Cuori in soffitta
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Sotto il portico c'erano i mobili dell'ingresso.
I cuscini era allineati in fila e appesi ad una fune.
Le sedie erano accatastate… i tappeti arrotolati…
"Mi aveva detto che voleva fare dei cambiamenti…" - mormorò Doyle, grattandosi pensosamente la nuca- "Ma mi era sfuggito quello che intendeva…"
"Oh, cielo…" - mormorò compitamente Wes, assestando meglio l'arsenale su una spalla e scavalcando il tavolino e la sua amata scacchiera. E aggiunse, fissando il divano messo in verticale a lato della porta - "Oh, cielo…"
angel guardò i suoi due commentatori. Uno a destra. Ed uno a sinistra.
Poi, da eroe quale era, si fece coraggio e varcò la porta dell'Hiperyon.

L'interno era dissestato.
Che dire… più che dissestato, vuoto.
Non c'era più nulla.
Guardandosi intorno, il paesaggio appariva desolato fino all'orizzonte.
Doyle girò su se stesso, per contemplare meglio il disastro. Il lampadario era ancora montato, ma erano sparite le lampadine.

"Angel!" - Cordelia si precipitò nell'ingresso. Afferrò il vampiro per il giaccone e gli diede uno scrollone - "TU… devi… dirgli… di lasciarmi… in….pace!!!"
Lo lasciò andare e, imbestialita, si scompigliò i capelli.
Angel, con un sospiro, andò nella direzione da cui era venuta la ragazza.
"William." - mormorò - "Che stai facendo?"
"Io niente. E' lei che fa casino." - rispose, quello, così serio e tranquillo, che Angel si voltò a fissare Cordelia - "Io cerco solo di aiutarla."
"Vuole avere sempre ragione! Tu devi dirgli di smettere!"
ma perché io? Gli sembrava una buona domanda, ma era preferibile stare zitti. Ed Angel, di fronte ad una Cordy tanto infervorata, tenne la bocca ben chiusa.
"Gattina…" - parlava e faceva le fusa allo stesso tempo - "Ma non è colpa mia se oltre ad avere tanto fascino, sono così intelligente. E adesso, vuoi venire ad aiutarmi?"
Gli occhi sembravano caderle dalle orbite, mentre lo fissava e digrignava i denti. Eppure Spike manteneva la faccia più innocente che si potesse immaginare.
"Ehi, ribelle." - lo salutò Doyle, sbattendo giacca e armamentario su un paio di sedie impilate - "Che ci fai già a casa?"
"Io e Miss Riarmo abbiamo fatto un po' di repulisti. Poi nessuno voleva più giocare." - spiegò il vampiro biondo, indicando alle sue spalle con un gesto della mano.
Nella stanza accanto, per niente colpita dai mobili smilitarizzati, sdraiata sul tappeto, stava Faith. Aveva allungato le gambe, posando la schiena contro un divano miracolosamente scampato al massacro.
E guardava la televisione, imperturbabile, masticando lentamente qualcosa di non ben definito. Ma certamente molto calorico.
"Wes, insomma!" - esclamò Cordelia, precipitandosi strofinare una macchia sul marmo dell'ingresso - "Guarda che confusione stai facendo! Ma è mai possibile?"
"Perdonami, Cordy, è che…"
"Oh, ti prego! Ti giustifichi di una macchia in mezzo a questo caos?" - sbottò Spike, allargando le braccia - "è come dire che hai tirato giù un calcinaccio a Beirut! Chi vuoi che se ne accorga!"
"Io me ne accorgo!Io!" - ribattè Cordy, pestando i piedi - "E se lui sparge in giro roba verde, non può passare inosservato!"
"Roba verde?" - mormorò preoccupato l'Osservatore, girando su se stesso - "Come sarebbe che perdo roba verde?"
"verde? Qualcuno ha detto verde?" - domandò Lorne, sporgendosi dal piano di sopra."
"Toh, ci sei anche tu?" - chiese Doyle, spingendo indietro il vecchio cappello per fissarlo. Con un gesto tipico che fece voltare nuovamente Cordelia. Per strapparglielo dalla testa.
"Bel conforto che sei! Non mi aiuti… e non sai che non si porta il cappello in casa!" - sbraitò, prima di andarsene verso camera sua per avere una porta da sbattere - "Sono stufa di tutti voi! Eroi! Andate a quel paese!"
doyle fissò quella porta ancora vibrante ma già chiusa e si voltò a squadrare i presenti: Wes fermo davanti all'ingresso, Angel immobile e silenzioso come sempre. E Spike, fermo, appoggiato alla ringhiera.
"Qualcuno sa dirmi cosa le prende?" - mormorò educatamente. Non era certo di conoscere la motivazione per una crisi di nervi del genere.
"Ma che ne so!" - rispose Spike - " siamo arrivati a casa che era già pressappoco a questo livello. Le passerà…"
"Ha chiamato l'avvocato di suo padre." - commentò Faith, apparendo sotto l'arco, vicino ad Angel. Teneva tra le braccia un sacchetto di patatine di non trascurabili dimensioni - "Credo fosse riguardo un'udienza. O una parcella…"
"E tu come lo sai?" - mormorò Spike, voltandosi a guardarla. Erano arrivati a casa insieme…
"Me lo ha detto." - ribattè, fissandolo trionfante - "come vedi, esperto conoscitore dell'animo femminile, ci sono cose che non ti saltano subito all'occhio."
"Cacciatrice… sei la più grande…"
non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò a stringere le patatine tra le mani. Aveva preso il sacchetto come un pallone da football e Faith ne aveva approfittato per fare un passo indietro.
Ed ora lo sfidava, con un bel sorriso stampato in viso.
"Vuoi completare a pugni, vampiro?" - domandò, movendo le dita per chiamare la lotta.
Spike la squadrò, prima di tornare ad appoggiarsi alla ringhiera.
"Naaa… troppo facile." - sospirò, pescando dal sacchetto e masticando sfacciatamente.
Doyle era rimasto fermo a girare in testa quelle scarne informazioni. E solo quando vide Lorne scendere le scale, alzò lo sguardo, chiedendo conferma.
Lorne stava percorrendo flemmatico l'ultima rampa. Con un movimento impercettibile segnalò a doyle che Faith si stava sbagliando. Per le sue modeste capacità, il problema di Cordelia andava cercato in un'altra direzione.
"Westley." - chiamò il demone verde - "Se continui ad agitarti in quel modo, spaventerai la cliente."
"Cosa? Chi?" - domandò, sorpreso, voltandosi, come tutti gli altri.
In piedi, nel giardino dell'Hyperion, c'era una ragazza. Sembrava apparsa dal nulla, ferma, immota al centro del sentiero.
Portava i capelli lunghi e sciolti sulle spalle.
Ed era ferma. E fredda nella sua espressione.

Nessuno si mosse.
Quell'apparizione, sotto la luna, aveva molti motivi per lasciarli senza parole.
"Guarda chi si rivede…." - mormorò Doyle, fissando la ragazza. E Angel, con un sussulto, sembrò riscuotersi. E si mosse, forse un po' troppo velocemente, verso la porta ancora spalancata, saltando i gradini per far prima.
Ed andarle incontro.
Solo Spike e Faith stavano ancora facendosi i fatti loro. Le patatine erano sparse ovunque e, in barba all'indifferenza di Spike, se le stavano dando di santa ragione.
All'ennesimo attacco di Faith, Spike, con un balzo indietro, si ritrovò al centro del salone.
Uno spostamento di pochi passi.
Quanto bastava per fermarsi, tendendo i sensi.
Sentendosi percorrere da una scarica, irrigidendosi.
Ed alzando una mano imperioso, perché Faith interrompesse la sfida.
E lo lasciasse ascoltare.
Alle sue spalle c'era Wes. Ma quello che sentiva non proveniva da lui. Non poteva. Era un po' più lontano, di qualche metro in tutto. Un segnale debole ma indiscutibile.
Estranea.
C'era un'estranea.
Ed era umana.
Vide Angel muoversi e passargli accanto ad ampie falcate. E quando uscì nel cortile, Spike non ebbe bisogno di girarsi, per sapere che ormai era vicino alla ragazza.
Il segnale si era amplificato, di colpo. Adesso era come una vibrazione regolare.
Regolare quanto poteva permetterlo quel cuore che aveva accelerato i battiti, come impazzito.

Aveva alzato la mano, con un'espressione insolita.
E faith si era bloccata, scrutandolo in viso. L'espressione attenta e assorta…
Poi, di un tratto, la mutazione dei lineamenti.
Eppure Spike non sembrava essersene accorto.
Si dispose sulla difensiva e attese.
Spike non dava realmente segno di badare a quello che lo fissavano.
Era una donna. Ed era umana.
Non poteva essere… non era Darla. Nulla in lei combaciava. Darla era morta. Non era tornata. Non era umana.
Eppure quella donna, alle sue spalle, apparteneva ad Angel.
E non era Buffy. Né, tanto meno, Dru.

Si impose di restare calmo. Represse quel senso di allarmismo che si era improvvisamente risvegliato e, in quell'attimo, si accorse di avere il viso stravolto.
Glielo disse Faith, con la sua espressione dura e il corpo teso.
Era ostile alla nuova venuta. Ma, allo stesso tempo, concentrava la sua attenzione su ben altro. Qualcosa di più consono alla sua natura di Cacciatrice.
Un vampiro all'erta.
Le fece un cenno e, scotendo il capo, tornò al suo solito viso. Un po' strafottente e affilato.
Poi si mosse.
Per voltarsi, lentamente.
Ed avanzare verso l'uscita. Passando a fianco di Wes che, per l'ennesima volta, piegava nervosamente la giacca.
Lasciando l'ingresso e i suoi silenziosi abitanti.

Davanti a lui c'era una ragazza.
Una bellissima ragazza, si sorprese a pensare Spike, squadrandola.
Alta. E bionda. Aveva dei capelli ondulati e selvaggi del colore delle stelle.
Ed ora, fissandola da non molto lontano, per quanto fosse sviluppata la sua vista, si rese conto di non poter captare le sfumature di colore dei suoi occhi.
Angel e la ragazza, uno di fronte all'altro. Sembrava si parlassero. E lei era sulla difensiva, ad un passo dall'ostile.
E solo allora Spike si rese conto che quell'interminabile esame a cui l'aveva sottoposta era stato in verità molto breve.
Perché i due, in piedi, e dimentichi del resto del mondo, si stavano appena salutando.

"Angel…" - mormorò Kate, quando lo vide fermarsi di fronte a lei. Alzò appena gli occhi, per vederlo in viso.
Non era cambiato.
Era sempre solo semplicemente Angel.

Mi sei mancato…
Non trovavo il coraggio di entrare…
Speravo che mi vedessi…
Quante frasi sconcertanti le affollavano la mente. Frasi di cuore, di smarrimento.
Frasi che si perdevano nella singola occhiata con cui lui l'abbracciava.
Fermo. Senza dirle nulla.
Immoto.

Angel era un fascio di nervi. Non serviva nessuna particolare dote per rendersene conto.
A Spike bastava gettare un'occhiata a quelle spalle larghe e a quel collo, nudo e innaturalmente bianco, sotto la giacca di pelle per rendersi conto della tensione.
Anche il cuore di Angel batteva troppo veloce.
Troppo veloce per essere più chiaro di un rullio continuo.

"Kate. Sono contento di vederti." - azzardò, ad un tratto.
E lo disse con un tono tale da far sobbalzare Spike.
Qualcosa dentro di lui, il demone senz'anima pieno di ironia che era stato, si protese, sbalordito.
Piegandosi in due dalle risate.
Angel era in imbarazzo. Ci mancava solo che si torcesse le mani! un sorriso lievissimo colorò le labbra del biondo vampiro. Un'apparizione fugace, presto smorzata da una miriade di pensieri, più o meno gentili nei confronti del suo Sire.

La ragazza lo aveva visto. Ed ora lo radiografava con occhi tremendamente vuoti.
Vuoti… no. Trasparenti. Di una trasparenza azzurra vicina all'acquamarina.
Confermando l'impressione che già aveva avuto di lei.
Era semplicemente bellissima.

Anche Angel si era voltato.
Ed ora, con grande sorpresa di Spike, gli faceva una segnalazione facilmente comprensibile…
O si levava dai piedi o gli avrebbe tagliato la gola.

Non si aspettava realmente che Spike togliesse il disturbo.
Anzi, non ci contava nemmeno.
Non c'erano dubbi su quello che il suo biondo e indisciplinato amico avesse captato. E non c'era modo di smentire.
Per cui si voltò, nuovamente, verso di lei.
Dando per scontato che Spike si mettesse comodo. A guardargli le spalle, ovviamente.

Lo sguardo di Kate sostò un attimo ancora sullo sconosciuto platinato.
Era un ragazzo di media statura, con il fisico del ballerino. La vita sottile, sottolineata dalle mani in tasca, e le braccia forti, delineate dalla maglietta nera.
Un'esibizionista.
Su questo non c'erano dubbi.

"Ignoralo. Fai prima." - consigliò Angel, con l'aria di uno che la sa lunga.
Kate lo fissò, sorpresa.
C'era in lui una certa rassegnazione, mentre ostinatamente voltava le spalle a quel curioso.
E una bella aria da martire.
Kate lo squadrò, sorpresa. Angel sembrava più giovane. Ma soprattutto più umano, imperfetto.
Sebbene non facesse mai nulla per apparire diverso, più saggio o più potente, tra lui e il resto del mondo, sembrava persistere un filtro, un desiderio profondo di rimanere separato dalla corrente dei sentimenti.
Un fiume arduo da attraversare.
Che adesso, come per magia, senza un perché, sembrava dissolversi.
E kate accolse quel fatto come un miracolo.
Abbozzando un bel sorriso, inaspettato quanto luminoso.
Ed Angel ne fu subito incantato. Dimenticando l'imbarazzo, nel ricambiarlo.
"Sono contento di vederti." - mormorò.

"L'hai già detto." - commentò una voce alle sue spalle.
Ed Angel alzò gli occhi al cielo.
"In effetti, ha ragione lui." - ridacchiò Kate, sbirciandolo ancora una volta. Rendendosi conto troppo tardi, di quanto fosse anomalo quel suo atteggiamento. Vergognandosene subito.
E tornando a nascondersi dietro la sua faccia da sbirro.
E tra loro, Angel tornò a sentire la pistola spianata dei loro primi incontri.

"Avanti Flagello, deciditi…"
Era un mormorio. Difficilmente Kate doveva averlo percepito.
E quindi valeva la pena di provare a ignorarlo.
"Sono… sono venuta a darti questi." - disse Kate, impacciata, porgendogli alcuni fogli.
"Grazie." - rispose Angel, tendendo la mano e prendendoli. E chinando frettolosamente la testa per sfogliarli.
"Vedi…" - Kate si sporse, professionalmente, per indicargli alcune righe - "Qui parla di una pista che potrebbe essere interessante. Per te, intendo. Per la polizia è archiviato e allora…"
Con il suo corpo gli sfiorava la spalla... si era avvicinata, per leggere, per parlargli. E per quanto le sua parole fossero di lavoro e impersonali, per Angel erano un leggero ritrovarsi.
Un far finta che il passato non fosse mai esistito.
E che tra loro, fin da sempre, ci fosse stata quella comprensione.
E quando voltò un po' la testa, per seguitare ad ascoltarla, si trovò vicinissimo ai suoi occhi.
E la vide perdere il filo del discorso.
E fissarlo.
"Dov'eri finita, Kate?" - chiese. In un sussurro, sperando che le sfuggisse il cambio di discorso. Sperando in una risposta cristallina come le informazioni che forniva. Sussurrando la poesia di quel nome. Il nome che talvolta si sorprendeva a sussurrare, nel profondo della concentrazione.
Un nome. Ed un flash.

Kate Lockley gli voltò le spalle, furente e tornò a buttarsi nella mischia di sbirri che si accalcava davanti ad un locale ormai in macerie.
"fammi indovinare." - ribattè petulante una voce alle sue spalle - "Miss Refrigerio disapprova il nostro lavoro ben fatto."
Cordelia lo affiancò, piantandosi le mani sui fianchi. Era scarmigliata. Ma a regola d'arte, come dopo una scena d'azione cinematografica.
"possibile che abbia sempre da discutere? Non le puoi dire che stiamo dalla stessa parte?"
"Gliel'ho detto." - rispose, pensieroso Angel. Fissando il punto in cui avrebbe dovuto esserci lei. Lei, che stringeva le labbra e se ne andava, quando la sua sopportazione raggiungeva un limite.
E che con gli occhi diceva sempre altro.
Cordelia stava ancora parlando.
E parlava. E parlava.
E, a un certo punto, Angel si voltò.
Cordelia si bloccò, scrutandolo con gli occhi scuri. Interrompendo la fiumana di parole per guardarlo in viso. Per guardarlo bene….

Angel non seppe mai cosa vide Cordy, quella sera.
Ma la frase che le uscì dalle labbra gli rimase al centro del petto.
"Tu ed io facciamo gli stessi sbagli, direi. Ci perdiamo in occhi azzurri e trasparenti. E ci ritroviamo soli, a guardarli mentre se ne vanno…"


Per un po' era stato così, in effetti.
Rimanevano seduti vicini, aspettando di essere abbastanza stanchi da chiudere gli occhi. Ognuno perso nei suoi ragionamenti, senza mai parlarne.
Cordelia pensava a Doyle. Ed Angel a Kate.
Poi, lentamente, giorno su giorno, avevano accantonato le loro tristezze.

Ed un altro giorno ancora, Doyle era tornato dalla sua Principessa.

Ed ora, con una speranza flebile come un fiammifero, Angel sperava che Kate non gli voltasse più le spalle, per andare troppo lontano.

Dov'eri finita, Kate?

Non lo so… so che non c'ero.
Non c'ero neanche a decidere della mia vita… e non c'eri tu…
Sapessi, com'era buio…

"Ho avuto da fare." - replicò, lentamente. Per non sembrare brusca, per non sembrare troppo evasiva. Come se fosse una constatazione, un semplice prendere atto del gran quantitativo di impegni di un poliziotto brillante.

Cercando di negare, con quella breve affermazione, quanto Angel la conoscesse.
II
Allora! Spike iniziava ad essere scomodo, appoggiato alla colonna. Ma non voleva proprio perdersi la scena.
"Sai che sei un impiccione?" - sibilò una voce femminile, materializzandosi nell'ombra e appoggiandosi allo stesso pilastro.
"perché tu no, Cacciatrice?" - replicò, senza muoversi, restando con lo sguardo fisso e le labbra incrociate. Movendo appena le labbra - "Io almeno sono in piena vista… tu stai origliando."
"Spike.. se quella mi vede, mi arresta…"
"Di cosa stai parlando?" - sbottò, abbassando un po' la testa. E notando, con la coda dell'occhio, come Faith avesse un'espressione decisa. E fosse vestita diversamente da prima.
"Quello è lo sbirro che mi ha arrestato. Quello che mi sbattuto in galera." - mormorò, guardando il profilo del vampiro.
"Cosa hai intenzione di fare?"
"Se è necessario, leverò le tende…"
"perché, secondo te, lasceremo che ti risbatta dentro?" - domandò, brusco. Aggregandosi ufficialmente al gruppo degli strenui difensori della Cacciatrice Rinnegata.
Un poliziotto… quella creatura eterea era un poliziotto…
"Non voglio che Angel abbia problemi…"
"Su quello puoi star tranquilla… più problemi di così, con quella ragazza, non potrebbe averne…"

"Capisco…" - rispose Angel, tornando a fissare gli incartamenti.
"E tu?" - azzardò la ragazza, senza riuscire a levargli gli occhi di dosso. Senza smettere di guardare quel profilo da bravo ragazzo e quegli occhi scuri e profondi.
"anch'io…" - iniziò Angel. Prima di interrompersi e voltarsi.
Fermandosi e rimangiandosi la decisione presa di afferrarla e baciarla. Con la stessa forza e lo stesso piacere con cui, quella sera ormai remota, aveva affondato i denti nel suo collo.
"anche qui c'è stato parecchio da fare…"
"Certo. Facciamo la calza, mentre Westley cucina la torta di mele…"
"Ma di quello non c'è modo di liberarsi?" - mormorò esasperata. Inclinandosi indietro per vederlo. E appoggiandogli la mano sulla spalla, per non perdere l'equilibrio. E gioendo, di quel contatto, senza sapere quanto anche Angel lo stesse assaporando.
"di Spike? Io ho rinunciato…" - replicò Angel, continuando a fissare il verbale. Da quando quella mano calda e forte si era posata sulla sua spalla, le lettere avevano iniziato stranamente a confondersi…
"Ah. Si chiama così?"
"Si fa chiamare così…"
"perché mi guarda in quel modo?" - chiese ancora, con insistenza. E con una vena di irritata petulanza.
Odiava che gli uomini la fissassero. Ed odiava che gli uomini le ricordassero che non era uno di loro.
Quello poi… più la guardava, più Kate aveva l'impressione di avere addosso una minigonna vertiginosa ed un top infinitesimale.
"Angel…" - disse.
E lui si voltò, guardandola. Bevendo di come pronunciava il suo nome. E volendo disperatamente ricambiare.
"Kate…"
"Lui.. ecco…" - replicò lei, tormentandosi i capelli e dimenticando la frase bellicosa che era già pronta. Tornando per un istante, ad essere la ragazza ipersensibile venuta a galla per magia, tanti anni prima.
Anni… erano passati due anni, in un soffio.
Ed ancora, tutto era un gioco di sguardi.
Si erano persi, per poi ritrovarsi e perdersi ancora.. ma ora c'era un legame indissolubile, tra loro. O forse c'era sempre stato. Ed ora non potevano più ignorarlo.
Quel segno, sul collo di Kate, era il concludersi di una lunga ricerca. Ed adesso, starle accanto, era un'esperienza inebriante più di allora.
"Lui… chi?" - domandò, educatamente.
"Me! Parla di me!" - sbraitò Spike, mettendo le mani a cono intorno alla bocca. Per essere certo di passare sopra le grida degli ormoni.
"Oh, insomma!" - scattò Kate, voltandosi e marciando verso il portico. Non bastava Angel a metterla in confusione, c'era anche quel… quel… - "Tu, Spike o come cavolo ti fai chiamare! Smettila subito, qui si sta parlando di cose serie!"
"E c'è la vita di poveri innocenti in ballo!" - ribattè lui, raddrizzandosi e scendendo un paio di gradini, per arrivarle vicinissimo - "Non c'è dubbio che i vostri ragionamenti vadano tutti nella stessa direzione, bambina!"
"Bambina a chi, ragazzino!" - ringhiò lei, furente. Di colpo iniziava a sentirsi decisamente meglio…
"Ti piace, vero? Eccitante gridare così…" - sorrise lui - "Ti senti subito libera e più forte, vero? Pensi che in questo modo sarà meno facile leggerti dentro?"
si fermò, di botto. Il ragazzo che aveva di fronte non era un seccatore qualunque. Non era uno sbandato e non era un teppista. E non era nemmeno umano. Un'intuizione che la colpì come un fulmine, certa come poche cose nella vita.
E fondata su basi che non sapeva spiegare.
Quel biondo alto come lei e apparentemente addirittura più giovane, non era umano. Ed aveva occhi che avrebbero potuto frugarla e lasciarla spogliata.
Spogliata davanti ad Angel!
Il pensiero di ritrovarsi vulnerabile davanti ad Angel le fece montare dentro una rabbia impensabile.
"Non puoi leggermi dentro." - si difese - "Non sai niente di me!"
"Attenta bambina. Io so molto più di quanto pensi..." - sospirò Spike, arrivandole tanto vicino da poterla stringere tra le braccia. Vedendo finalmente la cicatrice da cui proveniva il segnale pulsante. Qualcuno ci ha legati, bambina… - "E non arrabbiarti, amore, ti si rannuvolano gli occhioni belli…"
Era troppo. Non ci pensò due volte ad assestargli una spinta ed atterrarlo.
Per la sorpresa, Faith quasi cadde, inciampando nei suoi stessi piedi.

Ed Angel si bloccò. Appena in tempo da vedere la sua cacciatrice sparire in un'ombra e saltare rapidamente la cancellata, resistendo al desiderio di intervenire con un'azione che Kate avrebbe direttamente commutato in Aggressione a Pubblico Ufficiale da parte di Delinquente Rediviva.
Poi in lui si accese una luce. Quanto bastava da vedere chiaramente cosa aveva a pochi metri dai piedi.
In mezzo al vialetto, sdraiato a terra, sorpreso quanto imbestialito, c'era Spike.
E, con un ginocchio sopra il suo stomaco, pronta a spaccargli il naso con un pugno, Kate Lockley al massimo splendore.
Con i capelli disordinatamente attorno al viso e gli occhi splendenti.
Senza una vera spiegazione per la sua prova di forza, per quella sua improvvisa capacità di atterrare un vampiro come Spike.
Senza sapere in cosa fosse appena riuscita.
Per Kate era stata solo una risposta ad una provocazione.
Eppure lei era un umano qualunque capace di atterrare l'Uccisore delle Cacciatrici. E per giunta era una donna.
E Spike non si sarebbe soffermato ancora a lungo sull'idea di trovarla una cosa eccitante… a meno di non farla finire molto, molto male.
La fissava, senza muovere un muscolo. Ma era una questione di tempo.
Non si sarebbe lasciato rovinare i lineamenti e non avrebbe tollerato quello che era successo.
In nessun caso.
"Spike no!" -l'urlo di Angel fu abbastanza perentorio da bloccarlo - "Toccala con un dito ed io…"
Io cosa? Spike inarcò la testa, per guardarlo, con un sorriso. E di colpo divenne evidente come Kate fosse riuscita a sbatterlo a terra.
Razza di idiota impiccione…
"Kate, ti prego…" - disse Angel, resistendo al desiderio di lasciare che la ragazza lo tenesse fermo per riempirlo di calci - "Dimostrati superiore e lascialo."
Kate lo guardò, mentre varie sfumature di rabbia le passavano dal viso. Poi alzò entrambe le mani, in segno di resa.
Rialzandosi e spolverandosi i pantaloni.
Mentre Spike, con un'aria beffarda e vagamente vincente, tendeva una mano ad Angel.
"Flagello…" - sospirò, con aria falsamente offesa - "Aiuta il tuo vecchio amico a rialzarsi…"
Aiutarlo… lo sguardo di Angel non era propriamente quello del buon samaritano. Ma tese ugualmente la mano, tirandolo verso di sé.
"Bella tipa…" - si sentì sussurrare in un orecchio.
Kate sembrava molto presa dalla polvere sui jeans chiari. Da qualche parte, tra le orecchie ed il cervello, sostava la frase di Angel. Angel che minacciava quel cafone color platino per proteggerla.
Non sembrava una cosa tanto insignificante. Almeno per il suo cuore, più che per il suo cervello…
Ed infatti il cervello ebbe, ancora una volta, la meglio.

Spike si stava spolverando il retro dei pantaloni. E, di colpo, tra le sue mani, se ne insinuò una terza.
E mentre stava per partire una battuta al vetriolo, sentì lo scatto delle manette.

"Ma cos…"
"Aggressione, Insubordinazione e Resistenza a Pubblico Ufficiale." - ringhiò lei, solleticandolo con i capelli - "Sono in servizio da due minuti esatti. Giusto in tempo, non credi?"
"Kate, ferma." - ribattè Angel, mentre Kate cominciava a spingere un furibondo Spike, non più molto sicuro della sua bravata. Anzi, per essere certo che lo ascoltasse, posò una mano sul petto di Spike e fermò quella dannata corsa.

La cosa si stava facendo interessante. Lorne si fece ancor un po' di spazio al davanzale, con una garbata gomitata a Westley ed un gentile spintone a Doyle.

"Kate, ti ho detto di fermarti." - ripetè Angel, premendo più forte su Spike.
Mentre la poliziotta si sporgeva dalla spalla dell'arrestato, in punta di piedi, per vederlo meglio.
"Levati, Angel o finirai in gattabuia per Concorso di colpa."
"Amore, quando enumeri i delitti si sentono le maiuscole…"
"Taci! E tu Angel, levati!"
"Non ci penso nemmeno. Lui non va in galera e tu gli togli le manette." - insistette, guardandola dritta in faccia. Con tale insistenza che Spike piegò la testa da un lato, per non intralciare quella sfida.
Ovviamente alzando gli occhi al cielo.
"Se non ti levi, aggiungerò Violazione della Privacy alle sue colpe." - sibilò lei, ricominciando a camminare. E non andando da nessuna parte, mentre Angel ricominciava a opporre resistenza.
Molto più di Spike, in effetti.
"Ahiio!" - urlava, il biondo - "Ma vuoi rompermi qualche costola?"
"Sarebbe una buona punizione, così impareresti a non impicciarti." - rispose Angel, implacabile, spostando l'attenzione su di lui solo fuggevolmente - "Comunque, se adesso ti evito la galera, mi dovrai un favore bello grosso!"
"Tranquillo Spike!" - scattò Kate, dandogli un colpo in una scapola e strappandogli un ringhio - "Non gli dovrai nessun favore!"
"Kate, le manette!"
"Non mi dare ordini!"
"Levagli le manette! E lascialo!" - sillabò lui, mostrandosi, per una volta tanto, piuttosto irritato.
Da lei, da lui e dalla situazione idiota.
Era abituato ad un tiro alla fune con Kate. Ma Spike come corda metteva decisamente a dura prova la sua pazienza.

Possibile che ci fosse sempre qualcuno di famiglia tra loro due? Prima Darla, poi Spike.
Possibile che la sua vita sentimentale fosse così di dominio pubblico?
E, a questo proposito….
"E Voi!" - urlò puntando il dito ed il fascicolo ormai stritolato - "Dentro tutti e tre! E chiudete quella finestra!"

"Adesso la finiamo!" - sbraitò Spike. Assordandoli e facendo riapparire le tre teste al verone.
Con una mossa serpentina si sfilò le manette.
"Ci tieni tanto ad averle? Prenditele!" - esclamò, mettendole a viva forza in mano ad Angel e girandosi, per afferrare Kate.
E sollevarla.
Come una principessa.
Una principessa che gli picchiava il petto e la testa. E voleva essere salvata.
"Lasciami! Angel digli di lasciarmi!" - urlava, disperata.
Quel ragazzo la logorava, con la sua temperatura gelida, i suoi occhi immorali e la sua faccia indisponente.
Ma angel non faceva niente, se non correre dietro ad entrambi. Dietro a Spike che, con un'unica falcata aveva saltato la confusione ed era entrato.
Dal piano di sopra giungevano i suoni tipici di tre curiosi che si scavalcano per avere un posto in prima fila. Ma non aveva importanza.
Arrivato nell'ingresso, Spike, a beneficio di tutti, ed ormai assordato dalle urla della sua preda, girò su se stesso.

E, semplicemente, lanciò Kate.
Dritta tra le braccia di Angel. Due braccia forti che di colpo la strinsero, toccandole le gambe, avvolgendole la schiena. E portandola dritta in paradiso.
"E adesso, se superi il tuo rimbambimento, potresti baciarla!" - sbraitò Spike, salendo le scale a salti e sedendosi in cima alla rampa, nascosto dalla ringhiera.
Per supervisionare, non visto.

Inebetiti.

Kate gli si era aggrappata addosso, per istinto. Ed ora lo guardava, con le guance del color delle ciliegie e i capelli impigliati nelle ciglia.
Ed angel avrebbe tanto voluto toglierglieli dal viso ma gli mancavano le mani. Mai avrebbe rinunciato a quel peso tra le braccia, a quel corpo forte e pieno che gli premeva sul respiro… che sapeva mozzargli un respiro che non aveva.
Gli mancavano le mani…
Le forze…
E le parole.
Non gli restava che scegliere la soluzione di Spike.
Le loro labbra si toccarono, e, con gli occhi chiusi, i loro visi si carezzarono, uno sull'altro, travolti da un'irrimediabile lampo. Kate gli cingeva il collo, posandogli il viso sul risvolto della giacca.
Respirando il profumo di cuoio, per non perdersi del tutto.
"Come siamo arrivati a questo punto?" - mormorò, cercando di ricordarsi che doveva respirare.
"Credo che Spike ci abbia messo di suo." - replicò Angel. Non osava aprire gli occhi. Tra le braccia c'era Kate, kate che lo baciava e ricambiava la sua stretta. Dimenticando come fossero il giorno e la notte, come fosse grande il divario di età e vita.
Ma non di cuore.
Entrambi i loro cuori erano impolverati, da anni in soffitta.

Ti amo, kate….
Dio, come era facile pensarlo. Ma dirlo… non riusciva, non riusciva!
Era stato così semplice sussurrarlo a Buffy… Guardare i suoi occhi e ripeterlo….
Ripeterlo fino alla grande consapevolezza che le parole non li avrebbero salvati. Come nutrire coraggiosamente una grande illusione senza negarne mai la sostanza.
Ti amo, Kate…
Una frase fatta, così semplice… ti amo, cinque lettere come amore.
Kate…
Perché non posso dirlo, Kate?

Non farlo…
Non dire quello che penso tu stia per dire…
Perché se lo fai… non potrò più lasciarti…

"Kate, io…"
"No!" - rispose, inorridita. Posandogli le dita sulle labbra. E guardandolo, con occhi sbarrati. Occhi enormi, terrorizzati.
Perdendosi un po' nello stupore di lui, lui che chiudeva gli occhi prima di baciarla, come se potesse affrontare ogni dolore ed ogni atrocità, ma mai un attimo di gioia.
Perdendosi un po' negli occhi di Angel che cercavano disperatamente di dirle le parole ormai represse.
Dio, no! Non voleva vedere quelle dannate cinque parole. E se si stava sbagliando, se veramente Angel non stava per dirle.. allora non voleva sentire o vedere più nulla.
Si divincolò, cercando di posare a terra i piedi.
"Angel… mettimi giù…" - sussurrò Kate. Le guance le bruciavano, e gli occhi sembravano farle male, tanto li stringeva. Non voleva vederlo, mentre, pentito di quello che era successo, cercava un modo per congedarla.
Aveva paura.
Era come se, tutto d'un tratto, tutto ciò che era accaduto tra di loro tornasse prepotentemente alla ribalta
Già un'altra volta Angel l'aveva stretta così… e tutto era finito in una valle di dolore, da cui a stento era uscita.
"Ti prego…"
seppellì il volto nella sua giacca. Si vergognava profondamente, di quello che stava facendo.
Gli stava facendo del male.
Ma non riusciva a controllarsi, non c'era modo di fermare le sue paure, le paure di sempre, che ora salivano a soffocarla. A negarle anche solo il ricordo di un attimo perfetto e semplice.
Barcollò, per riuscire a restare in piedi. Era come se non ci fosse realmente il pavimento su cui camminare. La stanza girava, vorticosamente.
"Non mi toccare!" - ansò - "Ce la faccio benissimo."
Riuscendo di colpo a focalizzare. I suoi occhi scuri… la sua mano tesa… e vuota…
E la sua espressione. Nuovamente nascosta dietro un velo impenetrabile.
"Perdonami." - mormorò Angel, semplicemente - "Non volevo mancarti di rispetto."
Una frase breve, per allontanarla. E per scavarle un solco fin dentro l'anima.

Era decisamente troppo.
Spike saltò in piedi.
E per poco non cadde, quando una mano salda lo trattenne.
Per la cintura.
Westley tese il braccio e, con un sforzo degno di una catapulta, lo tirò indietro. Per la precisione, mancò per un soffio di tirarselo addosso.
"E no! Adesso ti fai i cazzi tuoi." - sibilò, afferrandolo per la collottola e tirandolo nella sua camera. Chiudendo la porta, per dare modo ai due demoni sul pianerottolo di appoggiarci l'orecchio.
Spike girò su se stesso, inviperito. Ma Westley, ignorando la sua espressione bellicosa ed il pugno che stava per prendersi, gli indicò, senza paura, una poltrona.
"Ti prego accomodati…" - disse, pacatamente, con un gesto signorile - "E mentre verso qualcosa di forte per tutti e due, per piacere, muta i tuoi lineamenti."
La sorpresa per quello che Wes gli aveva appena detto fece dimenticare a Spike il desiderio di sbriciolargli i denti.
Si raddrizzò e si toccò il viso. Scoprendo, con una punta di panico, di avere nuovamente il volto del predatore che era in lui.

Due piani più sotto, affogati nel dolore che si erano involontariamente ma reciprocamente provocati, Angel e Kate erano ancora immobili.
"Io.. devo andare." - si scusò lei. Con lo sguardo fisso, cercando di non incrociare più quegli occhi impregnati dello stesso identico dispiacere. Cercando di tornare indietro, almeno apparentemente, di qualche minuto - "Spero che le informazioni di quel fascicolo possano tornarti utili..."
il fascicolo era ormai solo un cumulo di fogli scompaginati, sparsi qua e là intorno ai loro piedi. Ma Angel lo guardò comunque, cercando di simulare un interesse che mai avrebbe definito vero.
"Lo saranno certamente. Grazie…" - rispose, mentre la ragazza gli passava a fianco. Voltandogli le spalle, ancora una volta. E varcando ancora una volta una soglia, per fuggire lontano.
Avrebbe voluto dire il suo nome. Ma non riuscì. Interruppe la frase, mantenendo la concentrazione fissa a quei dattiloscritti spiegazzati.
Stropicciati e strappati. Come talvolta sanno essere anche le nostre anime.

"Sai dirmi perché ti succede?" - chiese Westley, offrendogli un bicchiere, pieno solo per poche dita.
"Potevi sprecarti un po' di più." - commentò asciutto Spike, ingoiando il contenuto bruciante in una sola sorsata e restituendogli il bicchiere vuoto.
"Ne vuoi un altro?" - domandò l'Osservatore, scrutandolo.
"No." - fece una pausa ostile - "Grazie. Ed adesso controlli che non mi siano spuntate anche antenne o altro ancora?"
"No. Mi domando perché non vuoi rispondere alla domanda. Perché ti succede, Spike?"
"In un vampiro è una cosa normale, come il cambio di espressione. E quando abbiamo sbalzi d'umore un po' violenti… mi sono arrabbiato per l'andamento delle cose ai piani inferiori!" - scattò, picchiando le mani sui braccioli - "Non tollero queste indecisioni. Indecisioni in cui Angel è un campione!"
"Per quanto possa condividere il tuo dispiacere per le sofferenze amorose di Angel..." - commentò pungente, grondando un certo sarcasmo - "continua a sfuggirmi perché il tuo demone si ribelli in questo modo senza che tu te ne accorga. Passa una certa differenza tra il tuo impicciarti canonico e quello che stai facendo stasera."
Spike non rispose.
Non aveva niente da ribattere.
E se doveva scegliere, preferiva non ribattere.
"E' una cosa pericolosa, Spike." - insistette l'Osservatore - "E vorrei sapere se è la prima volta che ti capita… oppure da quando…"
"Oh, finiscila, Wes!" - lo zittì brutalmente Spike. E inusualmente, chiamandolo con il suo nomignolo - "Non sto perdendo il controllo, l'anima o il mio buon carattere per quanto poco conciliante! per cui, se hai la gentilezza di sederti, al posto che incombere come un giudice, potremo avere un civile scambio di informazioni!"
Westley riempì nuovamente i bicchieri di entrambi. E si sedette.
Adesso sapeva che sul pianerottolo non c'era più nessuno. Lorne era probabilmente sceso a parlare con Angel. E doyle aveva una priorità di nome Cordelia.
Wes era troppo schietto per negare quanto gli avrebbe fatto piacere la presenza di quei demoni strampalati e orribilmente recettivi. Spaventosamente empatici, molto più di un sostanzioso numero di umani eminenti che aveva avuto l'onore di conoscere.
Onore… il caro vecchio humour inglese…
"Se ne è andata…" - commentò Spike, fissandosi la punta degli anfibi.
E non era una domanda, ma una semplice constatazione. Ne era assolutamente certo.
"Per quel po' che la conosco, non mi stupisce." - rispose comunque Wes - "E' una donna molto forte… almeno in apparenza."
"Ed infatti è una donna che fugge, tanta è la sua paura…" - concluse spike. Parlando più per se stesso che per il suo interlocutore - "Puoi dirmi qualcosa di lei?"
era una richiesta inusuale, da parte sua. Spike era uno propenso a raccogliere informazioni, estorcendole con l'ironia. Non di certo con una domanda così rispettosa e paziente.
Wes non aveva realmente molte informazioni su Kate. Solo impressioni, fuggevoli parole e pettegolezzi by Cordelia Chase.
Quanto bastava per ottenere il quadro di un'interminabile e contrastato rapporto di alti e bassi tra una poliziotta ostica ed un vampiro tormentato.
"Altro non so dirti." - ammise a fine dell'ultimo stentato aneddoto - "puoi chiedere a cordy, oppure a Doyle, per il resto…"
"Mi basta." - commentò, ermetico, il vampiro. Squadrandolo, e soppesando la sua comprensione - "Tu sai che è marchiata, vero?"
"Cosa intendi per marchiata?" - chiese Westley, aggrottando le sopracciglia. "okay. Non lo sapevi." - constatò Spike, alzandosi e camminando avanti e indietro. Servendosi nuovamente dalla pregiata bottiglia di cristallo - "Per marchiata intendo morsa. Ha un morso di Angel, sul collo."
"Impossibile!"
"impossibile ma vero. Non è un vampiro, certo. Ma appartiene ad angel. Lui l'ha rivendicata."
"Deve esserci una spiegazione…"
"E' questa la spiegazione, Price." - lo interruppe Spike, parlando più per se stesso che per il suo interlocutore - "Conosci benissimo angel. Se può evitare di trasformarsi è solo contento. Non era obbligato a morderla con quella profondità, se stava fingendo. E se stava fingendo, non si è di certo lasciato prendere la mano per sbaglio. Quella ragazza è marchiata, credimi…"

"Ehi…" - mormorò Lorne, scendendo le scale. E fermandosi, in attesa di un cenno che gli facesse intendere se era disponibile a quattro chiacchiere.
Angel stava in ginocchio nell'ingresso. E doveva essere stato intento a raccogliere i fogli. Poi anche quel compito doveva essergli sembrato insulso. Insulso come il resto del mondo, se messo a paragone con occhi trasparenti e puliti.
In ginocchio, con un po' di fogli spiegazzati tra le mani.
E nient'altro, di quel breve e intenso contatto.
"Non so perché mi stupisco." - commentò, senza curarsi di specificare a cosa si stesse riferendo. Dopotutto stava parlando con Lorne, esperto conoscitore di anime e particolari nascosti - "Tra me e lei è sempre un continuo non comprendersi. E lei è l'unica …"
Non sapeva nemmeno come proseguire e tentare di spiegarsi.
Non era l'unica.. c'era Buffy. Non aveva reso tutti matti con la sua ossessione per Buffy? In base a cosa questo loro essere anime gemelle era naufragato, innanzi agli occhi algidi di Kate Lockley? Perché, ad anni di distanza, vederla di nuovo lo portava a questo stato di confusione?
"Angel, non partire dall'idea di una sola vita ed una sola anima con cui condividerla." - replicò lentamente l'altro - "sei morto e rinato abbastanza volte da sapere benissimo che le vite possono essere molte anche se racchiuse in una sola. Le tue donne, Angel, e molti risvolti di te stesso."
Si guardò le mani, per enumerare.
"Abbiamo Darla e la sua passione… Buffy e la sua predestinazione…" - impostò, con una leggera musicalità - "ed infine Kate… che sembra nulla in confronto alle altre. Eppure è molto di più."
"Tu credi?" - Angel alzò lo sguardo verso di lui.
"Io penso sia così." - ribattè Lorne. Guardandolo mestamente - "Non ho certezze. Il cuore di un eroe talvolta è una lettura troppo ardua per un semplice demone come me… ma in quanto tuo amico, la penso come spike."
"Spike…" - indipendentemente dalla tristezza che provava, Angel accennò un sorriso e scosse la testa - "Non so se ringraziarlo per la buona volontà o picchiarlo."
"Un impegno indiscutibile." - concordò il demone alzandosi - "ci ha messo tutta l'anima… e anche il demone, direi, calcolando le volte che è mutato…"
"Lui cosa?" - domandò Angel, guardando l'amico che si incamminava verso l'uscita, scavalcando i mobili che nessuno si era preso la briga di risistemare.
"Lui muta." - ripetè serafico Lorne - "E mi spiace non fermarmi per vedere come andrà a finire questa storia.. ma devo proprio andare..."

III
"… Quella ragazza è marchiata, credimi…"
la voce di Spike gli giunse più nitida, nell'attimo in cui, abbassando la maniglia, aprì la porta di uno spiraglio.
Ed entrando lo vide, di spalle, impegnato a versarsi uno scotch.
"non dubitavo che te ne saresti accorto…" - commentò Angel, con voce piatta, richiudendosi la porta alle spalle.
"oh, ciao Flagello." - lo salutò con naturalezza il vampiro biondo. Appoggiandosi con nonchalance al mobile e alzando il bicchiere in segno di riconoscimento - "Immagino non sia finita come speravo…"
"Mi sembra evidente di no." - replicò, incrociando le braccia. E reprimendo il desiderio di ritirarsi nel suo studio, sedersi e spegnere la luce.
Per aspettare un giorno sereno che non si decideva mai ad arrivare.
"Mi spieghi cosa stai combinando?"
"Io? Assolutamente niente." - si difese Spike. Decidendo subito di contrattaccare, passando brutalmente sulle sue delusioni - "E tu? Perché non ti decidi con quella ragazza?"
"Io cosa?" - sillabò Angel, fissandolo. Dopotutto lui sarebbe stato anche deciso. Ma era lei che continuava a sfuggirgli. Irrimediabilmente. Continuando a provocarsi più male di quanto ne provocava a lui.
Sfuggiva e tornava, quando meno se lo aspettava.

Cosa aveva quella notte di tanto speciale, per offrirgli un'occasione del genere e poi allo stesso modo riprendersela? Cosa c'era nelle ombre di più forte dei loro sentimenti? Cosa, nella tenebra, continuava ad allontanarli per poi riavvicinarli fuggevolmente?
Forse il destino era realmente un giullare beffardo…

"Lorne ha detto che continui a mutare forma…" - rispose, decidendo di ignorare i consigli da agenzia matrimoniale che l'altro smaniava di elargirgli.
"Mutar forma." - replicò stizzito - "Mi fai sembrare la zucca di Cenerentola. E poi non fare il finto tonto. Sai benissimo perché mi succede!"
"Lui forse si." - azzardò Westley, passando lo sguardo da uno all'altro - "ma io no. Ancora non ci capisco un beneamato niente."
"Il mio demone percepisce il marchio." - spiegò Spike. Con lo sguardo fisso su Angel, ed il tono cantilenante di chi si ripete per l'ennesima volta - "è come se in lei ci fosse una componente di angel. Che la rende uno di noi."
"uno di voi.. chi?" - Wes spalancò gli occhi, vagliando le poche agghiaccianti possibilità che gli venivano in mente.
"uno di noi, di famiglia. Non è un vampiro, ma è marchiata. Come Dru, come me…" - no, inesatto… - "è un indiscutibile segno di possesso."
"Finiscila." - ribattè Angel sulla difensiva - "non ingrandire la questione del morso. È stata necessità, come avvenne con Buffy. Sono un penitente, non un santo."
"Su Buffy quel morso non significava nulla, Angel?" - chiese Spike, con lo sguardo duro - "può darsi che tu non fossi molto in te, non lo discuto. Ma lei ha sentito quello che c'era nel morso. E lo sente anche Kate."
"Solo che nel caso di Buffy, la sua aura di cacciatrice rimane più forte del marchio?" - domandò Wes, soprappensiero, appoggiandosi meglio allo schienale per riflettere.
E andando dritto al punto.
"Esatto. Su Buffy è un marchio che vale più per lei che per gli altri. Una questione affettiva. " - continuò, implacabile Spike - "Posso sentirlo, ma quello di Kate è tutta un'altra storia. È molto di più."
Angel lo fissò, sorpreso. Erano le stesse identiche parole di Lorne. Lo stesso tono, la stessa densità di significato.
Kate era molto di più. Una verità che ormai nessuno, dalla sua visione, riusciva più a negare.
Molto di più.
Eppure ancora così assente…
"E, se vuoi il mio modesto consiglio, dovresti dirglielo."
Questa frase lo riscosse, con un sobbalzo.
Dirle cosa?
"Dovresti dirle del morso e del suo significato. Perché scommetto che non ne sa nulla."
"non credo che le importi." - commentò, rifiutando di guardarli, entrambi.
"Se smetti di compiangerti un singolo istante…"
"Lasciami in pace, William." - rispose automaticamente Angel, interrompendolo. Con lo sguardo perso nel vuoto - "Non ho bisogno consigli su come gestire la mia situazione con Kate."
"Hai perfettamente ragione. Non hai bisogno di consigli. Ma dimmi solo una cosa: quel morso non l'ha mai messa in pericolo? Se è così, sei stato fortunato. Quel segno è come una lanciarazzi che spara di continuo. Chiunque porti un marchio simile a quello sulla pelle, può tranquillamente capire quello che ho captato io." - spike si rivide, in un sussulto. Come doveva essere stato. Come si era percepito. Appeso e macellato, per il semplice fatto di essere legato ad Angel. Ed una fredda rabbia lo invase - "Quanto tempi pensi che possa passare prima che finisca appesa e usata come bersaglio per le freccette?"
Da come lo vide sussultare, seppe di averlo colpito in pieno. E, per quanto la coscienza gli rimordesse, si ricordò che non era una possibilità remota. E che quella Kate tanto bella era fragile come una rosa di cristallo.
Non sarebbe sopravvissuta ad un trattamento come quello che avevano riservato a lui. "Lo sai che lei era il bersaglio successivo?" - domandò. Stupendosi della reazione di Wes, più pronto a comprendere.
Lo vide raddrizzarsi ed afferrarsi ai braccioli.
"Dopo di me, Darla avrebbe cercato lei. Me lo disse…."

"Allora, piccolo Spike." - disse, confidenziale, accostandosi di nuovo. Pensosamente, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo alzato, per vederlo meglio.
Uno dei suoi sgherri, premuroso, si avvicinò alla fune che lo teneva legato. Ma darla gli fece un cenno, perché lasciasse tutto com'era… perché era un piacere per gli occhi vederlo, lì, appeso.
Spike sbattè le palpebre, cercando di scacciare il senso di inconsistenza che lo stava prendendo.
"Allora, piccolo Spike." - ripetè Darla, sillabando un po' le parole, innanzi al suo sguardo vitreo - "Devi ammettere che sono una padrona di casa impeccabile…"
"Intrattenimento, per i miei ospiti…" - enumerò, indicando i vampiri armati di balestre che le si assiepavano adoranti intorno - "Musica… e da bere a fiumi…"
l'aveva detto con aria provocante, tendendo la mano e lasciandosi macchiare la punta delle dita dal sangue che gli gocciolava dai vestiti.
"Mmm…" - assaporò, leccandosi i polpastrelli - "Buono. Chissà se la ragazza è buona come te…"
Ragazza? spike fece uno sforzo, per mettere a fuoco Darla e le parole che stava dicendo.
A quale ragazza si riferiva? A Buffy?no, non avrebbe mai parlato di lei in quel modo. Non l'aveva mai realmente considerata un'avversaria. Non aveva mai preso seriamente l'amore di Buffy per Angel.
Allora chi… chi poteva essere questa ragazza che Darla reputava tanto pericolosa?
Ma lei non sembrava più badare realmente a lui. Al fatto che fosse cosciente oppure no…
"Quella sbiadita ragazza, quella smorta… poliziotta… anche lei merita una lezione. Per come continua ad impicciarsi di affari non suoi, per come lo guarda…" - elencò, strusciandosi appena su uno dei suoi pupili. Una vampiro alto e biondo dai lineamenti affilati - " e lo ascolta… e soprattutto… per come lui guarda lei!"
il suono del collo che si spezzava fu simile ad uno schiocco. Ed il vampiro le si afflosciò sui piedi, come un burattino dai fili recisi.
Mentre Darla si voltava, sorridente, e tornava verso di lui.
"Lui non deve guardarla in quel modo." - ripetè, con una folle innocenza - "Non deve. Ci devo essere solo io, per lui. Nessun'altra… e quando le avrò spiegato che non è roba per lei… nemmeno Angel vorrà più guardarla. Né tantomeno ricordarsi di quell'odioso segno… oh, sì, lui la vuole, la vuole per sé e vuole che il mondo lo sappia. Ma io le lacererò la gola e strapperò di persona quel segno così forte. Il suo corpo immondo non può godere di un onore del genere!"
Sorrideva, folle. E Drusilla, rannicchiata in un angolo, nella penombra, ridacchiò, tormentandosi i capelli.
"Il segno…" - Drusilla mosse gli occhi con aria sognante - "Quel segno che è come fuoco nel ghiaccio. Quel segno è il fuoco che vuole entrare in lei. Ma lei non lo lascia… lo lascia fuori, a bussare… e non gli apre la porta. Povera piccola cosa. Povera piccola cosa…"
"Non sei d'accordo, topolino?" - chiese Darla, ignorandola, scotendo la testa con insistenza - "Non pensi anche tu che meriti una lezione? Nessuno deve toccare ciò che è mio… nessuno può dirmi cosa fare o non fare… e nessuno può contraddirmi… oppure paga amaramente. Non credi?"
"può darsi sia così…" - mormorò Spike, con un filo di voce, abbozzando un sorriso di scherno - "puoi essere perfetta nelle tue vendette… ma devi ancora alzare la testa per incontrare il mio sguardo…"

"Non sapevo si trattasse di Kate. E non l'ho ricordato fino a quando stasera non ho captato Kate ed ho capito a cosa si riferisse Darla. Sapeva persino lei quanto quella poliziotta fosse importante per te. Tutti tranne te, Flagello…"
"Dru è a piede libero. Ma non è andata a cercarla." - replicò Angel. Cercando di sedare quei timori che per mesi aveva tenuto sotto controllo. Quei timori che aveva rischiato di vedere realizzati, per una telefonata ed una scatola di barbiturici.
Letali come può essere una vampira malata di gelosia…
Come può essere un emulo desideroso di vendetta…
Dio, cosa ho fatto…
"Forse perché a Drusilla premo io. E non tu." - rispose Spike, senza curarsi di aggiungere particolari a quella certezza che già più volte era trapelata dalla sua bocca. E che, in cuor suo, sapeva pericolosa.. come si poteva pensare che a Dru non importasse di Angel?- "E tu non sei mai stato il tipo che si raccontava favolette per dormire sonni tranquilli.
Kate è un segnale a trasmissione cronica. Io non faccio altro che trasformarmi, da quando lei è entrata qui dentro. E ne sono stufo!"
"Angel, quello che Spike cerca di dire è che Kate è un childe sui generis? Cioè... Intendo dire se è…"- domandò Wes, tormentandosi pensosamente un polsino.
"Se è un mezzo vampiro? No, non lo è." - il solo pensiero di poterle fare una cosa del genere lo riempiva di disprezzo verso se stesso - "Il morso di per sé non le ha probabilmente dato nulla. Forse qualche percezione più elevata, o un senso di allarme quando incontra uno che abbia un segno identico…." - rallentò il discorso per puntare gli occhi color onice su Spike - " oppure qualcuno di legato a me. Non posso escludere che possa sentire me, tramite quella cicatrice."
La specifica distinzione tra marchiato e legato suonava oscura, alle orecchie di Wes. Doveva esserci un particolare che gli sfuggiva… ma per quanto provasse a metterlo a fuoco…
"il che spiega l'improvvisa e ingiustificata antipatia nei miei confronti." - concluse Spike, con aria drammatica.

Angel lo guardò, in silenzio. Una cosa usuale per lui, se non per la luce scura che adesso gli brillava in fondo alle iridi.
Westley, mormorò, ad un trattò, potresti lasciarci soli?
C'è una cosa che dobbiamo discutere.
"Bhe?" - domandò Spike, non appena la porta si fu richiusa alle spalle di un osservatore in piena riflessione - ""Consiglio di famiglia?"
"Così fosse, avrei lasciato che Wes restasse." - replicò ermetico Angel, appoggiandosi ad un tavolo, sempre a braccia conserte - "Invece è perché devo chiederti un favore personale. Stai fuori dalla mia vita sentimentale."
"Come scusa?"
"Mi hai sentito bene, William. Non voglio che ficchi il becco nelle questioni tra me e Kate. Ti ringrazio per gli sforzi evidenti che hai fatto. Ma non li apprezzo."
"ed io non apprezzo quello che hai fatto." - scattò Spike - "Hai legato a te quella ragazza e lei si è legata a te. Eppure vuoi negare l'evidenza. È parte di te, Angel. Non ho avuto bisogno nemmeno un'occhiata preliminare per accorgermene."
E mentre Angel apriva bocca per ribattere, fu più pronto a proseguire.
"Non citarmi il morso su Buffy. La definizione 'impregnata di te' le si addice parecchio. Ma si può soprassedere… calcolando che lei è la prima ad attribuirgli un significato fortissimo, non ho nessun piacere a tornare sopra alla questione. Ma quello di Kate… se provassi a farle del male, sarebbe come se ne facessi a te…"
Ecco. L'aveva detto. Ed era quasi furente all'idea di essersi esposto in quel modo.
"E' stato uno sbaglio." - mormorò lui - "Rischiava di far saltare la mia copertura. Allora l'ho morsa, superficialmente. Ed ha funzionato."
"Non ci credo." - replicò Spike. Trapassandolo con un'occhiata che gli fece accapponare la pelle - "c'è una bella differenza tra mordere superficialmente ed in quel modo. E penso di saperla riconoscere."
"Questo non toglie che la tua sia una reazione eccessiva." - rispose Angel, cercando di portare il discorso in altre direzioni, per mettere il riparo il cuore da quelle repliche - "Il tuo demone che ritorna a galla solo per il tuo legame con Kate tramite me…"
"E cosa dovrei usare, secondo te? Tu hai usato il tuo demone per segnarla. Ed io uso il mio per captarla. E quando il segnale arriva troppo forte, capita quel che capita. Dici che si tratta di una reazione eccessiva? Sono d'accordo, soprattutto se tieni presente che, come mi hai fatto notare prima con una certa sottigliezza, io non ho morsi tuoi sul corpo."
Era questo il particolare che Wes non conosceva e a cui non era giunto ancora. Un particolare che sarebbe passato come un colpo di spugna su elucubrazioni di mesi e mesi…
"io ho il tuo sangue, ma non il morso. Non ho marchio." - mormorò ancora Spike, abbassando gli occhi - "Non nel senso abituale dei vampiri. È stata Dru a mordermi… ed io appartengo a lei. Ed a te, allo stesso tempo." - Tacque un attimo, come se nella mente di fosse prepotentemente affacciata un'informazione rilevante. Da tacitare, con le parole - "Probabilmente è questa anomalia che mi provoca una reazione inusuale. Smetterò non appena mi sarò abituato a lei."
"Mi sembra una conclusione affrettata, ma non posso che augurarmelo." - sospirò Angel. Aveva dimenticato quel particolare. Spike era due volte intrecciato con la sua linea di sangue. Era normale fosse più recettivo nei confronti di Kate.
Ed era normale che Spike rispondesse alle sue preoccupazioni con un'alzata di spalle, per minimizzare il problema. Ed affrontarlo con calma, nel momento opportuno.
"Ed ora veniamo a Kate." - proseguì implacabile Spike - "direi che la tua poliziotta bionda è stata più brava di te. Tu le hai morso il collo… ma lei ti ha azzannato il cuore. Non darei così per scontato che io vostri rapporti non necessitino una mano, quando non avete ancora trovato il modo di amarvi in santa pace."
"insisto con il fatto che tu debba starne al di fuori."
"perché? Perchè questa storia della tua famiglia che ficca il becco è irritante? Per quello che poteva farle darla? O che pensi di averle fatto tu?" - non sapeva bene di cosa stava parlando… ma leggeva bene in Angel - "Sai cosa ti dico Angel? Che non si può essere tanto stupidi da lasciare che uno scricciolo del genere scivoli via in questo modo solo perché ha paura di non riuscire più a volare!"
Eccolo lì. Il grande spike, piantato a pugni stretti in mezzo ad una stanza. E di nuovo impegnato in una crociata.
Ma riusciva a passare giorno senza trovare una nuova questione in cui gettarsi a capofitto con sempre nuove verità da sputare in faccia al suo interlocutore?
"io non so perché diamine capisco tanto bene quella ragazza! Ma mi fa imbestialire il gioco che fate! Chi ne uscirà massacrato per primo? Dannazione, Angel! Sei un campione a sfondare le corazze delle gente! Mi vuoi dire perché non riesci con lei?"
era una domanda importante. E si sarebbe meritata una risposta altrettanto importante.
Ma Angel aveva solo il silenzio, da offrire.
Perché non lo sapeva.
Non sapeva perché le cose andassero in quel modo, né tantomeno perché non ci fosse una via d'uscita.
Kate era sparita per mesi, quasi anni. Ed ora, tornata con un pretesto, sembrava non essere cambiato nulla. Gli sfuggiva, con metodo quasi scientifico, con la tenacia con cui inseguiva malfattori e delinquenti.
Credeva nella giustizia e non si concedeva nulla. Non sapeva di meritarsi più di quanto la vita le aveva dato. Ed Angel avrebbe fatto qualsiasi cosa per donarle un futuro migliore e qualche illusione.
"il muro tra di noi non si sgretola." - mormorò, sulla scia dei suoi pensieri. Fissandosi la punta delle scarpe - "per quanto ci provi, rimane sempre.
Ci avviciniamo, quel tanto che basta per tornare ad allontanarci. E poi c'è Buffy…" Già, il fantasma Summers… come dimenticarsi di lei…. Occhi verdi in tempesta e capelli morbidi.
"Di certo hai un debole per le bionde…." - Sospirò, pungente - "e per le ossessioni. Le rimiri da lontano, fino a quando non entrano nel tuo cerchio, irrimediabilmente. E sei disposto a tutto, per loro. Ma non a lasciare che ti amino. E quindi, prima o poi, queste splendide creature se ne vanno…. "
Posò studiatamente il bicchiere sul mobile. Lasciandosi un attimo assorbire dalla scomposizione della luce, in miriadi di gocce cangianti, sul ripiano.
"Mi spieghi perché ora?" - mormorò.
"Cosa?"
"perché ora si è decisa a tornare. Cosa è successo per farle cercare un pretesto e tornare…ma cosa importa, dopotutto. È venuta. E se ne è andata. Qualunque fosse il motivo, non è bastato per farla restare."
"Una verità che smaniavi di sbattermi sul viso…." - commentò Angel, duramente.
"Può darsi…" - replicò Spike, serafico - "Un'azione superflua, la mia. La verità è lampante anche senza forzarla, non credi? Come è lampante l'altra verità…."

Spike ha ragione…
Quel morso, quel marchio… non è stato un caso. E non è cosa da poco.
Se l'ho fatto… è perché volevo farlo.
La volevo con il cuore e l'anima. L'ho resa mia con il demone.
Kate fa bene a non fidarsi di me…

"Non auto flagellarti, Angel. Se Kate non si fida di te è solo perché non si fida di se stessa. Non si fida dei suoi sentimenti, delle sue sensazioni. Io non so abbastanza di quello che le è successo nella vita, per arrivare fino a questo punto… ma so che adesso la sua paura è di non riuscire ad andare via."
Angel si sedette, posando le labbra sulle mani intrecciate. Restando un attimo a riflettere. Prima di guardarlo, con l'ombra di un sorriso.
"Mi spieghi come fai a parlare così di lei se non la conosci?" - mormorò.
Spike ostentava una sicurezza eccessiva, nelle sue affermazioni. Non gli era nemmeno passato per la testa che potessero esserci altri problemi tra lui e Kate. Puntava il dito senza esitazione sulle paure di entrambi, e non si fermava davanti a nulla.
"per piacere!" rispose, vagamente offeso - "Sanno tutti che ho grande intuito per l'animo femminile!"
Angel lo guardò, mentre cambiava espressione, inclinando un po' la testa, con un sorrisetto strano.
"Vedi Flagello." - aggiunse - "Quella ragazza mi piace. Ed ogni volta che mi passa vicino e come prendersi 220 volt di scossa. Mi affascina… e capisco lei tanto quanto non capisco la situazione…"
Si interruppe, seguendo la linea dei suoi pensieri…
"Ho baciato e amato ben due ragazze marchiate da te. Sono stato gomito a gomito con Buffy e tra le braccia di Dru abbastanza tempo da credere di sapere tutto su quei dannati morsi. E poi arriva questa ragazza…. Pazzesco…"
era un commento più che per se stesso che per Angel.
Angel stava in silenzio e lo fissava.
E Spike, ricambiando l'occhiata, fu colpito da come Angel, seduto in quel modo, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani intrecciate, fosse ormai un'immagine completamente incastonata nella memoria
Da più di un anno, Angel gli sedeva di fronte e lo ascoltava, senza battere ciglio. Stava in silenzio e lo lasciava parlare. E, a poco a poco, cercava di venire a capo di quel mistero che era la base del loro rapporto.
E mai, tra quei segreti che si erano detti e tra le ammissioni che c'erano state, era trapelata Kate.
Mai.
Kate era il mistero nel mistero.
E non si trattava solo della riservatezza che Angel manifestava nei suoi affari di cuore. non si trattava di Buffy, che gli passava sul volto come un'ombra, oppure di Darla che se ne era andata con l'amarezza del fallimento…
"Tu l'ami." - mormorò. Con una sorpresa che fece cambiare l'espressione di Angel, mutandola da riflessione in stupore.
"come?"
"Oh si, tu l'ami." - l'accusò Spike, prima di saltare in piedi. Come se l'avesse colpito una folgorazione - "È tutta la sera che mi metto di impegno per coronare questa tua soap opera e non mi era venuto in mente perché lo stavo facendo. Non era il morso. Quello è affar mio, oppure di Wes, pro interesse scientifico! Non è quella la cosa importante. Non importa il marchio che le hai lasciato addosso, se si guarda cosa hai nel cuore… tu l'ami! Basta che tu glielo dica!"
si era illuminato. Stava a centro della grande biblioteca di Westley, con le braccia spalancate, offrendogli quella semplice soluzione che non gli era venuta in mente.
Ed aveva gli occhi brillanti per l'entusiasmo… era il ragazzino che aveva intrappolato la luna nel pozzo.
Ed Angel lo guardò, sorridendo di quella gioia che sembrava sprizzare da ogni poro.
Spike faceva di tutto per aiutarlo. E le motivazioni di quella sua scelta di vita...quelle sì che erano un mistero!
"Bhe?" - insistette Spike, muovendo le mani, senza abbassare le braccia - "Mi hai capito?"
"Sì, non mi sembra complicato." - rispose cautamente Angel, senza rinunciare ad un breve sorriso - "E' solo un po'… difficile…"
"E che ci vuole! Ti amo Kate! Ti…………..Amo…………Kate." - Scandì - "Aggiungici mia luce, mia vita e mio tesoro. Oppure chiamala Ciccina…."
"Così mi arresta per insubordinazione a pubblico ufficiale." - rise lui, appoggiandosi allo schienale. Si immaginava proprio l'espressione di Kate Lockley mentre veniva chiamata Ciccina…da lui poi…
Le conseguenza sarebbero state paragonabili ai fuochi d'artificio.
Spike lo guardò, con finta rassegnazione, mentre Angel cercava di controllare le risate. Scosse la testa, seccato, prima di fissarlo, con la testa appena alzata.
"Tu non riesci." - commentò, serio - "tu non puoi dirglielo…"
angel stava ancora sorridendo. Ma il suo sguardo era triste.
Scosse la testa ed alzò le spalle, per comunicargli la rassegnazione per quel fatto.
"Ogni volta che provo… ogni volta che sono ad un passo dal farlo… non so, non riesco e basta." - ammise - "è come se lei si rendesse conto con un attimo d'anticipo di quello che sto per dire. E lo ritenesse uno sbaglio madornale.
Si tira indietro, torna a chiudersi."
"mai visto una rosa tornare ad essere un bocciolo." - commentò Spike, interrompendolo - "La prossima volta non fermarti. Dritto alla metà senza esitazione!"
Spike aveva un futuro come coach nel mondo del football: digrignava i denti, stringeva i pugni e simulava quello che non era un corteggiamento ma un assalto di cavalleria.
E non accettava insubordinazioni…
"Ma la pianti di ridere?" - sbraitò esasperato - "Stiamo parlando di cose serie!"
"Sono perfettamente d'accordo." - replicò Angel, a braccia conserte, allungando le gambe. Con atteggiamento rilassato - "ma se carico Kate come mi stai consigliando, lei mi impaletterà come la prima volta."
"Ah! Con te non si può parlare!" - disse, spike, voltandosi con un gesto di stizza. Per poi fermarsi di botto, girandosi di nuovo - "come sarebbe a dire che la prima volta…"
"Mi ha piantato un paletto in cuore." - concluse serafico Angel - "con la gentilezza di mancare il mio prezioso e straziato organo, anche se impugnava una trave piuttosto massiccia."
"Ma che tesoro di figliola. E come le è venuta questa idea?"
"Penn mi teneva per le spalle e la provocava…" - e Kate odia essere provocata…
"Penn? Il nostro Penn? Il Penn che nessuno di noi voleva ma che tu ci hai imposto? Perdonami… che il tuo alter ego brutto e cattivo ci hai imposto?" - Spike appariva sbalordito quanto deliziato - "Ed è morto? L'hai ucciso?"
"Non io. Lei. Ha impalato me e centrato in pieno lui."
"Quanto amo quella ragazza!" - sospirò, unendo le mani in segno di preghiera e alzando gli occhi al cielo - "Grazie, destino crudele, grazie!"
poi, ripensandoci…
"Sai una cosa Flagello? Se non ti decidi… ci provo io con Kate…"

IV
"William… stai sospirando…"
"E allora?"
"I vampiri non respirano… come mai tu sospiri?"
"A dire il vero, Angel, io stavo sbuffando. Non mi capacito di quanto sei tonto…"
"tonto? Io?"
"Si. Tu. Sei tonto." - Spike stava sprofondato in poltrona. E Wes era stato finalmente riammesso nei suoi appartamenti.
Ed ora vagava, da una scaffalatura e l'altra, con un grosso volume tra le mani. Senza perdersi una parola.
"Sei tonto perché in duecento anni non hai imparato a corteggiare le ragazze. Dimmi che problema hai… magari posso aiutarti…"
"Non ho nessun problema." - a parte un'anima, una vocazione e un destino.
"Allora dovresti dirmi perché sei ancora qui…"
"E dove dovrei essere?"
"magari in giardino…" - rispose, evasivamente il vampiro biondo - "oppure sul marciapiede qui di fronte…"
Angel non capiva. Lo guardava, aggrottando le sopracciglia.
"E perché dovrei fare una cosa del genere?"
"Non di certo per prendere una boccata d'aria! Lo vedi che sei tonto?" - esclamò Spike - "se solo aguzzassi un po' i tuoi sensi, ti renderesti conto che c'è una macchina parcheggiata davanti al cancello. Con dentro una ragazza…"
no, non capiva proprio…
"Angel! La ragazza! Kate è parcheggiata qua davanti."
"E tu come lo sai?"
"Ma che ti importa come lo so! Lo so!" - altro effetto collaterale di questa parentela imposta - "ed una di quelle occasioni che vengono definite 'seconda chance'! per cui datti una mossa. Subito!"
Aveva occhi che mandavano lampi ma Angel era già in piedi e quasi oltre la porta.
In effetti non gli importava come Spike lo sapesse. Perché ora lo sapeva anche lui. C'era Kate. A pochi passi da lui. E lui, talmente preso dalle sue tristi considerazioni….
Aveva ragione Spike… era un tonto.
"Ti ricordi cosa devi dirle o mi affaccio con un cartellone?" - gli urlò dietro, sentendo i passi affrettati sulle scale.
E poi voltando un po' la testa, verso Wes.
Wes che aveva seguito con lo sguardo la corsa di Angel ed ora sostava, pazientemente in attesa.
Con il volume chiuso, come se l'argomento che l'avesse assorbito non fosse poi così interessante.
Soprattutto in confronto a quello che ora stava vagliando.
Spike lo squadrò, mentre lo sguardo dell'Osservatore diveniva sempre più brillante e famelico.
Cosa non avrebbe fatto per la conoscenza del paranormale…
"Avanti Price." - sospirò rassegnato, sprofondando maggiormente nella poltrona - "fammi la prima domanda…"

Angel sostò un attimo sotto il portico.
E fu tentato di tornare dentro, a far due parole con Doyle, solitariamente sdraiato sul divano.
Perché adesso, davanti agli occhi, c'era la conferma al suo istinto di demone.
Adesso il cuore sentiva che c'era Kate.
Adesso il cuore la vedeva e la respirava.
Se ne stava seduta in macchina, a motore spento. E teneva le mani strette al volante, con lo sguardo fisso lontano.
Ferma. Ed il finestrino era quasi una cornice per il suo profilo. Ricordava un quadro italiano, rinascimentale. Era una bella fanciulla, dal profilo nobile e lo sguardo perso in lontananza, le labbra strette in una linea sottile e pensierosa.
Scese i gradini, lentamente, infilandosi le mani in tasca. E domandandosi se non avesse freddo, ferma così, in una macchina, nella penombra della strada.
Girò lentamente intorno, passando davanti al cofano. E catturando gli occhi di Kate con gli occhi.
Lentamente, fino ad un passo da lei, per aprire lo sportello.
E chinarsi, fino a sedersi sui talloni. Per guardarla in viso. Per vedere i suoi occhi e le lunghe ciglia che li ombreggiavano, mentre chinava la testa per guardarlo in viso.
"perché mi sfuggi sempre…" - mormorò, contemplandola.
Non aveva pianto. Ma i suoi occhi erano bui e tristi.
E quando scosse la testa, i capelli le ricaddero sulle guance. Erano lunghi e ondulati ed ora che li portava sciolti, il loro profumo era ancora più forte e penetrante.
"Non sono mai molto brava, a scappare da te." - rispose, non osando vederlo.

Era fuggita. Aveva varcato la porta dell'Hyperion cercando disperatamente un posto dove rifugiarsi.
E solo arrivando alla macchina e cercando le chiavi... si era resa conto di non sapere dove andare. E per quanto si fosse duramente fatta coraggio, per avviare il motore e partire… nessun posto le era venuto in mente.
Non aveva posto dove andare.
Non aveva posto in cui sentirsi a casa.
Non aveva posto in cui sentirsi sicura.
Perché in nessun posto avrebbe incontrato Angel.
Angel era tra quelle quattro mura. Con persone che sapevano accettarsi.
Con persone in gamba.
Non come lei, che aveva sempre mete troppo lontane a cui puntare, non come lei che non era mai all'altezza…

Alzò la testa, sorpresa. Angel le stava accarezzando una guancia. E stava spingendo indietro i suoi capelli, con un gesto lento e tenero.
"Sono bellissimi…" - lo sentì mormorare - "Ma non usarli per nasconderti…"
avrebbe voluto rispondere qualcosa… ma cosa…
"Angel, io.." - ma come poteva finire quella frase.
"Per piacere..." - sorrise Angel - "Zitta."
Infiammandola, con un bacio. Con una mano sul collo, fredda come brace. Una mano sulla sua cicatrice… sulla loro… cicatrice…
E le loro labbra, una nell'altra.
"perchè?" - domandò, ad un tratto, scostandosi. Guardandolo, mentre i suoi occhi scuri, impercettibilmente, smettevano si riflettere le luci della strada - "perché questo bacio…"
"perché…" - perché vorrei che i baci fossero parole. Perché non posso farne a meno, perché… - "mi dispiace, Kate…"
"No!" - scattò lei, mentre gli occhi le si riempivano di paura - "Non chiedermi scusa, ti prego. Io…"
Non riusciva a spiegarsi. Non riusciva a dire nulla senza sembrare dura, o scostante. Non sapeva farsi capire.
Ma Angel… Angel capiva. Aveva sempre capito. Anche quella sera, quando sembrava troppo tardi, era arrivato in tempo. E come allora, non la stava giudicando.
"Angel." - Riprese, gettando al vento i tentativi e le frasi tronche - "Io avrei voluto venire qui, già da tempo. È come se troppe cose fossero rimaste in sospeso ed io non sapessi da che parte ricominciare. La mia vita, quella di prima.. quella di dopo… e poi tu, che vieni da un altro pianeta…"
Angel la guardò, allargando la bocca in un sorriso.
"Io cosa?"
"bhe, sì, non sei umano… hai capito no?"
"Certo." - rise lui, senza smettere di guardarla - "Sono un alieno tonto…."
"Come scusa?" - Kate lo fissò, sospettosa. Iniziava a pensare che la stesse prendendo in giro. Perdendo quel dubbio nel vederlo ridere così. Dimenticando il mondo e gli sbagli che talvolta lo percorrono.
E, per la prima volta in assoluto, si domandò se, da vivo, avesse mai riso in quel modo… e fosse stato felice.
Non sapeva nulla di lui. Certo, informazioni, informazioni ed informazioni sul suo demone, in vecchi libri polverosi. Ma chi fosse prima… cosa amasse…
"Chi sei, angel?" - mormorò.
"Sono uno con un passato faticoso da portare." - rispose, semplicemente, seguendo con i polpastrelli il segno sul collo di Kate. Cercando ciò per cui spike insisteva tanto - "con un sacco di incombenze e fissazioni… e quando mi descrivo così, sembro solo un uomo normale. Non poi così alieno… ma è solo un ritratto di superficie.. o così mi piace pensare."
"Sei molto di più, Angel." - replicò Kate, piegando un po' la testa, per sentire la sua mano racchiuderle la guancia- "Quando ti parlo, quando ti vedo… mi domando chi sei, cosa nascondi. E.. e non ho paura di te…"
"Forse sbagli…" - rispose il vampiro. Quella donna, così fiduciosa… così diversa da Buffy, eppure con lo stesso abbandono…
L'avrebbe persa? L'avrebbe tradita con la sua stessa natura?
Doyle avrebbe detto che solo il tempo ha queste risposte… e Lorne avrebbe aggiunto che… che Kate era unica. Ed era più di ogni altra.
E in quel momento, Angel capì che avrebbe dato tutto per quella speranza, flebile come un respiro ed un attimo di vita.
Quella splendida creatura, pronta a ritrarsi… pronta a … richiudersi…
Ma come può una rosa tornare bocciolo?
"Non andare via, Kate. Non di nuovo." - disse Angel, tornando a fissarla. Levando gli occhi verso di lei.
"Sei tu che entri ed esci dalla mia vita." - replicò lei. Sbarrando gli occhi, per l'intento polemico che era racchiuso in quelle parole. Ascoltando Angel ridere sommessamente, nello stroncare i suoi crucci con un altro bacio.
"Può darsi sia vero." - replicò, sottovoce. Come se di colpo la città fosse diventata ancora più grande e ricca di persone indiscrete. Capaci di approfittare delle ombre, per portare via quella poca felicità che talvolta sbocciava agli angoli delle strade - "Può darsi sia così. Ma è già da qualche tempo, che penso quanto vorrei essere nella tua vita. E se non vuoi che sia per sempre… almeno spesso…"
Kate gli sorrise, annuendo.
Sì.
Lo voleva nella sua vita.
Ma voleva tempo.
Tempo per capire.
Tempo per accettare.
Ma non tempo senza di lui.

Potrei dirti che ti amo... ma per te sarebbe una gabbia dorata. Lo vedo nei tuoi occhi, mia Kate.
Non resterai neanche questa volta. Ma adesso so che forse sarai meno lontana…
Non voglio rinunciare a te…

"Verrai?" - chiese Angel. Non voleva obbligarla a nulla. Voleva capisse che avrebbe aspettato, pazientemente. Avrebbe aspettato di vederla fiorire e credere anche nella luce, oltre che nell'ombra e nella notte…
Kate annuì.
La felicità stava di nuovo fuggendo. Sempre un passo oltre, nella loro corsa sfrenata.
"Verrò…"
Tornerò ancora, Angel. Te lo prometto.
"Verrò perché mi fido di te." - ripetè, guardandolo, sfiorandogli il viso in punta di dita. Sfiorando la pelle gelida e priva di imperfezioni, sfuocando lo sguardo, fino a non vedere altro che le sue dita, in movimento - " E non importa se non mi credi. Perché sono io, a credere in te. Anche se non sei umano ed anche se, se uso la testa, so benissimo che non esisti…"
"Un'affermazione azzardata." - replicò, con una carezza che le provocò un brivido. Seguita da un altro bacio, forte quanto rapido.
"Ok. In effetti esisti." - commentò Kate, senza fiato - "E non sei frutto della mia immaginazione."
"Senza dubbio." - concordò Angel. Sei troppo pura per concepire una fantasia tanto malata…
ed io vorrei tanto poterti meritare. Da adesso all'eternità.
E vorrei che non ci fossero donne amate e perse nel mio passato. Vorrei tu fossi la prima, per non sporcarti con i miei sbagli.
Vorrei averti incontrato quando ancora esisteva una speranza. Vorrei averti incontrato… da vivo…
"Dove andrai, adesso?"
"Al lavoro." - sospirò Kate, assolutamente incurante dell'ora in cui avrebbe dovuto prendere servizio - "poi a casa… e di nuovo al lavoro…"
"Più o meno quello che faccio io." - commentò Angel, alzando gli occhi verso la facciata dell'albergo.. e la figura misteriosa che si muoveva dietro le tende - "Ed ho passato la metà della mia esistenza a ripetermi che avrei potuto farlo solo se non mettevo radici e restavo da solo.
Ma era uno sbaglio, Kate. Non possiamo veramente aiutare gli altri, se cerchiamo in tutti i modi di tenerli lontani da noi stessi."
Kate annuì, abbozzando un sorriso. Sentendo le parole penetrarle nel cuore. anche se…
"Non è una frase tua, questa…" - l'accusò. Così certa che Angel ne fu sorpreso.
"Hai ragione." - ammise - "e' una frase di Doyle…"
"Doyle…" - ripetè Kate, soprappensiero. Ed Angel si sentì in dovere di fare una precisazione. Una piccola precisazione perché Kate non gli sparasse urlando, al primo incontro.
"Lui.. è tornato… sai?"
Non era certo che Kate assimilasse l'informazione nel modo corretto. Ma era un tentativo da farsi…
E Kate gli fu intimamente grata, nello sforzo che stava compiendo, per portare, con la maggior tranquillità possibile, un po' di stranezze nel suo mondo apparentemente razionale e ordinato. Anche se era una cosa che lo metteva a disagio, obbligandolo a giocherellare con quello strano anello d'argento che portava sempre.
"L'ho intravisto stasera." - commentò, annuendo - "Ma visto che parlava con un tizio tutto verde, ho preferito non soffermarmi sul fatto che potesse essere un fantasma."
"Comunque non lo è." - concluse Angel. Prendendo coraggio, per un altro argomento. E protendendosi, istintivamente, a toccare, ancora una volta, la cicatrice.
"Mmm… devo arguire che tu voglia tornare su quest'argomento?" - chiese Kate, sovrapponendo la propria mano alla sua - "Non ce n'è bisogno, Angel. Ne abbiamo già parlato. Ed io ho accettato…"
"Non volevo scusarmi, Kate." - la interruppe Angel. Sapendo che la prossima frase avrebbe messo a rischio quel rapporto sereno che entrambi stavano sforzandosi di istaurare - "Volevo sapere cosa pensi… di quello che ho fatto…"
"Non è una cosa ortodossa, essere morsi a metà di un furto." - replicò Kate, avvertendo la stessa tensione di Angel. E cercando di scherzare, mentre i suoi occhi cominciavano a rannuvolarsi - "Ma a parte questo… nulla di più…"
A parte il fatto che, da allora, mi sento parte di te. È come se tu mi fossi accanto, certe volte. È come se potessi sentirti, quando soffri… o quando corri un pericolo...
La mente le si era affollata di parole. E sensazioni. Del ricordo della pelle che si infiammava, talvolta, nel cuore della notte. Oppure del senso di fastidio, presto liquidato come reazione agli sbalzi di temperature… ed ora, nel sentirsi chiedere una tale informazione, Kate ebbe paura.
Di essere visionaria.
Di essere eccessiva.
Che Angel potesse giudicarla credulona…
"Tutto qui." - aggiunse, frettolosamente.
Tornando a nascondersi.
E quando il muro tra loro tornò ad alzarsi, angel si domandò se non avrebbe fatto bene a tacere.
E non potè concedersi uno sbaglio del genere. Perché, come amava ripetere Doyle, Angel credeva abbastanza nella giustizia da usarla anche a suo discapito.
"Il morso, Kate, non è una semplice cicatrice. È un marchio, un segno che permette a molti di sapere che tu sei mia…"
"Molti… molti chi…" -domandò Kate, senza capire… preferendo non capire.
"Molti…" - quanto avrebbe desiderato tirare un respiro… - "Vampiri. Ed in particolar modo, quelli che sono legati a me da un rapporto di sangue."
"Come… Darla?" - Kate si morse le labbra, cercando di reprimere le urla interiori, mentre Angel annuiva.
Marchiata. Come una bestia. Siglata, come un oggetto…
Null'altro che un possesso… oppure realmente parte di lui.
"Ma… sono cambiata? Sono anch'io…"
"No." - si affrettò a rispondere Angel - "Assolutamente no. Non ti avrei mai fatto nulla del genere, Kate. Io non potrei farti del male, in nessun modo. Quel segno non ti ha cambiata. Sei umana e sottoposta alle regole del mondo naturale. Non è cambiato nulla."
"E allora perchè era così importante dirmelo?" - ribattè Kate. Scostandosi leggermente. E fissandolo, come se di colpo stesse svanendo l'illusione. Ed Angel non fosse più il semplice ragazzo bruno, accoccolato sul talloni per parlarle a guardarla in viso, in mezzo ad una strada in cui non passava nessuno.
D'un tratto la situazione le parve innaturale.
Nessuno in giro… ed un uomo che non era un uomo, intento a lasciarla avvicinare, per poi allontanarla di nuovo.

Ingiusta. Sei ingiusta, Kate Lockley. E lo sai benissimo.
Avrebbe potuto non dirtelo.
Invece ha messo a rischio tutto, per dirti cosa aveva fatto.

"Marchiata."
Le era sfuggito dalla bocca, pronunciato con un disprezzo per se stessa che Angel sentì come una coltellata.
Sottoposta a leggi naturali… non poteva capire come quel segno fosse importante nel mondo dei vampiri. Perché era umana. E per lei, cresciuta in una società libera, era solo un primitivo segno di possesso. Che la sminuiva e la sottometteva.
"Kate, ascoltami, ti prego. Se quella sera ho fatto una cosa del genere è stato per salvarti. Avrei potuto fermarmi un secondo prima, fingere, o inventarmi chissà cosa…"
"Mi stai dicendo che è un segno del destino?" - scattò - "Allora sappi che non credo a queste cose. Non esistono, sono uno stratagemma per dare a qualcun altro colpe che altrimenti dovremmo sobbarcarci! Un modo per dare un perché al caos e alle cose senza senso!"
Le brillavano gli occhi, come topazi. Brillavano della sua durezza, della sua ferrea mentalità. Del dolore, nel pensiero di essere parte di loro, di una schiera di esseri senza moralità alcuna…
Non riusciva a pensare solo ad Angel, alla sua anima o al perché la volesse in quel modo…
"perchè Angel? Perché è andata in questo modo… perché l'hai fatto." - aggiunse, cercando di calmarsi. Angel voleva spiegarsi, stava disperatamente cercando il modo per farle comprendere.
"L'ho fatto perché ho seguito l'istinto. Perché nel momento in cui mi sono trovato in quella finzione, ho voluto che ci fosse almeno qualcosa di reale. Perché volevo ti fidassi di me, volevo avessi qualcosa di mio… perché io…"
Perché ti amo, Kate.

Si era fermato. Si era interrotto. E non l'aveva fatto per una distrazione.
Né per scelta.
Qualunque cosa volesse dire, aveva frenato le parole. Ed ora taceva. Fissandola. Ed attendendo una risposta, a quella tanto scarna affermazione.
Una risposta che non osava cercare di immaginare.
Una risposta che temeva, con la paura nel cuore.
Sentendo lo sguardo di ghiaccio di lei sfiorarlo, lungo i lineamenti. Valutando. E combattendo.
Fino ad ultimo, gelido sospiro.

"Io posso crederti, Angel." - rispose, in un sussurro. Come se le parole la soffocassero - "sono stata costretta a credere a molte cose, da quando ti conosco. E, con il tempo, forse accetterò anche questa. Con il tempo…"
l'aveva ripetuto. E, in quell'attimo, aveva compreso il significato delle sue stesse parole.
Tempo. Quel tempo che volevano combattere insieme, avrebbe tardato ancora. Tra loro era passato un altro fiume e quel segno che avrebbe dovuto unirli, li stava separando, ancora.
Vorrei accettarla. Per te.
Ma non riesco.
Questa verità è il vero marchio che brucia.

"Devo andare, adesso…"
"Lo so." - Replicò, Angel. Quando le fatidiche parole gli erano salite alle labbra, quella che doveva essere una denuncia d'amore, gli era sembrata un ricatto.
Un ricatto.
Accettalo, perché ti amo.
E se non l'avesse accettato?
Allora sarebbe stato 'non ti amo più'?
Oh, no, impossibile.
Ed allora sarebbe stato più dolore, per entrambi.
Ed Angel non voleva che Kate soffrisse, ancora. Non più di quanto stava già soffrendo.
"Allora.. spero di vederti presto." - aggiunse, alzandosi. E guardandola ancora, nel richiudere lo sportello.
"Io… sì, lo spero." - rispose Kate, guardandolo voltarsi e incamminarsi per la via. Silenziosamente, le mani in tasca.
Così come le era venuto incontro, ora si stava allontanando. Senza confusione, senza dare nell'occhio.
E quando cercò di vedere se aveva svoltato l'angolo, con l'irrefrenabile desiderio di scendere e correre, per fermarlo, o continuare a camminare assieme, nello specchietto retrovisore, non vide nulla.
Nulla.
E cercò di convincersi che, forse, era meglio così…

V
La lasciava andare! Ma non era possibile! Spike battè un pugno sul davanzale, prima di voltarsi e correre giù dalle scale.
Saltò il tavolino e si precipitò fuori. Frenando bruscamente in cortile, passando misteriosamente dietro la palme. Fino a intravedere, tra le lunghe foglie, Angel, in piedi, intento a chiudere lo sportello. Arretrare di qualche passo, andando in direzione opposta a quella che la macchina avrebbe preso.
Ah! il pusillanime non rientrava! Sapeva cosa lo attendeva!
Anche se, a pensarci bene…
Spike uscì allo scoperto e si incamminò, con aria strafottente, fino a varcare la vecchia cancellata in ferro battuto.
Fino ad appoggiarsi al finestrino aperto, dal lato del passeggero.
Kate doveva averlo visto già da un pezzo. E stava ferma, dopo aver lasciato, con rassegnazione, la chiave che già stringeva tra le dita.
"E adesso che vuoi?" - domandò, senza giri di parole.
"Posso sedermi?" - chiese educatamente, indicando il sedile.
Dove troneggiava, magnifica nella fondina di pelle, l'automatica di Kate.
Era stato talmente educato ed appariva così sincero, che Kate ne fu spiazzata. Adesso che aveva finalmente occasione di studiarlo, vedeva solo un bel viso affilato e degli occhi molto chiari.
Era l'opposto di Angel. Troppo luminoso. Troppo sicuro di sé.
Eppure…
"Prego." - rispose, dubbiosa, togliendo l'arma e posandola sul sedile posteriore.
"Grazie." - concluse il vampiro, sedendosi. E, dopo un attimo di silenzio poco distensivo, tese la mano - "Piacere, Spike."
"Kate. Kate Lockley." - replicò lei, stringendo quella mano. E sussultando appena, per la sue freddezza. Abbastanza da farsi coraggio - "Tu sei un.. un…"
"Vampiro. Esatto. Con l'anima. Sono vampiro, inglese e come puoi vedere, di grande fascino. E tu?" - chiese, appoggiando il gomito al finestrino, per voltarsi, quel tanto che bastava da vederla in viso.
Un viso ombroso. Il viso di una persona che ha sbattuto su un muro che non sapeva ci fosse.
"Io? Americana, poliziotta e… " - e cosa? Fallita? Testarda? Asociale? - "E bionda naturale."
Lui la guardò, alzando un sopracciglio.
Per la sorpresa e l'ammirazione.
"Amore… non è una cosa carina da dirmi…" - commentò, passandosi una mano sulla testa platinata. Ma Kate era già passata oltre quella provocazione, per andare verso una peggiore.
"Mi vuoi dire perché prima ti sei fatto stendere?" - domandò, senza giri di parole.
Lo sapeva.
E di questo, spike, fu realmente sorpreso.
Dove finivano le capacità di quella ragazza e dove cominciava l'inspiegabile? E se le due cose fossero coincise?
"se lo sapevi…" - domandò, accennando il suo sorriso più seducente - "Perché mi hai dato corda?"
Kate rispose con un'alzata di spalle, senza rinunciare alla sua posizione di difesa.
"Volevo vedere fin dove ti spingevi. Sei un tipo interessante." - commentò, stringata. Senza aspettare, ad andare nuovamente al sodo - "Allora, Spike, finiti i convenevoli, mi vuoi dire cosa vuoi?"
"Io niente. E tu?" - sorrise. Parlare con quella ragazza era come giocare una partita in cui la prontezza di riflessi era tutto.
"Non sono io quella che è salita su una macchina non mia."
"io ho chiesto il permesso. E tu me l'hai concesso. Potevi negarmelo, ma non l'hai fatto."
"La macchina è come la casa?" - lo provocò lei - "senza invito non puoi entrare?"
"Vedo che sei ferrata sull'argomento. Comunque no, l'auto non è contemplata nelle proibizioni. Potevo entrare con la forza. Ma si da' il caso che io sia un gentiluomo d'altri tempi."
"Altri tempi quanto remoti?"
"se ti dico la mia età, voglio sapere la tua."
"Allora sarà meglio che rispolveri il galateo. Non si chiede l'età ad una signora. E questa, mio caro gentiluomo, è una regola di dominio pubblico anche nei rudi corpi di polizia."
"Benissimo." - concluse spike. Con la certezza di avere l'ultima parola - "E questi erano realmente convenevoli. Adesso parliamo di cose serie. Angel ti ha detto del morso, vero?"
Kate lo fissò, restando a bocca a aperta. Quel ragazzo era un serpente! Era assolutamente incapace di essere discreto.
"Non sono cose che ti riguardano."
"No? Io credo proprio di sì."
"E perché? Perché ho una ricetrasmittente tatuata sul collo?" - replicò Kate, mostrandogli i denti. E rendendosi conto che arrabbiarsi con spike era più soddisfacente che con Angel. Era liberatorio.
"Bello sfogarsi, vero?" - le chiese.
Con un'occhiata che le provocò un'ondata di panico. Le leggeva dentro!
E d'istinto, coprì con una mano il morso.
"Oh, ti prego!" - rise lui - "Queste sono le mie capacità personali, non hanno a che fare con la tua 'ricetrasmittente'. Il morso mi permette solo, con un po' di buona volontà, di sapere dove ti trovi, se sei abbastanza vicina…"
"Perfetto. Tutti i vampiri sanno dove mi trovo."
"Perdonami. È inesatto." - spike scosse un dito in segno di negazione - "Per i vampiri, in generale, è una segnalazione. Può metterti in pericolo, così come può far intendere che sei protetta da uno di noi. Poi, per una ristretta cerchia legata ad Angel..."
"Si, lo so, anche lui ha detto qualcosa del genere." - non riusciva a pronunciare il suo nome. Sentiva una morsa alla bocca dello stomaco, solo a pensarlo… - "qualcosa sul fatto che chi è legato a lui…"
si interruppe. E lo guardò, mentre suoi occhi trasparenti divenivano due fessure.
"Tu sei legato a lui." - l'accusò.
E spike sbarrò gli occhi.
"E dovrebbe essere un'offesa?" - replicò. Ricordando che, per una vita, aveva specificato il suo legame con angelus. E non con l'inetto e smidollato Angel.
Buffi voltafaccia della vita.
"Rispondi alla domanda."
E spike, platealmente a malincuore, lo ammise.
"Ebbene sì. Sono legato ad angel. Lui è il mio Sire. Sai cosa significa?"
"Che sei come Penn?" - che sei ciò che darla era per lui?
"Ti prego… non paragonare l'oro alla spazzatura!" - Spike la fissò, seccato - "Questa sì che è un'offesa! comunque per sire si intende…"
"Lo so benissimo. Sire è colui che ti vampirizza." - lo interruppe lei, con impazienza - "E non essere saccente con me."
"Saccente io! Sapiente. Io sono sapiente. Non puoi saperne più di me su questo argomento… io ho l'esperienza sul campo…"
Qualunque cosa dicesse continuava ad essere irritante e simpatico allo stesso tempo. E non si sorprese, ad un tratto, battuta su battuta, a scuotere la testa rassegnata e sorridente.
"Eccolo, finalmente." - sospirò soddisfatto lui, stiracchiandosi, con le braccia dietro la testa - "Volevo questo sorriso da parecchio…"

"Spike…. Posso farti una domanda?"
"Se conosco la risposta…"
"Angel è il mio sire? Io sono… subordinata a lui?"
Era riluttante, a porre quella domanda. Ma non poteva fare a meno di una risposta.
Voleva sentire la scure calarle sul capo.

E Spike, per un istante, fu tentato di farlo. Di dirle che era tutto vero. Che tutto il peggio che poteva pensare dei vampiri e dei loro barbari rituali era esatto.
Dirle ogni perversione. A lasciarla andare via, per sempre, lontano. Lontano da quel gioco inutile che lei ed Angel giocavano contro loro stessi.
Lontano da tutto, fino a quando anche quel segno sul collo non fosse diventato che uno sbiadito ricordo.

"Perché sarebbe tremendo, vero?" - ribattè Spike.
"E' così, allora?" - chiese ancora Kate, guardandolo. E attendendo.
Dando a Spike la consapevolezza di quanto i suoi occhi fossero profondamente limpidi e, allo stesso tempo, oscuri.
"No." - replicò. in un soffio, e dopo un attimo di silenzio durato un'eternità. - "Il morso non fa di lui il tuo sire. Non c'è il suo sangue, in te. C'è solo un segno… un segno di unione…"
Protese la mano, con quei gesti ipnotici che Drusilla gli aveva dolcemente insegnato. Sussurrando le parole come fossero liquide e giocando un po', con la preda. Fino a sfiorare il morso. Fino a porvi il palmo aperto contro.
Quando la mano di Spike aperta le strinse il collo, Kate pensò che avrebbe dovuto averne paura. Avere paura dei suoi occhi grigi e dei suoi movimenti. Paura della linea dura delle sue labbra e delle parole che sapeva dire.
Ma non ne ebbe tempo. Dalla mano sinistra di Spike, contro la sua cicatrice, scaturì come una fiammata, che la percorse interamente. In modo preciso.
Lasciandola senza fiato.
Lasciandola senza il tempo di vedere Spike dissimulare la sorpresa.

Nell'attimo in cui quel calore inspiegabile lo invase, fu tentato di levare la mano di scatto, rispondendo allo sbalordimento di quello che stava accadendo.
Ma si impose di stare calmo, di riflettere.
E di darsi la risposta che non avrebbe mai trovato, se non fosse per quella sua dannata abitudine di giocare al gatto col topo.
La soluzione dell'indovinello lo appagò e gli diede la consapevolezza di dover dare una risposta soddisfacente anche a lei.

Rimase immobile. La mano posata sulla ferita.
"Mi ascolti ancora, Kate?" - azzardò, aspettando un cenno.
"Sì." - spike la guardava come se nulla fosse successo. Come se semplicemente lo seccasse quel suo apparente estraniarsi. Perché… incomprensibile…
Spike non aveva sentito nulla. E lei era solo una visionaria… una sciocca... visionaria…
"Vedi, Kate…" - Spike accennò l'ombra di un sorriso - "Cosa è un morso, Kate, dopotutto, se non un violento bacio? Non è l'incontrarsi di due corpi? l'unirsi di due battiti troppo veloci, di due solitudini…"
"E' solo questo. non c'è nulla. Non è un marchio a fuoco. E di certo non sei un capo di bestiame." - scherzò. Mentre Kate tornava a scoccargli un'occhiata ostile molto loquace - "Sei un bell'esemplare, questo è certo… ma io, fossi in te, inizierei a pensare che hai una cosa di Angel… non che sei una cosa di Angel."
Lentamente levò una mano. E Kate ebbe l'impressione di riuscire a respirare più liberamente. Ma forse era un effetto delle parole, più della fine di quel contatto.
"Soddisfatta?" - mormorò, ancora.
"Non so. Non riesco ad accettarlo." - Kate scosse la testa, lasciando che i capelli le ricadessero sulle spalle, mentre chinava lo sguardo verso le mani. Se le stringeva, come per fermare il sangue. Il sangue che le scorreva troppo veloce, in corpo, impossibile non soffrirne.
E vicino a lei, seduto nella sua macchina, stava un estraneo che le parlava come se la conoscesse da sempre.
Come se sapesse dove stava andando.
"Lo accetterai. È destino." - mormorò, pensando a quello che doyle aveva detto. Si scelgono le azioni… ma non i ruoli.
"Non credo nel destino…" - commentò, con amarezza. Le stesse parole di Angel… no, si sbagliava. Le parole che lei aveva posto sulle labbra di Angel, aggredendolo. E ferendolo.
"Probabilmente fai bene. Nemmeno io credo al destino." - replicò, candidamente - "E' più facile vivere,se pensi di non aver un obbiettivo da raggiungere, o delle aspettative da soddisfare… ma il destino è un buon giocatore di poker. Sa bluffare al momento opportuno…"
Kate si voltò, per guardarlo. Ma adesso era lui ad ignorarla. Tamburellava sulla lamiera e fissava lontano, un punto. Un punto da cui stava svoltando una lunga figura bruna.
"Ha fatto in fretta a calmarsi." - mormorò, guardando Angel percorrere il marciapiede, a passo regolare.
"Sarà stato il destino…" - commentò lei, pungente. Quel tanto che bastava per vergognarsi, sotto l'occhiata gelida di Spike.
"Brava…" - rispose l'altro - "Così ti voglio.. dura e ingiusta."
"perchè non è ingiusto il vostro continuo sbattermi sulla faccia verità che non posso accettare! Il suo tormentarmi, il tuo sfottermi… il morso e tutto quello che comporta! Darla, mio padre, il mio lavoro e le mie certezze! Non è ingiusto tutto questo?"
"Certo che lo è." - ribattè Spike, indurendo lo sguardo - "Ma è sempre così. e non credevo che tu fossi tipo da lamentarti. Né tantomeno, non mi sembri il tipo che chiude gli occhi e preferisce non vedere."
"Cosa ne sai, tu, di me!"
non le rispose. Alzò lo sguardo e vide Angel passare a fianco della macchina. Ed entrare dal cancello, senza vederli.
Fingendo di non vederli.
E fingendo di non sentire il tono furioso di Kate.
Dopotutto sarebbe stato più facile non sapere niente di lei. E ignorarla.
"Sarà meglio che vada…" - mormorò, afferrando la maniglia e aprendo la portiera.
Ritrovandosi già fuori dalla macchina, quando una mano lo afferrò per la spalla, fermandolo.
"Aspetta." - Kate si protese verso di lui. Ed il suo profumo lo colpì, intensamente, come l'aroma di Angel che ancora le persisteva sulle labbra e sul viso.
Un contatto fugace ed ormai quasi svanito. Ma un contatto che sapeva di amore e delle parole non dette.
"Dimmi, Kate." - disse, in risposta a quel gesto. Con un sorrisetto negli occhi e sulle labbra - "Non eri stufa delle mie verità e delle mie prese in giro?"
Kate lo guardò, senza dirgli nulla. Si specchiò nei suoi occhi grigi e rimase persa, nelle cose che non sapeva chiedere, nel non sapere fin dove poteva spingersi.
E nell'incontrare quegli occhi d'acquamarina, spike si sentì invadere da quella che doveva essere l'angoscia di lei. La sua paura, la sua incapacità a farsi capire, il suo dolore nato dalla solitudine.
In lei muoveva un mondo fantastico a lungo represso. Kate era cresciuta troppo in fretta, nella sua vita. Aveva percorso una strada senza risparmiarsi la violenza, senza cercare appigli.
E cercando di rifiutare le domande che non aveva mai smesso di porsi, sottostando a regole ferree di disciplina, come se potessero rassicurarla. E fermare finalmente il suo vagare.
Le regole… Kate rifiutava le regole del loro gioco. Ed era giusto. Era umana, ai margini del mondo umano, ad un passo dal sentirsi parte di quello dei demoni e dei loro rituali.
Come se potesse essere l'ultima grande accusa del suo essere... diversa.
E spike leggeva tutto questo e ricambiava, con il suo sguardo azzurro e dannatamente limpido.
Senza comunicarle nulla, con le parole ed i gesti, ma solo con gli occhi.
Fino a decidersi, finalmente, a risalire, chiudendo di nuovo la portiera.
"Va bene, Kate, spiegami tutto."

Non gli disse poi molto. Erano più silenzi che altro.
Nel momento in cui aveva visto Spike arrendersi e restare, si era pesantemente appoggiata allo schienale, cercando di sciogliere la tensione delle spalle.
Non sapeva spiegarsi perché avesse voluto trattenerlo. Dopotutto, sarebbe potuto andare a parlare con Angel, magari avrebbe sistemato quel disastro che Kate sapeva di aver combinato.
Ed aveva mormorato qualcosa, sull'argomento. Ma non era nella sua indole credere veramente che un tramite potesse più di lei.
Nella vita aveva imparato a fare da sola ciò che andava fatto. A credere che, se non avesse pensato lei a se stessa, non l'avrebbe fatto nessun'altro.
E meno degli altri, un'inaffidabile vampiro platinato.
Ma Spike non aveva replicato. L'aveva guardata, mentre si ravviava nervosamente i capelli e allungava le mani per stringere il volante, come se resistesse a stento, al desiderio di andarsene.
L'aveva sentita imprecare, per quella strana situazione in cui si era cacciata, e per la sua impossibilità ad uscirne.
Ed aveva lasciato che continuasse così, a sfogarsi, pensando di parlare da sola.

Ed alla fine…

Kate abbandonò le mani sulle ginocchia e tirò un respiro. Non si sentiva meglio, si sentiva solo stanca.
Buttò fuggevolmente un'occhiata all'orologio, sul cruscotto, e si stupì di quanto il tempo fosse trascorso lento, da quando aveva varcato il cancello dell'Hyperion.
Volente o nolente, presto sarebbe stata richiamata dai suoi doveri, al suo distretto ed alle sue indagini.
Tirò un altro respiro, rassegnata. E si voltò, a fissare Spike.
Aveva atteso pazientemente, appoggiandosi con la guancia alla mano. E guardandola, alle prese con il suo show personale di recriminazioni.
E fu in quel momento, nello scambiarsi un'occhiata reciproca, che si accorse del paradossale.
Seduta in macchina con uno sconosciuto, con un demone dalla atteggiamento sarcastico. Esibizionista quanto bello, dalla lingua graffiante.
Ma uno sconosciuto. Uno che nulla sapeva di lei, nella misura in cui Kate ignorava tutto di lui.
Eppure, averlo vicino, era come una scossa elettrica…
"Perché, secondo te, ho fatto una cavolata del genere?" - domandò, fissandolo.
Aspettandosi tutto, tranne l'espressione di serafica intesa.
"Perché mi hai trattenuto? È una bella domanda." - rispose - "Ma non me ne stupisco. Può darsi che tu non sappia resistere al mio fascino.. oppure che tu non riesca a capire perché, a starmi vicino ti si raddrizzino tutti i peli sul corpo."
"Io non…" - cominciò lei, subito combattiva.
"Andiamo Kate, non fare anche tu la tonta! Sai bene a cosa mi riferisco. " - Spike le gettò un'occhiata storta - "tu hai un legame con me tramite Angel. Hai voglia di parlarmi e sai di poterti fidare perché il tuo istinto ti dice che puoi farlo. Quel morso non ti ha cambiata. Ma tu, tramite quello, puoi sentirmi.. e soprattutto sentire Angel."
"Cosa?" - mormorò Kate, aggrottando le sopracciglia. La spiegazione di Spike era plausibile, quasi scientificamente accettabile. Ma adesso erano le implicazioni a farle paura. Essere percepita dai vampiri.. ed ora, come un boomerang pronto a tornare indietro… percepire i vampiri…
"Angel avrebbe dovuto essere diretto. E spiegartelo subito, invece di perdersi nei preamboli e farti imbestialire" - tagliò corto Spike - "ma, si sa, è un tipo diplomatico. Tu puoi sentirlo, con quel morso? Avrebbe dovuto chiederti solo questo. È la risposta sarebbe stata sì, vero Kate?"
Kate lo fissò. E la rabbia di essere in trappola le attraversò lo sguardo. Spegnendosi di colpo, nel ricordare, nel ricordare la pelle che si ghiacciava ed i brividi improvvisi. L'agitazione ed il pensiero, il suo viso prepotentemente nella mente.
"è sì la risposta, Kate?" - insistette.
Aspettando, fino a vederla annuire, riluttante.
"Angel non può sentirti. Per lui l'importanza di quel segno sta nell'esserne l'artefice." - spiegò, lento - "Non può usufruirne in nessun modo. Un vampiro antico, o legato a lui, potrebbe trarne maggiore consapevolezza. Ma Angel non ti ha preso nulla.. se mai ti ha donato qualcosa…"
Kate lo fissava. Ed ora sembrava meno confusa. Era pronta, pronta ad assimilare quel concetto, a trarne debite conclusioni.
E a riprendersi, come solo lei sapeva fare. Come se nuova forza le sgorgasse dall'interno, per alzare risoluta lo sguardo ed affrontarlo.
Di nuovo una sfida.
"E tu? Devo arguire che tu l'abbia usato tutta la sera, per essere tanto comprensivo?" - ringhiò.
"Comprensivo io?" - Spike spalancò gli occhi il più possibile, per aderire perfettamente all'immagine di innocente ingiustamente accusato - "Ma io non sono comprensivo per niente. Sono solo uno che non ha bisogno di mentire, visto che ho le risposte! E quel segno dei canini di Angel non mi serve poi molto…"
E visto che Kate lo guardava torva…
"Posso sentirti se sei vicina." - aggiunse, con aria di sopportazione - "E, a quanto pare, sono vagamente sensibile ai tuoi sbalzi d'umore."
"A quanto pare?" - ripetè lei, con tono inquisitorio.
"Ascoltami bene, sbirro. Non mi piacciono gli interrogatori. Dico quello che mi pare quando mi pare. Fine della storia. Hai convissuto finora con quel segno e non ti è successo nulla. Non farne un caso…"
"Prima c'era un'insufficienza di prove." - replicò lei, prontamente.
"E adesso c'è un esubero di informazioni. Per cui piantala di lamentarti." - ribattè. Per poi restare un attimo in silenzio. Prima di riprendere - "eppure sono quasi certo che non tornerai tanto presto…"

Adesso le sembrava di scorgere una vena di preoccupazione, nel suo sguardo. Una scintilla, dissimulata e diluita dal sarcasmo con cui si esprimeva.
E Kate, per la prima volta da molto tempo, seppe che stava parlando con una persona a cui poteva realmente importare. Qualcuno che aveva voglia di aiutarla, di appoggiarla. Di darle le risposte.
Qualcuno che era.. che poteva essere… un amico.

E la sua bellicosità svanì.

Non era fatta di ghiaccio perenne. Adesso, sotto i suoi occhi, Spike poteva vedere quasi l'ammorbidirsi delle sue spigolosità, in un fuggevole palpitio.
E capì che era quella la Kate che Angel vedeva da sempre. E amava. La Kate che non era pronta a un amore tanto grande. E che era capace di donarsi, improvvisamente e totalmente, con un fiore che si apre per una singola notte.
Ora Kate lo guardava con occhi diversi.
E Spike riusciva a fissarli, senza scorgere mai una fine per la loro profondità.

"No." - scosse il capo - "Non tornerò presto. Ho bisogno di tempo. Ma tornerò, spike. Tornerò da Angel. Posso… poso farcela."
E Spike annuì.
"Sarà così, Kate. Non dubitarne." - rispose, posando la mano su quella di lei. In una stretta leggera quanto importante.
"Ehi! Che fai!" - Kate sbarrò gli occhi, mentre Spike le voltava la mano e, con l'altra frugava nel cruscotto.
"Per essere certo che le cose vadano come devono…" - spiegò petulante il vampiro, impugnando una penna - "evita quei momenti di avvilimento del tipo 'sono sola e incompresa'. E se proprio non puoi farne a meno…"
Era assolutamente sbalordita. Spike le stava scrivendo un numero di telefono su un polso. Come un liceale che chiede un appuntamento, come un bullo da bar. Era una cosa inammissibile! Ma così tenera…
"Potevi mordermi, mi sarei certamente ricordata di te." - rispose, quando con aria trionfante, fece schioccare la penna per chiuderla.
E spike sbarrò gli occhi, davanti a quell'ultima graffiante provocazione. Prima di scoppiare a ridere, sorpreso e deliziato allo stesso tempo.
Guardandola, ammirando quel progressivo inarcarsi della sua bocca in uno stesso eccesso di ilarità.
"Bhe, adesso sarà meglio che vada." - concluse Spike, quando sembrarono essersi calmati entrambi.
"Aspetta."
"Ancora? Kate, prima o poi al sole verrà in mente di sorgere… posso scendere, per piacere?" - la tormentò.
"Oh, taci, un secondo." - sospirò lei, sfilandogli la penna dalle mani. E poi fermandosi, con un'esitazione - "Si può scrivere sui vampiri?"
E Spike, già per metà fuori dalla macchina, le buttò un'occhiata irriverente, prima di porgere un braccio.
"Tanto vale che provi…"

VI
Aspettò che avesse messo in moto e si fosse avviata per la strada. Partendo gli aveva fatto un cenno di saluto. Nel guardarlo, con un mezzo di sorriso di accondiscendenza, gli occhi le si erano illuminati, come pietre dure e sfaccettate, dandogli nuovamente l'impressione che avesse orbite vuote e fredde.
Quella ragazza…. Quella ragazza era semplicemente da amare.
E, sorprendentemente, soffermandosi proprio su questa riflessione, Spike aveva provato una punta di dispiacere nel non essere il vampiro a cui Kate prestava tanta attenzione.

Un breve cenno.
Non sapeva nemmeno perché si fosse comportata in quel modo. Un cenno, mettendo in moto. Come se fosse un accordo segreto, per vedersi, per uscire…
Ancora una volta le sembrò di essere tornata alle superiori, ad un breve periodo do felicità, con amici e emozioni adolescenziali.
Un cenno, la certezza di vedersi inderogabilmente il giorno dopo… ma come era possibile che un vampiro che le risvegliasse questa complicità? Cosa c'era in quel teppista biondo agli antipodi delle sue certezze che potesse essere realmente importante nella sua vita?
Non esagerare, Kate, si ammonì. Dopotutto era solo un cenno di saluto…

Cenno che Spike aveva ricambiato, prima di addentrarsi tra le ombre del piccolo incolto giardino tropicale. E in quel mentre, quasi giunto alla porta di ingresso, sentì passi alle sue spalle.
Cordelia.
Si fermò, riflettendo. Ma quando era uscita? Si era chiusa in camera, già prima che arrivasse Kate.
E Doyle? Non era sceso a parlarle?
Perché era sola?
Oh, dannazione, non poteva inventarsi le risposte…
"Gattina!" - esclamò, aspettandola - "Ma da dove spunti?"
"Ho fatto due passi. E Tu?"
Aveva un tono stanco. E vagamente spento.
Gli passò a fianco, mormorando un breve grazie, quando il vampiro le aprì rispettosamente la porta di ingresso.

Nella sala che si affacciava sull'ingresso, abbandonato sul divano come un vecchio straccio, dormiva Doyle con un braccio allungato, ed una mano quasi a sfiorare il pavimento.
Cordelia si fermò, con un lento giro su se stessa.
Tutto era tornato a posto. Non restava nulla di quel rinnovo lasciato a metà qualcuno aveva pazientemente riportato i mobili nei posti giusti e poi riavvitato le lampadine nelle appliques.
Eppure Cordelia non fece commenti. E spike, fermo poco lontano, la vide riprendere a muoversi.
"Buonanotte." - mormorò, prima di chiudersi la porta della camera alle spalle.
Fu tentato di seguirla. Ma quella porta chiusa era un chiaro segno di desiderio di solitudine. Gli restava solo da sperare che, come accade talvolta, la notte, o almeno quel che ne restava, portasse via gli ultimi malumori.
E che domani, all'ora di colazione, Cordelia fosse nuovamente la loro luminosa Cordelia.
Si avviò su dalle scale. E quando fu a metà rampa, girò su se stesso, e tornò indietro. Discese e svoltò, passando sotto l'arco. Avvicinandosi e sedendosi, sulla poltrona, poco lontano dal divano.
"Mi spiace." - mormorò - "Ti ho svegliato?"
"Non importa." - sbadigliò Doyle, strofinandosi la faccia. Stava seduto al centro del divano, con un certo aspetto arruffato - "Sai se Principessa è rientrata?"
La sua priorità. Non era ancora sveglio, ma già chiedeva di lei.
"Da un paio di minuti." - rispose. E, dopo una serata passata a cercare di appianare le difficoltà romantiche di Angel, non se la sentì di ficcare il naso in quelle di Doyle. Buttò un'occhiata in giro, ammirando il fatto che quella grande stanza non sembrasse più Beirut - "Però… ti sei dato da fare…"
Doyle soffocò un altro sbadiglio e controllò l'ora.
"Mmm… mi sono solo appisolato. Ho perso la cognizione del tempo. Dove sei stato?" - chiese, per snebbiarsi i pensieri.
"Qui fuori, a parlare con Kate."
"Già. Adesso che ci penso, angel mi ha detto che eri con lei.."
"Gli hai parlato?" _ Spike si sporse, piegando le ginocchia e gettando un'occhiata al numero segnato sul polso. Sapeva che non l'avrebbe usato, almeno per il momento. Ma voleva essere certo che non si cancellasse, prima di rivelarsi basilare.
"Non molto." - adesso si strofinava i capelli, fino a farli sembrare un pagliericcio scuro - "Non penso fosse in vena. E fossi in te lo lascerei stare per un po'."
"Non avevo bisogno di sentirmelo dire." - rispose, distrattamente. Il fissare il numero gli aveva portato alla mente un'altra cosa…
"Credo che andrò a dormire nel mio letto." - sospirò il demone, alzandosi.
"Doyle, scusa. Potresti fermarti ancora un secondo?" - domandò, continuando a fissarsi la mano - "Dovrei parlarti di una cosa."
Non ne aveva realmente voglia. Da qualche parte, dietro una porta certamente chiusa, doveva esserci Cordelia. La sua piccola Cordy, con una macchia a turbare la sua serenità.
Qualcosa di ben peggiore di un pavimento sporco, di un conto sbagliato e di un'Apocalisse.
Qualcosa capace di spegnerle il sorriso.
Eppure, pur sapendolo, si risedette.
E guardò spike. E la sua espressione troppo concentrata.
"Agenzia Cuori spezzati Doyle al suo servizio…" - mormorò, massaggiandosi una tempia. E chiudendo gli occhi, per riordinare i pensieri e le massime da rifilargli.
"Lascia perdere i cuori spezzati." - replicò Spike - "Cosa sai del morso di Kate?"
"Il morso di chi?" - domandò, aggrottando la fronte senza riaprire gli occhi.
"Di Kate. sai di cosa sto parlando?"
"Ma sì, lo so." - sospirò Doyle. Non ne sapeva abbastanza ma tanto quanto bastava - "Angel l'ha assaggiata e si vergogna abbastanza. E allora?"
"E' un segno attivo, non passivo."
Era un'informazione rilevante. Doyle aprì gli occhi e lo fissò, improvvisamente sveglio.
"Va' avanti."
Di risposta, spike girò la mano nella sua direzione, mettendo in bella vista la cicatrice che aveva sul palmo. La cicatrice attiva, l'unico misterioso segno del suo legame telepatico con Angel. Fondato ma inspiegabile.
"Ho toccato la cicatrice di Kate con questa mano." - Spiegò - "Ed è stato come essere attraversati da una lama gelida. Non me lo sono inventato, questo è certo. Credo fosse energia ed anche in quantità massiccia. Così me ne sono accorto."
Un segno attivo… se spike aveva ragione, quel morso assumeva di colpo un'importanza che nessuno gli aveva realmente attribuito. Non era solo un segno di desiderio e di amore. Non era solo una denuncia di possesso. Era qualcosa che addentrava Kate nel loro mondo oscuro.
Era qualcosa che legava Kate al demone di Angel.
Mio dio… Kate nelle tenebre…
"Angel lo sa?" - mormorò, pensieroso.
"No. ne soffrirebbe." - rispose Spike, passandosi un dito sulla cicatrice. Cercando ancora un residuo di quella sensazione - "Penso si limiterebbe a pensare come l'ha rovinata, condannata, sporcata ed altre cavolate connesse. Quello che mi interesserebbe sapere è… perché. Solo perchè. Perché il morso di Kate è un veicolo magico?"
Veicolo magico… questa doveva averla imparata da Wes…
Doyle continuò pensosamente a tormentarsi un ciuffo di capelli. Per quanto si sforzasse, non aveva risposta né dall'Alto né dal buonsenso.
E questo poteva significare solo due cose.
O Spike aveva preso un abbaglio.
O si era imbattuto in qualcosa di talmente grosso…
"Bhe?"
"Spike, con tutta la buona volontà, non so cosa dirti." - ammise, guardandolo. E smettendo una buona volta di tormentarsi la capigliatura - "E non solo per il fatto che non ho nessuna voglia di stare qui a parlare con te e perché mi sono appena svegliato. Non so cosa dirti perché non ne so nulla."
"Nulla?" - Spike lo guardò, puntando un dito verso il cielo - "Neanche i tuoi informatori altolocati?"
"Nemmeno loro." - Doyle scosse la testa. Domandandosi se il suo cervello stesse sbattacchiando a destra e manca dentro la testa - "Ma per chi mi hai preso. Non sono il centro informazioni del mondo demoniaco…"
"Va bene. Ricevuto il messaggio." - commentò Spike, alzandosi - "E visto che non hai messaggi particolari da riferirmi, puoi almeno rifilarmi una delle tue frasi storiche?"
Doyle si tirò un'altra volta i lineamenti, prima di alzare lo sguardo per fissare quel vampiro pieno di quesiti che incombeva su di lui.
"Una sola." - indicò - "Una sola frase storica. Vattene a dormire e non ti preoccupare. Perché, in questa storia, abbiamo un'unica grande certezza."
"E sarebbe?"
"Sarebbe che, ringraziando il cielo, periodicamente le donne di Angel prendono in mano la situazione. Ed io non dubito che, quando Kate vorrà veramente una risposta, andrà a cercarsela e se la prenderà con la forza."

E detto questo tese una mano, perché l'altro l'aiutasse ad alzarsi.
Spike non se lo fece ripetere. Cambiando la sigaretta di mano, gli diede lo strattone necessario per metterlo in piedi.
E quando furono faccia a faccia, l'ultima domanda gli arrivò sulle labbra.
"E per il cuore di Angel… come la mettiamo?"
Eccolo lì. Il grande Spike alle prese con un'altra grande crociata. Tutta la bellicosità nello sguardo e una preoccupazione in ogni riflesso.
Per un attimo, a Doyle sembrò di vedersi riflesso, in quegli occhi. Per un attimo si sentì vicino a quel ragazzo come mai si era sentito, come se la preoccupazione per le stesse persone li unisse indissolubilmente.
Avrebbe voluto dirglielo.
Ma non lo fece.
E si limitò a scuotere appena il capo, mascherandosi dietro un sorriso stanco.
"Vedi, William." - sospirò, posandogli una mano sulla spalla e non curandosi di giustificare quell'abuso di nome - "Il cuore di Angel è pieno di cicatrici. Non avremo mai modo di evitare che se lo trafigga da solo, o che qualcun altro lo faccia soffrire.
Per quanto mi spiaccia, dobbiamo lasciare le cose come stanno."
Spike lo squadrò e, per una di quelle rare volte in vita sua, stette zitto.

"Principessa?" - Doyle si affacciò dalla porta.
Aveva più volte bussato, sommessamente. C'era luce che filtrava, da sotto la porta. Cordy era sveglia… ma non rispondeva.
"Principessa? Disturbo?" - ripetè, entrando e appoggiandosi alla porta, per chiuderla. Si sentiva a disagio.
Era la sua stanza, gli abiti lasciati in giro esprimevano al meglio quel possesso. Eppure, in quegli attimi, gli sembrava di avere invaso l'angolo di un altro.
"Cordy?" - chiamò sommesso. La stanza era in penombra, illuminata più dalla luce del bagno che dalla piccola abat-jour del comodino.
E, in quel silenzio imbarazzante, risuonava lo scorrere dell'acqua.
"Cordy?" - chiamò ancora, avanzando verso la porta. E aprendola, lentamente.
Cordelia sedeva sul bordo della vasca. Era avvolta nell'accappatoio di Doyle ed il suo asciugamano era ancora meticolosamente appeso all'attaccapanni.
Portava i capelli sciolti sulle spalle e giocherellava pensosamente, sfiorando appena l'acqua con le dita.
Rimase sulla porta, a contemplarla, un attimo.
Anche adesso, avvolta come un fagotto e dimentica dell'apparenza, Cordelia brillava di quella luce che doyle si portava dentro, giorno dopo giorno, dal momento in cui l'aveva vista, la prima volta.
"Sei così bella…" - sussurrò, restando accanto allo stipite, appoggiato.
Fu allora che Cordy si rese conto di non essere sola. Si voltò e lo guardò. Colpendolo, con quell'espressione triste e pensierosa.
"Non ti avevo sentito…" - disse, guardandolo. E fu dopo un attimo che si riscosse del tutto.
Si alzò, chiudendo il rubinetto dell'acqua e stringendosi un po' di più la vecchia cintura consunta in vita.
"Perdonami… ho preso il tuo accappatoio perché avevo freddo." - aggiunse. Cingendosi con le braccia.
Doyle si mosse, venendole incontro. E abbracciandola piano. Sentendo le sue mani posarsi sul petto, mentre ne incontrava lo sguardo.
"Non mentirmi, Cordy, ti prego." - sussurrò, con lo sguardo pieno di una pena infinita - "Non mi importa se usi il mio accappatoio… ma non posso sopportare che tu ti avvolga nei miei vestiti perché ti senti abbandonata."
Lo fissava, senza rispondergli.
"Non dubitare così, di me." - continuò, temendo che la gola gli si serrasse irrimediabilmente, mentre le scivolava tra i capelli con le mani - "Io posso esserci sempre, io voglio esserci… sempre. Non ti serve un vecchio accappatoio per sentirmi a fianco a te…"
Aveva voglia di piangere. La tristezza silenziosa di Cordy lo sommergeva, mentre lei dolcemente gli posava la guancia sulla spalla, chinando la testa.
Perdendosi nelle sue parole, e nel riflesso dell'acqua racchiusa nella vasca.
Restando così, lasciando che le ravviasse i capelli con le mani, senza aggiungere una parola a quelle semplici che sapeva sussurrare.
Fatte di un amore che le sembrava di non poter sostenere, di un amore che, forse, non meritava del tutto.

Si riscosse, sciogliendo l'abbraccio e voltandosi, perché non vedesse la lacrima.
"Non ti preoccupare." - rispose,con voce appena soffocata, strofinandosi il viso nella manica di spugna - "Ho solo avuto una giornata faticosa. Capita a tutti…"
Stava mentendo, di nuovo.
Adesso non osava più voltarsi.
Per la prima volta, stava mentendo a doyle. E non poteva fissarlo in viso e sapere che quello sguardo terso non era più parte di un sorriso.
Rimase ferma. Congelata dal suo sbaglio. E scaldata, da un abbraccio, dalle due braccia che la cinsero, da dietro.
La bocca di Doyle le si era posata su una spalla. Quasi poteva percepire la linea che le labbra di lui segnavano sulla superficie morbida e sottile dell'accappatoio.
I loro corpi, aderendo uno all'altro, sembravano fondersi in un unico fascio di calore. Il cuore di Doyle batteva forsennatamente. Cordy lo sentiva, come una percussione, al centro della schiena.
Ma Doyle non parlava.
In silenzio le comunicava tutto, tutto ciò di cui poteva essere capace. Le dava amore, conforto, certezze.
E non gli importava di essere stato appena ripagato con la menzogna.
La stringeva, possessivamente, cercando di ignorare la paura di perderla, quella paura che lo stritolava, quando la vedeva correre e polverizzare vampiri.
Quando la vedeva ad un passo dall'essere sopraffatta da demoni e malvagità di ogni genere.
La paura che ora lo frastornava, per quel pericolo che non riusciva a vedere. Per quel muro che tra loro cresceva, collocandosi al centro del cuore di Cordelia.
"Non mi vuoi dire cosa ti succede?" - mormorò, ancora.
Non si sarebbe arreso facilmente. Avrebbe dato il mondo, per lei.
La vita, il mondo… tutto ciò che aveva già dato… e tutto ciò che avrebbe mai posseduto.
La sentì sospirare, e abbandonarsi un po' di più. Inarcando la testa indietro, fino ad posargli la fronte sul collo.
"Perdonami, Doyle." - sussurrò - "Certe volte sono proprio una sciocca."
"Non fa niente." - rispose lui, mentre i loro corpi si intrecciavano. Stringeva Cordelia per la vita e viveva di quel respiro caldo che gli colpiva la pelle. Non c'era nulla, all'infuori di questo che potesse avere importanza - "Non fa niente, sul serio. Vorrei solo…"
Si interruppe. Di colpo, di fronte agli occhi ebbe di nuovo il viso di Angel. Così come lo aveva visto, mentre varcava le porte dell'Hyperion.

Si era fermato, a cavallo dell'arco. E doyle aveva alzato appena la testa, per guardarlo.
Per leggere negli occhi il tumulto che ben conosceva.
Il dolore che anneriva le sue iridi, scolpendogli i lineamenti.
Lineamenti duri.
Che neanche quella singola lacrima, scendendo, sembrava addolcire.

"Vorrei solo che in amore fosse sempre tutto semplice. Che bastasse stringersi e guardarsi in viso, per sapere che andrà tutto bene.
Vorrei non ci fossero addii, non ci fosse paura e non ci fossero mai parole di troppo, fatte per ferire.
Basterebbe così poco… basterebbe così poco ad essere felici, allora…."
Gli erano semplicemente sfuggite dalle labbra, quasi simili ad un singhiozzo, ad un sospiro.
Con le labbra era tornato ad accarezzare quella vecchia stoffa consunta, scoprendola impregnata ormai del profumo di Cordelia, non più del suo datato dopobarba.
Scoprendosi impregnato di lei, fino all'ultima cellula.
"Oh, Principessa.. questa volta non ci basta questo amore, vero?"
la sentì scivolargli via dalle braccia, senza dolore.
E la vide sedersi nuovamente sul bordo della vasca, inconsciamente nella stessa posizione in cui l'aveva trovata.
Come se, poco a poco, non potessero che tornare sempre sui loro passi.
"tempo proprio di no." - sospirò lei, sorprendendosi per l'acqua ancora bollente del suo bagno.
Temo che sia il caso opposto, doyle.
Questa volta il problema è il troppo amore.
Stava tornando a chiudersi. E Doyle si ribellava all'idea.
"E'.. è per tuo padre?" - azzardò, infilandosi le mani in tasca. E sentendosi spregevole a tentarla con una domanda di cui già sapeva la risposta negativa - "se è per tuo padre, o per l'avvocato, possiamo farcela. Io ho dei risparmi, non molto ma qualcosa c'è… e possiamo trovare…"
e fu allora che lei rise.
Una risata leggera, un po' spenta.
Poco più di un sorriso, incapace di illuminarla veramente.
"No, Doyle." - rispose, tornando a spegnere quell'ombra di ilarità in uno sguardo serio e dolce - "Non è mio padre. Il suo avvocato può dire ciò che vuole… ma sono in pari con le quote. Non è quello…"
Appariva tesa, nel tirarsi indietro i capelli.
E nel voltarsi, per continuare a parlare, ostinatamente senza fissarlo.
"Non è quello." - ripetè - "E' che io ho avuto… ho avuto un ritardo…"

il cuore gli era scoppiato?
No. gli sembrava di essere ancora vivo. Ma viveva senza respirare, non riusciva a obbligare i polmoni a espandersi.
Oh, dannazione, ma è così che ci si deve sentire, in queste situazioni? Con la cassa toracica in calcestruzzo?

Si impose di stare calmo.
Perché così come non aveva capito, nel primo attimo in cui le parole si erano librate... non era certo di capire nemmeno adesso.

"Credevo di avere sbagliato i conti. Non ne ero certa. Poi… poi ho pensato che era ora di mettere in chiaro la situazione. E sono andata a fare le analisi. Sto ancora aspettando i risultati… ma adesso so cosa mi diranno.."
Tacque, con gli occhi bassi.
Prima di rialzarli e fissarlo, lasciando finalmente libere quelle lacrime che non sapeva di voler lasciar andare.
"Niente bambino, doyle." - singhiozzò - "ed io, come un sciocca, mi sono illusa così tanto... mi sembrava una cosa… io… io ci tenevo tanto…"

Per un singolo attimo pensò di non doverla toccare, di doverla lasciare alle sue lacrime e chiamare magari Faith, perché potesse parlare con una ragazza, con qualcuno in grado di capirla.
E capì, in quel singolo pensiero, che aveva voglia di fuggire. Di scappare via, lontano da tutto questo. Da questo dolore che non sapeva se doveva provare.
Questo dolore che diveniva gioia e tornava ad essere dolore.
Non aveva mai osato immaginarla… eppure, in quelle poche e scarne parole di Cordelia, per un attimo, era rimasta racchiusa l'immagine… la sua immagine, con un bambino, un bambino tra le braccia.
Non aveva mai osato immaginarla in quel modo. Un bambino.. un bambino come quelli che aveva tanto amato, per quel breve periodo felice da insegnante.
Un bambino che fosse parte di lui, e di lei.
Un desiderio che non sapeva avessero in comune. Rimase fermo, come inebetito, mentre Cordelia tornava a rifugiarsi contro il suo petto, contro il suo corpo, con l'accappatoio che un po' le scivolava di dosso e un po' le impediva i movimenti.
Mentre, come un automa dallo sguardo fisso, tornava a stringerla, a stringere quei suoi sussulti.
"Ero così arrabbiata... avevo pensato a come dirtelo, se comprarti i sigari da distribuire agli altri, visto che non ci avresti mai pensato…. Avevo pensato a tante cose, tante… "
Adesso era lei ad abbracciarlo. Ad afferrarlo e stringerlo, come una pena infinita.

Il suo corpo rispose istintivamente, a quel calore, cingendola, dandole un'ombra di conforto, di partecipazione.
Cosa… cosa poteva essere meglio…
Un conforto ridente? Un attimo di dolore in comune?
Oppure solo questo restare, uniti, stretti uno all'altro.

"Un giorno non sarà un'illusione…" - mormorò.
Mantenendo lo sguardo fisso.
Con voce immota, tanto da far scostare Cordy.
Da farle credere che stesse avendo una visione.
Ma non era così.
Stava guardando lontano… ma con lo sguardo del cuore.
"Un giorno non sarà un' illusione, Principessa. Te lo prometto.
Avremo figli ed una famiglia. Bambini che non ci lasceranno dormire e per cui mi farai smettere di fumare. Avremo tutto questo…."
La fissò in viso, guardò nei suoi occhi pieni di lacrime.
"Mi dispiace che non sia oggi, quel giorno." - aggiunse.
Non sapeva cosa fosse veramente da dire.
La guardò, tristemente, tornando a prendere il controllo del suo corpo, ricambiando il suo abbraccio. Tornando ad essere veramente con lei, il suo pianto ed il suo sogno infranto.
"Ho sempre così paura di perderti." - rispose Cordy, mentre Doyle le cancellava le lacrime dal viso, lacrime che ancora non si erano fermate - "ci sono giorni in cui penso che te ne andrai di nuovo. Che ti perderò, e questa volta sarà per sempre."
"Io sarò sempre con te. Lo sono stato, anche quando non lo sapevi." - stavano tremando, entrambi. Il vapore soffocante del bagno li faceva rabbrividire, raffreddandosi sulla pelle.
Tremavano. E Doyle non poteva fare a meno di scacciare dalla mente il desiderio di un terzo chiuso in quell'abbraccio. Il terzo mai sperato.
Il terzo che forse non c'era mai stato.
Il terzo che forse c'era stato per un singolo istante.
"il mio amore per te…" - disse Cordelia, guardandolo - "il mio amore per te talvolta è troppo. Non riesco a sopportarlo, non riesco a viverlo. Dammi qualcun altro con cui dividerlo, per piacere."
La guardò e le parole scivolarono via. Non voleva baciarla, non voleva sussurrarle nulla.
Non voleva più destino, non voleva più nulla.
Voleva solo restare. Restare per sempre.
Come ora.
Le loro fronti una contro l'altra.
I loro respiri caldi, uno nell'altro. Gli occhi chiuso, il tremito, il petto aritmico.
Strinse gli occhi, mordendosi le labbra.
"Non so come sia successo." - sussurrò, rabbrividendo - "un giorno mi sei divenuta indispensabile. Non potevo più pensare a nulla, nulla senza di te. Sono morto, e c'eri ancora tu. Non avevo più mente ma eri sempre tu. Tu."
Piangeva, singhiozzava disperatamente, guardandola, stringendola. Incoronava di quella rugiada salata il suo sorriso più bello.
"E' sempre stato più grande di me. È sempre stata l'unica cosa che sapevo di poterti dare. L'unica cosa con cui potevo competere a ciò che tu mi hai sempre dato. Ma nulla vale il tuo primo sorriso, al mattino, quando mi alzo. Nulla vale quanto quel singolo gesto con cui mi sistemi il collo della camicia.
Non ho trovato ancora nulla di altrettanto grande da darti.
E ti darei tutto, il mondo, la vita… ti darei tutto."
Fece un respiro, profondo, per riacquistare il controllo della sua voce, imprimendosi la consistenza della sua pelle e i lineamenti del suo viso tra le mani.
Cordelia si vedeva riflessa nei suoi occhi chiari. Si vedeva, in ogni singola lacrima che gli era scivolata dalle ciglia.
E sapeva che tutto, in Doyle era per lei. Troppo amore.
Amore per riempire ben più di un'esistenza.
Ma chi erano loro, per pensare di appartenere ad un singolo istante ed a un singolo momento nell'universo?
Perché avrebbero dovuto sentire la loro temporaneità, mentre si lasciavano travolgere da tutto questo?
Ansimò. Aprì i polmoni, cercando ancora ossigeno. E lo fissò, divenendo la roccia che non sapeva di essere.
Il faro, per quel demone trasandato che aveva paura di quell'amore quanto lei.
"Oh, Doyle." - gli sorrise, come un pallido sole all'alba. Annuendo, tornando alla sua espressione, nel fissarlo - " Tu... Hai ragione. Avremo tempo.. tempo per tutto…"
E la sua espressione tornò dolcemente a sgretolarsi. Mentre lo abbracciava, mentre seppelliva il suo viso, inondandolo con i suoi capelli di seta brunita.
"Ti amo anch'io, doyle. E ti amo con la paura di non dirtelo mai abbastanza." - sospirò. E nell'attimo di silenzio che seguì, Doyle la sentì abbandonarsi ad una leggera risata.
Come il suo corpo fremesse di mille campanellini.
"Oh, Doyle." - rise lei, guardandolo e stritolandogli il collo. Tanto da far toccare la punta dei loro nasi - "Non è una questione d'amore… è che noi siamo fatti uno per l'altra!"
Con le stesse paure…
Gli stessi desideri inconfessati…
Lo stesso… lo stesso futuro…
E visto che lui la guardava, con occhi che andavano rischiarandosi della stessa scherzosità, aggiunse.
"Anche se io mi vesto meglio, ovviamente."
Lo disse con un tono petulante, simile a quello di tutti i giorni. Ma Doyle vi sentì la speranza, quella che non le veniva dal suo ottimismo innato. Era la voce di chi ha trovato, ancora, qualcosa in cui credere. E in cui sperare.
Qualcuno capace di rialzarsi. Qualcuno che, da sempre, non faceva che gettarsi tutto alle spalle. E ricominciare da capo.
Con basi e radici sempre più forti.
Avrebbero avuto tempo. Avrebbero avuto ancora giorni tristi e felici. E, in questo susseguirsi di istanti, avrebbero avuto figli, e altro amore. Ancora amore da aggiungere ad amore.
E non avevano bisogno di parlarne più, per quella sera.
Le disse tutto questo, con gli occhi, lasciando che le loro lacrime si asciugassero naturalmente, profumando la loro pelle con una tempesta che li aveva soltanto resi più forti.
"Non ne sarei così sicuro." - replicò, con un mezzo sorriso impertinente - "Dopotutto, hai il mio accappatoio, addosso."
"Ah." - commentò lei, fingendo di essere contrariata - "Se è solo questo il problema, possiamo sempre rimediare."
E Doyle non si stupì troppo del fatto che l'accappatoio incriminato si stesse già accumulando sui suoi piedi.

VII
Tormento.
Se aveva un nome, allora era tormento.
Si girò nuovamente nel letto, portandosi le mani alle tempie.
Rinunciando alla notte che non aveva avuto, alle lenzuola cocenti e al clima soffocante della sua camera.
Soffocante… una definizione idiota, sulle labbra di un vampiro.
Ma mai stata valida come ora.
Si alzò, cercando al buio i pantaloni. E rinunciando al maglione, dopo aver ripetutamente sbattuto le gambe contro i mobili.
Sorprendendosi a pregare che l'udito sottile di Spike per una volta fosse in pausa.
Non lo voleva tra i piedi, constatò, attraversando pensosamente il salone e rifugiandosi in studio.
Aveva bisogno di sentire i pensieri allinearsi lungo una linea razionale quanto immaginaria.
Aveva bisogno di poter credere che tutto sarebbe stato sotto controllo.

Sotto controllo.
Non c'era nulla che restasse più sotto il suo controllo, constatò, miseramente, fissando il fondo della scatola delle ciambelle.
Brontolando, quando si accorse di essere rimasta impigliata con il distintivo.
Imprecò, sottovoce, cercando di districarsi. Posando il caffè e macchiandosi. Strinse i denti, per non mettersi ad urlare. Finì con calma di sganciare la catenella sottile dalla piccola maniglia e si incamminò ostentando sicurezza e nascondendo la macchia scura e tiepida del polsino.
Ignorando l'occhiata perfida e assonnata di un collega.
Sedendosi alla sua scrivania, nascosta, dietro il computer.
A fissare la paratia di cartongesso.

Si sedette, allungando le gambe, fino a posare i piedi nudi sul piano della scrivania.
Cordelia gli aveva lasciato la finestra socchiusa e le tende tirate.
Lo conosceva bene, ormai, sapeva benissimo delle sue peregrinazioni silenziose. Cordy… chissà come stava, chissà se…
Ma no, non aveva bisogno di preoccuparsi. Bastava Doyle, con le sue risposte. Oppure con i suoi occhi.
Non aveva avuto bisogno di dirgli nulla, entrando in casa. L'aveva visto alzare la testa dal cuscino. E poi tornare a posarla, guardandolo, con occhi limpidi.
Non ti preoccupare, uomo. Non ti preoccupare mai dell'amore che offri… e di quanto te ne preoccupi. Non saresti tu, se non lo facessi…
Sorrise.
Probabilmente Doyle aveva ragione.
Nessun amore andava sprecato. Anche i più segreti, anche gli inconfessati, i perduti, i futuri. Tutto parte di noi e dell'universo.
L'amore era il legame con l'eterno.

Un legame attraverso l'eterno… chissà come poteva venirle in mente un'idea del genere, fissando una cartolina stinta e un elenco di codici.
Rimestò pensosamente il suo caffè, scivolando un po' più comoda. E incrociando le gambe. Facendo leva sulla cassettiera per sfilarsi le scarpe da ginnastica.
Rannicchiandosi un po' di più.
Un legame attraverso l'eterno. Probabilmente non esisteva nulla di così importante, nella vita. Nella vita di tutti i giorni, si intende. Di certo c'era qualcosa del genere nei libri, oppure nei film.
O nelle grandi avventure…
Oppure… ma che importava, dopotutto! Anche fosse esistito, non era una cosa che poteva trovare in un distretto di polizia nella periferia di Los Angeles.
E la città degli angeli, difficilmente offriva miracoli.

Un miracolo.
Aveva sperato nel miracolo. Non in un'utopia qualsiasi.
L'amore può tutto. Solo doyle poteva dire una frase del genere, credendoci veramente. Ma tutti gli altri?
Cosa avrebbero fatto al suo posto?
A parte spike, si intende. Lui era in grado di convincere anche un lampione del suo amore eterno. Gli bastava un'occhiata, quattro passi ondeggianti ed il gioco era fatto.

Spike… quello si che era un elemento. Probabilmente era abituato che le ragazze scivolassero ai suoi piedi, sussurrando: mordimi, mordimi…
Ma lei no. Lei non voleva essere morsa. Né, pensandoci bene, tantomeno baciata. Ogni volta che qualcuno la baciava… erano guai. Solo guai.
Si guardò svogliatamente il polso. La camicia aveva un po' sbavato la scritta, ma lei ricopiò comunque il numero sul blocchetto vicino alla tastiera, cercando di imitare quella S svolazzante che le copriva buona parte dell'avambraccio.
Esibizionista…

Forse avrebbe dovuto afferrarla e baciarla. Tirarla fuori dalla macchina e dirle…
E dirle Io ti amo.
Oh, ma in quel caso, probabilmente non gli serviva neanche essere violento. Doveva solo parlare chiaro.
E non per il bene dell'umanità. Solo per se stesso.
"Solo per me stesso." - ripetè Angel, ad alta voce, poco convinto - "E' una parola…"

"Non una parola di più, non una parola di meno." - sospirò Kate, lasciando andare sulla scrivania l'ennesimo rapporto - "Dieci cartelle, sessanta per novanta, dattiloscritte, bla bla bla… manna per la creatività…"
Si tirò indietro, stirando i muscoli delle braccia. Un sospiro e il collo rigido.
"Ma quante ore, ancora?" - mugolò, guardando l'orologio.
Quante prima di cosa… prima di tornare a casa, di avere una vita migliore o di telefonare al vampiro?

Parlare con Spike. Pazzesco. Era talmente disorientato da volere un consiglio da spike.
E se era reso conto mentre già era con un piede fuori dalla porta.
Si fermò. Ponderò la questione e tornò indietro, sui suoi passi. In retromarcia, addirittura. E si appoggiò alla parete. Come se le gambe non lo reggessero.
Da qualche parte, nel silenzio, era risuonata la voce di Kate.
Marchiata…
Marchiata. Era solo quello? Era solo un vile metodo maschilista per reclamare il suo possesso?
"Non mi sarebbe mai venuto in mente di vederla in questo modo." - gemette, strofinandosi i capelli e alzando lo sguardo verso il soffitto - "Ma come faccio, se non riusciamo nemmeno a parlare la stessa lingua."

Un alieno. Di tutto quello che poteva scarabocchiare…
Kate sollevò il foglio e fissò critica il buffo mostriciattolo dalle orecchie a punta e il nasetto prominente.
Non assomigliava ad Angel, constatò.
"Forse ha i suoi occhi." - suppose, cercando di cogliere qualche altro particolare.
Sentendosi di colpo stupida. Gettò la biro e il foglio, incrociando le braccia, seccata. La sua mano corse istintivamente verso i capelli che la infastidivano.
Incontrando la cicatrice.

"Una cicatrice. Una singola cicatrice." - ringhiò, lanciando la matita a parabola attraverso la stanza.
Si sarebbe strappato i denti, avesse potuto.
Tamburellò sul ripiano, sentendosi invadere da una vera e propria rabbia.
Tutto sbagliato. Era tutto sbagliato. Non si sentiva avvilito, pensieroso o altro. Inarcò la testa, fino ad adagiarsi del tutto contro lo schienale.
E chiuse gli occhi, lasciando che quel sentimento che gli sembrava incontrollabile scemasse lentamente.
Passione… rabbia… lo colpivano come una stilettata.
D'improvviso ebbe la sensazione di potersi vedere riflesso, che ci fosse un altro se stesso, in piedi, di fronte a lui. Un se stesso con un ghigno sardonico e uno sguardo eloquente.
Non puoi evitarlo…
Sei parte di me…
Ti sbagli… Tu sei parte di me. Ed io non mi inchinerò più a te, Angelus.
Si svegliò di soprassalto, tremando.

Cosa ci vedrà in me, poi….
Kate si studiò critica, riflessa nel monitor spento. Capelli annodati, occhi troppo grandi, ovale del viso troppo ovale…
Tirò il maglione, cercando di obbligarlo a seguire le curve. Rimanendo comunque un fagotto informe.
Perfetto. Decisamente. E quello viveva pure con Cordelia Chase, "Miss gambe che non finiscono mai ma sono tornite al punto giusto"!
Abbassò gli occhi, pensierosa. Non era certa fosse una questione di bellezza. Se Angel continuava ad allontanarsi, doveva esserci un motivo.. uno vero. Reale.
Cosa c'era in lei che non andava?

Cosa c'è in me che non va? Perché continua a sfuggirmi, perché ha così paura…
Non posso farle del male.
Eppure non sono parte del suo mondo, non potrò mai esserlo…

Non sono parte del suo mondo… ma vorrei esserlo…

Non ho risposte, da darle…

Non ho abbastanza domande…

Kate…

Angel…

...

Quando si rese conto di avere già il telefono tra le mani, ebbe un moto di paura.
Non poteva chiamare. Non poteva dire nulla che non fosse ripetizione. Non poteva fare nulla, per rimediare.

Il trillo del cellulare la fece sobbalzare. E le portò il cuore fino in gola.
Si sporse, rovesciando il portamatite, e lo afferrò.
"Pronto." - disse, stupendosi di come le tremasse la voce. E di come avesse desiderato quel miracolo.
"Ehi, occhi blu, sono io."
"Spike." - si lasciò andare sulla sedia, finendo di far rotolare le penne a terra - "Che vuoi?"
"Io niente.. ma tu non sei stufa di stare lì a fissare il telefono?"
A quell'affermazione sobbalzò, alzandosi e sbirciando al di sopra della paratia.
Sentendo che la tensione di prima stava per sfociare in rabbia pura.
"E adesso ti metti a spiarmi?" - ringhiò.
E dall'altra parte le rispose una voce scanzonata e per niente impressionata.
"Chi io? Ma per chi mi hai preso? Per uno che vaga nella notte a insidiare belle fanciulle?" - Spike si allungò, arrivando a posare i piedi su una pila di riviste.
"Come facevi a sapere del telefono? Preveggenza?" - insistette lei. Le sembrava che la cicatrice fosse in fiamme. Se la toccò, furiosamente, sperando di dissipare un po' di quel calore.
"Ma no di certo." - spike si stava divertendo un mondo - "Ho ben altre risorse, io…"
"Dimmi dove sei!" - lo interruppe lei, continuando a guardarsi in giro.
"A casa. Nel mio studio."
"Sì, certo…" - replicò lei, tornando a sprofondare nella poltrona.
"Sul serio." - spike tacque un istante, prima di riprendere, con un tono differente. Più serio, confidenziale - "Sono a casa. E se ho deciso di chiamarti, venendo meno a tutti i miei sani principi è perché credo che tu ed i tuo compare siate sulla stessa barca."
"Io e il mio … cosa?" - Kate aggrottò le sopracciglia e scattò a sedere. Tesa, come una corda di violino - "Di cosa stai parlando, spike?"
"Di cosa? Di chi, semmai!" - Spike si alzò ed avanzò, fino a dischiudere la porta sul corridoio - "Parlo di Angel, e lo sai bene."
Dall'altra parte non gli giunse risposta. Solo silenzio.
Alzò gli occhi al cielo, controllò il sarcasmo e riprese a parlare.
"Se il mio udito non mi inganna, è rintanato nel suo ufficio. Lancia le matite contro il muro e tiene una mano posata sul telefono…"
Che udito fine… commentò, sarcastica, la sua interlocutrice.
Spike la ignorò deliberatamente.
"Quello sta cercando il fegato di chiamarti da un bel pezzo. E non ci riesce. E non sa come prenderti. " - aggiunse - "Ed io sono certo che tu stai facendo altrettanto. Fissi il vuoto e sei arrabbiata con il mondo. E ora dimmi… vuoi che attraversi questo pianerottolo e ti faccia parlare con lui?"
dall'altra parte era ancora silenzio. Non c'era nulla, se non un respiro mozzato, soffocato da una mano. Kate stava riflettendo su come rispondergli.
Ti prego,Kate... fa un passo verso di lui anche se ti sembra di non riuscire.
Silenzio. E poi, ancora più terribile, il suono di una chiamata interrotta. Spike abbassò il telefono e resistette al desiderio di sfondare la parete con un pugno.

Aveva fallito.
E, quel che era peggio, aveva sbagliato.

Quando il telefono gli vibrò tra le mani, per un attimo credette di avere le allucinazioni.
E quando rispose, dall'altra parte sentì la stessa tensione di pochi attimi primi. E la voce di Kate gli giunse cristallina.
"Non posso, Spike, mi dispiace."
Spike chinò la testa, un istante, prima di annuire, quasi Kate potesse vederlo.
"Lo so." - mormorò - "Ma dovevo provarci…"
"Sei un buon amico, Spike." - sussurrò, massaggiandosi la fronte.
Lo sei per me.
E lo sei per Angel.
Kate non aveva detto nulla. Ma il vampiro ebbe lo stesso l'impressione di poterla sentire.
"Lo spero." - rispose. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non trovò nulla. Nulla che avesse veramente senso - "Buonanotte, occhi blu."
"Buonanotte, Spike."

Adesso ne era certo. Non avrebbe richiamato. Chiuse gli occhi, provando a immaginarlo. Quasi poteva vedere i suoi occhi scuri, la sua espressione concentrata.
E fece male, quello guardo. Era lo stesso che gli aveva visto, poche ora prima. Uno sguardo oscuro, dopo un attimo di felicità intoccabile.
Kate inclinò la testa, girandosi appena.
E non si stupì troppo, quando sentì una lacrima scorrere.
Una.
Una sola.

Spike non si mosse. Con lentezza richiuse l'antenna.
E, per l'ennesima volta in vita sua, si domandò perché dovesse essere tutto complicato. Così complicato.
Parte dell'espiazione o gioco beffardo?
Non aveva una risposta senza ironia.
Non aveva una risposta degna di essere detta.

Rimase fermo. A riflettere.
Forse la cosa migliore, a quel punto, sarebbe stata tornarsene a letto.
Poi si drizzò. E spalancò la porta, afferrando una maglietta e infilandosela, attraversando il pianerottolo.
Quasi stupefacente che la moquette non fosse consunta…

******


"Buongiorno." - canterellò Doyle, entrando in cucina.
Pesto e silenzioso, seduto sul ripiano della cucina, c'era Angel.
Al massimo dello splendore.
Piedi nudi, completo nero, giornale in mano, caffè e anfibi sul ripiano.
Anfibi?
Ah, giusto. Dentro gli anfibi, i piedi di spike, che se ne stava seduto di fronte, su di una sedia. Con l'aria di chi ha dovuto interrompere una predica inascoltata.
"Doyle." - salutò il vampiro bruno.
"Come mai tutti svegli a quest'ora?" - chiese, distrattamente, procacciando un po' di caffè fresco.
"Nessun dorma…" - sottolineò petulante Spike.
"Buongiorno a tutti." - esclamò Cordelia, entrando dietro il demone. Assolutamente radiosa - "Ciao, bellissimo."
L'aveva detto chinandosi a baciare Spike sulla tempia. Prima di voltarsi e abbracciare Angel.
Senza una parola. Ma con uno sguardo dolce.
"Ciao capo." - sussurrò, sostando un attimo a fissarlo, tenendogli le braccia intorno al collo - "Ancora problemi con gli occhi trasparenti, ho saputo…"
Ancora una volta, lei ed il vampiro erano uniti, nelle loro emozioni. E, purtroppo, ancora una volta, Cordelia sapeva di essere stata infinitamente più fortunata di lui.
Ma in Angel non c'era invidia. Solo una leggera tristezza lo adombrava, nel ricambiare quello sguardo.
Spingendola ad abbracciarlo di nuovo.
"Non ti preoccupare." - gli disse all'orecchio - "Io credo proprio che si aggiusterà tutto…."
Si allontanò, veloce come era arrivata, ticchettando con le sue scarpe, ed afferrando la borsetta.
"Vado a fare un giro per negozi, a presto."
Fuggita. Un attimo dopo aveva varcato la porta.
"Una vera meteora." - commentò Spike, sentendo cigolare anche il cancello - "Ma fa piacere vederla di nuovo di buon umore…"
doyle preferì ignorare lui e le allusioni che stava facendo. Ormai le sentiva prima ancora che le pronunciasse. Posò il suo tazzone sul ripiano e sfogliò rapidamente la posta.
Una busta sull'altra.
Fino a fermarsi.
Angel lo vide, nel momento in cui si bloccò. Lo vide, mentre fissava una busta, posata sul bancone. Quasi non volesse nemmeno sfiorarla con le dita.
"Doyle, tutto bene?" - chiese. Mentre Spike si voltava, seguendo la preoccupazione dell'amico.
Doyle non gli rispose. Con una lentezza impressionante, sollevò la busta, una busta grigia e professionale, intestata a Cordelia.
Una busta che non avrebbe mai notato, in frangenti diversi.
Fissò quel piccolo caduceo azzurrato, impresso, poco lontano dal francobollo.
E desiderò aprirla, strappare la chiusura gommata.
E leggere.
Leggere che era stato tutto un equivoco. Leggere che la completezza era giunta.
Leggere… e vivere...

"Doyle…" - lo chiamò Angel, posandogli una mano sulla spalla. Sentendolo sussultare, come se non l'avesse sentito avvicinarsi.
E ne incontrò lo sguardo.
Uno sguardo stranamente buio, come se i laghi montani si fossero ingrigiti, sotto una nuvola improvvisa. Un attimo.
Prima di tornare a rischiararsi.

No. Cordelia ha ragione.
Già sappiamo la risposta.
Già sappiamo…

"Tutto bene?" - chiese Spike, appoggiando i gomiti al bancone. E guardandolo, con il solito cipiglio.
"Certo." - rispose, con un sorriso, afferrando la busta e strappandola - "Tutto come sempre."