Nel Nulla
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
"Ehi, uomo, serata tranquilla?"
"Ciao Doyle" - replicò Angel, abbassando il libro che aveva in mano. Stava pacificamente seduto sul divano, con i piedi sul tavolino.
Nel suo sguardo brillava una scintilla allegra.
"Che mi venga un colpo! Angel, tu sorridi. Oddio, non pensavo di essere così contagioso! - si fermò Doyle, con un gemito - "Tra un attimo inizierai a dire battute sarcastiche e… nahh, non hai la battuta pronta come il sottoscritto!"
Angel sorrise e chiuse il libro.
"Non sono allegro. Sono soltanto in pausa. Stasera Faith ha preferito una ronda solitaria."
"E tu non hai sentito l'impellente bisogno di pedinarla e proteggerla?"
"No. Faith è in gamba, tremendamente in gamba."
"Uomo, non smetterai mai di stupirmi…"
" Inoltre, Westley è rintanato al piano di sopra, Cordelia deve rivedere il bilancio e Kate non sta seguendo casi impegnativi. Darla sta tramando in qualche angolo…"
"E questo non ti preoccupa?"
"Darla trama sempre…"
"Uomo…"
"Doyle…"
"Sei certo di stare bene?"
"Benone. Ma tu puoi sempre pensare che sia la quiete prima della tempesta." - lo punzecchiò Angel.
"Non mi hai detto però dove è finito il tuo pupillo."
"Il mio… pupillo?"
"Hai presente? Biondo, unghie laccate di nero, tanta voglia di essere cattivo…"
Angel sorrise, tollerante. Se c'era una persona che poteva capire Spike, questi certamente era Doyle. Un mezzo-demone, con certezze e contraddizioni umane.
E la difficoltà a vivere con un tormentato vampiro dotato di anima.
"Sarà in giro, a sedurre qualche fanciulla con quel bell'accento…"
"Bell'accento? Ah no, magari stavi facendo ironia…" - mormorò Doyle, avanzando per sedersi in poltrona - "Bene, bene, una serata tra irlandesi. Avessimo della Guinness…"
Il pavimento girò ed iniziò a deformarsi. Doyle cadde in avanti e gli occhi gli si riempirono di immagini confuse. Scene di tortura. Poi tutto divenne rosso.
Quando riprese a respirare, concitato ma consapevole, era sdraiato sul tappeto. Sfuocato ma presente, Angel gli stava mettendo un cuscino sotto la nuca.
"Uomo, forse ho rovinato la tua serata tranquilla."
"Temo anch'io. Ma prendi fiato. Questa volta mi hai quasi spaventato."
Era vero. Doyle si passò la mano sugli occhi e lo fissò. Gli occhi di Angel erano pieni di preoccupazione, come se un'improvvisa ed inaspettata angoscia lo attanagliasse.
"Hai visto qualcosa di terribile, vero?"
"Era tutto confuso,c'era qualcuno che soffriva, in un bagno di sangue. C'era un sacco di gente…"
All'improvviso una nuova fitta. Doyle girò la testa, portando una mano alla tempia, come preso da un forte dolore fisico. Sentì a malapena due mani forti stringerlo alle spalle. Questa volta la scena assunse un contesto. Una via buia, affollata di gente. Ancora sangue, gocciolante dall'alto. Con sforzo, Doyle alzò lo sguardo. In alto appeso come un animale al macello, stava una figura sottile, vestita di nero, abiti intrisi.
Solo risate. nessun urlo da quella vittima trafitta tanto da sembrare un istrice.
E poi nulla, di nuovo.
E riemergendo dal buio, di nuovo Angel. E Cordy.
"Ho urlato, vero?" - ansimò tremando - "Tutto bene, principessa."
"Doyle! Adesso credo di voler sapere cosa sta succedendo." - esclamò Angel. Gli teneva ancora le mani strette alle braccia. Doyle lo vide cambiare espressione. Lo sguardo divenire assente per un istante. Poi riempirsi di orrore.
"Angel!" - lo chiamò, tirandosi a sedere, puntellandosi su un braccio,nell'attimo in cui egli allentò la presa.
"Doyle, cosa hai visto? Doyle, qualunque cosa sia… si tratta di Spike."

Faith aprì la porta, sbadigliando. Aveva incontrato pochi vampiri, molto vigliacchi e molto veloci.
Li aveva inseguiti a lungo, da un tetto ad un terrazzo, fino al tipico vicolo. E lì si era divertita, come poche volte nella sua vita, in un rapporto dieci contro uno.
Liberatorio…
Con quattro salti fu in cima alle scale, nel mentre in cui si spalancava la porta. Angel uscì correndo, infilandosi il suo cappotto scuro.
Dietro di lui, pallido e barcollante, camminava Doyle.
"Ma cosa…" - Faith si girò disorientata, nel vederli correre giù dalle scale.
Cordy l'afferrò per un braccio e la fece girare. Aveva degli occhi enormi.
"E' successo qualcosa a Spike. Doyle ha avuto una premonizione, ma Angel dice che sta già accadendo. Vai con loro, Faith, muoviti."
Stava ancora urlando qualcosa, Cordelia Chase. Westley era a suo fianco, comparso dal suo studio. Ma Faith non poteva sentire nessuno. Correva dietro Angel e Doyle.
Non avevano preso la macchina, andavano verso un punto preciso, non molto lontano.
Era tutto chiaro…
Pochi vampiri…
Vampiri in fuga… a lungo…
Era una trappola. E lei si era ostinata sullo specchietto per le allodole.
Li vide girare un angolo ed accelerò il passo. Il primo che le si pose innanzi, appena svoltato, divenne polvere prima ancora di vederla.
Lo spettacolo la colse impreparata. Abbracciò la scena con un unico sguardo, nella stretta via. Alcune macchine la chiudevano da entrambi i lati, per illuminare, con i loro fari, quello che sembrava un bivacco.
Bidoni in fiamme, musica assordante. Vampiri, travolti in un sabba del nuovo millennio.
Ed in mezzo a loro Angel che massacrava, freddo, planando come l'angelo della morte.
Ed alcuni metri sopra la sua testa… Spike.
Faith ne fu paralizzata. Nessuno badava a lei, mentre la furia di Angel andava scatenandosi, con Doyle sempre al suo fianco.
Spike…era legato ed appeso per le mani. Le scapole apparivano in una posizione innaturale, la testa reclinata.
E sangue. Sangue che colava a lunghe scie, lungo tutto il corpo, intridendo i vestiti.
E frecce.
Spike era martoriato da frecce, usato come bersaglio, da ogni lato. Un'immagine le balenò, dai ricordi. Un'immagine di una santo trafitto da frecce, che la sua osservatrice soleva mostrarle, nello spiegarle la forza ed il perdono.
La volontà che poteva smuovere le montagne…
Si sorprese ad urlare di una rabbia repressa, di una furia incontrollabile. Uccidere.
Doveva uccidere tutti quei mostri. Nulla sarebbe restato di loro. Spike… nessuno sarebbe scampato indenne dalla vendetta.
Morivano.
Già morivano, quando la Cacciatrice saltò nella mischia, correndo sopra una delle macchine parcheggiate. Come una furia, con alte grida di battaglia.
I superstiti ne furono storditi. Tanto da pagare inermi con la loro non-vita.
Angel stava alle sue spalle. Non aveva bisogno di urlare. Il suo volto non era mutato, appariva ancora umano. Ma i suoi occhi riducevano in polvere più ancora della spada con cui li decapitava e trafiggeva.
Alcuni fuggirono.
Ed il vento portò via gli altri.

Faith tacque. Ansimava appena. La via era deserta e buia, i vetri dei fanalini spaccati, vestiti e lattine sparsi a terra, nella polvere dei proprietari.
Alle sue spalle. Il cigolio di una carrucola la obbligò a voltarsi.
Spike…
Doyle armeggiava con una fune, da un angolo.
Angel, macchiato del sangue di cui era intriso il terreno sotto i suoi piedi, tendeva le braccia verso l'alto. Una pioggia rossa e lieve gli colpiva il volto e gli occhi dilatati dal dolore.
Spike, come un angelo ferito,scendeva dal cielo.
I particolari apparivano sempre più nitidi anche nell'oscurità smorzata dalle luci del resto della città.
Faith vide le mani di Angel afferrarlo per i piedi ed accompagnare la discesa. Vide quelle grandi mani scorrere tra una freccia e l'altra.
Non si contavano. Erano metalliche, fatte per far soffrire, non per uccidere.
Niente sembrava fatto per ucciderlo.
Le frecce.
Le clavicole lussate per reggere quel peso inerme.
Ed infine le ferite, profonde ed irregolari, dai palmi ai gomiti.
Per dissanguarlo. Perché non avesse più in corpo sangue che rimarginasse le sue ferite.
Spike era un monito.
Un chiaro messaggio. La mente di Faith registrava, impotente e fredda, ogni particolare.
Angel, travolto da un dolore muto, adagiò quel corpo delicato e distrutto a terra, riservandogli il petto per guanciale. Lo stringeva nella paura di spezzarlo.
Le visioni di Doyle. Erano stati loro a provocarle. Il muto appello di Spike, travolto dall'ultimo barlume di consapevolezza ed Angel, il destinatario.
Doyle si era trovato su quella traiettoria di energia. Ed aveva reso in immagini quello che Angel aveva percepito in emozioni, con un attimo di ritardo.
Ora la schiena di Angel le copriva la visuale. Faith gli girò attorno, poi fece per inginocchiarsi. Ma Doyle la fermò.
"Attenta." - le sussurrò, indicando il terreno - "c'è sangue dappertutto."
Sangue. Sangue di Spike. Pericoloso per un mortale come per una cacciatrice.
E Spike.
Spike, ma della sua espressione ironica nemmeno più l'ombra.
Il suo volto era intatto. Perfetto.
Nessuno aveva alzato le mani su quei bei lineamenti.
Un labbro rotto, unico segno di lotta.
Faith fu irretita da quel segno, più ancora che dalle grandi ferite. Un ricordo l'assalì improvviso.

"Allora bella mia? Preferisci l'uncinetto?" - la canzonò Spike, afferrando al volo l'asta che le era sfuggita di mano e spedendola lunga distesa.
Faith, seduta a terra si massaggiò un gomito, furente. Spike la fissava, girando l'asta con velocità incredibile, passandosela da una mano all'altra.
"Cacciatrice? Sono un vampiro, che stai aspettando?"
"Non sono la Cacciatrice." - ringhiò lei.
"Oh sì, sì che lo sei. Una cacciatrice discutibile, ma una cacciatrice. E sta tranquilla" - aggiunse- "io me ne intendo."
"Spike" - disse Faith, alzandosi - "Non mi provocare."
"E se non ti provoco, cosa mi resta da fare?"
Colpo.
"Parlare di vestiti con Cordelia Chase?"
Parata.
"Ascoltare le barzellette di Doyle?"
Attacco.
"Oppure discutere di un testo babilonese con Whidam-Price?"
Difesa.
"Hai dimenticato Angel…"
"Ah giusto, Angel. Parlo con Angel da ben più di una vita.
Ogni tanto ho voglia di svagarmi, così lui ha tempo di sospirare e crucciarsi."
"Quindi, di tutte le persone che potevi scocciare, io sono la prescelta."
"Tu sarai sempre la prescelta, piccina."
"Non chiamarmi…"
Bam! Di nuovo a terra.
"Non chiamarmi cosa? Prescelta o piccina?"
"Spike,io…"
interruppe la frase. Nell'ironia di Spike si era aperto uno spiraglio. Con un rapido calcio gli portò via l'asta, colpendolo, con un'ampia rotazione in pieno viso.
Spedendolo al tappeto.
"Oddio!" - esclamò tirandosi in piedi e correndogli accanto - "Spike, come ti senti?" Spike la fissò. Buttava sangue dalla bocca, con un lungo taglio sul labbro inferiore.
"Tra le braccia di una donna?" - sorrise lui, leccandosi le labbra - "Sempre in paradiso, amore mio."
L' aveva fatto apposta. Aveva vinto ancora.
Faith si era rialzata , vergognandosi già di quel moto di preoccupazione. Quando aveva ritrovato il controllo e si era girata, con aria truce, lo aveva visto in piedi, con un sorriso beffardo.
Si massaggiava la mandibola, ma ogni traccia di ferita era svanita.
"Vedi, il bello di essere un vampiro… un po' di sangue, su una faccia bella come la mia, commuove sempre le fanciulle."

Un po' di sangue… C'era difficoltà a pensare che provenisse tutto dal suo corpo.
E non si trattava di commuovere le fanciulle.
Doyle si inginocchiò e posò una mano sulla spalla di Angel, un Angel travolto dagli eventi. Spike, reso esile dalla perdita di sangue e già più minuto per natura, sprofondava tra le sue braccia,inerme e bianco sulla lana scura del maglione.
Tutto attorno era come congelato, rallentato dalla tragicità di quell'immagine.
Nessuno osava muoversi.
Doyle e Faith rispettavano Angel ed il suo dolore.
E la sua rabbia.
Il furore che lentamente cresceva, alimentato dalla consapevolezza.
Ad un tratto i pensieri si interruppero.
Non era il momento della vendetta.

Di colpo Angel sembrò riprendere vita.
"Doyle, aiutami" - disse, armeggiando per sfilarsi il cappotto. Era evidente che tutti i suoi sforzi nascevano dal non voler perdere il contatto fisico con Spike. Doyle lo districò dalle maniche.
"Ce la fai a spezzare le aste?" - chiese Angel, passando il cappotto a Faith che lo afferrò, senza una parola. Doyle, con un cenno della testa, afferrò la prima, che sporgeva dal torace.
Lo schiocco fu netto, rumore di lamiera spezzata. Doyle piegava e ripiegava le aste cave, fino a dividerle in due parti, lanciando lontano gli spezzoni.
"Stai attento."
"Tranquillo, sono vuote all'interno. Non credo che ci serva conservarle come prova…"
"No, sappiamo entrambi chi è il colpevole." - replicò Angel in un soffio, prima di tornare a concentrarsi sulle ferite che ancora sgorgavano del poco sangue che aveva in corpo.
La prima freccia gli aveva strappato un gemito, più simile ad un gorgoglio che ad un urlo.
Sussulto era seguito a sussulto.
Freccia a freccia, fino a quando il terreno attorno a loro non ne era apparso orrendamente pieno. Quando Doyle si ritrovò, con l'ultimo moncone in mano, alzò lo sguardo e si tese a prendere il cappotto dalle mani di Faith.
Angel avvolse Spike, poi si sollevò, assestandoselo tra le braccia.
Spike spuntava appena, avvolto fino ai capelli nel bavero rialzato. Sembrava un bambino addormentato, mentre Angel distribuiva meglio il peso.
Teneva il capo appoggiato al petto di Angel e, tra le dita, un lembo del suo maglione. Le gambe, avvolte nei suoi amati pantaloni di pelle nera, sorrette dalla mano di Angel all'altezza delle ginocchia, dondolavano appena, come se gli anfibi fossero troppo pesanti.
Senza una parola si incamminò verso la strada, verso l'Hyperion. Doyle gli camminava a fianco, immerso nei suoi pensieri.
Era vero. Entrambi sapevano chi era il colpevole.
Ci avevano scherzato sopra, meno di un'ora prima. Le parole gli risuonavano ancora nella testa… Darla trama sempre.
Angel aveva avuto ragione: era la quiete prima della tempesta.

Quando giunsero all'Hyperion, trovarono Cordelia nella hall, seduta sul divano, i gomiti sulle ginocchia, in una posizione a lei inusuale. Il mento appoggiato alle mani, con l'aria di chi attende.
E Westley, impegnato a camminare, avanti e indietro, tamburellando distrattamente con una freccia da balestra.
La sola vista di quella munizione le provocò un moto di disgusto. Faith li aveva preceduti, spalancando le porte, subito imitata da Doyle. Ed Angel, con il suo fardello, era avanzato tra loro.
Cordy aveva osservato, pallida, quelle due teste così vicine, quella dallo sguardo determinato e l'altra, adesso seppellita nell'incavo del collo.
Li aveva seguiti su dalle scale, domandando spiegazioni, implorando una parola. Ma Doyle si era limitato a passarle a fianco, sfiorandole con la mano un braccio, con un cenno, perché si affrettasse.
Giunto di sopra, Angel era piombato nel grande salone del primo piano e, per un attimo, Cordy pensò che si sarebbe diretto in camera. Era una ipotesi ovvia, soprattutto perché, se Spike era svenuto, sdraiarlo sul letto era una buona soluzione.
Angel indicò il tavolo e vi si diresse. Era un tavolo di noce pesante, grande abbastanza da permettere che sei persone vi si sedessero comode intorno.
Così era sempre stato utilizzato, per discutere e ricapitolare.
I mesi vi avevano accumulato scartoffie ed oggetti sparsi che Doyle, senza tanti complimenti, spazzò via, con un unico movimento del braccio, per niente colpito dal rumore di vetri infranti.
Westley, precipitatosi a raccogliere i manoscritti, si fermò di botto, nell'istante stesso in cui Cordy portò le mani alla bocca per soffocare un urlo.
Nessuno di loro due era stato pronto a quello spettacolo.
Angel l'aveva adagiato sul tavolo già illuminato dal lampadario che Faith aveva acceso, nella speranza di rendersi utile.
Il corpo di Spike luccicava di sangue. Le braccia nude, squarciate, il petto, stretto in una maglietta nera e trafitto da monconi metallici… ed Angel chino su di lui.
Cordy aveva già visto un vampiro ferito; lo stesso Angel, avvelenato, trafitto, crivellato dalle pallottole… ma mai, mai nessuna sua ferita era stata una tal prova di sadismo e malvagità.
Non si trattava di ferite da combattimento… non si trattava di un'imboscata da scampare. Si trattava di tortura.
Faith le si fermò a fianco. Bastò un'occhiata tra loro, perché entrambe leggessero, una negli occhi dell'altra, lo smarrimento e l'inequivocabile congettura.
Un messaggio. Un messaggio efficace, molto più di un vampiro morto.
Recapitare cenere non era come torturare e restituire.
A meno che…
"Le frecce" - si sorprese ad esclamare Cordy, correndo ad aggrapparsi al tavolo- "Sono avvelenate?"
Doyle le gettò un'occhiata comprensiva e le rispose, in un soffio: "Ancora non lo sappiamo. Ma potrei scommettere, sul fatto che non lo siano…."
Anche lui pensava all'attenzione con cui quei bastardi si erano divertiti. Unica clausola: che Spike sopravvivesse.
"Si fa presto a scoprirlo" - replicò Westley. Dal nulla era riapparso, portando con sé guanti di plastica che gettò ad entrambe - "Doyle, sfilane una, ci penserò io ad analizzarla."
Un cenno di assenso prima di recuperare, senza tanti complimenti, quella che sporgeva dal bicipite sinistro. Doyle ed Angel, ai lati del tavolo e di Spike, si scambiarono un'occhiata.
Entrambi erano consapevoli della necessità di una strategia.
E fu Angel, inaspettatamente, a prendere la parola.
"D'accordo, Westley, ma fa in fretta. Cordy, recupera degli asciugamani e delle lenzuola." - si girò, cercando Faith con lo sguardo- " Faith, c'è bisogno di sangue, tutto quello che riesci a trovare."
Non c'era bisogno di sentirselo ripetere. Partì rapida verso la porta e si fermò, sentendosi chiamare.
"Faith" - aggiunse Angel, con un'espressione intrappolata tra rabbia e dolore - "Meglio se è umano."

"Qui non si tratta di salvargli la vita." - disse Angel a Doyle, mentre entrambi si affannavano a spogliarlo - "E' pressoché dissanguato. Senza sangue le ferite non si rimarginano in fretta anzi, non si rimarginano affatto. Rischia di vegetare così per mesi."
"Per cui…" - Doyle aspettava spiegazioni. E non aveva bisogno di soffermarsi pensare cosa sarebbe stato disposto a fare, per aiutarli entrambi.
"Per cui sangue. Bisogna sfamarlo, quando sarà in grado e prima fare trasfusioni. Il sangue umano non è forte come quello di Spike, ma il poco che gli resta in corpo lo muterà progressivamente. Anche il mio sangue, se sarà necessario."
"Il tuo."
"Sangue di vampiro, Doyle, in questo caso, buono come quello di qualsiasi altro." - replicò Angel, a denti stretti, strappando la maglietta scura a brandelli.
Caddero gli anfibi ed i pantaloni di pelle, ridotti a pezzi, andarono ad ammucchiarsi sul cappotto di Angel, finendo con l'impregnare l'angolo del tappeto. Cordelia portò ampi lenzuoli che, in breve tempo, si tinsero di rosso, a chiazze.
Spike era stato sdraiato su un fianco. Cordy gli aveva fatto scivolare un lenzuolo addosso, prima di avvicinarsi a Doyle, in cerca di conforto.
I suoi occhi chiari, sempre limpidi e tranquilli scrutavano la schiena di Spike; le sue mani sostavano già da qualche minuto su una ferita appena visibile, nella zona lombare. Quel singolo punto rosso sembrava preoccuparlo.
"Angel." - chiamò - "Vieni a vedere."
Cordy si spostò sollecita per fargli spazio.
"Attenta al sangue" - le mormorò distrattamente passandole a fianco. Il sangue gli arrivava ormai fino ai gomiti, ma anche il maglione dalle maniche rimboccate ne appariva imbevuto.
"Guarda qui." - Doyle gli indicò - "lo vedi quel segno? È un foro d'uscita ed è.."
"E' troppo vicino alla vertebra." - concluse Angel. La sua voce appariva stanca, ma forte - "il suo organismo può reagire anche ad una ferita di questo genere."
"Non mi sembra né schiacciata né recisa."
"Allora basterà che non si muova." - concluse Angel, freddamente,per non cedere ad una disperazione che sembrava divorarlo dal profondo. Si scambiarono un'occhiata - "Cominciamo."
E così fecero. Quando Faith varcò la soglia con il contenitore ospedaliero,le frecce giacevano ormai tutte nello stesso contenitore. Il torace di Spike era fasciato stretto e la clavicola lussata era di nuovo in sede.
"Trovato." - comunicò Faith, posando la scatola sul divano.
Quando incrociò lo sguardo con Angel, seppe con certezza che, in quel caso specifico, non le avrebbe mai chiesto come aveva fatto a procurarlo.
Per Angel esisteva la giustizia. Ma, sopra di essa, le persone che amava. E davanti a tutti, amori e amicizie vere e forti, stava Spike.
Il suo Spike.
La sua famiglia.
Il figlio e fratello che il destino gli aveva riservato.

Westley riapparve qualche minuto dopo. Per un attimo tutto sembrò gelarsi in attesa del responso. Ma bastò un semplice cenno di diniego, col capo, per sentire la prima punta di sollievo, in fondo al cuore.
"Nessun veleno." - aggiunse, per rendere a parole quel semplice gesto, prima di accostarsi al tavolo - "Nel sangue come sulla freccia. Erano tutte uguali?"
"te le abbiamo tenute da parte." - gli sussurrò sarcastico Doyle indicando l'ammasso informe di lamiera nel contenitore ai suoi piedi - "Angel, sta riprendendo conoscenza."
Gli occhi aperti. Spike aveva aperto occhi che non vedevano.
Spike aveva lo sguardo fisso e vitreo.
Ed il primo ad arrivare nella sua visuale fu Angel. Chino su di lui, come molte volte nella sua esistenza, una mano sulla sua fronte. Spike avrebbe voluto deglutire, ma un brivido gli si irradiava in ogni cellula. Era come sentirsi rattrappire, come se da un momento all'altro il vento potesse, in un soffio, disperdere il suo corpo.
Ma non era morto.
C'era Angel, Angel lo vedeva. Spike avrebbe voluto raccontargli cosa sentiva, avrebbe voluto ricordarsi perché stava sdraiato e la luce lo accecava.
Di colpo, tutto il suo essere tese verso di lui, il suo sire…
Angel non si aspettava che riuscisse ad alzarsi, e Spike non poteva dirgli che non era più lui, non più William a fissarlo, ma il suo demone, il demone che reagiva con rabbia a quell'impotenza.
Puntellandosi sul gomito e poi sulle braccia, ignorando le fitte lancinanti, gli si aggrappò al collo, sotto lo sguardo attonito dei suoi amici.

I loro sguardi si incrociarono, si lessero fino in fondo all'anima.
Angel sapeva, aveva sempre saputo… e Spike, privo di una vera consapevolezza, stava solo rispondendo ad un istinto animale.
L'istinto di sopravvivenza.
Angel non fece nulla per ostacolarlo. Ricordava ancora, a fior di labbra, il sapore di Buffy, il suo sangue. Ricordava come si fosse imposta, colpendolo, facendo riemergere il demone sopito.
Buffy aveva impedito agli scrupoli di Angel di essere un ostacolo…
Nulla gli avrebbe mai impedito di dare la vita per Spike.
E sentì i denti affondargli nel collo, il sangue, il suo sangue scorrergli sotto il maglione. rimase immobile, poi, con uno spasmo, gli appoggiò le mani alle scapole, per sorreggerlo.
Chiuse gli occhi, aspettando, aspettando che la sua essenza scivolasse nuovamente in Spike.
Come la prima volta, come in quel vicolo, sotto lo sguardo soddisfatto di Drusilla.
E come la prima volta, dimenticando il mondo vorticante intorno a loro.

"Andiamo Dru, non puoi volerlo veramente…" - la canzonò Angelus, assestando un calcio al fagotto informe. Rannicchiato in posizione fetale ai suoi piedi, nell'acqua grigiastra della strada.
Si copriva la testa con un braccio.
E Dru, del tutto incurante del velluto ormai impregnato che le copriva le gambe, non accennava ad alzarsi.
Cantilenava, leccandosi dita coperte di sangue ancora caldo.
"perché no… è dolce… è buono… perché no, perché non un fratellino…."
"Se lo vuoi veramente, arrangiati." - aggiunse, con un altro calcio - "perché dovrei farlo…"
"Sarebbe più forte… sarebbe completo. È stupido attaccar una foglia ad uno stelo d'erba.." - giocherellava con i capelli - "uniamola ad un forte tronco, diamole il nutrimento…"
"Hai detto giusto. Una foglia deve appassire. Finiscila con queste bambinate."
"Si direbbe che tu abbia paura del confronto…" - lo canzonò Darla, nell'abbracciargli le spalle. Nell'insinuare le mani ed accendere il desiderio - "Prendiamolo. Non è così…male."
Non lo pensava sul serio. Ma la cosa la divertiva. Dru teneva in pugno il grande Angelus. Lo guardava con occhi grandi e vuoti.
Il fagotto si mosse. Si girò, fino ad adagiarsi sulla schiena, scoprendo una chioma bionda e scomposta. Zigomi alti e belli. Girava il capo verso Dru, boccheggiava nel fissarla.
"Guardalo…" - mormorò ancora Darla - "Già le vuole bene…"
Drusilla, con alcuni gridolini di gioia, lo afferrò per la testa e lo strattonò, fino a porsi il capo sulle ginocchia. Si chinò e bevve ancora, lacerandogli le labbra.
Sembrava agitata, rossa in viso per il troppo nutrirsi. Ridacchiava e non smetteva un istante di neniare parole incomprensibili.
Di tanto in tanto fissava Angelus, impaziente. Il ragazzo, tra le pieghe del velluto stava morendo. Con occhi aperti e consapevoli.
Angelus si chinò, liberandosi di Darla.
"Dru." - la chiamò gentilmente - "Non sono qui per soddisfare ogni tuo capriccio."
"Ma è così carino." - replicò lei, con il tono impertinente da bambina - "Ti prego…"
Lo afferrò per la giacca, raddrizzandolo ancora, lasciando che le sua membra si muovessero con la resistenza di una bambola di pezza e glielo porse, tendendolo, come se fosse il cucciolo prescelto.
In cerca di approvazione.
Angelus, con uno sguardo di rassegnazione. Lo afferrò con malagrazia, fino a metterlo seduto.
Un borghese. Un piccolo borghese fatto di ambizioni e mediocrità. Poco più di un ragazzino. Avrà avuto poco più di ventanni, tutto composto nella sua giacca scura.
Lo scrollò e lo guardò, sperando malignamente che morisse. Che fosse troppo tardi per accontentare gli infantilismi della sua Dru.
Finendo con incontrarne lo sguardo.
Angelus strinse gli occhi e lo fissò meglio. La vita lo stava abbandonando, rapidamente. Eppure in lui restava ancora qualcosa di ardente, di incomprensibile.
Afferrò gli occhiali rotti che ancora teneva sul naso e, nello sbriciolare le lenti sperò di accecarlo.
Eppure non un battito di ciglia.
Non provava paura.
Lo fissava, forse senza vederlo. Senza temerlo. Senza lasciar svanire la consapevolezza.
Angelus si sentì invadere da una rabbia cieca. Non lo temeva, non aveva paura del suo destino, non aveva paura della partita che si stava giocando senza il suo permesso.
Non gli importava.
Fissava, con occhi grandi e luminosi, i suoi carnefici, con la bocca intrisa di sangue. Era forte, per essere quasi morto. Era forte, mentre irrigidiva i muscoli nel tentativo di muoversi ancora.
"Pensi sul serio di poter scappare? E dove vorresti andare?" - sibilò ancora, stringendo la presa alle braccia, strappandogli un gemito. Guardando il lento gesto con cui la mano di quello sconosciuto arrivava a posarsi sul suo viso.
Non cercava di scappare. Voleva…. Voleva capire.
Adesso la vita se ne stava andando rapidamente. Drusilla urlava, piangeva, in preda ad una crisi isterica, mentre Darla camminava, scotendo il capo.
"Finiscilo. Oppure accontentala. Sono stanca, voglio andare via." - aggiunse annoiata, uscendo dal vicolo.
Aspettando uno schiocco sordo che non giunse mai. Fermandosi, al mugolio di vittoria di Drusilla. Con un sorrisetto di compatimento per quei due sciocchi idealisti.

Doyle si era lanciato in avanti nel momento stesso in cui aveva inspiegabilmente intuito ciò che per stava accadere. Scattò, e Westley si pose sulla sua traiettoria, fermandolo con una forza che lo sorprese.
"Aspetta." - li sussurrò, affascinato; poi alzando la voce - "Ferme, anche voi due!"
Gli obbedirono, per quella vena di acciaio che vibrava nella sua voce.
"Fermi. Il sangue di Angel è forte, più forte dell'umano. Il demone di Spike lo sa."
"Il demone?"
"La sua parte sovrannaturale. Cerca la forza di Angel, se ne sta nutrendo. È la paura di morire, non la conosce, reagisce d'istinto."
"Ed Angel?" - sussurrò Doyle, girandosi appena, mentre le ragazze, affascinate da quell'orrore, ne restavano irretite.
"Ce la farà. Ce la farà."
I minuti trascorsero lenti, fatti di battiti concitati.
Westley non aveva tolto la mano dalla spalla di Doyle. Le sue dita stringevano, per la tensione. Cercava conforto, il distaccato Whidam-Price, cercava un contatto solido senza ammetterlo. Respirando appena.
Poi, ad un tratto.
"Separali, maledizione, separali!"
Westley si era aggrappato all'ultimo barlume di razionalità che gli sembrava di poter mantenere, innanzi a quella carneficina.
Quelli che, per gli altri, erano stati infiniti attimi di agonia, per lui non avevano mai smesso di essere secondi da contare e dividere, mentre il suo inconscio cercava, in quella stretta spasmodica, un perché all'amicizia, al sangue ed alla vendetta.
Secondi da contare, per non perderli entrambi.
In un attimo fu addosso a Spike. Lo afferrò per le spalle e lo spinse contro il tavolo, senza trovare una vera resistenza alla sua iniziativa.
Spike era tornato ad essere un inerme bambola di pezza.
La leggera pressione di Westley, per trattenerlo, aveva risvegliato in lui il dolore, il dolore umano e fisico. Lo stesso che, nei primi mesi della sua convivenza con Angel, era stato un mezzo per tenere a bada il demone, resistergli, nei momenti in cui sembrava prendere il sopravvento.

Nello stesso istante,Doyle, non meno veloce,afferrò Angel, come un vero giocatore di football, per la vita.
L'abbraccio era spezzato. Angel sentì le braccia e la bocca di Spike allontanarsi, travolto da una forza calda e controllata. Per una frazione di secondo seppe di essere al sicuro, vivo e forte. Si sentì protetto e sperò, di tutto cuore, in uno slancio di gratitudine, che anche Spike potesse conoscere la stessa sensazione.
L'impatto con il pavimento lo sorprese.
Le emozioni, le immagini ed i profumi lo colpirono violentemente, rendendo più acuta la sua debolezza. La testa gli girava, stordendolo. Si sentì sollevare ed appoggiare al muro. Quando la vista si snebbiò vide Doyle, seduto a suo fianco, la mano appoggiata al ginocchio, le testa buttata indietro, nello sforzo di riprendere fiato.
Avrebbe dovuto immaginarselo. La forza, l'affetto, la prontezza non potevano che essere sue.
Quando Angel fece per alzarsi, le sue mani lo trattennero.
"Fermo incosciente!" - disse gentilmente, lasciando trapelare un leggerezza che non provava - "Mi era chiaro il perché dell'usare il tuo sangue. Un po' meno la dinamica."
"Perdonami. I fatti mi hanno preso la mano." - replicò Angel, passandosi una mano sugli occhi.
Vicino al tavolo, preso dalla sua parte di organizzatore, Westley orchestrava le trasfusioni, cercando aiuti e sostegni.
Angel, con un sospiro, posò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. Il contatto era stato più profondo di quanto nessuno di loro potesse immaginare. Si era trattato della comunione tra la vittima ed il carnefice. Le sensazioni di Spike gli si erano trasfuse, come se fossero una merce di scambio.
I ricordi l'avevano stravolto e non accennavano a lasciarlo…

"Sì, si così, così." - Drusilla strisciò verso di loro ma Angelus la respinse, con un calcio.
Obbedendo ad un istinto forte come una sfida, si era lacerato una mano, imponendola sulla bocca di quello sconosciuto. Attendendo l'istintivo succhiare del neonato. La mano che gli aveva sfiorato la guancia, per capire e portare nella morte il segreto, era scivolata appena, impigliandosi nel colletto della giacca. O aggrappandosi.
Le sua dita scosse da un tremito nervoso, irritavano Angelus.
Il corpo del ragazzo biondo, quasi morto eppur forte, sembrava riacquistare durezza. I suoi occhi, ancora spalancati, andavano perdendo la limpida sfumatura. Verso qualcosa di complesso ed impuro. La forza con cui si nutriva, indeboliva Angelus e lo rendeva furioso.
Scattò in piedi, ma il cucciolo non restò adorante ai suoi piedi.
Lo seguì, nel rialzarsi, lo fronteggiò, abbandonando la mano ed il prezioso elisir.
Cercando.
Cercando la fonte.
La vena pulsante del collo.
Da aprire con i propri denti.
Lasciando ad Angelus la sorpresa di quel corpo sul proprio, a terra, nel fango da cui si erano rialzati.
Del sangue che non smetteva di abbandonarlo.
Dell'inizio della sfida.

"Doyle, devo ricucirgli le braccia, altrimenti tutto quel sangue sarà assolutamente inutile." - sussurrò, tornando al presente - "Avevi ragione, riguardo a quella freccia. La schiena rischia di essere danneggiata, bisogna starci attenti. Ha una vasta emorragia interna e non so quante costole rotte; prova un dolore insostenibile all'addome, sarebbe meglio attaccare una trasfusione alla femorale…"
"Ehi, uomo smettila…" - Doyle lo scuoteva appena, ma la sua voce era dolce - "smettila. Non andrai lontano a continuare a fare il distaccato. Dammi retta, fai come noi, che siamo morti di spavento e non capiamo più niente."
Angel lo fissò e Doyle gli strizzò un occhio, umido di lacrime.
"Poi ti consiglierei di prendere un bel respiro." - aggiunse, prima di girarsi dall'altra parte e rialzarsi - "Westley, nel collo. Ed un paio all'inguinale."
Angel rimase dov'era, impietrito. Quel qualcosa che sembrava pericolosamente vicino all'incrinarsi, gli toglieva ogni forza.

Come se fino a quell'istante non si fosse conto di quello che aveva davanti agli occhi.
Spike giaceva su un tavolo, circondato da persona che lo amavano e stentavano a reggere il suo dolore e la paura.
Spike…
Spike, così beffardo ed irriverente, così diretto nel comprendere le persone e le loro paure. Così abile nel combattimento e testardo nelle sue idee.
Spike, ridotto ad un fagotto di lenzuola, un ammasso di bende intrise ed un espressione priva di qualunque emozione che non fosse dolore.
Avrebbe voluto stringerlo e proteggerlo, infondergli un calore che potesse sentire là dove la sua mente sembrava essersi rifugiata. Penetrare quello stato catatonico che il suo organismo reclamava per poter riparare i tessuti lacerati e le ossa rotte. Parlargli, indicargli la via sicura da percorrere per tornare verso casa, verso le persone che lo amavano.
E verso Angel. Angel che lo avrebbe aspettato fino alla fine dei suoi giorni.
Eppure rimase lì seduto schiacciato da un dolore che non sapeva come affrontare. Il dolore di non poter arrivare aldilà della barriera, dove l'anima di Spike si dibatteva, stroncata dalla crudeltà fredda e mirata.
Spike…

"Angel, fosse per te, dovrei fare il topo di biblioteca."
Aveva alzato lo sguardo, per seguirlo mentre percorreva a grandi passi l'ufficio.
"Ma io" - aveva sillabato, puntandosi con le mani - "sono… un teppista."
"Un vero teppista. Ed ho voglia di fare a botte nella metropolitana, di ubriacarmi e di polverizzare i miei simili."
"E perché dovresti scegliere la biblioteca? A parte l'ubriacarsi, tu vuoi la mia vita." - aveva risposto Angel, tornando a sfogliare alcune scartoffie ingiallite.
"No, non ci siamo capiti. Non voglio nessun secondo fine o scopo. Voglio solo menar le mani senza che tu ti impicci. Facciamo così: tu ti limiti a pensare e lasci che io picchi chi di dovere e di santa ragione."
"Si può fare."
"Allora smetterai di venire a cavarmi dai guai in cui non mi infilo."
"No."
"Come sarebbe a dire…no."
"Io continuerò ad impicciarmi, se questo è il termine con cui ami definire chi ti salva la pelle una volta alla settimana."
"Andiamo, la pelle non è mai in pericolo così spesso. In fondo ha ragione Doyle, l'eroe sei tu. I cattivi cercano te, mica me."

Era vero. Se Spike era in quello stato era per colpire Angel. Indelebilmente.
Lo squillo del cellulare lo sorprese. E se un parte di sé gli urlava di lasciarlo suonare, qualcosa nel suo essere lo spinse a rispondere.
Dall'altra parte una suadente voce di donna, che egli non tardò ad accomunare con uno splendido viso biondo.
"Allora, amore mio, piaciuto il piccolo presente?"
"Darla." - ringhiò Angel. La sua rabbia premeva, mozzandogli ogni parola coerente.
"Oh sì, solo tu sai pronunciarlo, in quel modo." - sembrava una gattina che fa le fusa - " e dimmi, non hai nostalgia dei vecchi tempi? Tutto quel sangue rosso, così profumato, così denso…"
Aspettò una risposta che non giunse e continuò.
"Hai visto come sono raffinata. Le frecce mi sono sembrate così adatte… non sei forse una specie di Robin Hood? Ah, Drusilla ti manda i tuoi saluti."
Le gambe, per la prima volta dopo molto tempo sembravano non reggerlo, mentre cercava di mettersi in piedi.
Drusilla… Drusilla aveva permesso tutto questo. Era stata presente? Aveva supervisionato, per poi fuggire nella confusione del massacro?
"In fondo, mio caro, prima o poi doveva succedere… non te l'ho forse detto un milione di volte… non si separano le famiglie perfette.."
"Pagherai Darla."
"Lo dici tutte le volte che ci parliamo, mio caro. Ma io sono stata tanto brava da tornare persino dalla morte. Ed in questa vita, non mi pare che tu sia molto temibile." -fece una pausa - "Torna da me, mio bellissimo figlio, torna ad amarmi come un tempo."
"Non sperare di vedermi tanto presto, Darla. Ne va della tua vita."
"Angel." - la risata giungeva nitida e malevola - "Angel, o come diavolo ti ostini a farti chiamare, ma non ti rendi conto del tuo vocabolario limitato? La pagherai, ti ucciderò…. Parli come gli americani muscolosi dei film…torna da me, ritorna alle tue origini, torna ad essere un affascinante…
" Basta, ne aveva abbastanza. Ed il cellulare si fracassò non appena raggiunse il muro.

Chiuse gli occhi e sperò di non barcollare. I lineamenti, sentiva i lineamenti contrarsi ed il desiderio di spaccare tutto, di far seguire al cellulare ogni oggetto della stanza, fino al più piccolo. Per poi cominciare con i mobili, le pareti.
Voleva macerie.
Distruzione.
Massacro.
Spike…
Spike era vittima di un massacro.
Ed Angel non avrebbe fatto il gioco di Darla.

"Angel…" - Cordy gli si avvicinò cautamente. Angel era fermo, in piedi, i pugni stretti e lo sguardo determinato.
"Cordelia."
La voce di Angel suonava fredda e tagliente e Cordy si sorprese a sussultare.
"Devi dire a Doyle di proteggere Spike." -poi aggiunse, abbassando la voce - "Ho una questione di famiglia da risolvere."
"Cosa? Angel, non penserai di andare cercarla… non sai da dove cominciare…"
"Ti sbagli. Faith! Vuoi venire con me?"
Lo guardò,sbalordita. Angel andava a gettarsi nella mischia e, per di più, per quanto fosse una questione personale, voleva una mano, qualcuno che gli guardasse le spalle. "Sei una cacciatrice Faith. Ed io non posso farmi ammazzare, questa volta."
Una cacciatrice. Solo quei due vampiri si ostinavano a ritenerla tale. E, a modo loro,la rispettavano. E mai prima di allora, Faith aveva avuto qualcosa di così simile ad una famiglia.
"Cosa aspettiamo?"
"Andiamo."
Scesero rapidamente le scale. Quando furono seduti in macchina, Angel posò entrambe le mani sul volante e chiuse gli occhi.
Faith lo fissò, senza fiatare.
Non capiva.
Angel era sembrato deciso sul da farsi, consapevole del fattore tempo. Mancavano poche ore all'alba…
Le sembrò un istante eterno.
Poi Angel, senza una parola, spalancò gli occhi e mise in moto.
Adesso sapeva veramente dove andare. Era stato più semplice di quanto pensasse. Era bastato concentrarsi, cercando Darla. E l'aveva sentita. Il suo demone l'aveva desiderata,fremendo e la sua mente l'aveva localizzata, in un moderno palazzo di periferia, dietro i vetri scuri, intenta a godersi il trionfo.
Ne aveva percepito il disgustoso compiacimento. Darla lo desiderava.
Darla stava pensando a lui…
E questo le aveva permesso di firmare la sua condanna a morte.

Quando fu davanti alla vetrata non provò nemmeno a frenare.
Faith balzò fuori dal veicolo, sotto una pioggia di schegge ed uccise, prima ancora di sentire i battiti accelerare nella foga della vendetta.
Uccise.
E ancora.
Ancora.
Mostrando i denti, con lampi bui negli occhi e nella mente l'immagine di quel corpo massacrato, deposto su un tavolo come un guscio da analizzare.
Nelle orecchie sentiva pulsare le sue urla di trionfo e godimento, i suoni mozzati dalla morte che andava dispensando.
Un piano alla volta, senza esitazione, senza via di scampo e senza sorpresa alcuna.
Ed Angel a fianco.
In una fuggevole visione.
E lacrime, sui loro volti… lacrime di esasperazione.
Oppure cenere negli occhi.

Darla era bella.
Non aveva mutato i lineamenti perché lui la potesse ammirare. Perfetta.
Le bianche braccia sul velluto rosso, sdraiata e indolente.
Senza paura.
"Mio bellissimo Angelus…"- fece le fusa, alzandosi, lasciando frusciare l'ampia gonna - "Giungi imprevisto, ma bene accetto."
Angel fermò Faith sulla porta e avanzò nella stanza.
Darla ne respirò la presenza, avanzando, come la falena verso la luce.
Senza paura.
Senza essere ignara.
Angel non si mosse. Darla gli carezzò le guance, deterse le lacrime ed Angel chiuse gli occhi.
Darla lo inebriava, con il suo profumo, la sua morbidezza, la sua essenza. Il velluto gli scivolava sui pantaloni mentre Darla lo avvolgeva in un morbido abbraccio, sussurrandogli nell'orecchio, fissando la Cacciatrice sulla soglia.
Angel non aveva bisogno di guardarla. La vedeva, si lasciava avvolgere senza un movimento.
Era il loro ultimo abbraccio.
Il suo corpo lo reclamava.
Chinò il capo, per sussurrarle in un orecchio. Non voleva che Faith sentisse.
"Saremo legati per sempre, Darla. Sarai sempre la mia Regina…"
I loro palmi si incontrarono, dita contro dita.
Angelus voleva ballare, ballare con lei. Era venuto a lei dispensando morte e distruzione, conducendo come dono una Cacciatrice forte e rinnegata.
Lentamente si abbandonò contro il suo corpo, respirandolo avidamente, mentre Angelus le cingeva la vita e la faceva girare e girare e girare.
Darla danzava.
Danzava con lui.
Danzava per lui.
Danzava accettando la sua sconfitta per dono, danzava mentre il sangue di Spike ancora gli impregnava i vestiti. Profumato. Eccitante.
Danzava, seppellendo il viso laddove Spike aveva piantato i denti.
Danzava, respirando l'aroma di quel sangue maschile, lo stesso, di due corpi differenti.
Alzò lo sguardo, lo immerse in quello di Angel, si saziò delle lacrime che ancora gli scendevano sul volto, scandendo il ritmo.
Chiuse gli occhi, si lasciò sommergere da una marea incontrollabile.
Ed Angel alzò lo sguardo a Faith. Un lampo fuggevole fatto di silenzio.
"Sarai sempre la mia Regina…" - sussurrò ancora.
E lasciò scivolare a terra il velluto rosso, quando il paletto di faith si bloccò a pochi millimetri dal suo petto.
Rimase a fissare la polvere, mentre con leggero movimento si depositava a terra.
"Lunga vita alla Regina."

II
L'alba.
Temibile e vicina.
Faith correva per le vie di Los Angeles.
Il motore della macchina le ringhiava tra i piedi.
E le luci della città si riflettevano negli occhi di Angel.

Cordelia li attendeva sulla porta.
Angel le passò vicino e senza parlarle e si diresse al piano superiore.
Faith rallentò, nel guardarla negli occhi. Cordelia Chase, la bella Cordelia Chase, aveva l'aspetto pallido e tirato.
Non erano mai state troppo amiche.
Più propense ad evitarsi che a capirsi.
Faith rallentò e le si fermò a fianco. Era la seconda volta, in quella lunga notte. E per la seconda volta si specchiarono a vicenda una nell'altra.
"Darla è morta. Con molti dei suoi."
"Vorrei fosse la fine dell'incubo."
"Già." - lo sguardo di Faith corse al piano superiore. Westley era passato, con qualcosa stretto tra le mani, andando verso il suo ufficio.
Cordelia fissava l'alba nascente di un nuovo giorno.
"Faith… io…ho preparato del caffè… ti va…"
"Riempine due, Cordy."

Era superfluo tornare al piano di sopra. Faith e Cordy sedettero sul primo gradino della scala, lasciando, a poco a poco, che le loro parole scivolassero fuori dai pregiudizi di tutti i giorni.
Con le mani strette attorno ai tazzoni, per assorbirne il calore, si raccontavano con leggerezza e disagio.
Si parlavano senza spiegazioni.
Entrambe avevano qualcosa da dimenticare e particolari da riportare alla mente con affetto.
Entrambe avevano una maschera che Angel aveva sgretolato.
Ed un volto che non si erano mai mostrate.

Angel varcò la porta del suo appartamento. Sentiva la testa pulsargli e, sulle labbra, portava il ricordo dei capelli di Darla.
Le mani piene del suo profumo. Ed il sangue di Spike sul cuore.
Doyle stava a lato del tavolo, laddove Angel l'aveva lasciato. Reggeva con una mano la cannula della sacca e fissava il profilo di Spike.
Angel rallentò il passo. Cosa sarebbe stato di Doyle, senza quegli occhi… Doyle portava tutta l'anima dentro quelle iridi trasparenti.
Doyle era un puro.
Doyle poteva capire tutto. E per questo sapeva riderne.
Non erano occhi fatti per piangere. Il dolore e l'amarezza annegavano impotenti in quei laghi limpidi e cristallini.
Doyle fissava Spike e lasciava traboccare ogni suo pensiero da quello sguardo. Non aveva bisogno una parola per sapere che Spike poteva percepirlo.
Era quello il suo segreto?
Doyle non sapeva farsi notare. Ma la sua figura riempiva la stanza. Angel desiderava solo essere inglobato nella sua visione. Voleva il perdono, voleva il conforto.
Afferrò uno sgabello e si sedette al tavolo, posando i gomiti sul ripiano, vicino al fianco di Spike. Con le mani si coprì gli occhi e non disse nulla.
Sperava di veder svanire tutto, passandosi le mani sulle tempie, desiderava non ricordare più niente, passando le mani tra i capelli.
Voleva Buffy.
Voleva Kate.
Voleva la pace.
E voleva Spike a tormentarlo per il suo silenzio.
Appoggiò la testa al tavolo, incrociando le braccia ed attese.
Attese il nuovo giorno.
Westley entrò piano, schiudendo appena la porta.
Il sole stava calando sulla città, come se le tende pesanti del salone rendessero inutile e crudele ogni sforzo per illuminare tutti il dolore della notte appena trascorsa.
Doyle dormiva sdraiato sul divano. Cordy aveva aspettato a lungo che scendesse, prima di tornare alla contabilità per distrarsi. Non osava più salire, non riusciva a sopportare quella vista. Per la prima volta in vita sua, da molto tempo, sentiva di non averne la forza.
Sapeva del compito di Doyle, ne avevano parlato, in notti più quiete, stando vicini; sapeva che non sarebbe tornato da lei tanto presto.
Doyle si era sdraiato posando i piedi sul bracciolo, cercando di fissare alla mente ciò che vedeva, assorbendone le emozioni, in rispettoso silenzio.
Al di sopra del corpo di Spike, con una mano stretta tra le sue, stava lo sguardo di Angel, fisso, vuoto.
Si erano fissati a lungo, in silenzio, i due irlandesi.
Non avevano bisogno di parlarsi. Era così che andava tra loro. Quando il limite di sopportazione superava la loro umana resistenza, quando il demone che si portavano dentro urlava, forte come non mai… allora tacevano.
In silenzio ascoltavano la loro disperazione, la rabbia, il controllo quasi svanito.
Sentivano il petto lacerarsi in due opposte direzioni, ne respiravano il peso e tacevano.
Sguardo nello sguardo.
Per ore.
Crollando, infine.
Riposando e perdendo coscienza del mondo.
E così li aveva visti Westley. Con gli occhi chiusi.
Nella speranza che dormissero entrambi.
Lui sapeva di quel loro tacito accordo, osservava ed accettava. Anche se, da umano, non poteva veramente capire. Equilibrato di natura, solido e rigido come la sua educazione.
Ma con un cuore enorme, ben più di quanto mostrasse.
Aveva passato la giornata a leggere, studiare, cercare.
Aveva riaperto libri accantonati da tempo, aveva ampliato argomenti tralasciati allo spegnersi delle temporanee passioni.
Si era immerso in un passato da studioso, quando l'azione poteva solo trovarla in vecchie cronache di battaglia. Quando il sangue ed il dolore non erano altro che espressioni contorte di personaggi inventati in vecchie incisioni.
Westley sapeva di poter essere petulante ed irritante. Westley era certo di non essere né magnetico né particolarmente forte.
Ma sapeva cos'era il rispetto, in molte sue forme.
Westley sapeva rispettare.
E rispettava Angel.
E Doyle.
Soprattutto Doyle. Perché era la loro roccia.
Non uno di loro poteva concepire il mondo senza di lui. Ci avevano provato, quando l'avevano perduto. Ci avevano provato fino allo stremo. Ma non si erano mai potuti fare una ragione di quell'assenza.
Avevano continuato a parlargli, chiedergli spiegazioni. Come se fosse meglio fare domande senza risposte che rassegnarsi al silenzio.
Westley aveva preferito non pronunciarsi su quella loro strana abitudine. E gli era bastato conoscere Doyle redivivo per capire ampiamente la sua reputazione.
Passò vicino al divano silenziosamente e senza ottenere l'effetto desiderato.
In una frazione di secondo si sentì puntare da un quattro occhi: due azzurri e due scuri. Tutti e quattro stanchi ed arrossati.
Si accostò al tavolo ed Angel non si mosse. Si limitò ad alzare lo sguardo, per rispondere alle sue domande.
Spike non aveva ancora ripreso conoscenza. E no, non serviva altro sangue umano. Sì, poteva occuparsi lui della ronda e farsi aiutare da Faith e Cordelia.
Si, stava bene.
No, non doveva preoccuparsi.
Era inutile parlargli. Non ci voleva una gran perspicacia per approdare ad una conclusione del genere. Ma Westley non era Doyle, non riusciva a restare in silenzio.
E non voleva andarsene.
Ma il rispetto veniva prima ancora del desiderio.
Westley rinunciò. Si girò a si avviò verso la porta, per nascondersi di nuovo dietro ad un libro. Sentendosi gli occhi di Doyle fissi sulle spalle uscì dalla porta da cui era entrato.

Ore.
Minuti.
Secondi.
Frammenti di ogni esistenza.
Il tempo non sapeva far altro che passare.
Indipendentemente dallo scorrere del sangue, dal respiro e dall'amore.

"Perché non mi racconti una storia?"
Angel alzò lo sguardo sorpreso. Doyle stava accostando una sedia al tavolo, di fronte a lui.
Si sedette e scelse la posa di Angel, le mani sul mento, lo sguardo fisso.
"Una storia?"
"Una storia della tua vita. Una qualsiasi."
Lo sguardo di Angel si abbassò sul profilo di Spike, poi tornò a fissarsi su Doyle.
"Una storia tra tante?"
Doyle accennò un sorriso, un breve stirarsi delle labbra.
"Mi accontenterei di una qualsiasi. Ma penso che tu voglia raccontarmene una sola." - sorrise ancora, prima di tornare serio - "Una soltanto."
"Non potevo ucciderla." - ammise. In un soffio - "Faith lo sapeva. Sapeva che non potevo farcela. Io glielo dissi, tanto tempo fa, la notte che portai Spike via da Sunnydale. Il mio legame con lei era…"
Le parole gli si mozzarono tra le labbra. Non poteva accettarlo.
E non poteva tacere.
"Io non l'avrei mai uccisa. La prima volta è stato un incidente. Non pensavo sbagliasse così, combattendo con me. Avrei fatto di tutto per salvarla da se stessa, ma non ne sono stato capace. Darla aveva una natura che non avrebbe mai potuto negare. Ma io non potevo accettarlo. Volevo che avesse una seconda occasione, una nuova vita da vivere. E non ho previsto Drusilla. Come non ho previsto che potessero fare tutto questo a Spike."
"Il suo profumo mi inebriava, mi faceva girare la testa e desiderare di non staccarmi mai da lei. Ma non potevo cambiarla. E non potevo perdonarla. Faith ha atteso che io fossi pronto. E Darla è svanita un'altra volta dalla mia esistenza. E spero di tutto cuore che sia l'ultima."
"Forse dovresti piangerla e lasciarla andare. Non tenere per te questo dolore, Angel, non farlo diventare un altro sbaglio del tuo passato. Una vita da demone è sempre piena di sbagli. Ma il perdono concesso per amore è l'azione più coraggiosa che si possa fare. Perché è al di sopra di ogni pregiudizio. Darla era colpevole. Non poteva essere altro. "
"E' morta con l'illusione che fossi tornato. Mi ha amato senza capire che stavo per ucciderla."
"Amiamo sempre ciò che potrebbe ucciderci…"
"Lo so. Lo so." - la voce di Angel era un pallido sussurro - " Ma questo è peggio che uccidere. Eppure…"
Gli occhi di entrambi erano fissi su di lui. Sul suo profilo di cera.
"Hai vendicato Spike anche se non volevi farlo. Ed hai ucciso Darla, senza cercare Drusilla. Hai fatto, paradossalmente, come sempre, la cosa giusta. Indipendentemente dai tuoi desideri. Non puoi fartene una colpa."
Angel non aveva voglia di rispondere. Le parole di Doyle gli giungevano salde e forti, inammissibili, per la loro verità. Non aveva cercato Drusilla perché Spike avrebbe sofferto a saperla morta. Aveva ucciso Darla, riservando per se stesso il dolore, senza essere veramente certo che non fosse un tradimento.
Voleva salvarla.
Le aveva detto che sarebbe sempre stata l'unica.
Ed aveva mentito entrambe le volte.
Amava un'altra. L'aveva uccisa.
Aveva scelto Spike. E Faith.

….

"Angel."
Un sussurro, un sussurro dagli occhi enormi, fatti di pupille troppo dilatate.
Per un Angel privo di parole.
"Ehi." - deglutì appena, sotto lo sguardo di Doyle. Le labbra, se le sentiva secche e screpolate. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire.
Avrebbe voluto implorare il perdono, chiedere scusa per quell'orrore. Era colpevole quanto Darla perché, tra loro, era stato l'ambasciatore a portare la pena.
"Non…lasciarmi… dormire."
Angel si protese, per asciugargli la singola lacrima, rosata di sangue.
"Eppure ne hai bisogno…" - spiegò, carezzandogli la guancia- "Ed io resto qui."
"Incubi… tanti… il mio passato." - sembrava trattenere inconsciamente i singhiozzi.
"Sono solo illusioni. Ci sono qui io…" - Angel gli strinse un po' di più la mano, vi appoggio il mento e, dopo, le labbra.
Doyle ebbe un attimo di esitazione. Non avrebbe dovuto essere spettatore. Eppure le gambe rifiutavano di ubbidirgli, lo lasciavano paralizzato davanti a quel massacro.
"Io adesso so… che è vero…" - bofonchiò Spike, iniziando a perdere i sensi, resistendo all'incoscienza che lentamente lo sommergeva.
"Che cosa." - mormorò stancamente Angel, senza aspettarsi una risposta.
"Che anche tu hai le ali, come gli angeli veri. Piene … di luce."
Angel non riuscì a trattenere un sorriso. Annuì, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.

Il tavolo vuoto.
Restava solo un lenzuolo stropicciato.
Ma non c'era più nient'altro.
Faith avanzò con la bocca piena di un muto terrore. Inorridita, si sorprese a cercare la cenere su quel ripiano incrostato di sangue. Il cuore le batteva all'impazzata, ma ben sapeva che non era possibile…
"Calma bambina, calma." - Doyle avanzò verso di lei, lentamente - "Non è quello che sembra."
Faith apri la bocca per rispondere, ma non ne uscì nessun suono.
Doyle le si avvicinava come si fa con le fiere spaventate.
"Permetti?" - le chiese, con un mezzo sorriso, prima di abbracciarla stretta.
Sperando di non prendersele, sperando che ricambiasse, tremando, senza reprimere ciò che sentiva agitarsi alla bocca dello stomaco.
La strinse accarezzandole i capelli. Faith era veramente minuta, si sorprese a pensare, nel constatare che non lo sovrastava in statura, come gli era sempre sembrato, nel vederla a fianco di Angel o Westley.
"Angel lo ha portato in camera e lo ha messo in un letto come si deve. Ad un vampiro puoi prescrivere solo tanto riposo, tanto vale che stia comodo." - le spiegò, scherzoso. Poi cambiò espressione, con un lampo di serietà negli occhi - " Ha ripreso conoscenza per qualche minuto, sai."
"Sul serio?" - Faith si illuminò tutta, nello scostarsi per guardarlo dritto in faccia. Aveva lunghe striature nere di mascara sulle guance, che colpirono l'attenzione del mezzo-demone.
Spike piangeva rosato ed Angel rosso-fuoco. Cordelia e Faith piangevano grigio e nero. Come se le loro maschere si sgretolassero appena, colorando il loro dolore, proporzionalmente.
Che pensiero sciocco, concluse accantonandolo.
Le fece un sorriso ed un cenno di assenso. Faith voleva una speranza a cui afferrarsi, qualcosa che assumesse un'importanza tale da distoglierla dalla sua paura.
"Perché non vai di là a salutare Angel? Fai finta di essere passata per cercare un libro…" - le mormorò, strizzandole un occhio. Poi si protese ad asciugarle le lacrime dalle guance - "Soffiati il naso e sii te stessa. E basta."
La guardò scostare la porta della stanza di Angel ed entrare. Poi uscì sul pianerottolo e si sedette sul primo gradino. Tirò un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli, fissando il marmo lucido sotto i suoi piedi.
Sfuocato.
Il marmo era sfuocato.
Ne avrebbe voluto ridere.
Avrebbe voluto che i singhiozzi non lo scuotessero così dal profondo. Si coprì gli occhi con una mano e nascose la testa tra le braccia,attutendo la sua stanchezza, perché nessuno ne fosse coinvolto. Perché Cordelia potesse continuare a dormire indisturbata.
Non sapeva dove andare. Avrebbe voluto ubriacarsi fino a non capire più niente. Avrebbe voluto farlo e saperselo perdonare. Avrebbe voluto una premonizione e non una visione. Avrebbe voluto dare ad Angel un minuto, un minuto soltanto di preavviso, una manciata di secondi, per risparmiare a tutti… questo.
Non poteva accettarlo.
Ma avrebbe dovuto farsene una ragione,ed in fretta, per il bene di tutti.
Fece un respiro e trattenne quel fiume in piena. Ansimò, nello strofinarsi violentemente la faccia, nel cancellare qualunque segno. Si soffermò, a fissare i palmi umidi.
Lacrime trasparenti, cristalline, così diverse…
Quando un'ombra gli si materializzò a fianco, Doyle fu sorpreso, di non averne sentiti i passi. Lo squadrò mentre gli sedeva a fianco, sul gradino, con un rispettoso silenzio. Westley lo fissò dritto negli occhi arrossati e gli posò fermamente una mano sulla spalla.
Sapeva che era già abbastanza.
Sapeva che non avevano bisogno di dirsi niente.
Doyle era un buon maestro. Aveva insegnato a tutti loro il silenzio.

Nell'ombra della stanza sedeva Angel, in poltrona, a lato del letto.
E, stranamente, i piedi sul copriletto, poco lontani da quelli di Spike.
Il suo sguardo scorse rapido Faith, benché assorto in quali pensieri.
C'era in lui una calma da poco ritrovata, ben poco simile alla furia cieca che aveva invaso, fino a poche ore prima, la sua figura.
Era stanco, null'altro che la stanchezza avrebbe potuto turbare la sua espressione, la sua abituale compostezza.
"Vieni vicino, Faith. Non ti mordo."
La sua voce era appena un sussurro. Un sussurro dipinto su un sorriso bruciante. Grottesco.
Quando Faith gli fu a fianco, levò lo sguardo.
"Non piangere. Altrimenti piango anch'io." - disse - "Ti va di stare un po' qui?"
Faith annuì e si sedette sul bracciolo della poltrona, lasciando che Angel le facesse spazio. Poi, nel prendersi una libertà inusuale per entrambi, scivolò sulle sue ginocchia e si lasciò accogliere in un abbraccio riconoscente.
Angel appoggiò la testa alla sua spalla e le cinse la vita con le braccia, per un istante, prima di tornare ad abbandonarsi sullo schienale, trascinandola con sé.
Era strano.
Da lungo tempo, entrambi, non conoscevano un contatto di quel genere, un contatto che avesse poco a che vedere con l'attrazione fisica.
Un contatto tra anime, un conforto, nell'incontro tra due corpi simili eppur differenti.
Adesso era Faith a posare la testa sulla spalla di Angel. I suoi capelli, poco distanti dalle labbra odoravano di città, di fumo e pioggia.
Lo sguardo di Faith scivolava sul viso di Spike, mentre quello di Angel fuggiva lontano, verso le luci della città, oltre le tende già accostate. La città li sovrastava tutti e penetrava nelle loro menti, in modo incontrollabile.
A nulla valevano pareti e porte da sprangare. Non si poteva lasciarla fuori. Essa, con le sue contraddizioni, insidiava i loro pensieri.
E li distraeva.
Perché sopravvivessero.
"A cosa pensi…"
"Ad una notte che ho passato così, tanto tempo fa. Una notte in cui non ho fatto che domandarmi se sarei stato all'altezza del mio compito. Se sarei stato capace di proteggere Spike. Adesso so la risposta." - Angel aveva una voce profonda e roca. Faith aveva paura a voltarsi, aveva paura di vedere la sua debolezza.
"Non è colpa tua, Angel, nulla di tutto questo lo è. Questa è solo la vita, con i suoi dolori. Ma non è il destino. L'hai cambiato ancora, l'hai salvato. Questo ne è la prova…"
Tra le dita, la pelle di Angel era fredda e liscia; sul suo collo spiccavano ancora i segni del marchio di Spike. Il suo morso.
"Non ha un significato questo? Non puoi sapere cosa sarebbe stato il destino di Spike senza di te, allora o adesso. Ma tu sei, nel bene e nel male, il suo angelo custode."
Un angelo.
Con le ali piene di luce.
Faith non poteva sapere cosa aveva appena detto. Angel non poteva dirlo.
Il torpore si impadroniva di lui, inaspettato. Il torpore dei ricordi, ricordi di una vita che non avrebbe voluto vivere.
Una vita fatta di sbagli e violenze, una via di redenzione che, per un qualche inaspettato scherzo, non percorreva più da solo.
Di colpo la vastità di questo disegno sembrò schiacciarlo. Spike stava pagando per se stesso e per Angel. Faith, Doyle, Westley, Cordelia erano un frenetico girotondo sopra ai peccati e le soluzioni.
Attorno ad Angel ed ai suoi peccati.
Come diceva Doyle? Che la redenzione non era poi così tremenda, che i peccati da espiare avevano un loro perché non sempre negativo. E quando questo sfuggiva dall'attenzione, bisognava raccontare una storia.
Una storia capace di non avere senso fino a quando non giungeva sulle labbra.

"Tu devi rassegnarti all'evidenza, mio bel vampiro." - lo canzonò il Cantastorie, nel guardarlo dall'alto, nel ridere, vedendolo sdraiato nel fango - "Non andrai lontano, se resti nell'ombra. E sai perché? Perché non hai quel nome per casualità."
"Vuoi parlarmi del destino? Avevo questo nome già mentre massacravo e uccidevo, avevo questo nome…"
Non voleva dirlo. Non voleva dire la fonte del suo nome. Non poteva ricordare gli occhi…
"Oh, mio caro eroe!" - il cantastorie camminava in tondo -"Kathie vedeva molto lontano…"
"Come puoi sapere di lei! Non puoi capire, non mi conosci…"
"Ti sbagli. Io ti conosco." - sussurrò, chinandosi verso di lui, squadrandolo con quegli occhi enormi. Occhi mai visti - "Il destino ti ha riservato una strada faticosa e bifronte. Una sbagliata, come il nome che avevi. Ed una giusta, quella che stava racchiusa negli occhi di tua sorella, quella notte. Angel, non Angelus. Angel, il nome di chi protegge."
Gli sorrideva, illuminando il buio della notte.
"Prendi la mia mano, Angel, prendi la mia mano ed imbocca la tua strada, non rimandare più la tua scelta. Là fuori, aldilà di questo vicolo buio, ci sono persone da proteggere. Persone che sapranno riconoscerti appena ti vedranno, per quello che sei. Persone che ti parleranno, con le parole di Kathie. Perché tu, nel male e nel bene, sei il loro custode…"
Angel alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello del Cantastorie.
"Chi sei."
"Te l'ho detto…sono il cantastorie…" - la sua mano era calda, invitante - "Prendi la mia mano, uomo. Esci dall'oblio e vai. "
"E tu? Verrai con me?"
"Uomo…" - si lasciò andare ad una breve risata - "Tu non hai bisogno di essere sorvegliato. Non c'è motivo perché io ti venga appresso. Io so che farai ciò che devi: il resto non ha importanza."
"Ci rivedremo?"
"Certo. e ci racconteremo le nostre storie. Perché vedi… il mondo è vasto, e splendido. Il mondo è fatto di luci e pochi, per questo motivo, sanno cosa si può annidare nell'ombra. E le storie, strane, insulse o difficili da raccontare, portano la mente verso questo buio che ci circonda."
"Per capire che la luce non è mai fuggita?" - replicò Angel, con un'amarezza senza limiti - "Cantastorie, saresti capace di dire sul serio una cosa del genere?"
"Dire una bugia, dire una verità… la luce e l'oscurità non sono forse relative? Come gli sbagli. Ma io non ti mentirò, se è quello che temi. E non ti darò le risposte che cerchi." - stava appoggiato ad una scala antincendio, con le mani in tasca ed il cappello buttato indietro, a scoprirgli una fronte spaziosa ed un viso perennemente giovane - "Ci rivedremo, Angel. Ed avremo tempo, per raccontarci e capire."
"Cosa ti fa credere…"
"Non sei perfetto, Angel. Tu sbaglierai ancora e" - i suoi occhi ebbero un'esitazione fatta d'ombra - "e pagherai. Pagherai come non puoi nemmeno immaginare. Ma tutto ha un perché, anche quando ti sembrerà che nulla sia rimasto in piedi. E saranno quei momenti di nulla che diverranno storia. Ed avranno senso solo quando l' avrai raccontata a qualcuno."
Angel chinò il capo. Quelle parole, all'inizio così strane e incomprensibili…
"Vattene, uomo. Più starai lì fermo, più tempo passerà prima del nostro incontro." - si scosse dalle sue considerazioni e gli passò a fianco - "Credimi… fuori dal vicolo ti aspettano molte cose…"
Angel non si voltò, si limitò ad ascoltare i passi che si allontanavano. E che si fermavano.
"Il tuo primo compito è trovare la Cacciatrice. Cercala e tienila d'occhio. Devi darle il tuo aiuto. Sei il suo angelo, adesso."
Angel rimase immobile, lasciando che il suo essere assorbisse l'informazione. Invece di rifiutarla. Avrebbe voluto dire qualcosa. Ma, infine, seppe formulare una sola domanda.
"Il suo nome?"
"Buffy. Buffy Summers."

"Angel."
"Perdonami Faith. Io…stavo pensando."
Buffy. Buffy era stata la prima da proteggere
E, esaurito il suo dovere, Angel era divenuto il custode di Cordelia. Poi di Faith.
Ed infine di Spike.
Ma il cerchio non sembrava ancora chiudersi.
Kate… e Darla. Anche Darla.
Ma con Darla aveva fallito. E l'aveva persa, ancora una volta.
E, per un attimo, non aveva fallito anche con Spike.
"Faith… tu, tu credi sul serio che io possa proteggerti da ogni cosa?"
"Tu non puoi. Tu lo fai." - Faith gli afferrò il maglione e lo strinse tra le mani, fino a portarselo alle labbra - "Angel tu non hai profumo, ed il tuo corpo non è veramente caldo. Eppure mai nessuno mi ha fatto sentire così sicura come adesso, così amata."
Angel la cinse con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, nell'appoggiare la tempia su quella criniera setosa.
"Un amico, molto tempo fa, mi ha detto che avrei dovuto proteggere alcune persone. Ed io non ho mai smesso di temere di farlo nel modo sbagliato." - teneva gli occhi chiusi e lasciava che le parole fluissero da lontano - "Ma non mi disse che quelle persone mi sarebbero entrate nell'anima in questo modo."
"Sei tu che non ci permetti di lasciarti fuori dal nostro cuore." - lo tormentò Faith, afferrandolo per il mento perché la guardasse in faccia -" Sei una personalità… prorompente."
"Ma senti chi parla." - replicò Angel accennando un sorriso.
"Andrà tutto bene, Angel. Con te nei paraggi non potrebbe andare altrimenti."
"Faith…" - Angel la strinse un poco di più - "Ti va di ascoltare una storia?"
"Penso di sì. È una richiesta strana…"
"Lo so. Ma il Cantastorie dice che funziona…" - sorrise, fissando lo sguardo verso il letto.
"Chi?"
"Lascia perdere… quella è un'altra storia."
"Ne hai in mente una in particolare?"
Buffo, sembrava la conversazione con Doyle, ma al contrario.
"No. a dire il vero, no. Ma mi andrebbe…"
"Perché non mi parli di…lui." - Faith indicò Spike, con un leggero movimento, sporgendosi appena in avanti.
Con quella luce, ai suoi occhi, Spike aveva solo profondamente addormentato. Sdraiato sul fianco, con il volto girato verso di loro, appariva un normale ragazzo, immerso in un sonno senza sogni. Il labbro rotto era solo una macchia appena più scura sul suo colorito esangue. Nulla traspariva da quella figura che, solo poche ore prima, era stata l'icona della crudeltà e del dolore.
"Lui?" - Angel si girò, per fissare la stessa immagine nella mente -"quando l'ho conosciuto era meno biondo e portava i capelli più lunghi. E gli occhiali."
"Occhiali?"
"Già. Rotondi, sottili. Aveva l'aria più tenera di quanto non abbia adesso. Tutto sommato potevo capire Drusilla. Le piacevano i cuccioli."
"Tu non sei propriamente un cucciolo…"
"Già. Ma io ai suoi occhi dovevo essere forte. Ero il suo Sire e nulla l'avrebbe convinta che io non fossi il più forte." - la sua mente corse involontariamente all'iniziazione di Spike - " Oppure le piacevano forti e Spike non l'aveva ingannata con la sua espressione. Probabilmente è andata così. In fondo Spike non si può definire un ragazzo pacifico."
"E tu invece? La sua espressione tenera ti aveva tratto in inganno?"
"Gli occhi, Faith. Gli occhi di William erano occhi di una persona destinata a grandi cose, in qualunque frangente si potesse trovare e qualunque espressione avesse dipinta sul muso. Non aveva paura di me, di Dru… nemmeno mentre lei si cibava di lui."
"Credevo fossi stato tu a vampirizzarlo…" - obbiettò Faith, prima di rendersi conto dell'indelicatezza di quella domanda.
"Devi bere il sangue, per diventare un vampiro, il morso non basta. Spike bevette il mio perché ero più forte di Dru e perché volevo fosse così. Magari è stato il risultato di un capriccio. Ma io penso di aver visto qualcosa, quella notte. Una luce, nel suo sguardo, una luce che si spense nell'istante stesso in cui si risvegliò vampiro. Ho dovuto aspettare più di centocinquant'anni per vederla brillare di nuovo." - Angel si interruppe - "Quando stanotte ha ripreso conoscenza, per un istante interminabile, ho avuto paura di non vederla più, un'altra volta."
"Ma non è successo."
"Lo so. Ma mi ci vorrà un po', per riuscire a comprenderlo. Mi ci vorrà Spike dritto sulle sue gambe che mi dice che sono una madre isterica."
Faith seppellì una risata leggera nel suo maglione. Era un peso piacevole sul suo petto.
Ma ad Angel non sfuggì il leggero irrigidimento del suo corpo.
"Angel, senti… preferiresti avere Buffy tra le braccia adesso?"
La domanda lo colse di sprovvista, con i suoi sottintesi.
Faith si era raddrizzata e lo fissava, con un'espressione seria e pentita nello sguardo."Scusami, non è il momento per chiederlo."
"Faith, aspetta. È il momento giusto, se è adesso che vuoi saperlo. Ma vorrei che tu, dopo, rispondessi ad una mia domanda."
Faith annuì, seria.
"Faith, tu non sei la sostituta di Buffy, anche se molti si sono messi di impegno per farti credere che eri la prescelta di seconda categoria. Tu sei Faith e non la vice-Buffy, l'anti-Buffy o quant'altro ancora. Non hai bisogno che una Buffy ti completi o delimiti il tuo spazio. Ti meriti tutto, ti meriti il meglio ed io ti voglio bene e non mi pentirò mai di avere avuto te a fianco in questi mesi. Di averti qui, con me, mentre mi sembra che il mio mondo vada un'altra volta in pezzi. Io amo Buffy. Ma questo non influisce in nessun modo su quello che sei tu per me." - Angel sembrava non riuscire a fermarsi ed il suo cuore batteva all'impazzata, violentemente - "Ma adesso devi rispondere tu ad una mia domanda: Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?"
Faith lo fissò annichilita. Angel era fatto così, era silenzioso, provava fatica ad esprimersi a lasciare che i sentimenti venissero fuori. Salvo poi lasciarsene travolgere all'improvviso, irrefrenabilmente ed inaspettatamente.
Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?
Faith, tu vorresti il posto che ha Buffy nel mio cuore?
La domanda le martellava in testa. Ed una risposta voleva uscire.
Una risposta muta.
Un cenno.
Un cenno di diniego.
"No. non ti amo come Buffy. Io sono Faith. Il mio amore è come quello che ha Spike per te. Non ha niente a che fare con l'amore che può provare Buffy. Ha a che fare con quello che saremo capaci di rischiare per te, alla nostra riconoscenza, alla capacità che hai di farci sentire al sicuro. Ma non con l'amore che provate tu e Buffy uno per l'altra. Spike ed io abbiamo provato a separarvi, io con te, lui con lei. Ma non significava nulla. Era spirito di emulazione. Anche lui sa cosa significa essere al secondo posto…" - le parole morivano lentamente, scemavano dalla sua consapevolezza fino a naufragare in un mare di emozioni confuse - "Le persone che vivono in questa casa sono la mia famiglia. E sono una famiglia grazie a te."
Angel la stava abbracciando. La stringeva, per sentirla di nuovo pesare sul suo corpo, nel tornare serenamente all'intimità che aveva rischiato di incrinarsi definitivamente."Hai ragione. Spike può capirti veramente. Ho fatto di tutto per renderlo inferiore a me, senza mai riuscirci. Ma lui combatteva questa sfida ogni giorno, con chiunque ci avesse conosciuti. Talvolta credo sia stata Drusilla stessa ad inculcargli questa idea. Forse ha cercato di proteggerlo da me. Se fosse sembrato innocuo, io l'avrei lasciato stare. Ma Spike non è mai stato inferiore a me. E mi spiace essermi accorto tardi che ero solo io a saperlo."
"Hai rimediato a questo sbaglio." - sussurrò Faith, abbandonandosi serenamente - "Così tante volte da inculcarci in testa che non siamo secondi a nessuno e possiamo vivere senza paragonarci a te o a Buffy. E senza diventare necessariamente anime gemelle…"
Di colpo sobbalzò. No, anzi, era il petto di Angel che sobbalzava.
Angel… rideva.
Rideva, soffocando il suono della risata dietro una mano. Una risata pura e leggera."Oddio… tu e Spike?"
"Non è successo nulla. Ehi, smettila di ridere. Che c'è di divertente. Io… ero seria."
"Lo so, ma io non posso fare a meno di trovarla una cosa incredibile. Non mi fraintendere,Faith, ma io non riesco a immaginarvi in questo modo."
Faith rimase in silenzio un istante, poi la verità si affacciò alla ribalta.
"Angel. Spike ha ragione."
"Ragione su cosa?"
"Sul fatto che tu non ci vedrai mai cresciuti."
Angel corrugò la fronte.
"Io penso che sia… probabile." - ammise, in un sussurro - "ma non si tratta di William,William è cresciuto abbastanza, senza contare che è diventato vampiro per amore. Sei tu che mi sembri troppo giovane. Sei tu che mi sembri sempre una bambina da proteggere."
"Io metto alla prova il tuo istinto paterno. Ma prima o poi, Angel, promettimi che ti arrenderai all'evidenza."
"Aspetterò che tu abbia almeno vent'anni, se non ti dispiace…" - le rispose distrattamenteAngel, senza nemmeno guardarla, ma con tono apprensivo - "Non ti ha messo le mani addosso, vero?"
"Certo che mi ha messo le mani addosso. Ma, se hai presente, finisce sempre con il prendersele… e tu non puoi farci niente, per cui non ci pensare. Non puoi fermare lui o me. Spike continuerà a provarci a tempo perso ed io lo picchierò ogni volta che riterrò sia il caso."
"Va bene." - sospirò Angel, accarezzandole i capelli - "Non sai quanto vorrei sapervi giù nell'ingresso a far a pugni."
"Oppure a giocare a scacchi, come quella sera…"
"Già, quando mi aspettavo di trovare il tuo sangue su tutte le pareti dell'Hyperion…"
"Ehi, dubitavi così delle mie capacità?"
"Non dubito delle tue. Ma conosco le sue. Ed una Cacciatrice può avere un'attrattiva irresistibile per un vampiro come Spike. Con l'anima oppure senza, non cambia niente. Le Cacciatrici sono la sua droga."
"Di questo mi sono accorta. Sembra realizzato, quando combatte. Gli piace. È come se ballasse."
"Ed in questo è tale quale a te."
"Sul serio? Sembra sul serio che io danzi quando combatto? Io ho sempre desiderato danzare…"
"Anche a me piaceva. Trascinavo Darla dappertutto si potesse ballare."
"Parigi 1830?"
"Già. Aspetta! E tu come fai a saperlo?" - le chiese sorpreso.
"Me lo ha detto Spike."
"Ti ha detto altro?"
"Certo. Ma sono segreti." - Faith sorrise e si lasciò scivolare ancora un po'. La stanchezza era tale da chiuderle appena gli occhi, indipendentemente da quanto battesse forte il suo cuore - "Ballerai con me, un giorno o l'altro?"
"Penso proprio di sì. Sto tornando a molte vecchie abitudini, da quando c'è di nuovo Spike. sarà che non posso mai mentire… mi conosce bene e poi c'è quel suo dannato sesto senso. Gli basta un'occhiata per capire le persone."
"Come Doyle…"
"No, non come Doyle. A William piace intuire una verità per tirartela sul muso. Doyle tende a leggere le persone, a comprenderle. Credo che ogni tanto usi qualche trucchetto di Lorne… dovrò chiederglielo un giorno o l'altro."
"Doyle è l'unico che non ti preoccupi di proteggere." - c'era un vago tono di accusa nella sua voce.
"Certo. Doyle sa badare a se stesso." - sentenziò Angel.
"E gli altri coinquilini invece no, vero?"
"E' una cosa diversa."
"Perché?"
"Già. Perché?" - mormorò Angel, accarezzandole i capelli - "perché… perché di Doyle non riesco a preoccuparmi. È lui che si preoccupa per me. Tecnicamente c'è chi ama definirlo il mio angelo custode."
"E' bello, non trovi?" - la voce di Faith si era fatta pastosa, lenta nelle parole. Angel chinò la testa, fino a intravederla, con gli occhi chiusi.
"Che cosa è bello?" - sussurrò, scostandole i capelli dal viso.
"Essere protetti. Come me e… Spike." - sospirò, e si addormentò del tutto.
"Hai ragione bambina. È bello." - sorrise Angel nel baciarla dolcemente.

III
Cordelia dormiva sul letto di Angel. Lei e Spike, senza nemmeno toccarsi, dormivano fianco a fianco. Ed Angel, dalla sera prima, se ne stava sprofondato nella poltrona. Perfettamente immobile, con Faith tra le braccia. Come una bambina troppo cresciuta.
Westley e Doyle entrarono silenziosi. Westley si chinò sul letto, per sfiorare la pelle di Spike, scoprendola fresca ed immota.
"Ciao, Wes." -disse Angel, prima ancora di aprire gli occhi.
"Mi spiace, non volevo svegliarti."
"Non dormivo, tenevo solo gli occhi chiusi. Non mi ricordavo di poter soffrire di mal di testa…"
"Visto che sei sveglio, sarebbe meglio che tu mangiassi qualcosa. Ci manca solo un vampiro con il calo di zuccheri." - mormorò Doyle, chinandosi in avanti. Con un colorito verdognolo ed un sano odore di alcool.
Angel lo guardò, sollevando appena un sopracciglio e il demone, con una mezza alzata di spalle, replicò: "Faccio quello che posso."
Angel fece per alzarsi, leggermente intorpidito, e Wes intervenne prontamente.
"Aspetta." - disse, circondando Faith con le braccia e sollevandola, senza che si svegliasse. Angel si spostò e l'Osservatore adagiò la bella Addormentata nella poltrona appena lasciata libera.
"Resto io, vai a farti due passi." - aggiunse, nel sedersi a terra tra entrambi.
Angel guardò Cordy e poi Doyle con aria interrogativa.
"Non ricordo quando è arrivata." - ammise.
"Non importa. Tanto vale lasciarla dormire." - a Doyle non sfuggivano gli occhi gonfi ed il fazzoletto stretto tra le dita. Cordy aveva pianto, silenziosa, su quelle coperte. Per sfogarsi ed esaurire le ultime forze rimaste.
Il suo sguardo si riempì di tormento e comprensione, ma Doyle, risolutamente si girò ed uscì dalla stanza, alle spalle dell'amico.
In silenzio discesero le scale. Ed in cucina fu Angel ad aprire il frigo, cercando nel suo scomparto.
"Anche William dovrebbe nutrirsi." - sospirò.
"Lo so. Ci penserà Wes. Tra un pub e l'altro abbiamo recuperato altre sacche di sangue e lui si occuperà di trasfonderle." - Doyle si sedette al bancone, con un sospiro - "Non dobbiamo preoccuparci che morsichi uno di loro, vero?"
"No. Nemmeno il suo demone è molto forte, al momento. " - spiegò Angel stancamente, versando il sangue in un bicchiere - "La sua mente è lontana. ci vorrà tempo."
Guardò Doyle e il suo colorito caratteristico.
"Ma quanti ne hai bevuti?"
"E chi si ricorda. Qualunque cosa fosse, era buona."
"E ti ha aiutato?"
Doyle fece per rispondere, poi scosse la testa.
"Capito." - sospirò il vampiro, sedendosi.
"Hai delle splendide occhiaie…" - constatò Doyle, allungando un braccio e levandogli il bicchiere di mano. Bevve un sorso, con una smorfia e lo restituì.
"Bleah. Ma sei certo che ti farà sentire meglio?"
"Anche fosse, non mi va altro." - replicò Angel, con un sorriso divertito innanzi alla gamma di smorfie - "Si può sapere che ti è passato per la testa?"
"Volevo provare. Ed avevo sete, ma non la voglia di alzarmi a prendere qualcosa. Dio…" - Doyle arricciò il naso e sporse la lingua in fuori. Anzi, anche le labbra.
Angel ridacchiò, alzandosi ed andando nuovamente verso il frigo. Prese la caraffa di the ed un bicchiere e li pose sul tavolo.
"Bastava che lo dicessi…" - concluse, risollevando il suo bicchiere.
"Grazie."
"No, Doyle. Grazie a te."
La caraffa rimase bloccata in volo.
"Perché mi ubriaco, bevo dal tuo bicchiere e non ci sono quando Cordelia piange?" - puntualizzò.
"Anche. E perché sei tornato indietro rinunciando alla tua pace, sfidando l'ordine della cose, riprendendoti le tue visioni ed i tuoi doveri nei miei confronti. " - Angel gli sorrise - "Sei un buon amico, Cantastorie."
Doyle gli rivolse una di quelle occhiate. Quelle indescrivibili, che Angel sentiva trapassargli l'anima.
"Per me è un onore. Tutto quello che hai detto." - gli sorrise, con dolcezza - "E non mi hanno offerto una pace che equivalesse alla felicità che conosco qui."
"Già, la felicità…" - lo sguardo di Angel si alzò verso il soffitto, come potesse perforarlo e trovare risposte certe.
"Angel. Non perdere di vista la cosa più importante. E' vivo. Non conosco posto in cui potrebbe essere più al sicuro." - poi aggiunse - "E più viziato."
"Doyle, Faith mi ha fatto notare che mi do da fare a proteggere tutti tranne te."
"E tu come hai risposto?" - Doyle sembrava distratto da altro. Apparentemente.
"Che nessuno si preoccupa per il proprio angelo custode."
Doyle interruppe quello che stava facendo e lo fissò, con un'occhiata penetrante e divertita.
"Da quando senti il bisogno di un angelo custode?"
"Da quando un tizio mi ha steso in un vicolo, sei anni fa."
"Sono già passati sei anni? Accidenti, te l'avevo detto di non stare fermo a lungo…"
"Sai che quando sei morto ero furioso con te?"
"Non è vero! Eri molto triste, lo so benissimo." - replicò, scotendo un dito in segno di ammonimento.
"Già ma ero anche arrabbiato. Io non ci avevo più pensato, è stata Faith a farmi ricordare. io.. non facevo altro che pensare che mi avevi promesso che avremmo avuto tempo, per parlare. E non era vero. Avevi detto che non mi avresti mentito, eppure l'hai fatto…"
"Angel." - la voce di Doyle era seria e densa -" Io non prevedo ogni evento, lo sai. Sapevo che ci saremmo rivisti e speravo di tutto cuore che avessimo più tempo."
"Eppure sapevi che io sarei tornato dall'inferno."
"No, non è esatto." - Doyle si alzò, per frugare nella biscottiera - "Io sapevo che tu avresti rimandato Acatla all'Inferno. Lo dissi anche a Buffy, perché rimediasse allo sbaglio."
"Allo… sbaglio?"
"Sì, lo so, non è carino parlare così dei vostri rapporti sessuali. Ma è che, nell'ordine delle cose, nessuno aveva previsto che vi innamoraste. Nel destino era scritto che ti saresti sacrificato per richiudere il varco. Non che l'avresti aperto."
"Allora lo sbaglio è stato mio, non di Buffy." - la difese Angel.
"Buffy era la causa, Buffy era la risposta. Io dovevo essere certo che il tuo destino si compisse. Sono venuto a Sunnydale e…"
"Un momento. Tu eri a Sunnydale, quella notte?"
"Ovvio." - la risposta più naturale di questa terra. Ogni segno di sbronza era svanito e la sua voce appariva calda e forte. Come quella di chi ha una bella storia da raccontare - "Ci venni per parlare con Giles, perché mettesse in guardia Buffy. Ed invece, a casa dell'Osservatore ci trovai lei. E ti posso capire, se la guardi in un certo modo…"
Angel accennò un sorriso ed alzò il bicchiere in segno di brindisi. In onore dell'amore impossibile.
"Trovai Buffy e le dissi la verità nuda e cruda. Non fui molto gentile, a dire il vero. Ma ero leggermente arrabbiato. E lei vagamente irrazionale… le dissi in termini molto espliciti cosa aveva fatto che non andava e che, per come stavano le cose, avrebbe dovuto scegliere tra te ed il mondo. E non avrei mai voluto… "
"Lo so. Neanche Buffy voleva. Ma voi avete fatto la cosa giusta, entrambi." - sintetizzò Angel. Buffy l'aveva ucciso sotto esplicito consiglio di Doyle. Si erano preparati ad uccidere Angelus, non Angel. E per quanto fosse la cosa giusta, entrambi non erano stati capaci di perdonarselo.
L'aveva letto negli occhi di Buffy. Ed ora lo vedeva nello sguardo di Doyle.
"Eppure… Angel, nell'ordine dell'universo io credo che quel singolo istante di gioia con Buffy ti abbia salvato la vita. La tua redenzione non era completa, non eri mai veramente uscito da quel vicolo in cui ti avevo trovato. Credi sul serio che ti avrei lasciato morire?" - Doyle lo guardò di traverso - "Andiamo Angel, da demone a demone. Io preferisco la vita a qualsiasi premio dell'aldilà. Potevano garantirmi ciò che volevano, ma io proprio non me la sentivo di lasciarti a fare da tappabuchi…"
"Ed avevi in programma una mia presunta morte eroica?"
"Già. Ma quando arrivai ad una buona soluzione, era già troppo tardi. Ed io mi ritrovai senza scelta. Fine della storia."
"Mi sembra una fine che lascia un sacco di domande in sospeso."
"Ma io ti ho sempre detto che non ti avrei dato risposte." - gli ricordò Doyle - "Io ti procuro i mezzi per porti in discussione. Comunque… cosa vorresti sapere?"
Angel lo guardò e diede a Doyle alcuni indizi di un equilibrio vacillante. Le enormi pupille, dilatate dalla stanchezza, gli davano l'aspetto di un felino atterrito, un animale feroce e inquieto, capace di uno scatto improvviso.
E Doyle già sapeva che non si sarebbe lasciato aiutare.
"Non farti del male, in questo modo." - si sorprese a dire - "Non rinvangare il passato."
"Non posso concentrarmi sul presente." - rispose Angel, prontamente - "Ed il futuro non mi è mai sembrato così lontano. Il passato, invece, è sempre pieno di sorprese. Soprattutto quando ne parlo con te…"
"Perché, se smettiamo di parlarne, te ne torni di sopra, al buio, a riflettere? Suona come un ricatto." - si lamentò.
Angel abbassò lo sguardo e sorrise per quello scherzoso gioco di finzione. Forzato per entrambi, per sorridere ancora una volta della loro vita.
"Quante altre volte sei venuto a Sunnydale?"
"Poche."
"Ufficiali o ufficiose?"
"Tutte ufficiose. Nelle Alte Sfere non si preoccupano di quello che faccio nel tempo libero. Sanno che sono un tipo tranquillo, che non combina casini; si accontentano di guidare i miei passi quando è il caso. No, riformulo. Guidano i miei perché io guidi i tuoi. Se non devo badare a te, sono in vacanza."
"Che cosa carina."
"Allora, la prossima domanda sarà quante volte sono venuto a Sunnydale: per l'Ascensione, anche se non puoi ricordarlo…"
"Non ero al mio meglio, allora."
"Ma non c'era da preoccuparsi. In effetti ho preso l'abitudine a starmene tranquillo ogni qual volta sia stata Buffy a occuparsi del tuo futuro." - un altro biscotto - "Il tuo problema è che non le lasci prender in mano la situazione. Fa cose stupide, a volte. Ma ad occuparsi di te… è brava quanto me."
"Con lo stesso amore per i dolci." - constatò Angel, prelevando dalla stessa scatola.
"Ragazza di buon gusto." - concordò, con un'espressione estatica - "Biscotti al cioccolato…uhmmm…. Comunque, dicevamo. All'Ascensione e prima, la notte in cui tornasti dall'Inferno. Per vedere come stavi. Ma questa è un'altra storia… poi… poi sei venuto tu a Los Angeles, per cui ho smesso. No, ci sono ancora tornato per Spike, quando è tornata la sua anima. Anche se ero morto."
"Lo dici con una naturalezza…"
"E' un ricordo che mi sono potuto tenere, per cui, mi piace raccontarlo. È una cosa particolare, dopotutto. Non tutti possono dirlo. E poi è stato un avvenimento importante, quello che hai fatto ha cambiato il corso degli eventi. Per tutti noi e soprattutto per te." - gli ricordò.
Angel annuì. Lui e Doyle avevano parlato a lungo dell'importanza di quella scelta, non appena Angel era stato in grado di assimilare le informazioni, dopo il suo ferimento.
"E prima dell'Ascensione?"
"Non so se ho voglia di scoprire tutte le mie carte…" - protestò Doyle - "Se ci venivo erano pur sempre affari miei!"
"Forse dovrei tornare di sopra." - disse Angel, interrompendo il silenzio che si era creato tra di loro.
"E per cosa? Per guardare le sacche di sangue che si vuotano ed il suo profilo immobile? È presto Angel, perché si svegli nuovamente. E nelle prossime settimane sarai così indispensabile da dover essere in ottima forma." - replicò Doyle, porgendogli una biscottiera semi-vuota.
"Devo risolvere il problema Drusilla."
Una bomba.
Doyle posò la biscottiera e lo fissò, corrugando la fronte, costernato.
"Angel. No." - sillabò - "Non puoi e non devi andare a cercarla. E soprattutto, non vuoi veramente."
"Era colpevole quanto Darla."
"Ti prego di non comportarti come un eroe senza cervello." - replicò secco - "Drusilla sarà già lontana mille miglia ed è assolutamente inoffensiva. Ed io lo so perché lo sai tu. Andiamo, passa una certa differenza tra Darla e Dru."
"Passava. Non passa. Passava una certa differenza." -precisò Angel.
"Lascia perdere i verbi. Dimmi perché vuoi questa vendetta gratuita."
"Non è gratuita. Lei c'era."
"Non puoi saperlo fino a quando non è Spike a dirlo."
"Me lo ha detto Darla. Non ho bisogno di tormentare Spike."
"Oh certo. Non puoi chiederglielo ma puoi dirgli che l'hai ammazzata. Andiamo Angel, cerca di tornare in te. Sai che non vuoi ucciderla, come lo so io. E sai che lo farai soffrire come hai sofferto tu, per Darla."
"Non so perché ti infervori tanto. Sono io quello che dovrebbe ribellarsi all'idea di saperla morta."
"Certo. ed infatti, in tempi normali, ti comporteresti in tutt'altro modo. Angel, sei sconvolto, la tua rabbia ti sta accecando. Non arriverai da nessuna parte. Crollerai prima di aver raggiunto il tuo obbiettivo."
"Allora non dovresti preoccuparti per Dru." - ribatté testardo.
E in un attimo si ritrovò Doyle seduto a fianco, sull'alto sgabello, con una mano sulla spalla. Una mano dalla presa salda, capace di infondergli calore senza esitazione. E determinazione.
"Angel, io non sono nessuno, non sono quello che guida le tue scelte, né tantomeno quello che ti fa cambiare idea. Ma sono un amico che non ha nessun piacere a vederti su una strada così sbagliata. Ti stai ammazzando, non dormi, non ragioni e segui la tua rabbia come se fosse l'unica risorsa che hai. Ma non è vero, accidenti. Uomo…"
"Smettila Doyle."
"No, non smetterò. Ti farò ragionare, a costo di pigliarti a pugni, in barba a tutti i miei buoni propositi, non smetterò perché qualcosa mi dice che se affondo ancora un po' la lama, lasciando da parte le mie amene battute, otterrò il risultato che ti aspetti di ottenere con l'assassinio di Drusilla."
"E sarebbe?" - chiese Angel con voce soffocata,
"E sarebbe la disperazione, quella pura e senza freni, quella che ti fa uscire di testa. E poi la pace. E mi manca tanto così" - distanziando appena due dita - "Per ottenere questa reazione a catena. Mi basta poco, perché non vuoi sentirti dire che questa volta non hai colpa. Tu vuoi poterti accusare di quello che è successo, ed allo stesso tempo vuoi una vendetta che taciterebbe il tutto. E vuoi Dru morta perché si prenda parte della colpa di darla. Perché…"
"Perché non posso ammettere che con lei ho fallito."
Doyle tacque. E guardò scendere quelle lacrime che ormai attendeva da ore.
"Allora è questo,"
Angel annuì e chinò il capo, fino a scivolare appoggiato al bancone; Doyle, per una frazione di secondo, desiderò vederlo scosso dagli stessi singhiozzi che ricordava ancora nel petto.
Desiderò saperlo travolto da quella marea vecchia di secoli,ma era troppo. Eppure, in fondo al cuore, sapeva già che non si sarebbe autoflagellato con la morte di Dru.
Dru… Dru era il più grande sbaglio di Angelus e la più grande debolezza di Angel.
E quel capo chino, sepolto tra le braccia incrociate non era altro che la sconfitta di un'anima e del suo demone. L'impotenza del non trovare una soluzione.
"la vita Angel è… come un vortice. Ci sembra sempre che la testa giri troppo veloce e che una forza incontrollabile ci attiri verso il basso. Spike in quello stato, la morte di Darla. Ma non ritenere inevitabile che questa scia di sangue sia la via da percorrere. La prossima della tua lista sarebbe Drusilla. E poi? Chi resterebbe da sacrificare? Il tempo continuerà a passare, ma tu puoi fermarti adesso, prima che ci sia qualcos'altro da fare oppure qualcuno da salvare." - Doyle si chinò in avanti, senza riuscire a vederlo in volto - "Tu non vuoi questa vendetta, solo che non puoi ammettere che sia stata Darla a morire."
"Dru amava Spike, alla follia. Non avrebbe dovuto fargli quello che ha fatto."
"E' un vampiro. Io ho conosciuto Spike in un frangente simile… non credo che tu abbia la memoria tanto breve da non ricordarti le torture che hai subito per la Gemma di Amarra. Eppure lui stravede per te. Lo vedi? Angel reagisci, non sei in te. Preferisco vederti spaccare tutti questi mobili e prendermi tanti di quei pugni da restarci secco che saperti compiere uno sbaglio di questo genere. Ubriacati, fai quello che vuoi. Il mondo andrà avanti qualche ora anche se tu non vigili. Ma Spike…."
"Spike non sopravvivrà se non ci sarai al momento giusto."
Spike non sopravvivrà.
Spike non sopravvivrà.
Angel si alzò di scatto e portò le mani alle tempie, come se la testa gli esplodesse, con un movimento tanto simile a quello di Doyle che questi ne fu colpito. gli occhi chiusi, le mani a pugno. Angel stava combattendo contro qualcosa di incomprensibile.
"Non farmi dormire." - sussurrò.
Le pupille di Doyle si dilatarono per la sorpresa. Di colpo qualcosa gli fu chiaro.
Era sempre stato sotto i suoi occhi, ma era prepotentemente venuto fuori soltanto adesso.
Afferrò Angel per le spalle e lo costrinse a girarsi.
Lo afferrò per i capelli e lo costrinse a fissarlo negli occhi.
Fu come un pugno in pieno petto. L'occhiata di Doyle lo trapassava, lo stringeva e lo dilaniava allo stesso tempo.
"Vieni con me." - Doyle lo trascinò, verso il salone e poi ancora, verso l'armeria e poi nello scantinato.
Lo trascinò, fino a quando non si trovarono di fronte al sacco da boxe.
"Colpiscilo."
Angel lo guardò, senza capire.
"Colpiscilo, con tutta la forza che puoi buttar fuori. Picchia questo stramaledetto mucchio di sabbia e mostrami chi sei. Avanti!"
Era una voce d'acciaio, capace di risvegliare istinti profondi e ferali.
Un colpo, un altro, un altro ancora.
Alle sue spalle Doyle stava parlando, ma non riusciva più a sentire le parole. Ringhiando picchiava, picchiava forte e disperato.
Alle sue spalle, Doyle parlava al telefono.
"Lorne, io penso non mi importi assolutamente niente della tua maratona karaoke, al momento. Io ho bisogno che tu muova il culo e venga qui, subito. Sì, la mia ingentilezza sarà niente in confronto a quello che ti farò se non ti so in macchina tra meno di un minuto."
"Che succede?" - Wes si affacciò alla porta. E, all'occhiata interrogativa di Doyle - "Tranquillo, Cordy è sveglia. Ma i colpi si sentono fino al piano di sopra."
"Meglio, più sono forti, più si esaurirà in fretta."
"Ma che succede…"
"Succede che abbiamo qualche effetto collaterale." - Doyle gli scoccò un'occhiata di fuoco - "Qualcosa di molto contagioso. Come il desiderio di prendersela con un capro espiatorio."

Quando Lorne apparve sulla porta, gli schizzi del sangue di Angel macchiavano già tutta la parete. Ma continuava a picchiare. La sua faccia si trasformava e poi tornava umana.
Le nocche erano escoriate, la clavicola di Angel si era già lussata almeno un paio di volte. Ma Angel la rimetteva a posto a suon di pugni.
Ed Angel picchiava.
Si era tolto il maglione ed il tatuaggio sulla spalla si muoveva come di vita propria, per il guizzare isterico dei suoi muscoli.
"E mi hai chiamato per questo spettacolo?" - Lorne si avvicinò a Doyle, seduto sopra al bancone, accanto a Westley - "Siete in due, potreste anche farcela a sopraffarlo."
Gli bastò un'occhiata di Doyle.
"Ma non si tratta di fermarlo, immagino. Doyle, starti vicino al momento, fa venire il mal di testa." - poi lo fissò meglio - "Hai bevuto? Hai quasi il mio incarnato…"
"Certo che ho bevuto!" - scattò Doyle in modo inusuale - "Una cosa è certa. Non avessi bevuto, non me ne sarei accorto. Allora, prova ad avvicinarti."
"Non rinuncio ai miei bei connotati, grazie. Comunque bisogna farlo smettere. È quasi vuoto."
"Come sarebbe a dire "vuoto"?" - mormorò Wes, con gli occhi fissi su quella furia combattente.
"La sua mente." - spiegò Doyle - "La sua mente era piena di rabbia, incontrollabile.. può succedere, dopo un trauma come quello che ha subito. Ma c'è qualcos'altro, qualcosa che è venuto fuori quando i suoi nervi hanno cominciato a cedere."
"Come ci sei riuscito? Angel non è una roccia facile da smuovere." - chiese Lorne.
"Mi sono lasciato prendere la mano." - replicò Doyle, con un'alzata di spalle - "Volevo solo che cedesse al dolore e dormisse qualche ora. Poi è venuto fuori… questo."
"Io non vi seguo." - protestò Wes, guardando Lorne che si grattava una guancia e Doyle che beveva a muso dalla bottiglia di vodka di Spike - "Io vedo solo Angel talmente furioso che alla fine della sua performance dovremo ritinteggiare la parete e comprare un sacco nuovo. Forse sarebbe meglio lasciarlo sfogare…"
"E non ti pare strano che Angel reagisca in questo modo? Ora ti mostro una cosa…" - Doyle gli diede la bottiglia in mano e saltò giù dal mobile. E Lorne lo fermò.
"Aspetta, vecchio mio, faccio io, se non ti spiace. Non potendo farlo cantare…"
Con andatura tranquilla, ma senza esitazioni, avanzò dritto verso Angel e lo afferrò alle spalle.
Wes si preparò ad intervenire, per salvarlo dalle grinfie di un Angel furioso.
Ma non dovette fare nulla.
Al solo contatto con le mani di Lorne, Angel scivolò a terra, come se di colpo qualcuno avesse spento un interruttore ed il flusso di energia che lo dominava.
"Come ci è riuscito…" - esclamò Wes.
"Non è stato Lorne. Angel ha fatto tutto da solo. Usa il tuo spirito di osservazione, Wes… chi hai visto perdere di colpo energia in questo modo, meno di qualche ora fa? Chi hai visto usare il demone come una batteria di scorta? Non mi pare che sia un'abitudine di 'questo' vampiro…" - Doyle avanzò e si inginocchiò di fronte a Lorne, che sosteneva Angel, sveglio e ansimante, ma con lo sguardo vitreo. Assente.
Lorne gli lanciò un'occhiata eloquente, prima di insinuare una mano, di afferrare Angel per il collo, obbligandolo a girare la testa.
"Credo proprio che tu ci abbia azzeccato, vecchio mio." - constatò, passando un dito sui segni del morso.

"Bevi, disgraziato." - mormorò Doyle mettendogli in mano un bicchiere colmo fino all'orlo di sangue.
Angel lo guardò, mormorando un breve ringraziamento. E vuotandolo di un fiato.
Poi buttò la testa indietro e chiuse gli occhi.
Doyle lo fissò un attimo e raggiunse gli altri, immobili sotto l'arco.
"Diamogli qualche minuto… così intanto io ti spiego." - aggiunse, rivolto a Wes.
"Credo si possa riassumere in poche parole." - esordì, una volta seduto in cucina, mentre Lorne cercava da bere in frigo - "Io penso che ci sia un contatto telepatico tra Angel e Spike, da quando Spike l'ha morso. Ricordi? Angel sapeva dove spike provasse dolore. Le loro menti si sono unite."
"In effetti pare che ci sia un certo coinvolgimento emotivo, per un vampiro che si nutre di una vittima." - disse Westley professionalmente - "La maggior parte lo identifica con la passione, oppure con il desiderio sessuale. Credo che, nel loro caso, la questione dell'anima complichi parecchio la situazione. Ma se quello che dici è vero, perché è Angel ad avere gli effetti collaterali? Era la vittima…"
"Se ci pensi bene,Angel ha avuto un contatto con il sangue di Spike, sia sulla pelle che sul morso. C'era sangue dappertutto, Westley, ed Angel non si è affatto preoccupato delle possibili conseguenze."
"Forse perché, in situazioni normali, non ce ne sarebbero." - obbiettò Lorne, posando un bicchiere colmo di latte sul tavolo - "Ma questo stato di salute per un vampiro è una situazione anomala. Il sangue di Spike e quello di Angel hanno gli stessi componenti e sono similari. Non dovrebbe esserci una reazione del genere."
"Una volta Giles mi ha parlato di un rituale che spike cercò di utilizzare per far rinsavire Drusilla, qualcosa che aveva a che fare con il trasfondere sangue nuovo di Angel a lei…" - Wes si metteva di impegno per ricordare - "Ed in effetti aveva funzionato, non a pieno, ma in modo accettabile. In quel caso il sangue di Angel doveva avere una funzione equilibrante… Credo che Angel abbia ancora la cicatrice sulla mano sinistra."
"Vorrai dire sulla destra." - lo corresse Doyle.
"Ti sbagli. Ha ragione Westley. È sulla sinistra, anche sul dorso. La cicatrice sulla destra è di Spike." - precisò Lorne, guardando tristemente il fondo vuoto della biscottiera - "Sono come dei marchi. Angel ne è pieno, ha segni di potere dappertutto. Ma quelli di Spike sembrano gli unici attivi."
"Allora, che facciamo?" - chiese Doyle, a Lorne.
"Non facciamo nulla." - gli rispose Angel, dalla soglia - "Passerà."
Si girarono a fissarlo, mentre, pallido, veniva a sedersi tra di loro.
"Sai Doyle, tutto sommato ti meriteresti un pugno." - mormorò -"Ma grazie ugualmente."
"Angel, noi pensiamo che tu sia in contatto…"
"…telepatico con William. Sì, lo so." - concluse Angel - "Ma non c'è da preoccuparsi, passerà. È solo fastidioso."
"E' più che fastidioso, questa volta." - replicò serafico Lorne - "Si sta creando uno spazio nella tua mente e ti impedisce di ragionare. Hai reazioni che dovrebbero essere di Spike. è quasi un miracolo che tu non abbia lividi dove lui ha ferite…"
"Aspetta un attimo… come sarebbe a dire 'questa volta'?" - Wes si sporse in avanti, appoggiandosi sul bancone - "Vorresti dire che ti è già successo?"
Angel guardò Lorne, senza un commento. E questi si limitò ad un'alzata di spalle.
"Ci sono i segni, Angel, non si può non notarli. Ci sono come dei sensori di contatto inattivi, per rendere la situazione un po' più scientifica. E se preferisci invece una definizione più poetica, alcuni brandelli della tua anima combaciano perfettamente con quella del biondo." - Lorne scosse la testa - "E' stato stupido da parte tua non dirlo a nessuno…"
"A quanto pare, infine, l'avete scoperto lo stesso. Come te ne sei accorto?" - Angel si concentrò su Doyle.
"Un comportamento troppo anomalo. Ed una frase che avevo già sentito. Mi hai chiesto di non lasciarti dormire, Angel, come Spike ha fatto con te. Io penso che la sua mente si protenda verso di te in cerca di conforto, che chiamarti con il pensiero sia stata l'ultima cosa cosciente che ha saputo fare. E lo scambio di sangue non ha fatto altro che rinforzare il legame. Come l'altra volta, a Sunnydale. Non è lì che è successo?"
Angel annuì, in silenzio.
"Ho fatto lo stesso sbaglio di Spike. Ho fronteggiato la disperazione con la rabbia, ho usato il mio demone, fino a farmi quasi sopraffare."
"Non si tratta solo di questo." - precisò Lorne - "Tu devi tenere Spike fuori dalla tua mente. Lui non ha la forza di farlo per te, sei tu che devi assolutamente porre un limite. Subito. La tua rabbia è svanita, Doyle è stato molto bravo a vuotarti la mente."
"Cosa consigli?"
"Sei allo stremo, al momento. Devi dormire e stare lontano da lui."
"Questo non voglio farlo."
"Ma lo farai." - disse Westley - "Andrai a dormire in camera mia, di Spike o di chi ti pare. E noi faremo i turni con Spike, per accertarci che non gli succeda nulla e non resti mai solo. Per quanto non ti piaccia è l'unica cosa da fare."
"Ragiona,Angel." - aggiunse Lorne - "Sai bene che è la soluzione migliore. Nessuno ti impedirà di esserci, a partire dal momento in cui Spike riaprirà gli occhi. Nessuno ha intenzione di farsi sbriciolare le ossa, soprattutto per un motivo tanto sbagliato."
Lorne incontrò lo sguardo di Doyle nell'istante stesso in cui lo distolse da Angel. E vi lesse molte più cose di quante avrebbe voluto.
"Doyle, tu ed io dobbiamo dirci due cosette." - disse noncurante, alzandosi e aggiustandosi la giacca - "Signori, con permesso…"

"Tu sai benissimo che non li terrai lontano nemmeno di un metro, vero?" - esordì, con le mani sui fianchi, non appena la porta fu chiusa alle sue spalle.
"Hai qualche consiglio?"
"Assolutamente no. Ma non mi stupisce il fatto che ti ostini a contrastare qualcosa di inevitabile."
"Non lo ritengo un approccio alla vita così negativo…"
"Non lo è. Ma direi che anche i tuoi atteggiamenti sono anomali, al momento."
"Lorne." - Doyle gli puntò un dito contro, con gli occhi brillanti - "Sono ubriaco fradicio, mi sono già vomitato anche l'anima almeno due volte e mi sento un perfetto imbecille."
"Non potevi accorgertene…."
"Questo non mi consola."
"Non lo dico per consolarti." - Lorne misurava la stanza a grandi falcate, movendo le mani per sottolineare ogni frase - "Punto primo. Il fatto che tutto quello che accade non sia colpa di Angel, non sta a significare che sia colpa tua. Punto secondo. Non puoi accorgerti di una cosa che esiste da sempre, se non sai che esiste."
Doyle smise di strofinarsi la testa per alzarla di scatto.
"Come scusa?"
"Mi hai capito perfettamente. Il contatto telepatico tra quei due è cronico. Non si può dire da quanto vada avanti, anche se io sarei propenso a credere dalla prima volta che si sono visti…"
"Non è possibile." - Doyle si sedette a terra con un tonfo. La testa non smetteva di girargli, ma le informazioni sembravano giungere lo stesso con una certa rapidità - "hai parlato di segni… li avevo intesi come cicatrici."
"Ho anche detto che i marchi di Spike su Angel erano gli unici attivi. Ne ho nominati due, ma devo correggermi. Sono tre. Solo che l'ultimo, il morso sul collo, combacia perfettamente con il primo."
"Quello dell'iniziazione di Spike." - Spiegò Doyle a se stesso.
"Esattamente. Quelli successivi hanno un po' esasperato il loro legame mentale. Nulla più. Potete prendere tutte le precauzione che volete, ma il risultato non cambierà. Hai sperimentato sulla tua pelle la potenza del loro contatto."
"E tu che ne sai?"
"Doyle, ti prego, non mi insultare!" - esclamò Lorne alzando gli occhi al cielo - "E' il mio mestiere. Arrivo qui e ti trovo a farti di vodka con Angel che si disfa le mani e vuoi che non applichi ad ascoltare? Non hai l'aspetto di uno che ha avuto una premonizione, anzi, puoi aver visto quello che vuoi ma ti sei preso una sfera d'energia in piena schiena. A livello metafisico è più complicato, ma il tuo tasso etilico impedisce di ricamarci sopra in modo appropriato. Magari più avanti, in linea del tutto teorica."
"Ma quanto parli. Non mi importa un beneamato fico secco del per come e perché. Sto benone, della cosiddetta sfera me ne strabatto, se mi garantisci…"
"Ti garantisco tutto quello che ti pare. Anche ciò che non so." - "concluse Lorne, tendendogli una mano.
"Perché Angel non mi ha detto che il legame esiste da sempre?"
"Perché ti ha detto ciò che sa. Sa che ci sono legami tra il sire ed il suo rampollo. Ma la telepatia, di solito, non è contemplata. Credo lo ritenga un effetto collaterale incomprensibile."
"Forse dovremmo dirglielo…" - mormorò, dubbioso.
"Sei tu che devi dirlo." - Lorne si abbottonò meticolosamente la giacca e lisciò i risvolti senatorialmente - "Io ho una maratona di canto da gestire…"
"Lorne." - Doyle lo squadrò come se le sue corna fossero diventate due antenne da scarafaggio - "Ti spiace essere sensibile per ancora qualche minuto? Io non ci ho capito quasi niente, come faccio a spiegare ad Angel un fenomeno di cui non so nulla?"
Il sospiro di Lorne lasciava intendere come gli risultassero incomprensibili tutti quei crucci. Ma, del resto, se Francis Allen Doyle gli chiedeva un favore…
"Promettimi solo che eviterai di aggiungere alcool su alcool." - concluse.

"Ehilà! Che ne hai fatto dell'Osservatore?" - esclamò allegramente sedendosi per l'ennesima volta al bancone.
Angel puntò un dito verso l'alto.
"Asceso? Accidenti, Doyle nemmeno tu sei asceso l'ultima volta!"
"Piano di sopra, Lorne, è solo andato al piano di sopra." - gli spiegò Doyle, frugando nei cassetti - "Ma dove ha messo le aspirine, Cordelia?"
"Terzo da sinistra, tesoro." - replicò la ragazza, affacciandosi alla porta - "Se non c'è il mondo da salvare e non è successo nient'altro, me ne vado a dormire nel mio letto. Ho un mal di testa…"
"A chi lo dici… aspirina?" - Doyle avanzò verso di lei porgendole il contenitore, e dandole un bacio fuggevole che la lasciò senza fiato.
Cordy prese una pastiglia con gli occhi spalancati e, andando verso la stanza, mormorò:
"Certo, ma il mio mal di testa ha tutt'altra causa…"
"Ed eccoci qui." - continuò allegramente Lorne, mantenendo il suo aspetto sano, seduto al bancone con due relitti di demoni - "Angel, c'è una cosa che dobbiamo dirti…"
"Un' altra?"
"Ma te lo diremo soltanto se prometti di dormire almeno sei ore filate, chiudere la mente a Spike e parlare con Doyle non appena ti rendi conto che c'è qualcosa che non va."
"Tutto qui?" - rispose Angel, abbozzando un sorriso e guardando di sbieco il suo mezzo-demone irlandese, seduto in silenzio a braccia conserte e occhi chiusi - "Se siamo in vena di ricatti…"
"In cambio anche Doyle dormirà qualche ora, smaltirà l'alcool e baderà che tu sia informato tempestivamente di ogni cosa che accade. Darete un taglio alle cose non dette, eviterete di essere tanto nobili da proteggervi l'un con l'altro e non vi impegnerete in crociate, missioni e vendette. Ed io vi assicuro che il mondo andrà avanti senza di voi per qualche giorno."
Sembrava in vena di cominciare un bel monologo sulle responsabilità verso se stessi e gli altri. Andava interrotto, prima che il suono della sua voce lo convincesse del tutto della saggezza delle sue parole.
"Lorne, cosa dovete dirmi?"
"Prometti?"
"Prometto." - sospirò rassegnato - "posso sapere che succede?"
Doyle aprì gli occhi, sperando che le idee fossero più chiare.
"Angel, mi racconti del tuo legame telepatico con Spike?"
Angel lo squadrò per un istante. Conosceva quello sguardo, lo sguardo di chi va a caccia di una verità.
"E' cominciato tutto a Sunnydale. Ho mischiato il mio sangue con il suo perché sapevo che avrebbe richiamato la mente nel corpo, in un momento in cui il suo demone aveva preso il sopravvento." - spiegò - "All'inizio si è trattato di cose da poco, avevo dei flash, dei suoi ricordi; poi Spike ha iniziato a leggermi nel pensiero, a rispondere a domande che non facevo. È durato qualche giorno, poi, arrivando a Los Angeles, stava già meglio e quest'effetto collaterale è sparito."
"Tutto qui? Ricordi, frasi non dette…"
"No." - Angel scosse la testa - "Quando era incosciente potevo percepire il suo stato d'animo. Sapevo quando stava per avere le convulsioni e lui… si calmava con il mio contatto."
Sembrava in imbarazzo. Lorne aveva bisogno di fissarlo per capire. Non gli serviva sentirlo cantare, gli bastava fissarlo negli occhi per leggere quello che Angel nascondeva. Angel aveva dato tutto se stesso per la sopravvivenza di Spike, ritrovandosi ricambiato con un fiducioso abbandono, del tutto inaspettato.
E più complicato di quello sembrava.
"E poi?"
"In certi casi posso usare il legame di sangue…" - ragionò Angel, concentrandosi.
"Sarebbe a dire?"
"È come se percepissi il suo spirito. Per cui so se mi arriva alle spalle e Spike non riesce a pedinarmi. Lo colgo di sorpresa, ma credo si tratti solo di spirito d'osservazione. Lo so fare con molte persone." - Angel avrebbe voluto tirare un respiro per prendere coraggio - "Io e Spike una volta ne abbiamo parlato…"

Ed una voce, dal passato…

"Angel."
"Dimmi, Spike."
"Come fai a sapere sempre dove sono?"
"Quando sei inquieto, non passi inosservato… sprizzi scintille…"
"E quando invece cammino per strada e penso agli affari miei? E sto ad isolati di distanza, oppure cambio direzione di continuo?"
"Mi limito a fermarmi ed ascoltare."
"Tutto qui?"
"Tutto qui. Spike, noi siamo legati. Il mio sangue scorre in te. Siamo parte uno dell'altro."
"Eppure io non riesco…."
"Perché non ti fermi ad ascoltare. Tu lo facessi, potresti addirittura comunicare. Ed io potrei sentirti…"
"Ma non ne sei sicuro…"
"Non abbiamo mai provato…"
"Dovremmo però."
"Ma sì, nel primo momento di tranquillità…"

Non avevano mai avuto quel momento. Gli eventi, le emozioni e mille altre cose si erano accatastate, fino a distoglierli da quell'esperimento.
Solo in quell'attimo, nell'ultimo attimo di speranza, nel dolore, Spike lo aveva chiamato, radunando le ultime forze. Aveva chiesto aiuto.
Ed Angel aveva saputo dove andare.
In silenzio, Doyle guardava la gamma di emozioni attraversargli il viso.
E non osava interromperlo.
"L'ho ricordato all'improvviso l'altra sera, quando mi sono reso conto... È stato allora che ho pensato di poter rintracciare Darla, con un minimo di concentrazione. Che mi piaccia o no, in me c'è un residuo del suo sangue."
S'interruppe. I due si erano scambiati un'occhiata fuggevole, poi Doyle era tornato a fissarlo negli occhi.
"Allora? Non eravate voi che dovevate dirmi qualcosa?"
"Che spiegazione dai per il tuo contatto con Spike?" - continuò spietatamente Doyle.
"Non ho spiegazione. È cominciato con il ritorno della sua anima e suppongo sia in qualche modo legato a quella. Oppure si tratta veramente del sangue, ma questo…"
Angel si interruppe. Un dubbio. Un dubbio in fondo all'anima.
"Penso che adesso inizi a sospettarlo." - mormorò Lorne, rivolto a Doyle. Lo sguardo di Angel era nuovamente perso. Doyle si sporse in avanti, per tornare nella visuale del vampiro.
"Angel." - lo chiamò - "Lorne dice che il vostro contatto telepatico esiste da sempre."
Un colpo. Un vero colpo.
"Deve essersi istaurato con il primo scambio di sangue." - proseguì Lorne, spezzando il silenzio che si era creato - "Probabilmente gli scambi successivi l'hanno solo rinforzato. Non creato."
E visto che Angel non diceva nulla, proseguì.
"Si può dire che non hai bisogno di utilizzare il sangue per entrare in contatto con lui. Ti basta la concentrazione."
"Drusilla…"
"Come, scusa?"
"L'unica telepate naturale, anche da viva, nella famiglia, era Dru. Si accorgeva di queste cose istintivamente. Come ha fatto…"
"A non accorgersene? La vera domanda è come ha fatto a non dirtelo." - Doyle scosse la testa - "Con Drusilla non si può mai dire…"
Ma la stanza girava veramente? Angel fissò la sua concentrazione al ripiano, in cerca di un appiglio materiale. Lui e William, uniti da tutta una vita…
Il vicolo buio in cui l'aveva scelto…
Il Claddagh che Spike vedeva nei suoi deliri…
La sensazione di poter sempre sapere dove fosse…
E, in ultimo, la richiesta d'aiuto.
"Ma come è possibile…"
"E chi può dirlo!" - esclamò allegramente Lorne - "in ogni caso, signori, vi lascio al vostro dissidio. I miei fans mi attendono."
Detto questo si alzò. Quando incontrò lo sguardo di Doyle, strizzò un occhio e gli posò fuggevolmente una mano sulla spalla.
Non c'era bisogno di parole tra due vecchi amici, ma quel singolo gesto alleggerì il cuore ad entrambi.
"Andatevene a dormire, tutti e due. È il miglior consiglio che potrei darvi."

IV
Il consiglio di Lorne si era rivelato utile. Angel aveva salito le scale e Doyle, fidandosi della parola data, non l'aveva seguito.
Desiderava solo aspirare il profumo di Cordelia, scuoterla appena, per svegliarla e raccontarle ogni cosa.
E decidendo di non farlo, ricordando con un istante di anticipo il suo mal di testa.
Scivolò sul letto come era, vestito, sfilandosi appena le scarpe, con abile movimento delle dita dei piedi.
I mocassini caddero a terra con un tonfo e Cordy, di tutta risposta, si girò verso di lui, con un sospiro.
"Scusa, non volevo svegliarti…"
"Sai di Gin.."
"Ti sbagli, so di Brandy e vodka. Ma è una lunga storia."
"Non ne dubitavo." - bofonchiò, cercando di svegliarsi del tutto - "hai sempre un buon motivo, quando decidi di essere preoccupato."
"Io non sono preoccupato." - mentì spudoratamente.
"Bugiardo. Ma ti amo…"
"Principessa. Perdonami, ma ho proprio voglia di baciarti…"

Angel si affacciò alla porta della sua stanza. Nulla sembrava essere mutato. Spike, Faith che dormiva in poltrona, con una coperta buttata addosso e Wes, in piedi, con le luci della città riflesse sulle lenti.
Angel gli fece un cenno quando si voltò e sussurrò che, se l'avesse cercato, poteva trovarlo in camera di Spike.
Westley annuì ed Angel lesse un moto di preoccupazione nei suoi occhi.
"Wes, domani ti racconto come è andata a finire." - sdrammatizzò con un sorriso - "Non farti scrupolo, chiamami ogni volta che credi e non crucciarti. Scoppio di salute. Buonanotte."

Sdraiato nel letto di William, attendendo l'alba, Angel fissava il soffitto. Qualcosa in lui gli impediva di chiudere gli occhi, come se, all'improvviso, potessero giungere inattesi i resti di un passato da dimenticare.
Il suo.
Quello di Spike.
Difficile a dirsi, soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni.
La parte razionale di Angel sembrava tentare, invano, una scansione logica degli avvenimenti, un ordine delle cose che potesse svelare quella verità nel corso del tempo mentre la parte emotiva, stranamente svuotata dopo quello sfogo fisico di rabbia, si lasciava scivolare in una torbida contemplazione.
Le macchie sul soffitto e, a poco a poco, gli oggetti di Spike.
All'improvviso lo colpì la diversità degli ambienti. Spike era disordinato, si sorprese a constatare.
Sulla sedia, accatastati alla rinfusa, stavano i suoi vestiti, le magliette e la cintura.
Sul comodino, l'inseparabile libro. C'erano sempre libri in giro, quando si trattava di Spike. libri di poesia, romanzi… Spike disdegnava qualunque cosa fosse un trattato.
Era la prima sostanziale differenza tra loro. Angel amava profondamente i testi che potevano insegnargli qualcosa, fargli scoprire un nuovo incantesimo, oppure un mito perduto. Per Spike si trattava invece di nutrire lo spirito,l'anima, già quando l'anima non c'era. Come se necessitasse di tutto ciò che poteva far volare lontano la sua mente.
Angel si ritrovò seduto sul bordo del letto, a fissare meglio quelle pareti. Quando, in quei mesi, Spike aveva trovato tempo di crearsi indisturbato quell'angolo?
Si alzò, camminando tra le cose buttate a terra ed accatastate negli angoli. Libri, quaderni, cd.
Musica, musica ovunque, in spartiti.
Una vecchia chitarra ed un giradischi.
Spike aveva bisogno un nuovo stereo, annotò mentalmente Angel, passando una mano sul coperchio del piatto, scheggiato e traballante. All'altezza della sua testa, una mensola carica di dischi, vecchi vinili, dalle copertine lise. Vecchie glorie e moderni compact disc.
C'era una libreria, nella stanza a fianco. Una poltrona di pelle ed una scrivania di legno scuro che proveniva dal vecchio arredamento dell'albergo. Spike l'aveva scovata vagando nelle soffitte, da dove provenivano buona parte dei mobili. Angel l'aveva aiutato a portarla giù dalle scale, ma era stato Spike a lucidarla meticolosamente, fino a mettere in risalto ogni più piccola venatura del legno.
Angel sedette, carezzando il ripiano rivestito in cuoio, con la punta delle dita. Dietro, in barba al resto dell'arredo, Spike aveva scelto una sedia moderna, comoda, dallo schienale alto.
Se non fosse stato per l'alto sgabello da bar in un angolo, si sarebbe potuta scambiare per lo studio di Westley. Una stanza sobria e vissuta, in cui riflettere e ragionare, pervasa di un leggero aroma di sigaretta.
Angel avrebbe voluto aprire quei cassetti, sbirciare quello spazio di vita di cui ignorava l'esistenza. Non aveva mai saputo crearsi un angolo di quel tipo, in cui riporre i suoi segreti. Col tempo il suo spazio era diventato più enciclopedico, votato ad una forma di sapere che si distaccava dal piacere personale.
Divani comodi e tavoli enormi; il vampiro solitario e tormentato viveva in stanze in cui potevano approdare tutti a qualunque ora del giorno e della notte. Ed aveva una camera da letto che non sapeva molto del vissuto.
Spike invece viveva in un ambiente che era lo scorrere del tempo.
Angel camminava davanti alla grande libreria, contemplando le cornici ed i portaritratti. Non sapeva nemmeno dove Spike le avesse trovate. Foto vecchissime che lo ritraevano giovane e felice, davanti ad un paesaggio dipinto, una foto d'epoca, una foto d'arte. Foto di Londra, fotografie di un concerto degli anni settanta.
E sul ripiano subito sotto, Dawn. Dawn con un gelato in mano, Dawn con un giaccone e berretto di lana rossa, seduta in mezzo alla neve e Dawn da piccola, in una foto che, a rigor di logica, non poteva esistere, come Dawn stessa, se non nei ricordi deviati di tutti loro.
E Buffy. Buffy, con un vestito corto, seduta ad un tavolo del Bronze. La bocca aperta in un sorriso, con la testa vicina a quella di Willow, probabilmente di una foto dell'Annuario.
E Drusilla. Angel dovette chinarsi, per scorgere in una cornice ormai opaca, il volto austero di Dru, pura e mortale. Null'altro che una ragazza di nome Elisabeth.
Angel non sapeva che Spike possedesse quella fotografia. Ormai aveva dimenticato d'averla rubata, tanto tempo prima, mentre tesseva la sua trappola e portava la morte in casa di Dru e per amore di Dru.
La foto.
Spike doveva averla conservata gelosamente, per tutti quegli anni, nascondendola ad Angelus e poi ad Angel, per gelosia prima e affetto dopo.
Una foto che sembrava poter finire in polvere, se toccata senza leggerezza. Angel non osava sfiorarla.
La vita di Spike sorgeva a poco a poco dalle sue proprietà, dagli oggetti del suo passato e del suo presente.
Riviste moderne e garbate edizioni dei classici si accumulavano sul tavolo davanti alla poltrona, a fianco di vistosi graffi provocati dagli anfibi. Poco distante, un posacenere ed un pacchetto di sigarette.
Angel sedette, allungando le gambe, fino a posare i piedi nudi sul quel ripiano ligneo. E notando finalmente il quadro, dietro la scrivania.
Un semplice disegno a carboncino, su carta ormai ingiallita. Non era molto grande, incorniciato semplicemente, con una cornice moderna senza bordo, tra due semplici lastre di vetro bloccate da placchette metalliche.
La luce della scrivania lo rischiarava appena, conferendo profondità ed ombre ai contorni cupi. Un ritratto, un ritratto magistralmente realizzato. Uno Spike irriverente, con i capelli lunghi e scompigliati dal vento. Uno Spike di un'altra vita.
Dal vento dell'Atlantico, precisò Angel, ricordando la spiaggia vasta e deserta e la terrazza che vi si affacciava.
Ricordava.
Ricordava Spike seduto su quella ringhiera, intento a provocarlo inutilmente. Intento a fissarlo, beffardo.
E ricordava d'aver afferrato la matita, intimandogli di non muoversi, minacciandolo.
E Spike, di buon grado, disposto all'immobilità.
Spike…
Angel ricordava l'esatto momento, la brezza ed il profumo del mare e della tempesta.
Ma non ricordava d'aver delineato quello sguardo. Non ricordava come.
Era uno Spike ridente, uno Spike libero. Felice.
In un disegno di Angelus.
I suoi disegni…
Liam, Angelus ed Angel avevano mantenuto solo quell'unica passione in comune. Il suono dell'inchiostro che si deposita sul foglio, il tratto sicuro della mano, la pennellata decisa e determinante per un' espressione umana.
Ad uno ad uno li aveva dipinti tutti. Darla, Dru, Buffy. E, buon dio, Spike, Spike che uccideva la Cacciatrice, ed ancora le visioni di Dru, i paesaggi notturni del mondo, le vittime, le loro debolezze…
Il tutto racchiuso in una cartella di cuoio consunta dagli anni. Un fascio di fogli che si era lasciato alle spalle in cambio dell'anima.
E solo uno tra loro poteva averla gelosamente conservata.
Senza dirglielo mai.
Averla lasciata in un posto sicuro, per poi andarla a riprendere con calma, una volta che il futuro gli fosse sembrato più chiaro. Angel tornò ad alzarsi, per girare attorno alla scrivania, fino a trovarsi faccia a faccia con il suo quadro. Per poi chinarsi e sfilare la cartella da sotto la scrivania.
Si sedette sul tappeto a gambe incrociate, per aprirla e scoprirne il contenuto. Anche adesso ne possedeva una, simile alla prima ed altrettanto meticolosamente conservata. E si domandò fuggevolmente se Spike sapesse che non aveva abbandonato quel passatempo. Se sfogliasse quei disegni con una vena di nostalgia, se ricordasse, se rimpiangesse quelle notti passate a discutere, quando litigare era la loro massima forma d'affetto concessa.
Avrebbe voluto chiederglielo…
All'interno stava una parte della sua vita, volti dolorosamente recisi, dimenticati dal mondo ma ancora vitali nei suoi incubi. Espressioni fuggevoli di sorpresa e di paura, di gioia e perplessità si alternavano in quella galleria di dolore.
E tra quei mortali, ormai polvere, stava la sua famiglia.
La sua famiglia…
Dru, con miss Edith, Spike intento nel lancio del coltello, se stesso, estratto dalle loro descrizioni… e Darla. Sensuale e sorridente, come era stata fino all'ultimo. Sdraiata tra i cuscini, maestosa nella sua nudità. Oppure vestita ed appoggiata ad una finestra con l'espressione rivolta lontano.
Darla riempiva le pagine, amava restare immobile a farsi ritrarre, per ore, con occhi vuoti e maliziosi.
Aspettando che il suo Angelus lanciasse lontano la penna e la stringesse.
Decine di disegni. E mai nessuno completo. Finiti in fretta, per lasciarsi avvolgere dal suo profumo, lasciandosi alle spalle qualche imperfezione, qualche ombra.
Angel chiuse gli occhi un istante e le lacrime, traboccando, lo sorpresero. Non se ne era accorto. Piangeva, piangeva per Darla, per la sua bocca ed i suoi capelli, per il suo amore profano tanto differente da quello di Buffy.
Piangeva per la donna che era stata scalzata dalla ragazzina, per la ragazza fragile che Dru gli aveva strappato dalle braccia, un'altra volta ancora.
Piangeva.
Senza fermarsi, spingendo lontano i disegni per non macchiarli.
Per tutto quello che di sbagliato c'era stato tra loro.
Per tutto quello che aveva perso, quando era divenuta nuvola tra le braccia.
Piangeva per il carnefice di Spike, tra gli oggetti di Spike.
Per quello che avrebbe potuto essere, se non avesse amato troppo se stessa. Per la crudeltà che le aveva permesso di aggredire, e ridere del suo dolore.
Darla.
Che combatteva la solitudine con la follia. Come Dru.
Che aveva scelto di distruggere Spike, se veramente non potevano tornare ad essere una famiglia.
Perché sapeva.
Perché era certa di sapere: Angel sarebbe tornato da lei, se avesse perduto Spike, perché Angel, come Angelus, aveva bisogno una famiglia da amare e proteggere. Darla amava Angel.
Ed avrebbe sacrificato tutto per riaverlo. Anche Spike. Perché poteva dividerlo con Drusilla, ma non con Spike, che simboleggiava tutto ciò che c'era di incomprensibile e buono al mondo. Spike, umano e perdonato, anche se uccisore di Cacciatrici.
Darla amava Angelus.
Ed Angel amava Darla.
E questo, infine, non aveva cambiato il loro destino. Ma anche l'inevitabile può far soffrire, a volte.

Lentamente la notte divenne giorno. Gli occhi si fecero più pesanti ed Angel scivolò in un sonno profondo. Con impresso nella mente quel volto, un sorriso e quel leggero aroma di sigaretta.

A pomeriggio inoltrato, una mano gli si posò su un braccio. Angel si girò e scorse Doyle, seduto sul bordo del letto.
"Buongiorno." - gli sorrise - "no, no, tranquillo, non è successo nulla. Avevo solo voglia di fare due chiacchiere."
"Dormono tutti?"
"Tranne Faith. Wes li ha irrigimentati a dovere. Ognuno sa quello che deve fare. E tu puoi decidere se svegliarti del tutto o girarti dall'altra parte e proseguire la tua dormita."
"Sono sveglio…"
"Allora tieni." - replicò soddisfatto Doyle, facendo spuntare dal nulla una coppia di tazzoni - "Colazione a letto, che ne dici?"
Era come se il tempo non fosse mai trascorso. Angel e Doyle erano nuovamente seduti uno di fronte all'altro, come in un precario deja-vu.
"Angel…"
"Dimmi Doyle."
"Ma tu lo sai che ero un tipo felice prima di conoscerti?"
Angel gli sorrise, contrito. Doyle aveva un aspetto allegro, come se non fosse successo nulla. Un'espressione serena, venuta fuori da chissà dove.
"Sai una cosa? Lorne ha perfettamente ragione. Non devo preoccuparmi di questa novità vecchia di due secoli…" - continuò - "Non devo… ma lo farò ugualmente."
"Potresti risparmiarti la fatica… ho intenzione di pensarci io. E parecchio."
"E poi? A parte la decapitazione non ci sono soluzioni." - sospirò Doyle - "Con un po' di fortuna quello di ieri sera è stato un episodio isolato, per una situazione che io spero non si ripeta. In nessun caso."
Di colpo si sentì spossato, svuotato di ogni forza. Poteva un demone essere esasperato dalla vista del sangue e del dolore? I fatti sembravano dimostrarlo.
Doyle non poteva chiudere gli occhi senza vedere ancora il martirio di Spike.
E non dubitava che, sotto quel tetto, fossero in molti ad avere quel problema. Non era altro che un girotondo di parole e sensazioni.
Attorno quel letto, per quel vampiro, sulle loro vite e nelle loro menti.
"Doyle…"
"Lo so, non ci posso far niente." - rispose meccanicamente - "Mi capita e basta, di colpo la mia mente prende il sopravvento e non posso far altro che seguirla. Angel, io non ho la risposta che cerchi. non so nulla più di quello che ho sempre saputo: daresti la vita per Spike, lui la darebbe per te. E Spike non rimpiange la sua vita da vampiro, perché quell'anima che non voleva gli ha restituito te."
"Il mio atteggiamento nei confronti di Spike non cambia per questa scoperta. Ma la vera domanda è perché. Perché adesso. Perché non in qualsiasi altro momento. Pura casualità? Oppure altro?" - Angel appariva determinato - "Non metto in dubbio quello che ha captato Lorne, ma non mi capacito di non essermene mai accorto."
"Mi ha detto che hai il corpo cosparso di marchi di potere. Cicatrici da cui è passata anche energia."
"E' vero in linea di massima, sul mio corpo, buona parte delle ferite persistenti sono di quel genere. Se è necessario possiamo anche mapparli…"
"Lo ritieni necessario? Lorne dice che al momento ce ne sono due attivi. No, anzi ha detto tre, e che il primo e l'ultimo coincidono. La mano…"
"E il collo, due volte." - Angel si carezzò pensieroso i due fori - "Spike non sarà per niente contento di avermi morso…"
"Sul serio?" - Doyle sorrise.
"Certo. per un sacco di motivi." - annuì Angel - " Perché mi ha mancato di rispetto, mi ha morso senza permesso, l'ha fatto senza volerlo e, infine, per sano orgoglio maschile. Con tutti i colli che poteva mordere…"
Le loro risate si unirono, con leggerezza. Per dimenticare, un solo istante.
"Ma probabilmente non lo ricorderà nemmeno." - concluse.
"E tu non sei intenzionato a dirglielo." - Doyle piegò la testa da un lato, con un gesto che da sempre lo caratterizzava -" O sbaglio?"
"Certo che no." - Angel si concesse un attimo di silenzio, prima di fare la fatidica domanda - "Tu pensi sul serio che, con un minimo di concentrazione, potrei entrare in contatto con William?"
"In linea di massima è esatto. Non è difficile, soprattutto se le difese dell'altro sono abbassate. Per eseguire un contatto mentale basta solo un po' di predisposizione ed un legame."
"Ne parli per esperienza personale, vero?"
"Ovvio. Ricominciamo da capo." - esordì Doyle - "Tu vuoi sapere se ci sono probabilità che tu possa metterti in contatto con Spike. Credo di sì. Ma devi tenere presente che non l'hai mai fatto. Diventa più facile con la pratica."
Angel lo squadrò, sospettoso.
"Doyle, non è che , per caso, sei stato in contatto mentale con me e non me lo hai mai detto?"
"Ma guarda quanto sei geloso del contenuto della tua testa." - rise Doyle, fissandolo storto - "La verità? Certo che siamo stati in contatto. Ma solo quando tu dormivi ed io ero morto. Altrimenti è del tutto superfluo. E inutilmente faticoso. Mi riesce più semplice con Cordelia, per via delle visioni…"
"Le visioni sono qualcosa che avete in comune."
"Come il sangue tra te e Spike. Ma si tratta, diciamo, di una scorciatoia. Qualcosa che facilita la comunicazione. L'importante è la predisposizione… Che ha a che fare con lo spirito."
Angel lo squadrò.
"Tu ne hai parlato con Wes, vero?"
"Certamente, per chiarirmi le idee. Lui mette la teoria laddove io conosco solo la pratica." - Doyle cercava un accendino - "Sai che ti dico? Anche i demoni dovrebbero aver diritto ad un Osservatore. È illuminante…"
L'aveva trovato. L'accendino.
Tra le mani teneva il Dupont di Spike e lo guardava.
"Eccolo." - constatò - "L'ho cercato tanto. Temevo l'avesse perduto, che l'avessero portato via, l'altra notte…."
"Doyle." - Angel lo fissava senza capire.
"E' un oggetto molto importante per Spike." - Doyle parlava quasi a se stesso - "L'ho cercato a lungo, tra i suoi vestiti, quando l'abbiamo riportato a casa. Non vorrebbe mai perderlo."
"Come lo sai?"
"Me lo ha detto." - Doyle gli sorrise - "Una volta, giocando a biliardo…"

"Tocca a te." - Doyle posò la stecca e cercò un accendino, con la sigaretta tra le labbra - "Dannazione…"
"Tieni." - Spike gli lanciò qualcosa di luminoso e Doyle lo prese al volo.
"Grazie. Per la miseria, che eleganza. Da un rockettaro come te, non mi sarei mai aspettato un tocco di stile di questo tipo… "
"Non lasciarti ingannare dalle apparenza. " - replicò il vampiro, infilando in buca un'altra fasciata - "E' proprio nel mio stile, invece. Un oggetto raffinato… e molto importante."
"Sei in vena di confidenze?" - lo provocò.
"No. Ma preferirei che tu evitassi di perderlo, come tuo solito."
"Io non perdo tutto quello che tocco."
"Perdi tutti gli accendini che ti passano tra le mani." - puntualizzò tagliente Spike - "Ad esclusione di quelli che ti infili 'sovrappensiero' in tasca. Gioca."
"Peccato. Se non fosse per l'iniziale, me ne sarei appropriato volentieri." - rispose, restituendolo - "Allora, regalo di qualche vecchia fiamma?"
Improbabile, guarda l'iniziale incisa, gli disse una saccente vocina in fondo alla testa.
Conosciamo una sola persona che si permette di chiamarlo con il nome di battesimo…
"No. Regalo di un amico." - confermò inconsapevolmente Spike; si appoggiò alla sponda e infilò le mani in tasca - "E' un portafortuna, ce l'ho da quando ho ricominciato tutto da capo."
"Non ti facevo così superstizioso…"
"Che vuoi farci… ci sono dei periodi in cui ti aggrapperesti a qualunque cosa." - Spike fece il giro in torno al tavolo - "La otto in buca d'angolo. Mi serve per tenere a mente alcune cose, non solo per accendere le sigarette."
"E' un accendino. È suo dovere accendere. Sigarette e idee. " - lo tormentò Doyle, per ignorare la nera che finiva in buca con un tre sponde.
"Già, ma a te accende solo le sigarette." - Spike gli battè una mano sulla spalla - "Hai perso. Te l'ho detto. Porta fortuna…"

"L'aveva lasciato a casa. Non sarebbe…" - s'interruppe e sorrise Doyle, con una punta di rammarico nella voce - "Sarebbe bello poter pensare che…"
"che se l'avesse avuto in tasca non gli sarebbe successo nulla?" - concluse Angel.
Doyle annuì, annuì e riposò l'accendino dove l'aveva trovato, con l'iniziale in vista. Rimanendo a fissarlo, fino a quando Angel non lo prese e se lo fece scivolare in tasca.
"Niente ci impedisce di fantasticare. Andiamo." - disse, avviandosi verso la porta.
Percorse il pianerottolo con passo sicuro e varcò la porta della sua stanza, ignorando Faith e sedendosi sulla sponda del letto.
Strinse per un attimo tra le dita l'accendino, scaldato dalle mani di Doyle, e lo posò sul comodino.
Fece per rialzarsi ma Faith lo fermò, con un sorriso.
"Perché non restate un po' qua?" - propose con leggerezza - "Wes è uscito con Cordelia, ed io ho voglia di sgranchirmi un poco. Datemi il cambio, qui mi annoio…"
Era deliziosa, così impegnata a mentire. Doyle le strizzò un occhio, certo che Angel non lo vedesse. E sedette sulla poltrona, per continuare la conversazione.
"A cosa pensi, Doyle?"
"E tu?"
Già. Non c'era molto da pensare, lì seduti, vicino a Spike. Se non a quanto fosse silenzioso, così privo di sorriso.
Così lontano.
"Perché non provi a concentrarti?"
"Cosa?"
"Volevi entrare in contatto con lui… prova." - gli sorrise, incoraggiante - "mi permetti di guidarti?"
"Cosa otterrei?
"Chi può dirlo.. male non puoi fargli. E questa è la cosa importante. se vuoi possiamo chiamare Lorne, saprebbe certamente aiutarti."
"No, grazie, preferisco te." - rispose educatamente Angel.
Doyle gli rivolse un'occhiata rassicurante e si sedette a terra, a gambe incrociate, come Angel poteva ricordarlo, poco dopo il suo ritorno.
Doyle gli posò una mano sul ginocchio.
"D'accordo. Semplifichiamo. Sovrapponi la tua cicatrice a quella di Spike; non importa se ci sono le bende in mezzo, il vostro contatto è comunque più forte. Chiudi gli occhi e chiamalo. Senza agitarti, rischi solo di farti del male."
Angel era docile ai suoi comandi. Con il capo chino e la mano di Spike tra le sue.
"William." - era poco più di un sospiro…

Nebbia.
Spike odiava camminare nella nebbia. Strinse un po' di più il collo del giaccone e accellerò il passo, risoluto.
Alle sue spalle sentiva un rumore, rumore di corsa. Si girò, ma non intravide nulla. Alle sue spalle la luce arrivava veloce. Istintivamente si raggomitolò, coprendo la testa.

"Piano, piano."
Gli occhi di Angel erano sbarrati, il suo petto si alzava e si abbassava come se potesse riempire i polmoni di ossigeno.
"Sto bene." - Angel sbattè le palpebre - "E' stato un attimo."
"Cosa hai visto?"
"Mi sembrava di avanzare. Poi di colpo è diventato tutto troppo veloce. Ho cercato di fermarmi, ma era come se non riuscissi."
"Allora non è niente." - lo rassicurò Doyle, posandogli istintivamente una mano sulla testa - "Ti sei solo agitato, ti sei messo a cercarlo, senza aspettare che venisse lui da te. Bisogna che ci sia una risposta dall'altra parte, un segnale."
"Ho capito."
"Non devi avere fretta. Devi essere riconoscibile, per la sua mente." - Doyle lo fissò, comprensivo - "Vuoi riprovare?"
Un cenno d'assenso.
"Va bene. Chiudi gli occhi…"

Ancora nebbia. Fredda e luminosa.
E Spike avanzava, ancora.
La paura era passata. Il suo corpo era debole, le gambe pesanti. Ma non voleva smettere di camminare. Come se, camminando, potesse ritrovare la sua forza.
Ogni tanto, vagando, incontrava delle ombre, ombre di persone vive e di persone ormai scomparse. Ombre non umane e ombre infantili sperdute.
Di nuovo.
Di nuovo passi alle sue spalle.
Inutile girarsi, non c'era niente da vedere…
Inutile.
Ma irresistibile.
Lentamente, a poco a poco, cedette.
Non voleva più camminare, voleva fermarsi.
Oppure.
Girarsi e camminare risolutamente verso il bagliore.
Camminare fino a trovare qualcosa.
Un anello? Dove aveva già visto quell'anello?
E perché il bagliore proveniva dall'anello?
Adesso voleva correre. Arrancando, inciampando.
Ma l'anello era sempre più flebile.

"Angel, stai male, smettila." - la voce di Doyle gli giungeva attutita, ma le sue braccia gli davano calore. La testa gli faceva male, gli sanguinava.
Doyle lo teneva tra le braccia?
Doveva dire a Doyle di non tenerlo…
"Angel…"

L'anello brillava ancora. Spike corse, fino a cadere a terra.
La nebbia, la nebbia si diradava. Bisognava muoversi. Strisciando, se necessario, fino a posare la mano sull'anello.
Ancora poco, meno di un passo…
Ma non era più un anello da afferrare. Una mano strinse una mano e le ali di Angel li avvolsero entrambi, prima che una forza li strappasse da terra, facendoli precipitare.

Aprì gli occhi e ansimò. Non era più sul letto. Era a terra e Doyle lo stringeva veramente. Senza guardarlo.
Ma nella mano destra stringeva ancora la mano di Spike.
E la mano di Spike stringeva la sua. Si tirò su a sedere di scatto, arrivando a pochi centimetri dalla faccia di Spike, nella foga di puntellarsi al letto.
A qualche centimetro dai suoi occhi chiari e luminosi.
Doyle li guardò. Entrambi stremati, uno fisso sull'altro.
Scosse il capo, come se non riuscisse a capacitarsene.
"Per la miseria…" - mormorò.

Spike passò lo sguardo da uno all'altro, prima di tornare a fissarsi su Angel. Lucido.
Sapeva dove si trovava, ma non sapeva perché.
Angel gli sorrise e gli passò una mano tra i capelli.
"Non ricordi nulla,vero?" - gli chiese dolcemente.
No, scosse la testa, non ricordo. Ma fa male, qualunque cosa sia.
"Va bene."
"Sei reale?" - chiese Spike con voce salda.
"Sì, lo sono."
Era vero. Sentiva le sue mani forti sulla fronte, anche con le percezioni annebbiate. "Non tornerò nella nebbia…"
"No, non ci tornerai."
"Rischio di perdermi e non voglio. Angel, perché ci hai messo tanto a trovarmi? Tu sai sempre dove sono…"
"Questa volta non sono stato molto attento."
"Allora non sei perfetto…" - Spike chiuse gli occhi e sorrise. Gli piaceva coglierlo in flagrante.
"E' vero."
La voce di Angel tremava. Angel piangeva. Spike lo guardò, senza chiedergli nulla.
"Mi hai fatto spaventare, questa volta." - Angel sorrise, istericamente.
"Non ti ho chiesto nulla…" - replicò con un filo di voce Spike, sorridendogli impertinente - "Angel…"
"Dimmi."
"Resti qui?"
"Certo. Non c'è niente che mi smuoverà da questo posto." - Angel accompagnò la frase con un cenno del capo.
"Angel… mi lasci il tuo anello?"
Senza una parola, Angel sfilò la mano da quella di Spike e si tolse il Claddagh.
"Te lo rendo, poi." - si scusò Spike. ma Angel si limitò a guardarlo, con sguardo triste, senza smettere di carezzargli il capo. Come se avesse bisogno quanto lui quel contatto - "Ma se mi perdo di nuovo, penso potrà guidarmi."
"Aspetta." - mormorò Doyle sfilandosi una catenina e privandola del ciondolo - "Così andrà meglio."
Spike non badò a lui. Focalizzava il suo sguardo su Angel, intento fermargli l'anello intorno al collo. Ma Doyle non poteva aversene a male. La sua mente sembrava intrappolata nell'accaduto, nel miracolo.
Irrimediabilmente impegnata ad urlargli quanto fosse stato idiota.
Spike, istintivamente, allungò una mano per cercare dove si fosse posato l'anello, e lo strinse, ignorando il male che sentiva irradiarsi verso il gomito.
"Adesso posso dormire." - replicò soddisfatto - "Almeno so dove sono. E non fa freddo."

V
"Tu hai fatto cosa?"
"Abbassa la voce Westley." - replicò stancamente Doyle, massaggiandosi le tempie. Ed invece no.
Westley e Cordelia se ne stavano in piedi, con le stesse mani sui fianchi, mentre Lorne, comparso da chissà dove, finiva di leggere il giornale.
"Abbassare la voce? Se lui abbassa la voce, comincio ad alzarla io, la voce!"
"Principessa…"
"principessa un corno! Razza di bestione sovrannaturale!"
"Che succede?" - mormorò Faith, avvicinandosi cautamente a Lorne.
"Ciao Faith" - mormorò il demone con aria svampita, interrompendo la lettura - "Succede cosa?"
"Lascia perdere." - concluse Faith, sedendosi sul suo bracciolo e godendosi la scena con una punta di perplessità. Qualcosa le diceva che la colpa fosse tutta di Doyle.
La voce di Cordelia giungeva al soffitto, ma era la retorica di Wes a riempire l'aria.
"Io ti lascio di guardia a quell'eroe che di autoconservazione non sa proprio nulla e tu lo istighi in questo modo? Tu! L'affidabile tra noi! Quello per cui non si deve mai preoccuparsi! E poi sono io il disastro vivente!" - Whidam-Price riempì i polmoni e diede fiato alle trombe - "Io non posso credere! Hai fatto collassare Angel, hai obbligato Lorne a scoprire quel qualcosa che ci ha messi tutti in allarme, ti sei impuntato perché Angel si riposasse ed appena le cose sembrano avviate tranquillamente tu cosa fai? Cerchi di ammazzarli entrambi!"
Era rosso come un tacchino.
Faith sbarrò gli occhi e fissò Doyle.
"Tu hai fatto cosa?" - sillabò, con occhi enormi.
Doyle le rispose con un'occhiata eloquente.
"E tu." - Cordelia, poco efficace in conformato a Westley, piantò le mani sui fianchi e girò nella sua direzione.
"Oh, oh." - Lorne sprofondò dietro il giornale.
"Tu. Faith, tu. Non dovevi essere al posto loro in quella stanza?"
Faith fece per rispondere, aprendo la bocca. E trovandoci istantaneamente sopra una mano verde.
"Signorina, per piacere." - lo sentì mormorare, mentre Doyle, abbandonando il cuscino che teneva sulla testa, si sporgeva in avanti per replicare.
"Faith non centra, è colpa mia, se proprio vuoi prendertela con qualcuno."
"Certo, voglio prendermela con qualcuno. E tu, mio amato irlandese, non sei un capro espiatorio!" - Cordy lasciò perdere Faith e tornò a concentrarsi sulla fonte dei suoi nervi - "Tu sei il colpevole di questa quasi catastrofe."
"Scusate." - Faith accennò ad un colpo di tosse, alzandosi in piedi - "Qualcuno vuole dirmi cosa è successo?"
Westley fece un respiro, per riportare le sue vene sul collo ad un diametro discreto.
"Doyle ha proposto ad Angel un esperimento e per poco non ha provocato un danno cerebrale a lui ed una crisi epilettica a Spike." - la sua voce tornò a salire - "Per non parlare dei danni che poteva fare a se stesso!"
"Ma che, ringraziando il cielo, non si è fatto." - concluse Lorne, piegando il giornale, mentre tutti gli occhi si puntavano su di lui - "Io sono venuto personalmente a controllare e trovo tutto perfetto. O quasi."
O quasi.
Concluse, con un'occhiata…
Un' occhiata che la diceva lunga sulla sua opinione personale e sul fatto di essersi ritrovato ad un passo dal cadere sul palco, quando i rimasugli di quell'esperimento l'avevano inspiegabilmente raggiunto.
Che permetteva di intuire con che animo avesse abbandonato quella sua tanto menzionata maratona, per accorrere a vedere il caduto sul campo.
Che lasciava intendere come fosse stato piacevole trovare Angel che dormiva a terra, vicino a Spike e Doyle intento a tamponarsi, sul lavandino del bagno, un naso che non sembrava intenzionato a smettere di sanguinare.
Che faceva capire…
"Va bene, ti sei perfettamente spiegato." -tagliò corto Doyle, per interrompere quella snervante occhiata, in mezzo ad una nuvola di domande - "Ho fatto una cazzata. Ma sono stato fortunato. Volete mettermi in croce? Accomodatevi! Sono sopravvissuto al mezzo infarto che mi hanno fatto venire quei due, posso sopravvivere a voi."
"Sopravvivere a noi? Doyle, razza di gallinaceo, dovresti sapere quali sono i rischi se uno sbaglia ad entrare nella mente dell'altro! Angel non è un demone preposto a quel contatto. È un vampiro! Un vampiro con anima e potenziale da vendere ma non in quel campo. C'erano almeno altri quattro sistemi per fare quello che è stato fatto, senza alcun pericolo." - Wes diede un calcio al tavolino e tutte le riviste sobbalzarono - "In quella stanza, a momenti, l'unico in grado di proteggersi era quello che stava morendo!"
"Morendo? Ma che cosa stai dicendo!" - Faith alzò la voce, in linea con tutti gli altri - "Ma è mai possibile che nessuno di voi trovi quel tanto di self-control che basta a spiegarmi tutto dal principio?"
"Qui ci vuole del the." - Lorne si alzò - "Ne faccio per tutti. Continuate pure ad urlare, mi aiuta Faith. Vieni cara?"
Faith lo seguì, senza un commento. E sempre senza un commento sedette sul ripiano di cucina, mentre Lorne si concentrava per affettare un limone a regola d'arte.
"Allora, vediamo di renderla una cosa riposante." - disse Lorne, interrompendo la canzone che stava canticchiando - "tutto è cominciato ieri sera. No, forse prima di ieri sera, almeno centocinquant'anni prima, ma fa lo stesso. Perché noi abbiamo pensato di scoprirlo solo ieri."
Canticchiando di interruppe e cercò le tazze nell'armadio, dopo essersi levato la giacca, lasciando le bretelle a vista, e arrotolato le maniche.
Poi proseguì.
"Abbiamo scoperto che tra Angel e Spike poteva esserci una specie di contatto telepatico, qualcosa che permetteva loro, inconsapevolmente, di comunicare."
"Spike non coglie mai di sorpresa Angel." - Faith lo disse come se spiegasse tutto. E Lorne,chiudendo un cassetto, la guardò con quella luce nello sguardo che si chiama ammirazione.
"Esatto bambina. Hai più cervello di tutti noi. Comunque, Doyle e Westley decidono di tenerli lontani per un po', per precauzione. Decidono e pianificano la cosa. Poi oggi, Doyle ed Angel si alzano, fanno due chiacchiere.
Angel dice, potrei provare a comunicare con lui e Doyle gli risponde, perché no. Gli spiega la procedura…"
"E la sapeva?" - Faith iniziava a farsi un'opinione a riguardo.
"Doyle sa un sacco di cose. Ed ha abitudine a stare zitto quando non sa." - replicò garbatamente Lorne - "Dicevamo, Doyle spiega ad Angel come fare. Ed Angel prova, con qualche esitazione iniziale. Poi il trucco gli riesce. La sua mente si allontana dal corpo, abbastanza da farlo scivolare addosso a Doyle, come senza vita. Doyle sa che non c'è da aspettare tempo, lo scuote, lo scrolla. Ma Angel no, Angel sta in un altro posto e non vuole tornare indietro senza quello che sta cercando. E lo trova. Potrebbe trattarsi di un semplice contatto, ma qualcosa va storto. Una forza, Doyle, trascina Angel verso il suo corpo e, senza saperlo, con lui anche Spike. Morale della storia: potevano ammazzarsi in due ed invece si sono salvati in tre."
"Quest'ultima frase mi sfugge."
"Mettiamola così." - Lorne tolse il bollitore dal fuoco - "Quello che nessuno di noi poteva sapere era che Spike stava effettivamente allontanandosi troppo dal suo corpo, abbastanza da non riuscire a tornare indietro, se non per andare verso qualcosa di conosciuto che gli ispirasse fiducia."
La spiegazione iniziava a diventare vagamente astrusa. Lorne interruppe la ricerca dello zucchero per non perdere il filo del discorso
"Per cui, ricapitolando, Angel, che si sarebbe limitato ad un contatto per fargli sapere che gli era accanto, è finito, senza saperlo, in cima al baratro. Doyle, che pensava ad un puro contatto mentale da cui distoglierlo con facilità, si è adoperato per riportarlo indietro, prima che si perdesse e, a metà della sua opera, si è reso conto che le anime da riportare indietro erano due."
E si è quasi ammazzato. Ma questo era meglio non aggiungerlo.
Anche se era la spiegazione alla sua presenza.
Doyle aveva avvertito subito il contraccolpo. Ma aveva anche preferito, come suo solito, non darlo a vedere. Senza sapere che c'era già qualcuno, verde di natura e di rabbia, che si scapicollava per arrivare a soccorrerlo.

"Che ci fai qui?" - aveva mormorato, immergendo di nuovo l'asciugamano nel lavandino oramai traboccante di acqua rossiccia.
"Secondo te? Siediti."
L'aveva spinto indietro, sul bordo della vasca e gli aveva premuto la pezza sul naso, tirandogli indietro i capelli appiccicati alla fronte.
"Ce la fai a cantare?"
"Non puoi fare nell'altro modo?" - mormorò con voce nasale e piagnucolosa.
"Non mi va di concentrarmi. Sacrificati."
"Lorne…"
"Doyle, canta quello che vuoi, ma spicciati."
Incerto, Doyle aveva intonato le prime strofe del Danny Boy. Senza smettere di sentirsi un asciugamano premuto al centro della faccia ed una mano sulla fronte.
"Benissimo. Basta grazie." - aveva concluso, levando entrambe le mani - "Ed il naso ha quasi smesso. Devo far cantare anche gli altri due?"
"No, loro stanno bene. Aiutami, devo fare due passi o andrò lungo disteso definitivamente."
"Andiamo di sotto. Ci vuole un whiskino terapeutico… in più ho bisogno un ambiente spazioso."
"Per respirare meglio?"
"No, per pigliare la rincorsa. Voglio darti un pugno."

"Poi, sul più bello dell'amena conversazione che io e Doyle stavamo intrattenendo, su argomenti di grande attualità, sono arrivati quei due. Cip e Ciop."
Faith nascose la risata dietro una mano.
"Vedi? Tu sì che la prendi con lo spirito giusto." - le sorrise Lorne, sollevando il vassoio - "Andiamo, non vorrei che lo uccidessero sul serio."
In sala, la tensione si tagliava ancora con il coltello.
Doyle li osservò rientrare ed accettò la tazza che Faith gli porgeva.
"Vuoi dire la tua?" - le chiese, a metà tra lo stanco e il tagliente.
E, in tutta risposta, Faith si chinò e gli depose un bacio sulla fronte.
Lasciandolo annichilito dalla sorpresa. Non avesse rischiato di bruciarsi con il the che iniziava a rovesciarsi, sarebbe rimasto inebetito a fissarla.
Come tutti gli altri.
"Sai comportarti da stupido. Ma sei stato bravo." - disse Faith, come se questo spiegasse tutto, mentre saliva sul divano e si sedeva sulle schienale alle sue spalle.
"Grazie, piccola." - rispose perplesso.
"Non c'è di che."
"Immagino che i biscotti siano finiti." - ribattè acida, e contrita, Cordelia.
"E' colpa mia anche quello. Se vuoi ricominciare ad urlare…"
"Io eviterei di avanzare consigli di questo genere." - s'intromise con tono saggio Lorne - "Non mi sembra il caso, con il mal di testa che ti ritrovi."
Doyle lo guardò poi tornò a fissare l'interno della sua tazza ed i riflessi vagamente distorti nel the.
Cordelia fece un sospiro, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Poi si girò, per fissare meglio Lorne.
"Non penserai di cominciare ad urlare anche con me, vero?" - le chiese cautamente il demone, sprofondando ancora un po' tra i cuscini, senza smettere di mischiare il suo the.
Cordy aprì la bocca; poi la sua baldanza sembrò svanire del tutto.
"No." - sospiro, sedendosi sull'altro divano - "Volevo solo sapere se sta bene sul serio."
"Chiedilo a lui. Zucchero?"
"No. sono arrabbiata, con lui. Due zollette."
"Ma certo, parliamo di me come se non ci fossi." - replicò Doyle, mentre Faith gli massaggiava vigorosamente il collo - "Piano, piccola, piano."
"E se arrabbiata perché si comporta da idiota oppure perché ha rischiato la pelle?"
"Questi sono affari miei." - tagliò corto, buttando indietro i suoi bei capelli - "Rispondi, per piacere... tanto dormirà in camera di Spike, sia che stia bene, sia che sia moribondo."
Pure in castigo… Lorne gli lanciò un'occhiata comprensiva.
"E tu, se lui è moribondo, dove dormi?"
Cordelia lo fissò interdetta, con una punta di panico nello sguardo.
"Cordy, taglia corto. Sto benone. Ho mal di testa. E basta." - Doyle mosse la mani per sottolineare la frase, mentre Faith, misericordiosamente, proseguiva la sua opera.
"Lorne… sta bene sul serio?"
"Ma certo che sta bene, che domande!" - Lorne si versò ancora un goccio di the e si voltò a conferire con Westley - "Latte?"
Whidam-Price non era mai stato tanto inglese. In piedi, tenendo compitamente la tazza per il piattino, mischiando meticolosamente il the, reggendo il cucchiaino con due dita.
Persino il mignolo sparato verso l'alto e l'espressione concentrata.
Senza una parola porse la tazza a Lorne, poi riprese a mescolare, con un educato 'basta, grazie'.
Adesso lo fissavano tutti.
Era uno spettacolo.
"Dovrebbero uscirgli gli sbuffi di fumo dalle orecchie." - constatò Lorne - "Come al bollitore…"
Niente. Nessuna reazione.
"Non gli è preso un infarto, vero?"
"Westley, smettila." - esclamò Doyle, esasperato - "Poteva succedere, ma non è successo."
"Non - mi - parlare." - Wes si mise d'impegno per distaccare le parole, puntandogli contro il cucchiaino - "Non ho bisogno di essere rabbonito. Hai messo in pericolo le vostre vite e… sono arrabbiato perché andava fatto."
Non ci riusciva a restare furioso. Si sedette spossato, a bere il suo the, in silenzio.
Doyle lo fissò, intravedendo per la prima volta le due ombre scure sotto ai suoi occhi. Percependo il suo nervosismo.
"Sono arrabbiato perché non me ne sono accorto. Io non riesco ad immaginare cosa possano avergli fatto, per cacciare la sua mente così lontano dal suo corpo. Io sapevo che i vampiri sono immortali, che possono impiegare chissà quanto a riprendersi, ma si riprendono." - ammise, levandosi gli occhiali e posando la tazza sul tavolino, in modo precario - "ma che la loro mente avesse bisogno di essere richiamata indietro, questo… ma ciò non toglie che si poteva gestire meglio tutta la situazione!"
Il repentino cambiamento di voce era una forma di autodifesa parecchio maldestra.
Ma tutti erano disposti ad ignorarlo ed a perdonare il suo orgoglio ferito.
"Ma come mai qui dentro tutti mirano alla perfezione ed al sacrificio personale?" - chiese Faith, scivolando con le mani lungo la spina dorsale di Doyle e provocandogli un brivido.
"Io raggiungerò la perfezione torcendoti quelle dita assatanate, Faith, se non le levi immediatamente dal mio uomo." - ringhiò Cordelia, marciando verso il divano e sedendosi imperturbabile sulle ginocchia di Doyle.
Lorne li guardò, a metà tra il divertito ed il preoccupato.
L'aria era satura di scintille mal represse, tensione e una buona dose di rivalità femminile.
Ed in mezzo a tutto questo, inerme, stanco e vagamente stordito, stava Doyle. Con una ragazza sulla schiena ed una sulle ginocchia. Una cosa piacevole e quasi invidiabile, ma in altre situazioni.
"Signore." - interruppe il battibecco, con aria austera - "Non mi pare il caso di immolare ancora questo piccolo irlandese…"
"Io non sono piccolo!"
"… per quanto io vi ritenga splendide, penso che le vostre grazie siano fuori posto. E vi invito a smettere di stargli così addosso."
"Guarda che ha cominciato lei." - protestò a gran voce Faith, alzandosi e scavalcando con un'unica falcata Doyle e la sua anima gemella - "E poi, niente mi obbligava a dargli contro se lo ritenevo nel giusto."
"Oh certo! ma guarda che quello che ha fatto è del tutto discutibile!" - replicò Cordelia, saltando in piedi e lasciando Doyle a scuotere la testa, interdetto - "Io lo amo, ma questo non ha niente a che fare con la mia capacità di giudizio! Soprattutto se ha rischiato la sua pelle e quella di Angel!"
"Dimentichi Spike." - rispose faith, mostrandole tutti i denti - "Cordelia Chase, questo tizio ha fatto ciò che andava fatto. E non trovo niente di discutibile, come ami dire tu. Perché vedi, mia signorina Sotutto… potresti anche considerare la possibilità che Angel facesse i suoi esperimenti senza controllo alcuno!"
la frase cadde nel vuoto.
Cordelia rimase impalata sui suoi piedi al centro della stanza, ad assimilare quella verità che Faith le sbatteva sulla faccia. Aveva urlato, prima ancora di ricordare che l'abitudine peggiore del suo prediletto Doyle era proprio frapporsi tra Angel e la sua altruistica autodistruzione.
E, quel che era peggio, stava litigando con Faith. Davanti a tutti e con Lorne che si comportava da paciere.
"Fanciulle, mi spiace insistere…" - disse garbatamente Lorne, accostandosi a Cordy e sfiorandole appena la schiena - "ma vi consiglio di portare le vostre prorompenti personalità da tutt'altra parte. Westley, se non ti spiace, vorrei che tu dessi un'occhiata ai nostri animosi vampiri, mentre io metto a letto Doyle."
"So andarci da solo." - rispose seccato il demone. Senza far nulla per alzarsi.
"Ma allora parli! Ed io che credevo fossi diventato muto! Avrei rimpianto la tua bella voce… non ti muovere da lì, dobbiamo prima chiarire una cosa. Cordelia…" - chiamò. Lei e Faith avevano impilato in silenzio tazze e piattini sul vassoio e si stavano dirigendo verso la cucina.
"Che altro c'è lorne?" - chiese, facendo la voce dura.
"In che letto, allora?"
Non ottenne risposta.
In compenso Doyle lo guardò, puntellandosi la faccia sulla mano.
"Ma ti diverti proprio a mettermi nei guai?" - domandò tristemente.

Cosa si dissero le ragazze restò un mistero per tutti. Ma le risate che si sentivano, già dalla tromba delle scale, lasciava intendere che erano ancora vive entrambe. Isteriche, forse. Ma vive.
Doyle, indipendentemente da tutte le recriminazioni sarcastiche di Lorne e quelle rassegnate di Westley, decise di dormire sul divano di Angel, reputandolo comodo e rassicurante.
Lorne, con sospiro rassegnato, lasciò i due a punzecchiarsi e discese le scale.
E si sporse dalla porta della cucina.
Niente sangue schizzato sulle pareti. Era già qualcosa.
"Vieni avanti, razza di spione." - gli disse cordelia, finendo di asciugare le tazze che Faith lavava meticolosamente.
"E' un piacere vedervi tanto pacate e così dedite al focolare domestico." - esclamò, facendo un salto in avanti ed abbracciandole tutte e due - "Le mie care figliole, luce e gioia di questo albergo."
Le ragazze si incontrarono, naso a naso, sul suo petto e scoppiarono a ridere, all'unisono, come se tra loro non ci fosse nessun dissapore.
Qualcosa accarezzò il cervello di Lorne. Ed era l'intesa, l'intesa che si era creata tra quelle due ragazze, tanto diverse, capaci di iniziarsi a capire in un momento in cui sarebbe stato più facile chiudersi e dimenticarsi l'una dell'altra.
"Uniche. Veramente uniche." - disse, baciando quelle due chiome folte che gli solleticavano il mento - "Starei tutto il giorno a coccolarvi se non pensassi che avete un compito da assolvere."
"E sarebbe?" - Faith sembrava più pronta a subodorare l'odor di fregatura.
"Una di voi, compiacente ai miei desideri, dovrebbe mettere a letto il nostro impeccabile Whydam-Price, che sta pensando di insediarsi al capezzale della nostra vampiresca famigliola."
"Mentre l'altra…" - lo incoraggiò Cordy, posando l'ultima tazza sul ripiano lucido.
"L'altra, e non faccio nomi, potrebbe garbatamente dare un bacio della buonanotte al povero irlandese che ha deciso di languire sull'amato divano del piano di sopra." - Lorne sbattè le ciglia, con l'aria di chi trattiene a stento le lacrime - "E poi tutte e due a riposare, mentre zio Lorne, impavido, veglia su tutti i sopra menzionati."
Le due ragazze si scambiarono un'occhiata. Poi, risolutamente, faith replicò:
"Il tuo discorso ci sembra accettabile. Ma dovresti lasciarci andare."
"Dura questa separazione. Ma necessaria." - retrocedette melodrammaticamente, con la mano sul petto - "Il mio cuore piange per questi compiti inevitabili da assolvere che ci separano, insensibilmente. Non piangete, leggiadre fanciulle, porterò con me questo muto dolore. Siate felici, addio!"
Con gesto ricco di pathos, girò su se stesso e salì a balzi la scala, seguito dalle ragazze, ancora impegnate a parlarsi, sottovoce.
Sul pianerottolo deviò verso camera di Spike, senza curarsi nemmeno dell'autorizzazione che forse gli sarebbe servita per entrare.
Entrò e marciò dritto allo studio, per dare il tempo a Cordy di essere carina con Doyle ed a Faith di fare ciò che le pareva.
Avevano tutti bisogno di un attimo di intimità e Lorne, per quanto iniziasse ad apprezzarli come una famiglia da poco ritrovata,capiva perfettamente l'importanza di un attimo di pace, senza battute, senza altro che silenzio.
Per Lorne era diverso. Il suo attimo di pace coincideva con il frastuono della musica, delle casse spinte al massimo, del suono puro di strumenti, senza voce alcuna che li unisse. Ma forse, dopotutto, anche quella era una forma di silenzio.
Gli piaceva lo studio di Spike. A differenza di Angel, che aveva oltremisura rispettato la privacy restando dall'altra parte del pianerottolo, Lorne conosceva bene quell'angolo profumato di legno che Spike abilmente riempiva con la vibrazione delle corde della sua chitarra. Con una sigaretta in bocca, a torso nudo, in piedi, mentre Lorne, imperterrita, cambiava dischi e canticchiava motivi rock ormai divenuti storia senza ascoltatore.
Non si curavano di cosa si potesse sentire da sopra, da sotto o da fuori. In quella stanza si riportava a galla una musica forte che Spike raccontava con voce abile. Spike che con il suo canto riportava a galla vecchi concerti ed emozioni sfrenate. Il rock, quello vero, una violenza giustificabile, eccessi e passione.
E Lorne sedeva elegantemente in poltrona ed aspirava accordi e fumo, con gli occhi chiusi. Respirando il mito dell'anima in trappola.
Ma non solo quello.
Spike era un talento naturale per la musica.
Un piacere da ascoltare, mentre tesseva una coperta fatta di accordi e crescendo irrefrenabili, fatta di jazz e di quant'altro il loro umore guidava.
Spike sembrava l'unico a non avere paura del confronto con Lorne. La voce di Lorne era per lui una fonte di pura ammirazione e nulla più. Spike amava sentire le loro voci mischiarsi, seguiva fedele la voce di Lorne a caccia della purezza del suono.
Sentendosi ogni volta vicino e lontano dal traguardo. Per Lorne era un piacere da sentire e risentire, un piacere molto simile alla scoperta di un fenomeno da coltivare. Ma Spike, che nel suo intimo probabilmente scriveva ancora, negava di avere canzoni già composte ed ispirazione. E si accontentava di ampie variazioni su cover e ininterrotti assolo all'acustica come alla chitarra elettrica.
Sedette in poltrona, con sotto al braccio una lettura prelevata dalla biblioteca che reputava l'unica appetibile, per quel che lo riguardava, in una casa di persone troppo serie.
Sedette a pensare un attimo.
In un modo o nell'altro era l'epilogo. Il resto sarebbe stato convalescenza e nulla più. Sarebbe stato Angel a sostenere Spike e loro, poco a poco, sarebbero tornati alle loro incombenze.
Lo stravolgimento era finito. Restava solo una pedina vagante. Restava Drusilla, con i suoi deliri e le sue ombre, nascosta chissà dove, nel dolore della perdita di Darla.
I segreti appena intravisti non sarebbero stati svelati tanto presto.
La telepatia.
Il viaggio di Spike ai confini dell'esistenza immortale.
L'importanza di Faith e di Cordelia, il loro legame appena visibile.
Westley si sarebbe affannato a cercare una risposta a tutte le loro domande. E Lorne lo avrebbe invitato a fermarsi, per fischiettare insieme vecchie canzoni. Perché anche un Osservatore può avere un passato da musicista, nascosto da qualche parte.
Un Osservatore.
"Scusami, non volevo disturbarti." - Wes sulla porta, appariva stanco ma sempre compito.
"Figurati, stavo solo riordinando le idee." - replicò il demone, alzandosi e spolverando la giacca incurante - "Di' un po', Wes, eri mai stato qui?"
"No." - Wes accompagnò la risposta con un cenno di diniego - "Ma talvolta sento la chitarra."
"La prima volta ho pensato di essere entrato nel tuo appartamento. Se non fosse stato per quello…" - indicò il poster dei Guns&Roses -" E' bravo alla chitarra. Ma dovresti sentirlo al piano."
"Sul serio?" - Wes si appoggiò allo stipite ed infilò le mani nelle tasche della felpa - "Mi piace come suona. Ma visto che non ne parla mai…"
"Invece dovresti. Probabilmente qui dentro sei l'unico, a parte il sottoscritto che capisce due accordi di fila." - Lorne incrociò le braccia e lo squadrò - "Stavo giusto ragionando sul tuo passato di musicista."
"Poca roba. Quando si è studenti si vuole sempre suonare uno strumento. È Giles, l'Osservatore impeccabile al microfono. Dovresti sentirlo…" - Wes alzò le spalle, incurante. Non lo stupiva che Lorne sapesse di una sua passione tanto remota.
"Sarà meglio che tu faccia un ripasso, perché, una di queste sere, io e Spike vaglieremo le tue potenzialità."
"Accetto la sfida." - replicò Wes, con l'ombra di un sorriso. E lo sguardo acceso di impazienza - "Per l'occasione vedrò di accordare la mia chitarra."
"Ottimo. Vattene a dormire, resto io a badare alla corsia convalescenti."
"Speravo proprio di sentirtelo dire."

Silenzio.
Lorne attraversò ancora il pianerottolo ed ascoltò i passi di Wes salire la rampa successiva.
Doyle, sdraiato sul divano, sembrava perso in qualche ragionamento, sicché preferì non disturbarlo.
In camera di Angel, sul letto ai lati di Spike, cingendolo con le braccia, stavano Angel e Faith. Spike dormiva tranquillo, con il naso quasi infilato nel maglione di Angel, mentre faith lo cingeva con le braccia, insinuando una mano sottile tra le sue fasciate.
Si era immaginato di trovarla lì, con loro, il padre ed il fratello.
O pseudo-amante. Difficile a dirsi.
Ancora sveglia, probabilmente, ma concentrata a dimostrargli il contrario.
Lorne uscì, silenzioso, senza sentire nulla che non andasse tra loro e dentro di loro.
"Ma li hai visti?" - sussurrò sedendosi in poltrona e sprofondando nella coperta lasciata apposta per lui. Strappando Doyle alle sue riflessioni.
"Certo che li ho visti." - replicò quello con un sospiro - "Non so tu, ma mi sento come alla fine di un incubo. Il seguito mi sembra molto scontato e…normale."
"Che posso dirti… stavo giusto pensando la stessa cosa, comodamente seduto nello studio di Spike, quando…"