Anime e Sangue
I personaggi delle serie "Angel" e "Buffy, the vampire slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
"Sei sicura?" chiese Angel, infilandosi precipitosamente il maglione.
Willow aveva fatto irruzione nel suo ufficio da qualche minuto, con l'aria stravolta di chi ha forsennatamente percorso miglia in piena notte.
Un altro cenno d'assenso ed Angel finì di vestirsi, interrotta rapidamente la sua meditazione, senza domandarsi cosa lo rendesse così agitato.
L'idea di correre a Sunnydale? Oppure il fatto che non correva per Buffy?
Sfrecciò a fianco di Willow e montò in macchina. Tardò un istante, per accertarsi di averla a fianco e mise in moto. Cordelia gli tagliò la strada, ma Angel si limitò a spalancare una portiera, intimandole di salire, una volta finito il testacoda.
Cordelia scavalcò Willow, ancora aggrappata al cruscotto, sommergendola di chiacchiere prima ancora di sentire la sgommata con cui il suo principale imboccò la via.
"Allora, che ci fai qui?"-Cordy sgranò gli occhi- "Oddio, ma dove ho messo quel pacchetto che avevo in mano? Angel, ma si può sapere che sta succedendo?"
"Spike." - fu la breve risposta.
"Spike? E noi corriamo così per Spike? Ed io ho perso il mio nuovo acquisto per Spike? Non sarà mica cominciata l'Apocalisse già di nuovo, io ho un'audizione giovedì."
"No, niente Apocalisse, non per noi." - ribatté Angel, assorto più nei suoi pensieri che nella guida della macchina.
Spike.
Ed un nuovo guaio.. Solo lui poteva capire.
Solo lui. Soltanto Angel.
Willow spiegò a Cordelia l'accaduto e più andava avanti, più Cordy sgranava gli occhi, per sorpresa ed incomprensione.
Era una cosa grossa… ma perché correre così? Angel, perché non rallenti? Ormai è fatta. Adesso c'è un vampiro malvagio in meno sulla faccia della terra.
Perché fai così?
Era già innocuo da tempo, con quel chip piantato nella testa. Adesso è solo una cosa più sicura ancora…
Più sicura, come spiegare…
Angel sterzò e fermò, davanti a quel che restava del vecchio liceo. Saltò giù dalla macchina e corse, corse come un pazzo fino in biblioteca, un locale annerito, ma di nuovo agibile, da quando Xander lo aveva promosso rifugio segreto.
Un rifugio… segreto e sicuro… sopra la bocca dell'inferno.
Giles doveva averlo sentito correre per quei corridoi. Quando Angel varcò la porta se lo trovò di fronte, con una balestra. Dietro di lui, Xander.
Angel li fissò entrambi.
"Dov'è?"- chiese.
"In ronda." -gli rispose prontamente Xander, senza sospettare per un attimo che non stesse chiedendo di Buffy- " Voleva cercare i superstiti."
"Non Buffy. Spike. Dov'è Spike."
Giles lo fissò, lo passò da parte a parte con i suoi occhi azzurro-grigi.
"Nella gabbia." -fece un cenno, verso la struttura metallica, ancora solida, che un tempo era stata, in base ai momenti, una trappola o un arsenale.
Alcune casse erano state accatastate all'interno, quasi non si temesse che potessero diventare pericolose, dentro la prigione di un vampiro. Brandelli di stoffa pendevano dalle reti della struttura, ma Angel non aveva bisogno di luce o buona visuale.
"Non ero ancora certo della mia supposizione, ti ho fatto chiamare per questo." - gli disse Giles, deponendo la balestra e arrivandogli a fianco- "Ho preferito metterlo lì dentro così non sarà pericoloso per nessuno.Neanche per se stesso."
Angel si aggrappò alla rete e fissò il pavimento sconnesso. In mezzo alle casse ed alla polvere, stava una giacca di pelle.
E dentro la giacca, l'ombra di un vampiro.
Lunghe mani ossute sporgevano dalle maniche.
Spike.
Raggomitolato.
Con le braccia attorno alle ginocchia.
Con la testa illuminata da un raggio di luna.
Scalzo. Piedi bluastri e venati.
Immobile.
Non ancora polvere, eppure già morto da tanto tempo.
Angel lo fissò ancora, muto.
Improvvisi flash lo colpirono, il ricordo di una morsa micidiale lo prese in pieno petto.
"All'inizio ho pensato si trattasse di non so quale reazione a quel chip, oppure…" - continuò Giles, pulendo gli occhiali nel fazzoletto.
"No, Giles, non ti sei sbagliato." - Angel non riusciva a staccare gli occhi da quel fagotto, senza rendersi conto di Buffy apparsa dal nulla alle sue spalle- "Ora è come me. Quello è il dolore di avere un'anima."

Andò fuori, all'aria aperta, desiderando di avere pieni polmoni per respirare a fondo, come se il bisogno d'aria che non aveva fosse una fastidiosa mancanza. Alzò lo sguardo verso le stelle, le poche che la luna non oscurava con il suo eccessivo candore.
Si sorprese a pensare ad Oz, finito chissà dove, spontaneamente rinchiuso sotto la luna piena. Come Spike, in una gabbia che isolava dal mondo.
Spike…
Spike già sapeva cosa gli stava succedendo. Sapeva perché, ma non sapeva come reagire. E gli altri?cosa pensavano di quello che vedevano?
Quello che sapevano dovevano averlo imparato da lui, da Angel e dalle sue frasi spezzate. E dalle cose che non aveva mai ammesso.
Il profumo di Buffy lo inebriava. Il suo insinuarsi sotto il suo braccio ed il sussurrato "tutto bene?" lo riscossero dai suoi pensieri.
Si scambiarono un'occhiata, cercarono di condensare in quel breve sguardo tutto ciò che avrebbero voluto dirsi.
Poi Buffy, con un leggero sospiro di rammarico, si allontanò e rientrò nel edificio.
Angel gettò ancora uno sguardo ormai distratto all'oscurità e la seguì.

"Perché non mi racconti da principio?" -le chiese, una volta rientrato in biblioteca. Poi, vedendo la banda riunita attorno all'immancabile tavolo così stranamente sgombro di libri, aggiunse- "Per il momento non posso fare nulla. Prima parliamo."
Buffy prese la parola.
"Suppongo sia stata normale routine. Ho scoperto dov'era un covo di vampiri. Spike non li frequenta più da parecchio. Ma lì ho beccato Harmony e lei mi ha nominato Spike, gemendo su come le avevo sciupato i capelli."
"Come la capisco." - sospirò Cordy nel fissarsi le doppie punte.
"Ha vaneggiato come suo solito su qualcosa che non ho capito bene, ma che nemmeno lei sembrava avere molto chiaro… qualcosa su una zingara, una maledizione o altro…"
"Già sentita questa storia"- specificò Xander.
"…all'inizio ho pensato che parlasse di te. Mi ha detto qualcosa sul fatto che un vampiro con i rimorsi è buono solo per giocarci nel tempo libero. Poi ha aggiunto qualche apprezzamento su com'era Spike quando lo ha conosciuto e poi ha ribattuto il concetto."
"Quale concetto?" - chiese Willow.
"Che lei non frequenta i rammolliti ed i perdenti. Ed io le ho assestato un cazzotto."
"e brava Buffy." - si congratulò Xander e prese la parola- " quindi siamo andati a cercare Spike, ma la cripta dove abita era vuota e da parecchio, almeno una settimana. C'erano tracce di lotta e così, come nostro solito, ci siamo preoccupati anche per chi non se lo merita. E… "- la sua espressione cambiò leggermente nel soffermarsi su quel lembo di pelle nera- "Per una volta abbiamo fatto bene."
"Così sono tornata a spupazzarmi quei quattro inetti e la decina di rinforzi giunta nel frattempo. Lo tenevano in una gabbia, o in qualcosa del genere. E l'abbiamo portato qui, fine della storia."
"Da una gabbia ad un'altra." - mormorò Angel, spostandosi, abbandonando il tavolo su cui si era appoggiato durante il racconto. Le parole di Willow erano state pressappoco le stesse, ragionò, nel congiungere le mani come in preghiera, di fronte alle labbra. Si riavvicinò alla rete metallica e sbirciò appena all'interno, come se temesse, come se sapesse che quell'occhiata sarebbe stata straziante senza essere fruttuosa.
"Non sappiamo niente, sul perché di tutto questo." - costatò.
Tutto questo… un'anima, tornata dal nulla per portare un corpo all'inferno, come se quel minuscolo meccanismo in un angolo del cervello non fosse stato altro che un triste e minuscolo presagio.
Tutto questo…
Come spiegare…
"A quanto pare, no. " - gli rispose Giles- " Non sappiamo nient'altro. Chi, o cosa abbia fatto questo, perché Spike… troppe domande e nessuna risposta."
"Ma adesso che facciamo? " - chiese Willow.
"Angel, hai una risposta a questa domanda?" - esortò Buffy, quando il quesito cadde nel silenzio.
Angel si voltò, li abbracciò tutti con una sola occhiata.
"Sono io la risposta a questa domanda."
E mai, come in quell'istante, desiderò una battuta di Doyle e quella sua leggera mano appoggiata su una spalla.
"Ehi, uomo…"

le ore si trascinarono lente, trascorrendo appena, in attesa di un'alba che non arrivava. Angel trascorreva i suoi minuti in piedi, appoggiato alla grata. Dapprima Spike era rimasto immobile, poi, come se avesse attinto un barlume di energia da chissà dove, iniziò a dare qualche accenno di movimento.
Muoveva appena le dita, tra piccoli mucchi di polvere. Aveva disteso le gambe, serbando strette al petto soltanto le braccia. Gli occhi erano chiusi? Angel, per quanto girasse intorno alla gabbia, non riusciva a vederli..
Spike non si nutriva da parecchio tempo. Il suo aspetto scheletrito ne era un inequivocabile vessillo, come le vene che spiccavano come un luminescente ragnatela su ogni lembo visibile di pelle.
Angel camminava in cerchio, oppure sostava, con le mani appoggiate alla rete. Gli altri, seduti, quasi in rispettoso silenzio, di lui vedevano soltanto la schiena, una schiena larga, apparentemente solida.
E dietro quella schiena, un continuo agitarsi di pensieri, riflessioni più tormentate di quelle da cui Willow l'aveva strappato.
Angel aveva il tormento.
Il tormento dell'impotenza.
E Cordelia non capiva. Spike era la croce di Angel da sempre; come due antagonisti, i due vertici virili di un triangolo amoroso. Il loro legame? Come una piramide, Angelus, il sire, ed i suoi pupilli, Spike e Drusilla..
Drusilla… la ragazza tanto pia e devota da essere portata alla pazzia, prima di poterla possedere. Un amore tanto grande quanto distruttivo. Qualcosa che ancora adesso, Angel sentiva sorgere dal profondo dell'animo. Un sentimento, un piatto su cui soppesare la repulsione e l'attrazione.
Ma Spike? Cosa? Perché?
Dapprima non le era sembrato un argomento interessante. Spike era uno sbaglio del passato, uno sbaglio che aveva portato nelle loro vite un nemico acerrimo.
Willow, inconsapevolmente, seguiva la stessa linea di pensiero. Perché un essere spietato come Angelus aveva scelto quello strafottente biondo? A Willow, Spike non spiaceva. Nei lunghi mesi della forzata astinenza, Spike era stato con lei addirittura gentile; una volta aveva pure ammesso di avere un debole per lei e per un suo buffo vestito lilla.
Spike seminava cattiverie con la lingua biforcuta, poi, ad un tratto, uno stralcio di sensibilità.
Aveva il dono innato di capire lo stato d'animo delle persone. Non si lasciava prendere in giro dalle zoppicanti spiegazioni o dalle motivazioni apparentemente inattaccabili.
Spike era fatto così… una mente raffinata quasi quanto le sue perversioni.
Buffy era stata poco tempo a fissare quella schiena diritta… le era grottescamente sembrata la metafora del loro rapporto, una strada in salita, così pendente da dover essere scalata a forza, con sofferenza.
Con il passare delle ore, Giles l'aveva fermamente invitata ad andarsene a dormire e Buffy, sperando che a sua madre non venisse un infarto, optò per una breve sortita nel letto di casa sua, evitando le cinque miglia verso il campus del college.
Alle prime luci del giorno, Cordelia s'addormentò, appoggiata al tavolo, con un po' di fuliggine sul suo nasetto impertinente.
Xander, con una vecchia abitudine, le aveva posato una coperta sulle spalle; poi si era occupato di coprire gli scarsi spiragli delle finestre con le tende a brandelli. Ma non riusciva a distogliere i suoi pensieri da quello che restava di Spike, il più odioso coinquilino che avesse mai sperimentato.
Eppure, come Willow, riusciva a provare una certa simpatia per quel vampiro che aveva cercato di impalarsi nello scantinato, dopo essersi ristretto i vestiti con un bucato sbagliato.
Lo apprezzava, anche se non era un buon amico, anche se era un cinico, un maligno ed un emerito approfittatore. Ma per quanto fosse tutto questo, e per giunta un elemento che gli aveva più volte provocato lividi e contusioni, in quei mesi di sofferta convivenza e lotta gomito a gomito, aveva sviluppato un certo cameratismo.
Ed anche se poi non era molto profondo come slancio, il senso di giustizia non faceva che ripetergli che, al di là dei torti che Spike distribuiva come caramelle, non meritava un trattamento come quello ricevuto dai suoi simili.
L'aveva liberato lui stesso, tirato fuori di peso da quella gabbia… di peso, che parola grossa, per un corpo di circa trenta chili complessivi.
Un essere che, con le poche forze che aveva gli si era aggrappato addosso. Cadendo in avanti, da quella specie di trappola dove l'avevano rinchiuso, per il puro e semplice piacere di seviziarlo.
Come? Bruciature di sigarette, cibandosi sotto il suo sguardo di ragazze che né lui né la cacciatrice avrebbero potuto salvare?
Male parole?
Croci?
Cos'altro?
Aveva subito qualcosa per cui non avesse già sofferto nei mesi passati?
Difficile a dirsi.
Soprattutto se Spike non poteva o voleva parlarne.
Lentamente, quasi senza accorgersene, Xander s'avvicinò ad Angel. Non lo aveva mai considerato altro che un rivale. Anche con lui c'era stata una forma di cameratismo, ma in quel frangente, non poteva che dimostrargli fiducia.
Io sono la risposta, aveva dichiarato.
E Xander voleva sapere.
Per caso, nell'attimo in cui si avvicinò, Spike emise un gemito. La sua schiena s'inarcò, le braccia si spalancarono, con gli occhi rivolti verso un soffitto che non poteva vedere..
I suoi pensieri erano informi come il gemito che gli scivolava tra le labbra.. Angel conosceva quella sensazione, si era illuso per lungo tempo di poterla dimenticare. Un secolo di lacrime che non avevano mai colmato quel deserto di disperazione che Angelus aveva portato in giro per l'Europa..
Spike aveva fatto altrettanto. Aveva ucciso più di chiunque altro, quasi quanto il suo sire. Ma il suo sire aveva commesso il fatale errore di invaghirsi di una zingara figlia di magia…
E Spike? Chi poteva desiderare questo supplizio per un vampiro già menomato dalla tecnologia?
Un urlo si fece largo tra i suoi pensieri. Un urlo strozzato da un dolore che non voleva essere espresso. Per Angel era troppo? - si chiese Giles, quando Angel abbandonò la sua postazione e rientrò in quello che un tempo era stato l'ufficio del bibliotecario.
Inspiegabilmente, ancora una volta, Xander lo seguì.
Angel si era seduto sul divano, su quel che restava del divano. Avevano sentito chiaramente un certo tramestio, come se avesse cercato qualcosa nel ben fornito arsenale di fortuna.
Angel sedeva, con un pugnale tra le mani.
"Che intendi fare?"
"Tu che faresti?" - gli rispose il vampiro, alzando il suo sguardo tormentato verso il ragazzo- "Dimmi cosa è meglio"
"Non ti seguo."
"Un vampiro è un essere malvagio per natura. Un essere da uccidere. Ma un vampiro con l'animo può conoscere solo sofferenza, se le regole non sono cambiate… e non mi sembra che sia così, a quanto ne so."
"Dimmi, Xander, cosa è meglio? Lo privo dell'anima e lo uccido? Oppure lo uccido e gli risparmio la sofferenza di avere un'anima?"
Angel era Angel. Esasperato all'idea di dover ancora spiegare qualcosa che Xander non poteva capire del tutto. Eppure, per una volta, Xander lo guardava dritto in faccia ed Angel gli esponeva un dissidio, accantonando il misterioso e tormentato mutismo. "Risparmieresti un'agonia ad un amico?"
Era passato molto tempo, da quando Angel gli aveva posto questa domanda, indebolito da un veleno che lo stava uccidendo.
Come aveva risposto quella volta Xander? Con cocciutaggine.
E come allora, fissandolo, come allora, rispose: "No, non ti lascerò morire." - in un soffio, come se fosse veramente dipeso da lui. Xander non era la cacciatrice, il suo sangue non poteva sanare un vampiro morente ma, per un attimo, seduto a quel capezzale, il ragazzo aveva reagito con tenacia, con quella filosofia di vita del non tutto è perduto.
Ma ora…
Angel non era capace di accantonare le esitazioni. Portava nel cuore quello stesso ricordo che la caparbia risposta di Xander aveva fatto riemergere. La sua mente era volata nella stessa direzione del tuo interlocutore.
Ma era come se il giorno e la notte dialogassero tra loro. E Spike con i suoi gemiti, non era altro che la colonna sonora di quell'incomprensione.
"Angel." - riprese Xander- "Cosa stai cercando di dirmi? Che vuoi risparmiare questa sofferenza a Spike? Che sei pronto ad ucciderlo con le tue mani, solo perché ha un'anima? Suvvia, è un vampiro che non morde, come te. Tu sei sopravvissuto… vuoi il diritto d'esclusiva?"
Angel gli avrebbe risposto volentieri con un pugno.
"Pensi a lui, non è vero?"- aggiunse il ragazzo, andandogli sempre più vicino. Con sua sorpresa, Angel lesse il rispetto in quegli occhi scuri- "Tu saresti disposto a vivere con il rimorso di quest'uccisione purchè Spike non subisca il tormento delle proprie?"
Ormai rigirava il pugnale tra le mani, dapprima in silenzio, poi, con il desiderio di rispondere.
"Tu lo condanneresti ad una lunga agonia? Solo per la paura di perdere un amico? Ne ho persi molti, nel tempo. E so che il peggio non è ancora arrivato."
"Ma tu sei sopravvissuto. Non ti sei ucciso. E sei tornato dall'inferno più di una volta. Dimmi, non ne è valsa la pena? E per quanto riguarda il peggio… beh, tu eri solo. Ed indietro non si torna. Ma Spike ha te. E me."
Non disse più nulla. Quel breve elenco, quell'ammissione di partecipazione aveva aperto uno spiraglio sul suo ruolo nella faccenda. Ci stava dentro fino al collo. Poco ma sicuro.
"Xander." - Angel lo chiamò. Poi tacque.
"Dimmi."
"Qui non si tratta del sangue che non potrà più bere. Non temo il suo futuro. Ma conosco il suo passato. L'hai visto? Io lo ridussi così, in un vicolo a Londra. Era così, rannicchiato nello stesso modo in cui l'ho trovato stasera, quando gli ho fatto bere il mio sangue per salvarlo dalla vita. Ma adesso… io non sono più quello di allora. Gli ho portato via qualcosa allora… è passato troppo tempo perché il riaverlo indietro non lo faccia soffrire."
"Tu hai paura che impazzisca. Come Drusilla. Non vuoi più macchiarti di questo misfatto. Sei una strada senza uscita, hai ragione." - fece una pausa, lasciando che il sorrisetto appena accennato lasciasse il posto alla serietà- "Ma sai cosa ti dico? che oggi, non so chi o non so perché, ha restituito a Spike qualcosa che tu gli avevi impunemente sottratto. E tu, portandoglielo via, di nuovo e questa volta definitivamente, ti macchieresti di un delitto come allora." - poi, non tanto convinto del ragionamento- "Afferrato il concetto?"
Angel lo fissò, senza rispondere. Poi, l'attenzione di entrambi fu assorbita da qualcosa.
Qualcuno.
Spike.
In piedi.
Con le mani serrate alle reti della gabbie.
Willow lo fissava paralizzata, senza il coraggio d'avanzare di pochi metri. Quegli stessi metri che, ancora una volta, Angel superò con slancio, con il coltello stretto tra le mani.
Angel pose le mani sui palmi aperti di Spike. Vicini, separati da una rete, uno nello sguardo dell'altro. Come non mai. Come erano stati forse una volta nella vita, quando qualcosa era scattato nel cuore che Angelus non pensava d'avere. Il vampiro, irretito dallo sguardo di un poeta squattrinato e morente. Un poeta con l'anima ben nascosta negli occhi. Anima trapelata fuggevolmente a galla, nell'attimo in cui la morte era divenuta consapevolezza.
E quando si era risvegliato, con il sangue sulle labbra, Angelus, in quello sguardo, non aveva più letto nulla che non fosse sete. Potere. Vendetta. Amore.
Lo sguardo. Talvolta è come perdersi nei meandri delle tenebre. Poi, ad un tratto, qualcosa emerge. Ma bisogna essere rapidi a vederla.
Ed Angel la vide. Vide quella singola emozione, rivide qualcosa che conosceva. Spike portava il se stesso di un tempo, la sua anima sventolava come una bandiera. Ma là, a fianco di quel vessillo, stava il dolore di Angel. Il dolore che dona soltanto la sensibilità appena restituita, che porta con sé la consapevolezza
Spike vedeva la stessa cosa? Era divenuti sul serio l'uno lo specchio dell'altro?
Spike. Null'altro che un animale che scivolava a terra in preda ad un dolore selvaggio e violento. Forse insostenibile.
L'avrebbe annientato nel fisico o nell'animo?
Willow si sorprese ad implorare mentalmente un aiuto per quel corpo intrappolato in un'anima. Qualcuno doveva far qualcosa. Cosa sarebbe stato peggio? "Perdere nuovamente l'anima dopo averla ritrovata? Oppure accettarla come solitaria compagna per un'eternità?" - era una frase di Doyle? - Angel protese tutto il suo essere alla ricerca di un soprannaturale soccorso del suo irlandese dagli occhi trasparenti.
"Doyle?" - le labbra di Cordelia si mossero appena in un sussurro.
Ma i pensieri di Angel erano già di nuovo persi nello sguardo di un animale in trappola che, traendo forza dal nulla, si gettava contro le sbarre materiali della sua prigione.
Poi, ancora un istante di immobilità, uno di fronte all'altro.
Di nuovo quello sguardo.
Angel si sentì pervadere dal gelo. Come se si fosse specchiato. Perché là, in quelle profondità, aveva visto di nuovo la morte diventare consapevolezza.
"Fammi entrare"
"Cosa?" - Giles, stranamente sordo a quel dissidio interiore, sembrò reticente.
"Ho detto che voglio entrare." - l'impotenza, divenuta rabbia, gli faceva scandire seccamente le parole.
Willow gli spalancò la porta senza fare commenti, senza esitazioni che portassero ad ulteriori discussioni. Xander avrebbe voluto strappargli di mano il coltello. Poi un impulso lo fermò.
Afferrò per un braccio Angel e, quando questi si voltò, disse:
"Ehi, ricordati di scegliere."
Angel annuì e s'infilò tra le casse, verso il suo simile.
Verso uno spettro che un tempo era stato un vampiro, che un tempo era stato un uomo.
Spike aveva sempre avuto un volto pieno di ossa. Ma mai, come ora, quelle ossa sporgevano, miseramente coperte da un'epidermide quasi trasparente, resa tale dal dolore che sembrava esplodergli nel cervello.
Spike voleva morire. Angel era lì per impedirglielo. Era quella la risposta che aveva cercato tutta la sera, nel tormentarsi per il suo dolore.
Era una chance che gli veniva offerta. Era la guida, lo scoglio a cui aggrapparsi nella tempesta del rimorso..
Spike era pronto per la lotta.
Angel era pronto per la lotta.
Ed entrambi scattarono l'uno verso l'altro. Si picchiarono, con la disperazione che avevano in corpo.
Erano stati amici, padre e figlio, nemici, alleati ed infine di nuovo nemici.
Non sarebbero mai potuti essere degli estranei.
Ed ora, quel palpitare della loro anima in fondo al dolore, li rendeva fratelli.
Fratelli.
Fratelli di sangue.
Un ultimo attacco.
Erano di nuovo faccia a faccia. Come prima, ma non vi era più una rete metallica a separarli.
La rete stava alle spalle di Spike.
Angel lo aveva afferrato per i polsi, le loro mani si stringevano, palmo contro palmo.
Angel troneggiava su di lui, schiacciandolo con la sua forza e la sua mole.
I vestiti cadevano larghi e vuoti sul corpo di Spike, un corpo percorso di tremiti e spasmi che le sue smorfie di dolore non mascheravano..
In un attimo, un altro flash..
Angel sbatté le palpebre.
Fratelli di sangue.
Afferrò il coltello, ed il cuore di Xander fece un balzo in gola.
Le mani…
Palmo contro palmo…
Angel impugnò lo stiletto con la sinistra; poi, allentando la prese della destra, inserì la lama tra le due mani.
E la sfilò, come estrarla da un fodero.
Un fodero di carne.
E lo scagliò lontano.
Lontano da entrambi.
Spike, lo vide sfuocarsi, poi, essere inghiottito dalle tenebre.
La gola gli si strinse in un rantolo.
Immagini fulminee gli balenavano a piena velocità nel cervello. Immagini di una vita non sua, di un dolore che già sentiva in petto.
Un dolore della stessa matrice, oltre i confini del tempo.
Le visioni ruotavano sempre più veloci.
Lo facevano impazzire.
Urlò forte, ma qualcuno gli premette una mano sulla bocca.
Una mano che sapeva di sangue.
Sangue potente, sangue senza vita.
La luce che sentiva dentro si espandeva anche fuori.
Ma Spike non poteva saperlo.
Non poteva conoscere le facce annichilite che li osservavano, mentre l'intelaiatura metallica diveniva un vortice di energia pura.
Energia che lentamente sfumava, con lo scorrere sempre più esile del loro sangue.
Il sangue che si mischiava di nuovo.
Con la morte a tenerli entrambi tra le braccia.. come una donna, il vertice del loro triangolo amoroso.
Come Drusilla. Spike la rivide, con i suoi occhi, con gli occhi non suoi,
E Darla.
E Doyle.
E Buffy.
Erano immagini, immoti fotogrammi espressioni rapide e mai più tornate, volti morti e sepolti riemergevano come ombre dall'ombra.
Fino a formarsi in una sola.
Una singola visione.
Angel, sorgente dalle tenebre.
Reale, di fronte a lui.
La forza che lo intrappolava.
L'energia che sosteneva.
La prima parola articolata, dopo lungo tempo.
"Liam" - rantolò, con occhi pieni di stupore, lontani dalla pazzia.
Liam.
Liam.
Un nome che non conosceva.
Un nome che gli era sempre stato negato.
Il nome del passato perduto.
Liam.
Angel,
Le forti braccia dove scivolare, ora, una volta sciolta la presa.
Braccia che lo stringevano, un maglione color della notte in cui seppellire il proprio volto e le proprie lacrime..
Un collo da stringere con braccia deboli.
Restarono così, sotto lo sguardo soddisfatto di Xander, l'aggrottato di Giles, quello commosso di Willow.
Restarono abbracciati, uno a sorreggere l'altro. Senza motivo per muoversi o separarsi. Uniti i loro corpi, le labbra di Angel sepolte tra i capelli di Spike. E gli occhi di Spike, che già si chiudevano nella melodia di un sonno silenzioso.
Spike riposava, dormiva nel calore che poteva donargli solo un'anima racchiusa in un corpo freddo. Dormiva sul giaciglio della sicurezza.
Restarono così immobili, sotto il loro sguardo vigile.
Angel, le lunghe gambe incrociate e Spike dormiente tra le braccia, leggermente contorto, indisturbato.
Il sonno di Spike, nel cerchio dell'affetto.
E gli spettatori silenziosi, quasi disposti in cerchio intorno a loro
E la cacciatrice lontana, a sognare un abbraccio di quel genere..
E Cordelia che ancora dormiva appoggiata al tavolo.
E Doyle seduto a terra.
Ed Angel, con la testa sulla sua spalla invisibile, stretto tra le braccia di un pazzo spirito irlandese.
Uno spirito dagli occhi trasparenti persi sul riposo di una ragazza con la fuliggine sul naso.

II
Buffy infilò le dita nella grata e sbirciò dentro.
E lo chiamò.
Angel si riscosse per girarsi a fissarla. Era bella, con gli occhi pieni di preoccupazione, una bambolina con lo sguardo profondo, che si mordicchiava un labbro, indecisa sulle parole da dire.
E lui le sorrise, per incoraggiarla.
"Ehi, vieni dentro."
Era contento di vederla, di poterla guardare, mentre si muoveva per venirgli accanto.
E quando gli fu vicino e si chinò, Angel accarezzò le ciocche di capelli che le cadevano sugli occhi.
E lei si sedette a terra e gli regalò ancora un sorriso, timido, appena imbarazzato.
"Non riuscirai a staccartelo di dosso tanto presto" - disse, indicandolo con lo sguardo.
"Temo che tu abbia ragione."
Stava ancora seduto a terra, con le gambe incrociate, in mezzo alla polvere ed alla confusione. E Spike addormentato tra le braccia.
Xander li guardava. Si era addormentato, e quando si era svegliato li aveva ancora trovati così. Fissava la schiena di Angel, ampia e solida, guardava la testa bionda di Spike, che sbucava appena al di sopra della spalla su cui riposava.
"Come sta?"
"Come uno non convinto che l'immortalità sia un regalo." - replicò tristemente Angel.
"Ma ce la farà?"
"Non lo lascerò morire, se è quello che pensi." - Angel buttò uno sguardo a Giles e disse- "Adesso basta con le gabbie. Portiamolo a casa mia, qui, a Sunnydale."
E così era stato. Angel aveva sollevato il suo fagotto ed erano usciti. Buffy era stata mandata a cercare, senza tanti complimenti, sangue umano in ospedale. E Cordelia era andata con lei, prendendo in prestito la macchina di Angel.
Willow e Giles erano rimasti a cercare chissà quale informazione in un libro.
L'aria era tiepida, piena di stelle. Xander ed Angel avevano tagliato per il cimitero, accelerando il passo.
Le poche ore che restavano della notte erano passate così, camminando e preparandosi. Buffy aveva portato il materiale richiesto e se ne era andata in ronda per scaricare i nervi. Senza una parola. Era come se facesse di tutto per evitare Angel, per non parlargli. Si sforzava di non soffrire. Ed uccideva, con una punta di rammarico, all'idea che non ci fosse più Spike a tormentarla, tra un massacro e l'altro.
"Con la vecchiaia si diventa abitudinari." - spiegò al vampiro punk, mentre questo finiva in polvere- "Era liberatorio farci a pugni.."
Angel, aiutato da Willow, aveva attaccato una trasfusione a Spike. Non aveva neanche provato a nutrirlo canonicamente, gli aveva piantato l'ago nel collo senza indecisioni, senza soffermarsi a cercare una vena pulsante.
"Accidenti, sai bene dove sono." - aveva sdrammatizzato Willow, nell'ammirare tale maestria.
Ed Angel le aveva lanciato un'occhiata grondante di sarcasmo.

Cordelia era ripartita al mattino, presa dalle sue audizioni, lasciando lo stanco gruppo al suo destino. Willow era crollata, alla fine, si era addormentata sul divano, appoggiata a Xander, a metà di una pigra conversazione.
Giles era tornato al suo negozio, visto che Anya si trovava ancora fuori città, insieme a Tara. E Buffy l'aveva seguito.
Restavano solo Spike ed Angel. Spike dormiva di traverso nel letto di Angel. Il corpo sprofondava appena nel materasso, le testa girata da un lato e la flebo ancora inserita.
L'ennesima flebo.
Con infinita pazienza, Angel aspettava, ne sfilava una per avviarne un'altra. Non si preoccupava nemmeno del livido che ormai copriva buona parte collo, che spariva per poi riformarsi rapidamente.
Era il sintomo dell'instabilità fisica di Spike. In situazioni normali non si sarebbe neanche formato, Angel gli avrebbe scalfito la pelle appena senza lasciargli segni. Era sintomatico della scarsa quantità di sangue che aveva in corpo, risultato di un probabile e sadico dissanguamento che gli avevano inflitto i suoi simili, prima che Angel, per salvarlo, non fosse stato costretto a provocargliene uno ulteriore.
Di cui non si pentiva affatto.
Aveva approfittato dei tempi morti per avvicinare una poltrona in cui lasciarsi andare, allungando le gambe fino a posare i piedi sul letto.
Si sedeva lì, appoggiando la guancia alla mano, e fissava Spike. Domandandosi il perché della sua attenzione, la sua sollecitudine nei confronti di un'antagonista tanto ottuso da essere antipatico.
L'antagonista per eccellenza. Erano riusciti a litigare per tutto, potere, sesso, amore, soldi, sangue e donne.
Accidenti, erano persino arrivati ad un pelo dal contendersi la cacciatrice. Eppure Angel era corso da Spike come Spike si era affidato ad Angel. Con lo stesso slancio incontrollato. Di cui non pensava di esser capace.
E così la sua mente tornava indietro nel tempo tanto quanto i suoi ragionamenti giravano in tondo. E non capiva. Spike aveva fatto parte della sua vita quando non era altro che caccia spietata. Era stato Angelus a sceglierlo come compagno idoneo alla sua non-vita, per avere qualcuno da odiare, su cui prevalere in fascino ed ironia, da sbeffeggiare, quando corteggiare le sue donne iniziava a venirgli a noia.
Ma sì, l'aveva vampirizzato perché era stata Drusilla a implorarlo. Le piaceva, le sembrava un giocattolo, così imbranato e tenero nel decantare le sue poesie.
E Spike era stato un predatore inimitabile ed inaspettato. Uccisore di cacciatrici. Cacciatrici come Buffy. La stessa Buffy di cui si era innamorato, girando le spalle a Drusilla.
Era questo che li univa? L'abbandono di Drusilla e l'amore per Buffy? Angel non aveva problemi a scartare quell'ipotesi.
E visto che Spike era tutt'altro che loquace, il tempo per pensare non gli sarebbe certo mancato.
Lentamente alle elucubrazioni si sostituirono altri pensieri, e la sua mente sfuggì, verso Buffy e la freddezza che non avrebbe mai voluto riservarle. Pensare a certi aspetti del loro rapporto gli pesava come una spossatezza eccessiva, una coperta troppo calda.
Si sporse, sfilò ancora l'ago dal collo del vampiro e ne inserì un altro. Spike gemette, movendosi, ma Angel gli bloccò la testa senza tanta indecisione e finì il lavoro.
"Spiacente, amico mio" - sussurrò- "sono a buon punto, vado fino in fondo."
Andare fino in fondo… di colpo quest'evenienza lo colse. Avrebbe portato Spike a Los Angeles. Doveva tenerlo d'occhio, parlargli e scoprire se, nelle Alte Sfere, qualcuno stesse già manipolando il suo futuro.
"E saprò fare tutto questo al di là delle tue opinioni?" - gli chiese, posandogli una mano sulla fronte. Spike si mosse ancora, inquieto, stringendo le palpebre, come per scacciare un'immagine fastidiosa. Poi si rilassò, scivolando un po' da un lato. Angel rimase seduto su quel letto ancora un interminabile istante, poi raccolse i resti delle flebo, per accatastarli sul tavolo.
Nella stanza a fianco si trovò davanti Willow. Si era appena svegliata, con i capelli confusi e la camicetta sgualcita.
Un leggero rossore le coloriva le guance e ad Angel non servì molto per capire che si era sentita una superflua spettatrice.
"Ebbene sì, ho avuto un attimo di affettuosa debolezza nei suoi confronti." - la incoraggiò, sorridendo- "Capita anche a me, ogni tanto."
"Scusa" - balbettò ugualmente la ragazza- "Non volevo."
Non sembrava più lo scricciolo che era stata al liceo. I capelli corti, la figura meno spigolosa e quella luce negli occhi la rendevano deliziosa. Angel sorrise, nel pensare come Xander si fosse, tutto sommato, perso qualcosa.
"Non ti preoccupare. Non mi vergogno."
"Sul serio?"
"Dovrei?"
"Secondo me, no, ma Spike…"
"Spike non se ne è neanche accorto. Era più per me che per lui." - replicò tranquillo- " Ma hai ragione, mi tormenterebbe a non finire."
"Non penso di dirglielo, cioè, non ho motivo di farlo…"
"Lo so."
"Angel?"
"Dimmi."
"Perché Spike?"
Adesso la conversazione meritava di essere seguita. Angel accantonò i suoi pensieri, buttando un'occhiata inquieta all'altra stanza, intravedendo appena il fondo del letto.
Desiderava solo tornare a sprofondare nella sua poltrona, a fissare il suo magro tormento.
"Vieni di là" - sospirò- " Ho una trasfusione da controllare."
"Ancora?"
" L'ultima."
Willow lo seguì, in punta di piedi, cercando di adattarsi al suo passo disumano. Fluttuò quasi fino alla poltrona, ricordando a malapena di essersi rannicchiata allo stesso modo, una notte, con Oz al suo fianco.
In silenzio, osservando un altro vampiro indifeso.
Anche Angel sembrò ricordare, nel rivolgerle un timido e riconoscente sorriso. Poi disse: "Perché Spike? Cosa vuoi sapere."
"Non so. Perché lo hai scelto. È così diverso da te."
"Pensi che si debba essere simili per andare d'accordo?"
"No, ma tu e lui avete sempre litigato. Da quando ci conosciamo non hai fatto che lamentarti di lui…"
"Se prendi un'abitudine…"
"Come dire che era tutta una messinscena?"
"Non proprio. Solo che, in tanti anni di litigate, forse, ho finito con l'essere abituato ad averlo tra i piedi." - sospirò pigramente Angel, in piedi, non troppo lontano- " Che fosse un nemico, o un coinquilino rompiscatole, è sempre stato uno della mia vita."
"Uno della tua vita… è una ben strana definizione."
"La migliore che si possa trovare."

Parlarono ancora, frasi pigramente sussurrate. Willow non impiegò molto ad addormentarsi di nuovo, così come si era svegliata, senza farsi notare. Xander si accorse appena, di come fosse tornata ad insinuarsi sotto il suo braccio, nel lasciare la comoda poltrona nuovamente ad Angel.
Ancora i piedi sul letto, un pugno su cui appoggiare una testa piena di pensieri, lo sguardo fisso.
Il sole non avrebbe impiegato molto a sorgere, le pesanti tende in velluto già chiudevano la porta della stanza. Ma Angel non poteva riposare, nello scivolare tra una considerazione e l'altra.
"Ehi, Doyle… " - pensò- " ma l'avresti mai detto? Dopo Faith, Spike. A quanto pare sono il custode di tutti gli sbandati di questa terra. Umani e un po' meno.
Sarò all'altezza? È un osso duro, lo sai. Non si è mai lasciato imbrogliare.ma come farò a tenere testa alla sua sensibilità, quella sua incredibile attitudine a leggere dentro la gente?
Non voglio che mi legga dentro… anche se stasera gli ho permesso di farlo."
Spike dormiva, con la mano leggermente aperta, vicino al viso. Angel l'aveva fasciata, bloccando il flusso del sangue. Ricordava ancora l'attimo in cui gli era sembrato inarrestabile.
Ora, accostandosi al bordo del letto per sciogliere le bende improvvisate, Angel non potè che buttare un'occhiata alla sua mano. Al taglio perfettamente richiuso. Solo una leggera linea più chiara si intravedeva ancora ed Angel si ritrovò a sperare che non svanisse tanto presto.
Il palmo di Spike era ancora sfregiato.
Una ferita mal rimarginata, infiammata che non nascondeva la carne, rosso vivo. Angel sfiorò i lembi irregolari con un dito, ne percepì il calore e la cedevolezza.
Spike si mosse, stringendo appena le dita, non riuscendo a serrarle perfettamente.
Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, una reazione al dolore, come se quel lieve contatto gli provocasse un incubo da cui non sfuggire.
Obbedendo ancora una volta al suo istinto, Angel unì il suo palmo a quello di Spike, accostando la ferita richiusa a quella pulsante.
Spike si mosse ancora, poi smise, distendendo appena i lineamenti.
"E' una specie di girotondo. Vero? Ma ho paura del potere che potrebbe avere su di me." - la voce mentale di Angel risuonava spossata, nella sua testa- " Cosa accadrà se non avrò le risposte? Come farò…"
Le mani si staccarono. In silenzio, una avvolse l'altra, stringendo appena, posandola delicatamente sul lenzuolo.
"Come vedi, Doyle, ancora ho domande a cui nessuno risponde. E vorrei che tu non avessi fatto così bene il tuo dovere nei miei confronti.
Sarò un custode per lui come tu sei stato per me?"

Giorno.
La casa vuota.
Silenzio.
Doveva essersi addormentato. La poltrona gli era sembrata accogliente e sicura. Qualcuno gli aveva posato indosso una coperta.
Buffy?
Come sarebbe stato bello.
Ma Buffy non c'era, come tutti gli altri. Restava un qualche appunto del signor Giles, abbandonato sul comodino, qualche cuscino spiegazzato su cui avevano riposato i suoi amici.
Ad uno ad uno dovevano essere tornati tutti a casa. Ognuno nel suo letto.
Oppure a godersi una giornata calda e piena di luce.
Il cellulare suonò all'improvviso ed Angel incespicò, nel cercarlo.
Cordelia.
Un fiume di parole.
Da strangolare. Angel mugolò umanamente e rispose alle domande per monosillabi. Poi riattaccando, risprofondò nel suo nido di cuoio profumato. Il posto ideale per passare l'eternità.
I cupi quesiti della sera prima erano svaniti. Angel si era svegliato con la mente pratica in pieno fermento. Cosa fare. Cosa dirgli.
Semplicemente.

Spike lo fissava.
Con occhi grigio-blu.
Cercò di tirarsi su, appena, quanto bastava a puntellarsi con un gomito. Ricadde appena, nel posare la testa sul cuscino, deglutendo e sbattendo le palpebre per la sorpresa.
Il suo corpo non rispondeva. Il suo bel corpo immortale non aveva un muscolo che fosse immune dalle punture degli spilli.
Spilli.
Angel lo aveva sdraiato su un letto di aghi?
Lo sentiva vicino.
Ma non aveva voce per chiederglielo.
Anche pensare gli sembrava difficile.
Ma talvolta la memoria vola più veloce del pensiero. Lentamente le percezioni di Spike filtrarono nei ricordi, nel passato, con una nuova dolorosa consapevolezza.
I suoi muscoli si contrassero spasmodicamente ed Angel fu subito più vicino, inginocchiato, a lato del letto, la mano insinuata tra i suoi capelli, un'altra, a premergli sul petto.
Se avesse aperto gli occhi l'avrebbe visto.
Se non fosse stato per il dolore di tutto il suo essere si sarebbe accorto di avere le convulsioni.
Lentamente la pressione diminuì. Riusciva a respirare, come se la mente, fluttuando, avesse abbandonato le allucinazioni, scivolando nuovamente nel suo corpo.
Spalancò la bocca, gli occhi, ansimò e strinse il lenzuolo tra i pugni, irrigidendosi.
Boccheggiando guardò Angel, con muto stupore.
E nel cogliere un barlume di ragione, Angel parlò.
E Spike, chiudendo gli occhi, ascoltò.
Perché quello era il primo capitolo della sua vita.

III
Aveva parlato per ore.
Spike aveva mantenuto lo sguardo fisso, fino a far dubitare Angel che la sua mente fosse ancora stabile.
Immoto, con la testa girata, perfettamente immobile, le braccia lungo i fianchi.
Angel, così poco loquace gli aveva parlato per quello che sembrava un tempo infinito, a voce bassa non badando a come in casa fossero rimasti solo loro due.
Non sapeva di aver iniziato finché non era riuscito a sentire il suono della propria voce, le parole dapprima concitate, necessarie per attirare l'attenzione di Spike lontano dai rimorsi inconsci.
Aveva parlato, sintetizzato l'emozione di una vita e più ancora, di un'anima e di una vita senza di lei e con le sue conseguenze.
A poco a poco le parole avevano assunto un andamento regolare, un fluire lento e composto, come se nella vita tutto potesse scorrere in modo semplice e lineare al di sopra di ogni violenza ed ogni consapevolezza.
Ma Spike non aveva fatto che fissarlo, senza un battito di ciglia, fino allo sfinimento. La mano gli faceva male da impazzire, ma Spike stentava a ricordare. Immagini e sentimenti si frammentavano e si ricomponevano confusamente, stordendolo e tormentandolo con dolore sordo.
Quando angel finalmente tacque, sembrò che il mondo delle parole si spegnesse con lui, scegliendo un silenzio unico e rispettoso.
Pieno di risposte non date.
Era veramente il primo giorno della sua nuova vita. All'improvviso quella lentezza innaturale sembrò soffocarlo. Angel si protese, pronto ad una nuova convulsione. Ma Spike stava soltanto armeggiando con le fasciature della mano. Maldestramente impigliava le unghie nelle bende, con strattoni violenti e inutili.
Si applicava con la tenacia di sempre, lo sguardo teso e le labbra strette. Si agitava, cercando di mettersi seduto. Ma le forze non c'erano. Ricadde di schiena con un ultimo gemito strozzato.
Ed una mano si pose sulla sua. Nel silenzio. I loro occhi si incontrarono. Per istinto.
Angel si concentrò sulle bende e quando Spike mosse le dita sussurrò appena: "Piano, piano."
Spike lo guardava fisso. Gli occhi grandi sul viso sparuto e la mano tra quelle del suo sire. Angel. Come aveva fatto a non accorgersene… angel era inginocchiato vicino al suo letto, perché, da quando.
Per un attimo gli sembrò strano non aver desiderato soltanto quella presenza, dall'attimo in cui la nuova consapevolezza era sorta. Eppure vederlo lì, così vicino, sembrava innaturale. Nella sua mente i ricordi si sovrapponevano, decennio dopo decennio. Quando mai erano stato così vicini… picchiandosi….forse…
A poco a poco distese le dita e si lasciò sfuggire un sospiro. Angel rallentò i suoi gesti ed alzò lo sguardo per un istante, prima di tornare a concentrarsi.
Le bende erano ormai scivolate sulle coperte, ma Angel teneva ancora la mano di Spike tra le sue. Non era certo che la sensibilità fosse già tornata e, istintivamente, l'adagiò sulle coperte, come se fosse una cosa inanimata.
Spike era debole, ma non al punto di non riuscire a sollevare un braccio. Gli costava fatica, ma lo fece ugualmente.
E fissò la ferita, anche se la vista si sfuocava, ne percorse i bordi con un dito, rabbrividendo per il contatto.
Adesso ricordava, in un baluginio di immagini.
Fissò Angel ed egli, quasi esitando, protese la sua. Spike l'afferrò con la mano sana, per affiancarle, per notare ogni evidenza.
Una destra ed una sinistra, una già sana e l'altra ancora ferita.
Si completavano a vicenda come gli opposti.
Avrebbe voluto parlare, ma non disse nulla, deglutì e tese la mano verso Angel. Tremava, come una foglia ed implorava con lo sguardo. Angel si alzò e, per un attimo, la mente di Spike si pervase di terrore. Non voleva vederlo andar via.
Non voleva. Ma non sapeva come dirlo.
Le parole morivano in gola, ma non aveva a che fare con un dolore fisico preciso. Morivano perchè erano inutili…
Morivano perché non erano giuste.
Morivano perché niente avrebbe fermato Angel se voleva andar via.
Sempre che fosse veramente lì.
Angel si alzò. E si sedette sul bordo del letto. Adesso lo sovrastava e la sua ombra proteggeva Spike, nascondendogli la visuale, limitando il suo mondo reale.
Non smise di tendere la sua mano, lo guardò fisso e poi sbattè le palpebre, per ricacciare indietro le lacrime. Gli sorrise appena, quando Angel finalmente l'afferrò, senza stringerla.
Le loro ferite erano quasi a contatto. Era ciò che volevano entrambi.
Era ciò che non potevano dire a nessuno.
Nemmeno a loro stessi.
Nemmeno adesso.
Angel fasciò nuovamente la ferita, stringendo meno.
Pensava a quel sorriso, apparso e sparito in un battito di ciglia.
Quando alzò lo sguardo, pronto a ricambiare, la mano tra le mani, Spike, ai suoi occhi, non sembrò altro che un profilo perfetto, sprofondato in un sonno senza sogni.

Non si trattava di morire. Spike non aveva paura di non svegliarsi. La sua paura era nell'attimo del risveglio, quel brevissimo secondo in cui si sentiva solo un vampiro assonnato. Non ancora consapevole.
Un attimo e nulla più.
Sapeva che non sarebbe morto. Lo sapevano entrambi. Anche se ancora non si parlavano.
Angel c'era, ma, dopo quel primo fiume di parole, la casa era entrata in un silenzio anomalo e inspiegabile. Un silenzio che, a poco a poco, tutti avevano iniziato ad evitare. Solo Giles, talvolta si avventurava fin nell'ingresso, per scambiare due parole e portare copie e copie di manoscritti, di modo che Angel avesse qualcosa da leggere, per capire e distrarsi.
Nel silenzio.
Ogni tanto squillava il telefono e Cordelia lo subissava di domande. Poi era nuovamente il silenzio.
Ma tutto questo a Spike non importava. Perché in quel galleggiare incosciente, l'unico appiglio era Angel.
Angel, che era già sveglio quando si svegliava. Ed era ancora sveglio quando gli occhi iniziavano a chiudersi.
Con gli stessi gesti, da più di tre giorni, posava il contenitore plastico pieno di sangue sul comodino, lo aiutava mettersi seduto e lo fissava, senza dargli mai l'impressione di violare la sua dignità con un gesto di troppo.
Ogni suo aiuto era perfettamente dosato.
Ed i loro occhi, come le loro parole, restavano nel vuoto. Ogni comunicazione era abbandonata. Vivevano in un mondo ai margini del reale. Un mondo fatto di ricordi e riflessioni. Ma soprattutto di incubi.
Incubi tali da svegliarsi di colpo, cedendo al terrore. E come risultato, ormai, Spike conosceva ogni centimetro del petto di Angel. Centinaia erano le volte che si era di colpo destato, in un attimo fuggevole, scattando, alzandosi , cercando di urlare e sbarrando gli occhi senza vedere nulla.
E colpendo violentemente la faccia, strofinando la pelle sul maglione di lana scura.
Nel primo attimo di lucidità sapeva già di essergli volato addosso. Angel si trovava sempre e comunque sulla sua traiettoria, si materializzava ai piedi del letto giusto in tempo per fermarlo.
Afferrava al volo quel disperato, prima che arrivasse alla luce del giardino, prima che scappasse, portando con sé i dolori che avrebbe voluto perdere.
E l'impatto era sempre violento. Era una reazione per istinto che si ripeteva, affinandosi sempre di più. Angel sentiva le costole scricchiolare, come se stessero per rompersi da un momento all'altro. Ed anche fosse successo? Si sarebbero risanate in breve tempo con qualche lieve fastidio.
Ma se si fossero rotte quelle di Spike? Allora sarebbe stata un'altra storia.
Le braccia di Angel scattavano a frenare quella violenza e quel dibattersi, tutto il suo essere si piegava a stringerlo in un'inevitabile e pericolosa morsa. Tutto si riduceva ad un frammento di consapevolezza per entrambi, prima o dopo quel violento abbraccio.
Per Spike si trattava di un attimo dopo la fuga dall'incubo. Nell'impatto contro quei muscoli tesi, quel corpo solido e freddo.
Spalancava gli occhi e seppelliva il viso nella lana, investito da una valanga di impressioni sbagliate.
L'impressione di soffocare senza respirare.
La sensazione di calore delle braccia gelide di Angel.
Era come sbattere contro un muro per poi esserne inglobati: gli occhi aperti ed il calore, le mani aperte per afferrarsi alla stoffa. Ai capelli. A Angel.
Per capirne l'essenza e perdersi nel suo tormento privo di rabbia.
Ed era come svuotarsi di ogni reazione.
Persino Angel lo sapeva. Di colpo quel biondo fascio di nervi si rilassava e scivolava inspiegabilmente.
Ed Angel si ritrovava a stringerlo, per poi riadagiarlo nel letto dal quale era fuggito.
Era come se ogni dolore si emanasse da Spike ed Angel non fosse altro che l'antidoto per ogni male, in ogni minuto di lotta, prima dell'inevitabile tregua.
Una costante.
Un costante stupore di Angel, nel rimboccargli le coperte, il non capire di cosa si nutrisse la rabbia di Spike, nel dissolversi.
Angel si tormentava. Sapeva cosa guidava i suoi gesti, quali fossero le sue paure, le sue preoccupazioni. Ma non riusciva a penetrare la mente di Spike. Non aveva tratto, da quei contatti, la stessa sottilissima conoscenza.
E la fiducia. Spike nutriva fiducia nei suoi confronti.
Senza che Angel avesse trovato un modo per inculcargliela. Senza che ci fosse qualcosa nel loro passato che poteva averli condotti ad essere così vicini.
C'era l'anima.
Era l'anima? L'anima di Spike riconosceva come affine quella di Angel? Era possibile.
Ma Angel, tornando indietro con la mente, non ricordava altro che il tormento e la solitudine. Il sopravvivere inconsapevole, ma soprattutto il senso di estraneità, come se quell'anima appena riavuta dovesse combattere con degli istinti incontrollabili e cruenti, finendo con il lacerarsi ancora, in un bagno di disperazione.
Rabbrividiva, Angel, ricordando quel tormento. Sapeva come quello di Spike nascesse dalle stesse radici, con le stesse motivazioni.
Ma era il loro rapporto a sconvolgerlo. Spike reagiva appellandosi a lui come ad un entità rassicurante. Cosa percepiva?
Doyle forse avrebbe saputo rispondere.
Ma non era un pensiero consolante.
Probabilmente avrebbe sorriso, lo avrebbe stuzzicato, gli avrebbe fatto notare che non era una cosa drammatica se Spike gli voleva un pochino di bene.
Un pochino di bene…
Fosse quello? Un affetto che, fino a quando erano stati un sanguinario quartetto, non era mai venuto fuori?
Rivali.
Rivali, mai amici.
Alleati.
Uno della mia vita…
L'aveva definito così, senza pensare. Possibile che anche Spike lo vedesse in quel modo?
Mistero.

Un mistero con gli occhi chiari.
Aperti, spalancati sul mondo.
Immobili e limpidi.
Su di un volto senza parole.
Spike sopportava la sua anima, ma la riduceva al silenzio.
Era il rimorso che non poteva sopportare. Non l'impotenza.
Il chip… quello sì che era una cosa drammatica! Sapersi cattivi ed impossibilitati a tutto. Sapersi sbeffeggiati dai propri simili.
Ma senza la consapevolezza del proprio passato.
Avere il rimpianto, ma non il rimorso.
E di colpo ritrovarsi, senza un'eccessiva lucidità, con il rimorso del rimpianto.

Alla fine era crollato.
Era stato in piedi tre giorni e poi, sedendosi sulla poltrona in un attimo di quiete apparente, si era addormentato. A nulla erano valse le sue preoccupazioni, il suo desiderio di essere onnipresente, di arrivare a capire, aiutare.
Angel dormiva, sdraiato in poltrona, con i piedi nudi sul letto, una mano a sostegno della faccia. Sembrava così normale.
Un braccio disteso, verso il letto.
Buffy non osava entrare. Sostava sulla porta della stanza, appena nascosta da una tenda di velluto polveroso.
Osservava, temendo che il suo respiro concitato potesse svegliarli.
Ma solo uno di loro dormiva.
Spike stava sdraiato sul fianco, ma non riusciva a vederlo in volto, immerso nella penombra, lontano dal cono di luce che la lampada proiettava. Eppure sapeva che era sveglio, tante volte si era lasciata sorprendere dalla sua apparente quiete,là, nella frescura della cripta, sdraiato sul catafalco, le gambe penzoloni e le braccia dietro la testa.
Buffy lo osservò muoversi, allungare lentamente il braccio, fino a sfiorare la mano di Angel. Poteva percepire lo sforzo che gli costava quel tendersi, il reprimere i gemiti per non svegliarlo.
Spike voleva qualcosa che non poteva chiedere. Voleva qualcosa che non sapeva di poter chiedere. Capricciosamente si tendeva verso ciò che gli stava a cuore.
Ma, in fondo, non aveva mai smesso di farlo. E Buffy, più di molti altri, sapeva quanto Spike fosse un osso duro.
E non potè nascondere un sorriso, se non dietro una mano, quando, nel sonno, istintivamente, le dita di Angel si chiusero su quelle di Spike.
Restò a contemplarli fino a quando le prime luci dell'alba non fecero capolino, nel grande salone alle sue spalle, fino a quando non vide anche il secondo vampiro rilassarsi in un sonno prezioso, protetto da quel leggero tocco rubato.
Poi si girò ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle perché il mondo non entrasse tanto presto a disturbarli.

Non appena la serratura scattò, una coppia di occhi scuri molto profondi brillò nel buio. Con un accenno di sorriso, per la piccola prova di fiducia che stringeva tra le mani e per quel piccolo cigolio. Un segno d'amore, prezioso come una lacrima scivolata in una tenda di velluto polveroso.

Xander era passato. Ad Angel era bastato il leggero tramestio dietro la porta per capire che,anche quella sera, non avrebbe bussato.
Attese di saperlo lontano, rispettoso del suo orgoglio, poi, aperta la porta, aveva raccolto il sacchetto marrone, posato sul gradino.
Uno ogni sera.
Lui e Xander non avevano più scambiato una parola, dalla sera in cui, inaspettatamente, si era rivelato ben più dell'astioso rivale in amore. La sera in cui, fianco a fianco, avevano attraversato il cimitero, parlando appena.
Sembrava passata un'eternità… ma quanto, alfine? Un settimana, dieci giorni?
Angel posò il sacchetto sul tavolo. Al suo interno, due contenitori plastici dal contenuto sanguigno ed un libro ed un quaderno rilegato in pelle.
Angel lo girò, per leggerne il titolo, aggrottando la fronte e l'autore. Edgar Lee master…
Non un manoscritto, nemmeno un vecchio testo di Giles. Xander gli aveva portato della poesia. Ed un quaderno rilegato in pelle, con una W stampigliata, in un angolo.
W… come William.
La stessa W che una mano dalla calligrafia sottile e decisa aveva scritto nell'interno del libro. La stessa mano delle brevi annotazioni a lato delle poesie.
Edgar Lee Master ed un quaderno rilegato che Angel non osava aprire.
Ad un tratto gli sembrò una svolta. Frugò in un cassetto, a caccia di una matita.
Poi afferrò il tutto, libro, quaderno ed uno dei contenitori. Poi, con un ripensamento, tornò a prendere il secondo contenitore.

Spike stava seduto sul letto, la schiena alla parete e lo sguardo rivolto alla penombra del giardino. La finestra aperta e le tende appena smosse gli permettevano di spingere lo sguardo lontano, oltre il muro, verso l'immaginazione.
Non si girò, fino a quando Angel, in piedi, vicino al letto, non gli porse qualcosa.
Nel momento stesso in cui ebbe in mano quel libro e quel quaderno, alzò uno sguardo stupito verso di lui.
Angel accennò un sorriso, sedendosi sul letto.
"L'ha portato Xander. Ma non chiedermi dove l'abbia preso." - spiegò; poi aggiunse, porgendogli la matita - "Tieni. Buffy l'ha dimenticata. Penso possa servirti."
All'improvviso si sentì stupido. In fondo allo sguardo di Spike si era accesa una luce sardonica. Il grande Angel, castigatore dei malvagi, vampiro senza macchia, gli porgeva una matita, come se fosse una reliquia.
Un attimo fuggevole, prima che Spike abbassasse nuovamente lo sguardo, alle cose appoggiate sulle coperte.
"William"
Gli era sfuggito dalle labbra. Angel ne fu sorpreso, al pari di Spike.
Per un attimo gli sembrò di chiamare se stesso, di voler tornare indietro nel passato a cercare i doni perduti, gli affetti, le cose in cui credeva, prima dei massacri, prima del dolore.
Era troppo tardi per fermarsi.
"io… scusa, forse non avrei dovuto chiamarti così. A volte il proprio nome sveglia troppi ricordi. Il mio mi fa pensare all'alcool, alle bastonate che mi prendevo da mio padre. Ma anche a come lo pronunciava mia sorella. Lo faceva sembrare il nome di una persone degna d'affetto. A volte mi manca, il mio nome.
Io forse non so cosa sto dicendo.
Ma so cosa vorrei dire. Vorrei che tu mi parlassi."
Fece una pausa.
E Spike si volse nuovamente alla finestra.
"Parlami, Spike." - fece una pausa, domandandosi cosa gli sarebbe uscito dalle labbra, se, per una volta, avesse buttato al vento tutti i segreti - "Parlami."
L'avrebbe implorato.
Avrebbe dato l'anima.
Già. Avrebbe dato l'anima.
"William."
Angel alzò la testa di scatto.
Lo sguardo di Spike era pieno di tormento. Ma la sua voce era ferma e salda, come Angel la ricordava.
"William. Preferisco William. Lo pronunci bene, per essere un irlandese."
Angel gli sorrise.
"Hai fame?" - gli chiese. Erano in imbarazzo, entrambi. Era la prima volta che avevano un dialogo. Era stato tutto così semplice, sentirsi vicini, negli attimi di semicoscienza. Adesso cominciava il vero gioco.
Adesso.
Spike scosse il capo.
"Io… vorrei alzarmi."
"Certo." -annuì Angel, alzandosi, per fargli spazio - "Ce la fai?"
Non gli avrebbe mai imposto un aiuto che non voleva. Si sarebbe lasciato osservare, con occhi curiosi, nel porgergli una mano che era libero di non afferrare.
Spike restava sempre Spike. Era testardo, deciso a ritrovare se stesso.
Molto più reattivo a quel cambiamento, di quanto non fosse stato Angel.
Le torture, l'incognita dell'accaduto, il dolore, la malattia.
Niente poteva veramente piegarlo.
Una nuova consapevolezza, con il tempo, poteva solo renderlo più forte.
Era quello che Spike cercava per reagire. Una forza interiore.

Angel lasciò ricadere la mano, quando lo vide intento a puntellarsi sulla sponda del letto, a far forza sulle braccia per tirarsi in piedi.
E quando fu dritto, su gambe barcollanti, Angel fece un passo indietro per farlo passare. Era emaciato e pallido. Le sue amate magliette attillate, che Xander coscienziosamente posava accanto ai contenitori, gli stavano larghe, non sottolineando più quel torace sottile e muscoloso che era un po' il suo orgoglio.
Spike aveva piedi lunghi e sottili e mani da pianista che, agli occhi di Angel, erano troppo scarne.
Le bruciature di sigaretta, i colpi subiti ed i segni di alcune violenze, ancora trasparivano sulla pelle venata di azzurro.
Spike stava in piedi per miracolo. E per testardaggine.
Cautamente girò intorno al letto. Andava verso la finestra, quella finestra che a lungo aveva osservato, in silenzio, formulando domande.
Silenzio.
Era cessato così. Ad un tratto si era interrotto. Per un nome, un singolo, sciocco, stupido nome.
Ma Angel aveva ragione. Un nome può essere una risposta a molte domande.
William, il mortale che amava la poesia e la bellezza, si sarebbe affacciato, a respirare l'aria nebbiosa di Londra. Ad aspirare profumi portati da lontano, per non perdere mai di vista la vastità del mondo.
William avrebbe risposto così ai suoi tormenti. Camminando, in un giardino.
Angel lo seguiva a debita distanza ma, quando lo vide fermarsi, all'ombra delle pareti coperte d'edera, restò rispettosamente sulla soglia, ad attendere.
Stettero così per qualche interminabile minuto.
La frescura e l'umidità gli sferzavano il volto, le palpebre abbassate, la mente assorta. I ricordi tornavano a galla,aggrediti dal dolore, in agguato. E Spike, con la sensibilità di William, si sorprese a chiedersi come aveva potuto sperare di non essere consapevole.
Come se mai un dubbio avesse sfiorato la sua mente, come se non ci fosse già stato uno stupido giocattolo meccanico a cercare di condurlo per quella via. Per la via della conoscenza di noi stessi.
Avrebbe voluto respirare quella pace.
Ma non riusciva.
Lentamente si girò, per rientrare in casa. Aveva un libro, un quaderno rilegato in pelle, una matita.
William li avrebbe apprezzati. Ed anche Spike.
Ma le forze gli mancarono.
All'improvviso si sentì pericolosamente sull'orlo di un abisso. Barcollò, cercando di resistere e poi, arresosi, attese l'impatto col pavimento.
Due braccia forti lo cinsero,si tesero per trattenerlo in piedi e poi infine sollevarlo, come se non pesasse nulla.
Era quello il tepore della pace. Spike ne fu colpito, scosso.
Si rannicchiò, per istinto, aggrappandosi, ricambiando la presa, con le braccia strette attorno al collo, il viso seppellito su quella spalla solida. Lo fece consapevolmente, perché voleva farlo, fregandosene delle conseguenze, sperando in una reazione che non fosse rifiuto.
I ricordi lo colpirono, violenti, ricordi dei giorni di dolore che non sapeva di poter avere.
I suoi ricordi erano Angel. Angel e la sua forza, il suo silenzio. Angel che lo tratteneva, Angel che gli teneva una mano tra i capelli quando piangeva nel sonno.
Angel, semplicemente, con le sue contraddizioni.
Angel,che non gli avrebbe mai permesso di cadere.
Si aggrappò, sapendo di non dover più cercare, arrendendosi alla semplicità del gesto, al calore che tanto gli era mancato.
Si arrese all'amicizia.
Angel lo tenne stretto. Così, come se non fosse strano restare al centro di una stanza, con un vampiro singhiozzante tra le braccia, rannicchiato, poco più di un cucciolo spaventato.
Senza far nulla per calmare quel fiume in piena che sembrava investirli entrambi.
Irrimediabilmente.
La finzione era finita, prima ancora di cominciare.
Spike era alla stremo. Non aveva saputo ricominciare ad essere se stesso.
Aveva una strada lunga e faticosa da percorrere, per ritrovarsi, per accettarsi. E per la prima volta, in vita sua, non era certo di riuscire a percorrerla da solo.

IV
Avevano lasciato Sunnydale, una notte.
Di comune accordo, avevano deciso di informare brevemente Giles della loro partenza e scaricare a lui la difficoltà di spiegare agli altri.

Era sembrata la cosa più ovvia ad entrambi. Anche se Spike non era ancora in forze, Angel non aveva trovato motivo per negargli una passeggiata, attraverso il cimitero, come se vagassero senza una meta.
Avevano iniziato a camminare, uno di fianco all'altro, quasi senza parlare.
La loro partenza era già fissata, per la sera successiva. Ed Angel supponeva di sapere, dove stessero andando.
Si erano trovati, ad un tratto, innanzi alla cripta. E si erano scambiati un'occhiata.
"Non sei obbligato ad entrare, William."
"Hai presente il quaderno che mi ha portato Xander? Proviene da lì dentro. C'è buona parte della mia vita, lì. Dentro. E voglio portarla via da qui."
Aveva salito quel paio di scalini, impegnando tutte le sue forze. Non voleva di nuovo cedere alla debolezza fisica che tanto lo irritava.
Non aveva ancora un aspetto molto sano. Si trattava di piccoli particolari, evidenti solo agli occhi di Angel. Il tremito leggero delle sue mani, quello sbattere le palpebre, quando la vista appena gli si offuscava…
Lo seguì e, quando furono vicino la porta, gli posò una mano sulla spalla e lo invitò ad aspettare. Poi si allungò, per spalancare la porta che si aprì, cigolando sui cardini.
All'interno regnava ancora la desolazione.
Frammenti di mobili e oggetti rotti coprivano il pavimento.
Erano segni di lotta.
Spike camminava in mezzo ai cocci. La sua televisione, rovesciata a terra, tazzoni di ceramica gialli e quant'altro.
Oggetti che gli accendevano sul volto un sorriso ironico. Tutto era distrutto… forse, proprio tra quei giornali strappati e gettati a terra, Xander aveva scoperto quei due fascicoli preziosi, scampati al massacro.
Spike avanzò verso il fondo della cripta, per appoggiarsi ad una lastra di pietra.
Angel vide i suoi dorsali tendersi sotto la maglietta e si avvicinò. Gli fece segno di spostarsi e, con una spinta decisa, fece scivolare la pietra lungo la parete.
Ed entrò. Spike attraversò la seconda stanza e si diresse verso la scala a chiocciola.
Al piano inferiore la situazione non appariva migliore.
Anzi…
Spike si diresse verso la parete di fondo, una nicchia umida e poco illuminata.
Attaccate alla parete spiccavano alcune lunghe catene. Lo sguardo di Spike rivelava molto, sul conto di quegli oggetti arrugginiti. Le aveva usate e poi qualcuno le aveva usate su di lui.
Angel ebbe un flash.
Lo vide, nitido e semplice. Bloccato contro quel muro, ringhiante. Vide la catena che gli bloccava il collo, incidendogli la pelle ed i bracciali. Qualcuno li aveva martellati, fino a schiacciarli, nel dubbio che il prigioniero potesse sfilare le mani diventate troppo sottili.
Sotto i bracciali ammaccati e contorti le mani si stringevano a pugno. La sinistra appariva rotta. Spike, vestito e rabbioso alzava uno sguardo feroce verso un frustino che calava spietatamente sul suo viso.

Sbattè le palpebre e fu di nuovo nel presente.
Ancora non si spiegava come i ricordi di Spike potessero trovarsi nella sua testa. Ma non era una di quelle cose che poteva raccontare facilmente ad un Osservatore.
"Angel… quello che dovrebbe sentirsi male sono io…"
Se ne era accorto. Senza girarsi, restando con le mani appoggiate all'arco.
"Cosa hai visto?"
"Qualcosa che, in teoria, non avrei dovuto vedere."
Spike si girò, appoggiandosi alla parete, nello stesso punto del ricordo. Aveva un'espressione dura, simile a quella con cui aveva scrutato il mondo per più di un secolo.
"Mi hai visto qui. Legato." - con un dito abbassò il collo della maglietta, per mostrare un segno violaceo che Angel già conosceva - "La catena passava in questo punto. E non era piacevole. Ed il mio polso sinistro…"
"Era rotto."
"Già. Era rotto." - Spike abbassò lo sguardo e si fissò la punta degli anfibi.
"Come ti spieghi questa comunione dei ricordi?"
"Sei tu lo studioso… Liam."
Angel lo fissò. Spike aveva prelevato quell'informazione direttamente dalla sua mente, nel primo contatto che avevano avuto. Quando il loro sangue si era nuovamente mischiato.
Si sorprese a fissarsi la mano. La ferita che si era provocato era rimarginata ma, come avviene talvolta per i morsi di vampiro, era rimasta la cicatrice.
Girò il palmo verso Spike, in silenzio.
"Lo penso anch'io. È stato il sangue?"
"La prima volta non è successo…"
"Già, la prima volta no…" - la mente di Spike corse fuggevole all'umido vicolo londinese - "E se fosse stata…l'anima?"
"Mi sembra un'idea interessante…."
"Angel…" - Spike alzò un sopracciglio - "Stai parlando come Giles."
Gli sorrise, tollerante. Poi ridivenne serio.
"Spike, è possibile che sia l'anima. Io ho percepito la tua, quando sono arrivato a Sunnydale e penso che tu riesca a sentire la mia, anche se inconsciamente."
"Già. E sai quantificare, per sbaglio, il numero di ricordi che ci siamo, per così dire, passati?"
"No. Ma spero con tutto cuore che siano pochi." - Angel si fermò un attimo a pensare - "Spike, può anche darsi che non siano ricordi."
"E cosa sono? Cioccolatini?"
"No. Forse si tratta di telepatia."
Un'idea interessante.
Era possibile. Forse non si trattava di informazione passate in un certo istante, bensì di immagini confuse che si trasmettevano inconsapevolmente.
"Stavi pensando anche tu alla tua prigionia?"
"Può darsi…."
Non sembrava aver voglia di parlarne; era disposto a rinunciare alla comprensione di quel mistero, pur di non dover richiamare alla mente gli avvenimenti.
"Sì, ci stavo pensando…ma non voglio pensarci più."
Si allontanò dall'angolo. L'umidità gli aveva provocato una sgradevole sensazione di oppressione, facendo balenare nell'ombra volti e ricordi tutt'altro che piacevoli.
Stava imparando a controllarsi. Interrompeva a forza quel flusso di sensazioni sgradevoli, chiudendosi in un ostinato silenzio, fissando lo sguardo ad un punto lontano, come se la risposta che andava cercando potesse investirlo come un treno.
Non voleva essere impreparato. Allenava la sua mente ad accettare la verità, a conviverci.
E sperava di tutto cuore che molte cose, racchiuse nella sua testa, non fossero uscite, per impiantarsi in quella di Angel.

Raccolse da terra alcuni oggetti e cercò una scatola in cui metterli. Per lo più si trattava di libri, cassette, cd. Era rimasto poco da salvare: alcuni abiti, i pochi che non erano ancora stati recuperati e lasciati sulla porta di Angel, qualche fotografia ed un paio di braccialetti.
Pure lo smalto nero era andato perso, lanciato con violenza contro una delle pareti. Un orribile macchia densa e lucida, come un grosso ragno.
Angel cercava di riunire i pezzi di quell'intricato puzzle. Un vampiro con l'anima, ridotto a vittima della sua coscienza rediviva, imprigionato dai suoi simili.
Da dove era venuta l'anima? Quando?
Spike non sapeva dirlo. Era successo.
Non ricordava e nemmeno le informazioni di Harmony, per altro evidentemente sbagliate, erano servite a far riemergere i ricordi.
Harmony aveva parlato di una zingara, ma nessuno aveva confermato queste sue invenzioni. Nessuno dei vari vampiri interrogati e nebulizzati da Buffy in un eccesso di zelo.
I pochi, resi loquaci dal paletto, avevano ammesso di essersi divertiti parecchio con Spike, sia alla cripta che al loro covo. Le poche domande che Angel aveva trovato il tempo di rivolgere a questi tizi, nel giardino di casa sua, erano rimaste senza risposta. Nessuno sapeva niente, se non che i rinnegati adesso erano due.
Che anche William il sanguinario era perduto.
Su una cosa non c'erano dubbi. L'anima di Spike era permanente. Niente, amore o dolore che fosse, avrebbe potuto eliminarla.
E non c'era bisogno di sperimentare, in questo campo. L'impressione di Angel era legge, tale era la foga con cui veniva difesa.
Finirono di raccogliere i pochi oggetti integri.
Sostarono appena innanzi al simulacro di Buffy. Spike aveva raccolto molte fotografie, oggetti e appunti su quella che sembrava una lunga e appassionante lite amorosa. Ma anche questo grande amore, sembrava svanito.
Spike aveva voluto Buffy per una questione di possesso, per prevalere sul suo sire. Ed una volta che erano cadute queste motivazioni, era scivolato via anche quel sentimento eterno, sostituito da un'amicizia resa intensa dai rimpianti. Non le aveva portate via con sé. Aveva scelto alcune foto e le aveva offerte ad Angel. E questi, con un lampo di tristezza in fondo agli occhi, le aveva infilate in tasca, lisciandole con le dita.
Per sé Spike aveva serbato alcuni disegni e qualche lettera. Ma di Dawn.
"Sono affezionato a Briciola." - aveva spiegato, con una punta di imbarazzo.
Povero Spike… abituato ad essere cattivo. Abituato a negare ogni forma affettiva che non implicasse sesso e passione.
Angel capiva l'affetto di Spike nei confronti della piccola. Per molti aspetti il carattere di Dawn era affine a quello di Spike, quello che iniziava a riemergere. Probabilmente anche Dawn in persona non trovava strano l'andare così d'accordo con quel biondo narcisista.
Ma Spike… Spike probabilmente dava colpa al chip.
E adesso avrebbe dato la colpa alla sua anima.

Erano usciti in silenzio, sprangando la porta.
Avevano infilato le scatole in macchina e, sempre in silenzio,si erano diretti verso casa.
Spike aveva soppesato le chiavi, indeciso sul da farsi. Poi Angel era salito dal lato del passeggero, togliendogli ogni dubbio.
"Guida piano…"
"Hai paura di farti male?"
"No, Spike. Ma ho sonno e vorrei non avere adrenalina da smaltire, quando scenderò dalla macchina."

Aveva guidato piano. Sbuffando, ma lo aveva fatto, senza discutere. Angel lo osservava, con una punta di divertimento. Lentamente, per una forma di difesa, stava riemergendo lo Spike di sempre, quello sarcastico ed irriverente.
Quello che Angel avrebbe accolto con grande sollievo.
Mai avrebbe voluto veder Spike languire nei sensi di colpa, mai vederlo diventare cupo e silenzioso. Finora la reazione di Spike era stata più simile ad una reazione allergica a livello metafisico che una vera e propria presa di coscienza.
"Cosa stai pensando?"
"Niente William, niente di particolare."
Di colpo la macchina si fermò bruscamente. Angel si riscosse dai suoi pensieri.
"Stai bene?" - chiese.
"No, ho un infarto." - Spike gli diede un'occhiata loquace ed aggiunse - "Guarda là." Là era la porta di casa di Angel. E sul gradino…
Dawn. "Ormai mi ha visto." - sussurrò rassegnato. Poi aggiunse - "Angel…"
"Entro dal giardino. Ci vediamo dopo…ah, William. Non ti strapazzare."
Spike lo osservò allontanarsi. Angel camminava tranquillo, confondendosi con le ombre. Angel aveva un brutto difetto: sembrava nato per rivoluzionare e sconvolgere la vita a Spike.
Ma con una gran discrezione,per essere un irlandese.

Dawn sedeva sul gradino, con il mento appoggiato alle ginocchia ossute. I capelli le scivolavano quasi fino ai lacci delle scarpe,rannicchiata in quella posizione.
Aveva visto la macchina. Ed Angel che scendeva.
Poi, Spike aveva spento il motore e si era avviato verso di lei.
Dapprima era rimasta ferma. Voleva capire cosa lo rendeva differente, quale particolare le poteva permettere di accorgersi di quel cambiamento così grande.
Ai suoi occhi Spike era solo troppo magro.
Camminava sciolto ma lentamente, come se dovesse essere certo di dove metteva i piedi. Non c'era baldanza nel suo muoversi.
Camminava perché doveva arrivare fino a lei.
Di colpo saltò in piedi e corse verso di lui. Aveva paura a saltargli al collo, paura di fargli male. Ma Spike aprì le braccia senza esitazioni e la strinse, sorridendo di quel nasino freddo che si strofinava sui suoi pettorali.
"Ciao Briciola."
"Oh Spike, ero così preoccupata. Non volevano dirmi nulla, ho fatto una gran fatica a convincere Willow a raccontarmi cosa ti era successo." - singhiozzò - "Credevo ti fosse successo qualcosa di brutto…"
Spike rimase interdetto. Le carezzava i capelli, lasciando che sfogasse la sua preoccupazione e riflettendo. Dal punto di vista di Dawn, la tortura che aveva subito, era poca cosa rispetto alla sua anima appena conquistata.
Non era sbagliato…
In effetti la mente di Spike era stata assorbita dal ritorno dell'anima, tanto quanto il corpo era rimasto leso dalle ripetute violenze.
La sua mente era fuggita lontana e ci era voluta tutta la forza di Angel per riportarla indietro.
"Come vedi, Briciola, questo vampiro è una roccia."
"Spike… senti male all'anima?"
"Cosa?" - rispose lui, aggrottando la fronte.
"Hai lo sguardo triste, tu non hai mai lo sguardo triste. Puoi essere arrabbiato o ferito, ma non ti ho mai visto così…"
"E' stato un periodo faticoso. Vieni in casa, se prendi un raffreddore tua sorella mi farà rimpiangere… non so cosa, ma so che sarò molto doloroso."
"Ed Angel?"
"Se cercherà di mangiarti gli farò notare che sei ossuta e troppo dolce."
La fece ridere, cercò di distrarla con battute e solletico. Ma quella domanda sembrava sempre in agguato.
"Ti prego Spike, rispondimi. Ti fa male l'anima?"
"Sì Briciola, l'anima mi fa male, mi ha fatto male e mi farà male anche in seguito. Perché me lo chiedi?"
"Una volta Angel e Buffy stavano in soggiorno a casa. La mamma era andata a dormire e loro parlavano. Poi anche Buffy si è addormentata ed io sono scesa a prendere un bicchiere di latte.
Angel non era sul divano, vicino a Buffy. Stava seduto in poltrona e la fissava, con le mani congiunte, come le tieni tu. Aveva lo sguardo triste ed io non avrei voluto che mi vedesse."
"Ma lui ti ha visto." - replicò sottovoce Spike. Stavano seduti sul divano, mentre Angel leggeva, sdraiato sul letto nell'altra stanza- "Lo fa sempre anche con me. Sono secoli che cerco di coglierlo di sorpresa."
"Hai ragione. Sembra che abbia gli occhi anche dietro la testa." - Dawn annuì convinta- "Solo che, quella sera, non voleva cogliermi sul fatto mentre sbirciavo.
Mi ha chiamato e quando mi sono avvicinata non mi ha rimproverato. Mi ha chiesto perché non riuscivo a dormire e mi ha detto che, quando da giovane non dormiva, gli piaceva disegnare."
Incredibile. Angel parlava del suo passato con l'unica bambina della banda.
"Io sapevo che Angel disegnava. Me lo aveva detto Buffy. Ed abbiamo parlato un po' di quello, dei miei colori preferiti. Ma lui aveva lo sguardo triste, come avevi tu stasera. E quando gli ho chiesto perché il suo sorriso era diverso da quello degli altri,mi ha risposto che, in certi momenti, l'anima gli premeva sul respiro, come se fosse pesante." -Dawn si tormentava una ciocca di capelli - "e che non poteva farci niente, quando sentiva male doveva aspettare che passasse."
Spike non sapeva cosa rispondere. Non sapeva se il suo male all'anima fosse come quello di Angel. Ma, soprattutto, non riusciva a non domandarsi se Buffy fosse capace di capire il dissidio di Angel con la stessa profondità di una bambina che non riesce a dormire.
"Spike…"
"Briciola?"
"Sei arrabbiato?"
"No, piccola, non lo sono. O forse sì. La verità è che non so molto bene come comportarmi."
"Allora comportati come sempre. Andavi forte, anche prima."
"Certo. Andavo forte. Ma la vera domanda è se vado forte ancora adesso…." - Spike ne dubitava.
Agli occhi di Dawn sembrava più giovane. Troppo magro ed un po' più insicuro.
"certo che vai forte." - lo rassicurò- "Adesso hai l'anima. Puoi ricominciare a pensare cose belle della gente. Ed io posso dirti che… che ti voglio bene, senza il rischio di essere morsicata."
Era un concetto semplice. E Spike si sorprese a ridere. Appoggiò la guancia alla mano e rimase a fissarla, di sbieco, continuando a ridacchiare.
Dawn non era più seduta. Stava in ginocchio, tutta concentrata a fissarlo. Era contenta. Aveva detto una cosa sincera e fatto una battuta con la stessa frase.
Spike avrebbe voluto abbracciarla. Ma non lo fece. Sarebbe stato uno stravolgimento dell'equilibrio che si era creato tra loro.
Le rivolse ancora un'occhiata affettuosa.
"Spike, tu andrai via con Angel, vero?"
"Già"- Spike non aveva voglia di mentirle -" Vado a Los Angeles, almeno per un po'. Fino a quando non ci daremo sui nervi."
"Allora mi sa che non tornerai tanto presto."
"Mi ci vuole del tempo. Devo capire molte cose."
Spike partiva. Spike non ci sarebbe stato, nella cripta, se lei fosse andata a cercarlo. Spike non ci sarebbe stato per picchiarsi con Buffy e discutere con Xander.
Dawn sarebbe cresciuta senza di lui.
"Non essere triste, Briciola. Puoi sempre scrivermi, oppure telefonarmi…"
"Hai un telefono?"
"Angel ce l'ha. E ti assicuro che me lo farà usare. Facciamo così: ti scriverò io per primo. Il tuo indirizzo lo so. E tu potrai decidere se rispondermi."
"Io ti risponderò di sicuro." - rispose, alzandosi e lisciando la gonna corta. Sembrava più grande, con quel faccino triste - "Allora, ci salutiamo adesso."
"Non mi piace che tu vada in giro per cimiteri a quest'ora. Ti accompagno."
"No. Vorrei mi accompagnasse Angel."
Spike aggrottò la fronte e la fissò di nuovo. Per un attimo il suo orgoglio ne fu risentito. Non si sentiva abbastanza difesa?
"Spike, io, preferisco che tu non mi accompagni."
Un lacrimone lo fece subito sentire in colpa.
"Oh Briciola. È stato un attimo di perplessità, non mi sono offeso!"
"Lo so. Ma io penso che potrei piangere per il fatto che te ne vai, mentre vado a casa. E non voglio che tu mi veda."
"D'accordo." - pro,mise lui abbracciandola - "Questo lo capisco. Non bisogna essere deboli in pubblico. Ma tu sai che con me non hai problemi…"
"Lo so. Ma questa volta mi sembra giusto così. a te non piacciono le smancerie…hai un brutto carattere, Spike."
"Vero. Sono cattivo e crudele. Non scordarlo mai."
"Certo. Cattivo e crudele." - ripetè Dawn, tirando su con il naso.
"Vado chiamare Angel."
Angel non fece commenti. Stava seduto sul suo letto, in mezzo alla confusione di Spike. Come Spike aveva intuito, Angel stava leggendo.
Non fece commenti, davanti a quella richiesta. Chiuse il libro e si alzò, raccogliendo la giacca con una mano. Fece un sorriso a Dawn e le aprì rispettosamente la porta.
Spike e Dawn non avevano più bisogno di salutarsi. Lei si girò appena, ricambiando con un cenno della mano, il sorriso di Spike.
Sul letto, appoggiato sulle coperte, restava il libro che Angel aveva posato.
Il libro che stava leggendo Spike.
Il libro di poesia di Lee Master. Chissà perché Spike si sorprese a ridere, per quei gusti letterari del suo Sire.
Ridere.
Ridere fino alle lacrime.

Dawn avrebbe preferito andare a casa da sola.
Ma aveva un compito da compiere.
"Angel…"
Angel si voltò a guardarla, rallentando il passo. Non disse nulla, aspettando che trovasse le parole che andava cercando.
"Sta bene adesso Spike?"
"Sta bene."
"E' troppo magro."
"Lo so."
"Dovrebbe mangiare di più. Angel…"- disse Dawn, fermandosi- "Mi prometti che starai attento che mangi? E' davvero troppo magro."
"Sì Dawn. Io mi occuperò di lui."
Dawn annuì, sollevata. Angel capiva. Angel capiva sempre.
"Gli piace suonare la chitarra, ma la sua è andata rotta…"
"Lo so." - Angel sapeva i gusti di Spike. Lo conosceva da più di un secolo. E se anche, alfine, erano cambiati entrambi, nulla di ciò che aveva apprezzato sembrava essere andato perso.
"E poi la cucina cinese. Anche se niente regge il confronto con il sangue e…" - Dawn si interruppe, imbarazzata. Di colpo le sembrò una situazione insostenibile. Al buio, di notte, in un posta sperduto a parlare con un vampiro che non aveva voluto essere suo cognato; a parlare di un vampiro con un chip in testa ed anche un'anima con cui lei chiacchierava e mangiava dolciumi.
Angel sentiva l'imbarazzo crescere.
"Dawn… io mi occuperò di Spike. Non hai bisogno di sentirtelo ripetere un'altra volta. Ma sarà un bene che tu ti mantenga in contatto, se ti fa piacere. Io tendo ad essere noioso, a volte."
Dawn annuì, poco convinta. Avrebbe voluto essere all'altezza di una conversazione seria ed invece…
Ripresero a camminare, dapprima in silenzio.
"sai, Dawn, i ragazzi ti sottovalutano. Sei matura per la tua età."
"Sul serio?" - il suo cuore ebbe un balzo.
"Sul serio. Sei sensibile. Forse sei troppo impulsiva, ma questo è un difetto che hanno i coraggiosi. E sei generosa. Spike è fortunato ad avere un'amica come te."
"Ed io sono fortunata ad avere lui."
"Già." - Angel si fermò, in fondo al vialetto, davanti alla veranda di casa Summers - "Sai tenere un segreto, Dawn?"
Dawn gli rivolse un cenno, con un lampo serio nello sguardo.
"Siamo in due, ad essere fortunati."

Erano pronti.
Meticolosamente, Angel aveva chiuso le porte e le finestre.
La casa appariva desolante e vuota. I segni del loro passaggio erano stati accuratamente cancellati.
Angel voleva pensare di non essere mai tornato, a Sunnydale. Spike, di non esserci mai venuto.
Avevano raccolto i pochi oggetti che ancora restavano e si erano avviati verso la macchina.
In silenzio, uno di fianco all'altro.
"Angel." - l'aveva chiamato Spike, fermandosi.
Era rimasto in silenzio e, per un attimo, mille evenienze si erano affacciate alla mente di Angel. Possibilità ed emozioni contrastanti.
"Ti va di guidare? Io… non me la sento…" - Spike l'aveva fissato, fermo, con le mani in tasca. Poi, ad un cenno di Angel, gli aveva offerto le chiavi.
Ed Angel, in cambio, gli aveva porto un pacchetto di sigarette ed un accendino. Li aveva in tasca.
Gli occhi di Spike si erano dilatati per la sorpresa. Non ci aveva più pensato, da settimane.
La marca era esatta e l'accendino era… semplicemente era.
Argenteo e sottile, non uno Zippo tipicamente americano. Era un accendino francese. Elegante. Dove l'avesse recuperato Angel era un mistero.
E, soprattutto, era mistero quando avesse trovato il tempo di farlo incidere.
Spike passò un dito sull'elegantissima W che spiccava su uno dei lati. Discreta, ma presente.
"Grazie." - disse, in un soffio.
"Prego."
Restò ancora un attimo a fissare quel regalo inaspettato. Poi si riscosse.
"Andiamo." - replicò, con il tono petulante di sempre, passandogli a fianco- "Questo posto ci rende melensi."