sangue, si è lasciato mordere e non capisce perché mi vergogno come un cane."
Doyle lo squadrò. Poi, riposandosi contro lo schienale alto della sedia sospirò:
"E l'hai dissanguato del tutto?"
"No certo!" - il tono di spike era scandalizzato - "Figurati se farei consapevolmente una cosa del genere!"
"e vuoi la mia approvazione?"
"Ma certo che no, ci mancherebbe solo che tu approvassi? Tanto più che è una cosa tra me ed angel."
"Se così fosse, tu non staresti qua a raccontarmela." - ribatte Doyle. Si sporse in avanti, piantando i gomiti sul tavolo - "Spike, non mi stupisce l'offerta di Angel. C'era da aspettarselo. Ma io non sono nessuno per dare un giudizio. Vuoi dirmi per cosa ti stai crucciando?"
e visto che Spike esitava.
"e tanto per saper, devo aspettarmi che tu da un momento all'altro cominci a sventolare il mantello nero perché lui, dormendo, ti domina?"
spike lo fissò per un attimo. Poi rise.
Una bella risata,pura. Serena.
"No, non credo. Spero di no" - rispose.
"in effetti, mi sembra che le tua manie di eroismo si siano incrementate anche senza l'apporto di quelle di Angel." - considerò doyle, con un sospiro. Stentava a ricordare il motivo per cui si trovavano a sunnydale, stentava ad associare il vampiro che aveva di fronte con quello che aveva sorretto meno di dodici ore prima.
"Spike, mi dici cosa devo fare con te?" - la frase gli era sfuggita. Spike alzò la testa e lo guardò, con un mezzo sorriso. Doveva essere suonata così paternalista quella frase… - "Mi tocca anche ammettere a malincuore, che Angel ha fatto bene. Scommetto che ha deciso che era meglio sostenerti, che contrastarti."
"e tu, ovviamente, saresti stato del parere contrario."
"certo. Ma io sono quello delle soluzioni più semplici. A angel, invece, piacciono le vie impervie." . doyle lo squadrò, con una punta di malizia nello sguardo - "tutto sommato hai una bella faccia. Stai fingendo, in parte, ma per Dawn sarà già abbastanza."
"guarda che Briciola è perspicace." - protestò a gran voce - "Ci vuole una notevole concentrazione per riuscire a mentirle efficacemente."
"Una cosa che non credo tu faccia spesso."
"Solo qualche volta. Diciamo che ometto informazioni… è vera la mia nomea di bravo ragazzo che non mente mai."
"Fino a ieri ti definivi teppista…"
"Ed infatti lo sono." - spike si lasciò sfuggire un sospiro - "ma mi toccherà diventare rispettabile se voglio dare il buon esempio a quella bambina. E sul fatto di mentire… non è mai valsa la pena, se sei bravo a dire la verità…"
Doyle sorrise, immaginandoselo fuggevolmente appoggiato al caminetto, in doppio petto grigio, intento ad assaporare un sigaro, spiegando i valori base a dawn.
Una bella dawn con grembiulino a fiori e fiocco in testa.
"Spike, penso che potrai continuare ad essere quello che sei. Ci penserà Westley a metterla in riga. È veramente molto bravo. E ti posso assicurare che potremmo anche fare a gara ad insegnarle il meglio che c'è in noi tutti." - Doyle si stiracchiò guardandolo di sbieco - "Ma non cambiamo discorso, caro il mio bravo ragazzo. Mi dici cosa ti turba nell'aver morso Angel?"
"Secondo te?"
"Non ci vedo niente di che… non è la prima volta che ti succede."
"Doyle, con tutto il rispetto… ti ha mai morso un vampiro?"
"No, non mi trovano appetibile."
"nella testa della vittima passano una gamma infinita di cose. Come se il dolore riaffiorasse improvviso." - Spiegò spike, accendendo una sigaretta e girando l'accendino tra le dita - " Sentono il sangue proiettarsi tutto verso un dato punto. Si sentono risucchiare nel nulla e, ad un tratto si rendono conto che il nulla è fatto di una forza sovrannaturale. Nel momento stesso in cui capiscono, sprofondano nell'incoscienza. E si perdono. Oppure, ma questo riguarda solo pochi, spalancano bene la loro anima e assorbono le sensazioni del predatore che le sta uccidendo."
Doyle lo ascoltava in silenzio.
Spike era lineare nelle sue spiegazioni. Più volte l'avevano sorpreso a raccontare a faith, chiaramente, i meccanismi e gli stati d'animo di un vampiro.
Spike, a differenza di angel, non aborriva realmente la propria natura. La studiava, la capiva, appassionatamente. E dava alla Cacciatrice le armi per fare di uno spiraglio uno squarcio.
Adesso, con doyle, il suo obbiettivo era ben altro. Spike cercava, pacatamente, di farsi capire. Angel aveva puntato tutto sull'aspetto terapeutico della questione.
Spike l'aveva infine morso, convinto dell'utilità del gesto. Ma non poteva lasciare in sospeso il suo gesto. Era ben più di qualcosa di meccanico.
"Il vampiro sente che si sta svelando, incontrollabilmente." - continuò Spike - " Si fonde con la vittima, la conosce come poche cose nella sua vita. E ne serba un ricordo indelebile. Anzi, in certi casi è proprio questo tipo di comunione che permette di decidere se è uno spirito degno di essere vampirizzato."
"E tu hai fatto parte di questa categoria, immagino…"
"Certamente. Solo che io ho avuto Drusilla come carnefice ed angel come Sire." - sorrise - " Mi hanno subito… disorientato."
"Non ti seguo…"
"io mi sono lasciato consenzientemente mordere da Dru. Lei si è cibata di me, ma non mi ha dato il suo sangue… ha preferito che fosse Angel a farlo. Ed io sono stato il carnefice di angel. Non appena ho sentito un po' di forza, l'ho bloccato e mi sono servito. Per questo angel ha un segno di morso anche per la mia iniziazione."
"mentre di solito si tratta di una ferita che il sire si autoprovoca. E che quindi si rimargina." - Doyle aggrottò la fronte - "Quindi tu hai posto un marchio su Angel, ma lui non l'ha posto su di te…"
"Doyle… cosa stai pensando?"
"Come al solito ci siamo allontanati dal punto di partenza… ma questa mi sembra un'informazione rilevante. Che si aggiunge al fatto che, sul tuo corpo, Lorne non ha rilevato segni attivi… se non la mano."
Spike aprì la mano e fissò la sottile cicatrice. Le ferite inflittegli da darla l'avevano parzialmente nascosta. Restava solo una linea bianca e regolare.
"come dire che il segno di dru… i segni di dru…" - si toccò le labbra. Poi, mentre Doyle accennava un'espressione di serafica intesa - "Ma questi, adesso che ci penso, sono fatti miei! E di' al tuo lorne di tenere il suo spirito d'osservazione fuori dai piedi!"
"torniamo alla questione di partenza… sei svanito Spike, continui a divagare…"
"Senti chi parla."
"Era più comprensibile il tuo cattivo umore l'ultima volta. Non eri consapevole di esserti cibato di angel e, per giunta, sei stato anche parecchio violento." - constatò doyle - "Questa volta, invece, angel si è offerto spontaneamente. Eppure tu continui a sentirlo come un affronto che gli hai fatto. Dov'è il problema, Spike? Nel gesto o nelle sensazioni che vi siete passati?"
Spike non sapeva cosa rispondere.
Aggrottò la fronte, cercando parole per dare forma al suo disagio. E scelse la via di Wes.
Quella della conoscenza
"Comunque" - proseguì con tono professionale - " tra due vampiri, si tratta di una cosa tutt'altro che leggera. Due forze equiparabili che scendono a compromesso. Uno si sottomette all'altro. Angel si è sottomesso a me. In un branco, questo significherebbe molto."
"Vuoi il posto di Angel?" - lo canzonò Doyle.
"No. Non mi interesso nemmeno a questo risvolto della questione. Il problema è quello che ci si può trasmettere…"
Si interruppe. Qualcuno stava camminando sul vialetto. Presto sarebbe giunto alla porta.
Spike ascoltava quello? O altro?
"Spike?"
"Doyle…io non…" - spike scosse la testa - "No, non è una buona idea." È un peso troppo grande…
"Cosa stai cercando di dirmi?"
"Nulla. Nulla di importante. Ho detto ad Angel della nostra conversazione." - aggiunse, cambiando discorso - "Tutto quello che mi è passato per la testa."
"Bravo." - concordò l'altro - "Ma non è quello che volevi dirmi."
I passi erano sempre più vicini. Spike guardò la porta, poi aggiunse, frettolosamente: "Doyle… io credo che angel sia più recettivo di me…"
"Su questo ho i miei dubbi…" - l'interruppe l'altro - "Spike, cosa hai captato?"
Stavano bussando. Doyle l'avrebbe voluto afferrare per il braccio, ma Spike si spostò rapidamente, dirigendosi verso la porta.
"Ne riparleremo." - promise, con un tono che diceva l'opposto.
-continua-